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Autore: Tico_Sarah    05/09/2010    5 recensioni
Il villaggio di Taraah ha sempre vissuto chiuso nella foresta. L’equilibrio e le abitudini degli abitanti non sono mai state interrotte se non da esigui contatti con il mondo esterno. Tuttavia, l’arrivo dei pirati e una nuova malattia che incombe sul villaggio, portata da un animale misterioso, cambieranno le cose una volta per tutte. Una persona da salvare, un viaggio azzardato e un misterioso frutto, muteranno per sempre la vita della protagonista di questa storia. E non solo la sua… Anche Taarah non sarà più la stessa. [Spoiler negli ultimi capitoli; Leggere bene la nota in fondo al capitolo per informazioni.] Mi raccomando, leggete gli avvertimenti; per il resto... buon divertimento!
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1

 

Shanks Il Rosso

 

 

Il dottor Eichiro avrebbe avuto molto da fare quella mattina. Avrebbe dovuto trovare una diagnosi alla malattia del figlio di Kakuri, dunque si era rinchiuso nello scantinato e aveva iniziato la sua ricerca sui libri. Arissa lo aveva seguito dalla finestra, immaginandosi nei panni della dottoressa Saguraku, l’unica donna che praticasse un mestiere all’interno del villaggio. Le piaceva giocare con la fantasia, ma si rendeva conto che niente di ciò aveva immaginato in diciannove anni si sarebbe realizzato.

Alle nove di mattina, si era messa a guardare la porta d’ingresso con aria pensierosa. Aveva voglia di andare a chiamare Cammy e fare una passeggiata, ma aveva paura per la storia dei pirati. Sospirò.

-Cosa fai lì davanti?- Kaguya si affacciò dalla cucina con un bicchiere in una mano e uno straccio nell’altra.

-Vorrei uscire- disse Arissa.

-Devi proprio? Con quei pirati che sono arrivati ieri... Hai sentito tuo padre, no?- domandò Kaguya, scuotendo la testa.

Arissa annuì lentamente.-Non ho voglia di rimanere chiusa in casa. Andrò a fare un giro al villaggio... ti serve niente?-

Kaguya la guardò male, poi si ritirò in cucina e un attimo dopo uscì senza né straccio né bicchiere in mano, le si avvicinò e le porse un foglietto.-Prendi queste cose, sono tutte scritte qui.-

La ragazza prese il foglio.-Va bene- andò a prendere la sacca a tracolla dal suo armadio e ci infilò il foglietto.-Vado a chiamare Cammy, va bene?-

-Basta che ritorni per le una.- Si raccomandò Kaguya.-E non dare spago a quella gentaccia.-

-Stai tranquilla mamma- la rassicurò Arissa, dopodichè uscì, diretta prima di tutto a casa di Cammy.

Ci volle un bel po’ prima che Cammy aprisse uno spiraglio della porta.-Arissa...- mormorò.-Che ci fai qui?-

Arissa tentò di sbirciare dentro casa, ma Cammy fece di tutto per non farle vedere niente.-Ero passata a chiamarti... vuoi uscire con me?-

-Non posso...- Cammy declinò la proposta senza neanche pensarci.

-Qualcosa non va?- s’informò Arissa, preoccupata.- È successo qualcosa?-

Cammy era pallidissima.-Mio padre non sta molto bene...- disse.-Devo prendermi cura di lui.-

-Ha alzato un po’ troppo il gomito anche stavolta?- sbottò Arissa, infuriata con il padre di Cammy.

La ragazzina scosse la testa e si lanciò un’occhiata dietro le spalle.-No, ha solo un po’ di febbre...-

-Davvero? Hai chiamato mio padre?-

Un sorriso timido.-Certo. Il signor Eichiro ha detto che deve stare a letto e che devo prendermi cura di lui. Non è niente di grave, starà in piedi prima di quanto si pensi.-

Arissa le mollò un buffetto sulla guancia.-Ma certo. Io vado allora. Buona fortuna con tuo padre!-

-Certo!- esclamò Cammy, ripreso spirito.-Ci vediamo presto, Arissa!- e rientrò chiudendo la porta.

La ragazza rimase a fissare la porta sgangherata con una certa perplessità, chiedendosi perché Cammy fosse stata così elusiva. Se ne stette in piedi per almeno due minuti, poi diede le spalle all’abitazione, si sistemò la tracolla e si diresse verso la via principale, continuando a lambiccarsi il cercello con le ipotesi più improbabili.

Era davvero preoccupata. Cammy era fragile, e molte volte non sapeva come comportarsi di fronte a situazioni difficili. Beh, neanche Arissa in realtà, per quello si cacciavano spesso nei guai. Come quella volta che i soccorritori le avevano dovute recuperare dal fondo di un pozzo perché a Cammy era caduta una moneta e voleva recuperarla. Arissa aveva tentato di afferrarla, ma la sua scarsa forza fisica e il suo fisico leggero non avevano retto lo sforzo, facendola precipitare insieme all’amica. Per fortuna non si erano fatte niente; a parte i vestiti fradici e la moneta persa non c’erano stati danni irrecuperabili.

Arissa sbucò nel viottolo principale, una strada dritta, ricoperta di ghiaia. Il mercato si trovava di fronte al Bazar del Cuoco, in fondo alla via. Si avviò con una certa circospezione, stando attenta a notare se in giro ci fossero facce nuove. Sembrava tutto normale. La sbadata signora Hakane era con il suo nipotino di cinque anni, di fronte alla macelleria. I suoi novant’anni di maldestria si facevano sentire tutti, soprattutto quando la gente incespicava su di lei perchè tentava di riacchiappare il nipotino pestifero.

Niente pirati in giro, si disse Arissa sollevata.

Superò gli ultimi due negozietti e arrivò al negozio, dove fuori erano state disposte casse piene di frutta di ogni genere e dimensione. Il proprietario era un uomo sui cinquant’anni, con la schiena tutta rotta e la testa quasi calva.

Arissa si fermò e lo vide buttare per terra una scatola di legno, sollevando un  nugulo di polvere.-Signor Kunoichi!- lo salutò.

L’uomo si buttò all’indietro e fece scricchiolare la schiena, poi la fissò.-Ah, Arissa. Sei venuta comprare della frutta per la signora Kaguya?-

-Sì...- Arissa incominciò a frugare nelle tasche in cerca del foglietto.-Mi ha dato questo...- lo tirò fuori e glielo diede.

Kunoichi lo guardò, assorto, poi annuì e iniziò a fare avanti e indietro con un sacchetto in mano. Infilò con cura un po’ di pesche, poi prese un melone e lo mise in un’altra bustina. Quando ebbe finito consegnò tutto ad Arissa, che sorrise e ripose le buste nella tracolla.-Facciamo come al solito?-

Kunoichi rise.-Ma certo. Dì alla signora che la aspetterò nel pomeriggio per il pagamento. Tanto io sono sempre qui... almeno credo- aggiunse, in tono triste.

-Qualcosa non va?- domandò Arissa, perlessa.

-Hai sentito dei pirati?-

-Mio padre me l’ha accennato- rispose la ragazza, congiungendo le sopracciglia sottili.

Il fruttivendolo sospirò pesantemente e si aggiustò la camicia a quadri.-Ragazza mia, quando hai una figlia di sette anni a cui badare, non fa piacere sapere che i pirati gironzolano a pochi metri da casa...-

-Mio padre ha detto che non hanno intenzione di ferire nessuno...- disse Arissa.

-E tu ci credi? Non bisogna mai fidarsi dei pirati, hai capito?- affermò Kunoichi, in tono serio.-Sono la feccia della peggior specie, e in giro si dice che uccidono e poi imbalsamano la gente per farne dei trofei...-

Arissa rabbrividì, mentre nella testa le si disegnavano immagini terrificanti. Le rimosse muovendo una mano davanti al viso come se stesse cacciando una mosca.-Mi ha messo paura, signor Kunoichi...-

L’uomo fece un’espressione che ad Arissa fece gelare il sangue nelle vene.-Dovresti averne, ragazza mia...-

La ragazza ridacchiò nervosamente.-Vado... A vedere che frutta c’è, okay?-

Kunoichi la seguì con lo sguardo mentre si spostava qualche metro più in là per esaminare un cesto di prugne. La vide lanciargli occhiate spaventate di tanto in tanto, poi, improvvisamente, scorse qualcuno arrivare alle spalle della ragazza. Impallidì.

-I PIRATI!- gridò qualcuno.

Lo sbattere di porte e di finestre seguivano e precedevano l’avanzata di un uomo dai capelli rossi, che sembrava muoversi senza curarsi della gente che scappava. Guardava dritto di fronte a sé, con il mantello sulle spalle che gli sventolava alle caviglie.

Quando fu abbastanza vicino al bazar, Kunoichi lo sentì sbottare:-Neanche un buco per mangiare un po’ di ramen in santa pace...-

Arissa si raddrizzò e quando si voltò lo vide passare dietro di lei. Quasi saltò dietro le casse di frutta per lo spavento.

Il pirata si fermò davanti a Kunoichi.-Mi scusi buon uomo...- esordì.

Kunoichi passò da bianco, a verde a blu per la paura e corse via strillando:-PIRATIIIII!!!-

-Cos’ho fatto adesso...?- domandò l’uomo a sé stesso. Si guardò intorno perplesso. Si soffermò a fissare la cassa dietro cui si era nascosta Arissa, poi sospirò e riprese a camminare per la via principale, da solo.

La testa nera di Arissa fece capolino dietro un mucchio di albicocche.-Era un pirata...- mormorò, pallida come un cencio.-Uno vero...-

Guardò il mantello dell’uomo, poi i suoi capelli rossi e non ebbe difficoltà ad affibbiargli il titolo di “scuoiatore di persone innocenti”. Rabbrividì al pensiero di quello che avrebbe potuto farle, quindi solo quando se ne fu andato uscì fuori dal proprio nascondiglio. Fece il giro della cassa e si preparò ad avviarsi verso casa, quando lo sguardo le cadde a terra. Aveva calpestato un foglio piegato in quattro. Con molta riluttanza lo prese e lo esaminò rigirandolo tra le dita, poi lo aprì.

-Il frutto Tam-Tam...- lesse. Non c’erano immagini di illlustrazione, ma soltanto parole scritte velocemente e senza preoccuparsi troppo che fossero scritte in modo leggibile.-Il frutto Tam-Tam è un frutto del diavolo che ha una strana proprietà curativa... si dice che possa curare tutti i mali del mondo e che renda immuni alle malattie. Inoltre...- il resto della frase era praticamente illegibile. Alla fine del foglio c’era scritto:-Tam-Tam è un frutto molto raro che cresce solamente su un’isola, Taraah.-

Arissa fissò a lungo il foglio, poi alzò lo sguardo per sbirciare la via deserta che le correva di fronte e strinse la pagina tra le mani. Era caduta a quel pirata dai capelli rossi. Che fosse una cosa importante? Imboccò la via, decisa a seguirlo.

 

(...)

 

Il pirata si era inoltrato nel folto della foresta per tornare alla sua nave. Infatti per raggiungere la costa si doveva attraversare la foresta che racchiudeva il villaggio. Fortunatamente Arissa conosceva quel posto meglio di chiunque altro, e anche se aveva perso di vista il suo obiettivo era riuscita lo stesso a trovare la nave.

Si era seduta dietro ad una roccia bianca abbastanza grande da poterla nascondere, si era tolta la tracolla che iniziava a pesarle e l’aveva poggiata dietro il masso. Solo dopo che ebbe preso il foglietto e il coraggio a due mani riuscì a sbriciare al di là del suo nascondiglio.

La battigia distava dal limite della foresta almeno cinque metri. Cinque metri di sabbia dorata e finissima, per poi terminare nell’oceano. La vista dell’orizzonte era bloccata da una nave enorme, un’imbarcazione che Arissa non aveva mai visto in vita sua. Seguì la gente indaffarata che correva sul ponte, incantata, poi guardò l’albero maestro e alzò lo sguardo verso la bandiera. Era un rettangolo nero svolazzante, con un teschio che aveva dietro di sè due spade incrociate. Aguzzò la vista, e le sembrò di distinguere alcuni graffi su un occhio. Non aveva mai visto una bandiera pirata. Era affascinante e spaventoso allo stesso tempo.

Tornò con gli occhi alla battigia.

Gli uomini sembravano proprio impegnatissimi a riattoppare la nave con travi e martelli. C’era un flusso di gente che portava alcuni materiali a bordo, e a terra l’uomo dai capelli rossi stava parlando con uno della ciurma.

Sarà il capitano, pensò Arissa.

La ragazza guardò il foglio che aveva ancora in mano, dubitosa. Forse avrebbe dovuto portarglielo, avvicinandosi così in modo spaventoso a quella nave terrificante, oppure avrebbe dovuto chiamare il capitano e costringerlo a raggiungerla? Si immaginò le scene nella propria testa, ma entrambe finivano con cattura, morte e scuoiamento. Era stato un errore arrivare fin lì e giacchè a quella distanza nessuno l’avrebbe vista, di disse che era meglio tornare al villaggio e tenersi il foglio, che fosse importante oppure no.

Riemerse dai suoi pensieri con quest’obiettivo, ma non fece in tempo ad agguantare la tracolla, che il volto dell’uomo dai capelli rossi fece capolino da dietro alla roccia, e indicò il foglio che Arissa teneva stretto tra le dita.-Ah, eccone una coraggiosa! Ti dispiace? Quel foglietto è mio...-

Arissa strillò, lasciò cadere la borsa e corse via gridando.-UN PIRATAAAA!-

L’uomo non esitò a correrle dietro, con l’intento di riprendersi la pagina che si era perso.-Fermati ragazzina!-

Si infilarono entrambi nel folto, Arissa gridando come una forsennata e il pirata che le la seguiva cercando di non perdersi tra gli alberi. Si domandò dove l’avrebbe portato quell’inseguimento, sempre che la ragazza stesse capendo quale fosse la direzione della sua corsa...

-Ragazzina! Non voglio farti del male! Fermati un attimo!-

Arissa altò radici sporgenti, si infilò in cespugli pieni di rovi e fece almeno tre volte il lo stesso giro, mentre l’uomo continuava a non perderla di vista neanche un attimo. come lei, dovette evitare di sbattere contro le numerose cortecce, e almeno un paio di volte riuscì a ritrovarla soltanto grazie alle sue urla.

-VUOLE UCCIDERMIII!-

-Non voglio farti niente!-

Continuarono così per un bel po’, finchè Arissa presa dalla stanchezza inciampò sulla radice di un albero. In quel punto gli arbusti erano più radi, ma i tronchi erano molto più imponenti. L’erba era umida, e gli unici rumori erano il fiato corto di Arissa, insieme allo scricchiolare di bastoncini e il frinire dei grilli.

Arissa cadde in ginocchio, ma si rialzò subito e corse a nascondersi dietro al tronco dello stesso albero in cui era incappata .

Il pirata la raggiunse e si piegò un po’ sulle ginocchia per riprendere fiato, posandoci sopra l’unica mano che gli era possibile usare.-Caspita... ne hai di fiato per essere una ragazzina...-

-Stai lontano da me! Capito?! Lontano!-

Shanks ci mise poco a riprendersi, dopodichè allungò la mano verso la ragazza e le sorrise nel modo più confortante che conosceva.-Mi hai fatto correre per tutta la foresta, sai?-

-Cosa pretendi?! Tu vuoi uccidermi!- gridò Arissa, con quanto fiato aveva in gola.-AIUTO! UN PIRATA VUOLE UCCIDERMI!-

La sua voce si spense tra le folte chiome degli alberi.

Shanks fece un passo avanti e lei ne fece automaticamente uno indietro, cadendo di nuovo a terra, seduta. Mosse una mano tra le foglie e l’erba, fino a sentire qualcosa di duro tra le dita. Teneva sempre il foglietto nell’altra mano, non l’aveva mai abbandonato. Chissà perché, pensava che fosse la sua garanzia per continuare a vivere. Se il pirata cercava soltanto quello, lei sarebbe stata ben felice di darglielo.

-Davvero, non voglio farti del male... Solo che tu hai una cosa che mi appartiene...- disse, mentre le si avvicinava con l’intento di aiutarla.

Non appena fu a meno di un metro, dovette tirarsi indietro perché Arissa aveva brandito un bastone e aveva tentato di colpirlo.-Indietro!- gli intimò, alzandosi subito in piedi. Barcollò, poi agitò il bastone nella direzione di Shanks. Era un tentativo piuttosto ridicolo, ma pur sempre un tentativo.

-Stai calma ragazzina, così mi fai paura- le fece notare l’uomo con una punta di studiato sarcasmo.-Non c’è bisogno di agitarsi... Vedi... Temo che tu abbia un foglio che per me è molto importante...- lo disse con gentilezza.

Arissa corrugò le sopracciglia, dubitosa, poi lo guardò dall’alto in basso, e improvvisamente gli apparve ancora più pauroso di quando l’aveva visto da lontano.-Riprenditelo pure, va bene?! Tanto io non ci faccio niente! Ma in cambio devi lasciarmi andare!-

-In realtà la mia intenzione era quella fin dall’inizio.- Ricevette un’ occhiataccia.-Giuro. Lo giuro sul mio nome. Adesso... Potresti darmi quel foglio...?-

La ragazza fece un passo indietro e gli mostrò la pagina.-Lo metto per terra... Poi mi allontano... Tu lo prendi... E mi lasci tornare a casa. Va bene?-

Shanks annuì, serio.

Arissa, senza togliergli gli occhi di dosso, si piegò e poggiò il fogliettino a terra, dopodichè si alzò, fece un salto all’indietro e si appoggiò con le spalle ad una quercia.

Il pirata, finalmente, prese il pezzo di carta e se lo infilò in tasca, sollevato.

-Adesso non mi ucciderai, vero?- domandò Arissa, con il fiato sospeso.

Shanks si guardò intorno.-In realtà... Avrei un favore da chiederti...-

Di nuovo, la ragazza era sul chi va là.

-Mi hai portato troppo lontano dalla mia nave. Non so dove siamo.- Ammise Shanks.-Non ti dispiacerebbe riportarmi alla spiaggia?-

Lei lo guardò, diffidente.-Non è un trucchetto per catturarmi, vero?-

-Credimi, se avessi voluto, l’avrei già fatto- fu la risposta.

Si guardarono negli occhi per svariati minuti, uno in piedi tra due alberi e l’altra ancora con le spalle al tronco della quercia, con il bastone tra le mani e un’aria alquanto dubitosa negli occhi. Si ricordò che nella foga aveva lasciato la tracolla al nascondiglio, e per un attimo fu tentata dall’accompagnarlo.

-Per favore.- Insistè Shanks, con un sorriso affabile.

-Non sembri un bugiardo- commentò Arissa, in tono poco convinto.- Chi sei?-

-Mi chiamo Shanks. E sono il capitano della nave che hai visto...-

-Sei un pirata.-

-Certo. Ma non sono qui per farti del male.-

Arissa sbattè le palpebre diverse volte, indecisa se fidarsi o meno. C’era qualcosa nello sguardo di quell’uomo che la rassicurava, ma non doveva dimenticare che era un pirata, e che in quanto tale non bisognava abbassare la guardia. Non voleva finire scuoiata.

-Facciamo così allora- propose Shanks.-Ti seguo da lontano, va bene?-

Lei non era ancora convinta, ma alla fine decise e gli disse:-E va bene. Ma stammi almeno a tre metri di distanza, okay?-

L’uomo rise e si allontanò da lei.-Così...?- domandò.

Lei contò mentalmente la distanza che aveva messo tra loro, e considerandola sufficiente, annuì. Disse: -Bene. Adesso andiamo.- Non lasciò il bastone, però.

Camminarono nella foresta, in silenzio per svariati minuti.

-Non mi hai ancora detto il tuo nome!- le fece notare il capitano, dopo aver superato l’ennesimo arbusto. Ogni tanto la figura della ragazza scompariva dietro gli alberi, per poi riapparire seria e rigida, con il bastone tra le mani.

Lei gli lanciò un’occhiata in tralice e non rispose.

-Arissa- disse inaspettatamente, dopo un lungo periodo d’attesa.

-Un bel nome- osservò Shanks, per essere cordiale. La vedeva molto tesa.

La ragazza per tutta risposta lo guardò spaventata.-Ripetimi come ti chiami, non ho capito.-

-Vuoi vedere?- domandò Shanks, e così facendo estrasse una pergamena arrotolata.

Arissa si fermò, e lui fece lo stesso.-Che cos’è?- chiese, curiosa.

-Qui c’è il scritto il mio nome- disse Shanks.-Ma se vuoi vederlo devi avvicinarti.-

-Non ci penso nemmeno. Non cado nei tuoi tranelli.-

-Puoi fidarti di me per un secondo?-

-No.- Fu la fulminea risposta.-Non ci penso nemmeno.-

Shanks sorrise e poggiò la pergamena a terra, dopodichè si allontanò di almeno altri tre metri.-Forza!- la incitò.

Arissa lo fissò sconcertata, poi si avvicinò con cautela e raccolse la pergamena. La srotolò con molta fatica perché non voleva lasciare il bastone. Quando portò a compimento l’operazione, vide la foto di Shanks.-C’è scritto “Wanted”. È così che ti chiami?-

-No- rise Shanks.

Arissa arcuò le sopracciglia e lesse il nome:-“Shanks Il Rosso”. La tua taglia è altissima- lo disse con preoccupazione.

-Non scappare di nuovo!- si affrettò a dire Shanks.

La ragazza prese a lanciare sguardi nervosi a  lui e alla sua taglia, tanto che Shanks si pentì di avergliela mostrata. Il fatto era che lei sembrava diffidente come un animale in trappola.

-Il tuo nome è Shanks...- mormorò Arissa.-Un bel nome... credo.-

Lui si rilassò.-Allora ti sei calmata?-

-Forse non vuoi uccidermi- commentò la ragazza, porgendogli la pergamena.

Se avesse voluto farlo non ci avrebbe pensato due volte, si disse Arissa. Quell’uomo aveva una taglia da capogiro.

Shanks si avvicinò con cautela e prese l’oggetto.-Manca molto per arrivare alla nave?-

Arissa si diede un’occhiata in giro.-Non penso. Comunque è da questa parte, seguimi.-

-Devo stare a tre metri?-

-Non ce n’è bisogno- rispose lei, d’un fiato.-Ma non farmi del male...-

Shanks sospirò. Era proprio cocciuta, eh?

 

(...)

 

Arrivarono alla spiaggia verso mezzogiorno. La ragazza si riprese la tracolla e la indossò senza fiatare, mentre Shanks aspettava per ringraziarla.

-Ti ringrazio Arissa, non so come sdebitarmi- disse, nel tono più gentile che conosceva.

Per la prima volta, la ragazza gli sorrise e arrossì.-In realtà un modo ci sarebbe... tu sei un pirata, no?-

Lui annuì. La risposta ormai era ovvia.

-E quindi hai solcato mari e mari... Vero?-

-Certo.-

Arissa incrociò le mani dietro le schiena e mosse gli occhi neri da tutte le parti, come se si vergognasse di arrivare al sodo.-Beh... Forse potresti raccontarmi qualcosa del mondo esterno...-

-Credevo che avessi paura dei pirati.- Osservò Shanks. Infatti la ragazza non aveva mai lasciato il bastone.

-Ne ho.- Rispose lei, gettando a terra il bastone.- Ma vorrei tanto conoscere qualcosa del mondo esterno. Per favore...- lo implorò, congiungendo le mani.-Ci terrei davvero tanto...-

Shanks la fissò.-Io dovrò partire tra sette giorni.- La informò.-Fino ad allora... Puoi farmi tutte le domande che vuoi.- Sorrise.

Lei fu felicissima.-Davvero?!-

-Sempre se non ti faccio paura- scherzò l’uomo.

-Ho sempre desiderato sapere qualcosa sul mondo esterno!- esultò Arissa.

-Adesso torna a casa però.- La redarguì il pirata.-Altrimenti i tuoi genitori si preoccuperanno.- Le rivolse un altro sorriso gentile, dopodichè si avviò verso la sua nave.

Arissa lo seguì con gli occhi, eccitata, poi si infilò di nuovo tra gli alberi e sparì nella foresta.

 

(...)

 

-Ora del decesso: undici e trenta del 14 maggio.- Sentenziò Eichiro, in tono grave.

Il signor Kakuri cadde a terra, in lacrime.-Avevi detto che sarebbe stato bene...-

L’aiutante del dottore, un ragazzone di trent’anni di nome Yuki, gli cinse le spalle per dargli conforto ma fu brutalmente scansato.

-L’ho detto, signor Kakuri- disse Eichiro, mentre si detergeva il sudore sulla fronte con un fazzoletto di stoffa.-Infatti suo figlio è morto per arresto cardiaco, la febbre non c’entra niente.-

Il signor Kakuri continuava a piangere.

-Portalo via di qui, Yuki- si raccomandò Eichiro, accennando al signor Kakuri.

Yuki annuì in tono grave e cercò di fa alzare l’uomo, che però tentò di divincolarsi con tutte le sue forze. Allora lo prese su con la forza dei suoi tent’anni e lo scortò fuori da quella stanza che fino ad allora era stata la camera di suo figlio.

Eichiro rimase a fissare la salma, sconvolto. Temeva che l’arresto cardiaco c’entrasse eccome con la malattia, ma non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Nei suoi libri non esisteva niente di simile, e lui brancolava nel buio. Le preghiere non erano servite a niente, e ora lui si ritrovava da solo con i rimorsi della coscienza. Avrebbe dovuto stare più attento. Il padre di Cammy si era ammalato proprio quella mattina, inaspettatamente. Aveva la febbre e delirava.

Cammy era spaventata, ma Eichiro le aveva garantito che suo padre sarebbe stato bene in un lampo. Deglutì sonoramente. Un giovane di vent’anni aveva resistito tutto quel tempo, ma non era sopravvissuto. Quali effetti avrebbe avuto quella misteriosa malattia sulla gente più avanti con gli anni?

Eichiro ricoprì la salma con il lenzuolo e si passò una mano sul viso, poi cadde seduto sulla sedia accanto al letto, distrutto. Se la malattia era contagiosa voleva dire che erano tutti in pericolo. Aveva scoperto con orrore che il padre di Cammy era andato a trovare Kakuri proprio venti giorni prima. Quando lo aveva saputo si sarebbe volentieri dato una coltellata.

Aveva sottovalutato la questione, e ora si ritrovava con un numero di probabili contagiati non indifferente. Il padre di Cammy e sua figlia, Eichiro stesso, il signor Kakuri e Yuki. Senza contare che anche Arissa e Kaguya non erano da escludere dalla lista. Ma quel che era peggio era la segretezza con cui doveva gestire la faccenda. Se si fosse saputo che il dottore non riusciva a capire niente di quel malanno, avrebbe perso la professione, oltre che la faccia.

È meglio aspettare, si disse, forse mi sto facendo un sacco di problemi per niente. Dopotutto, il padre di Cammy non sta malissimo.

Tirò un sospiro di sollievo, si alzò, prese la borsa e uscì dalla stanza.

Non voleva pensare a cosa sarebbe successo se fosse scoppiata un’epidemia. Probabilmente il pandemonio, perchè il villaggio non era abituato a gestire i contagi.

Sarebbe stato un disastro.

No, meglio pensare positivo.

 

 

Angolino dell’autrice:

 

Come non detto. Ho riflettuto a lungo sul pubblicare anche il primo capitolo, e alla fine mi sono detta che si poteva fare, tanto era pronto. Visto che sono qui, vorrei fare un paio di chiarimenti che non ho fatto (me ne sono dimenticata, lo ammetto).

Innanzitutto, il motivo che non ho detto sull’altro capitolo. Perché pubblico questa storia? Perché semplicemente, come tanti altri ho già notato, non mi è andata giù la morte di Ace XD. Allora mi sono messa a scrivere.

Poi, devo specificare che per il frutto del diavolo ho scelto un nome a caso (che mi sembra in One Piece non ci sia...). Come per il villaggio.

Inoltre, la storia è divisa in più parti, ognuno con un ambiente diverso. Ma questo si vedrà a tempo debito.

Penso di aver detto tutto? Mi ero proprio dimenticata di fare questi avvisi, pardon. È che ero davvero emozionata per la pubblicazione...

Scusate ancora ^^

 

  
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