Capitolo 1
Shanks Il Rosso
Il
dottor Eichiro avrebbe avuto molto da fare quella mattina. Avrebbe dovuto
trovare una diagnosi alla malattia del figlio di Kakuri, dunque si era
rinchiuso nello scantinato e aveva iniziato la sua ricerca sui libri. Arissa lo
aveva seguito dalla finestra, immaginandosi nei panni della dottoressa
Saguraku, l’unica donna che praticasse un mestiere all’interno del villaggio.
Le piaceva giocare con la fantasia, ma si rendeva conto che niente di ciò aveva
immaginato in diciannove anni si sarebbe realizzato.
Alle
nove di mattina, si era messa a guardare la porta d’ingresso con aria
pensierosa. Aveva voglia di andare a chiamare Cammy e fare una passeggiata, ma
aveva paura per la storia dei pirati. Sospirò.
-Cosa
fai lì davanti?- Kaguya si affacciò dalla cucina con un bicchiere in una mano e
uno straccio nell’altra.
-Vorrei
uscire- disse Arissa.
-Devi
proprio? Con quei pirati che sono arrivati ieri... Hai sentito tuo padre, no?-
domandò Kaguya, scuotendo la testa.
Arissa
annuì lentamente.-Non ho voglia di rimanere chiusa in casa. Andrò a fare un
giro al villaggio... ti serve niente?-
Kaguya
la guardò male, poi si ritirò in cucina e un attimo dopo uscì senza né straccio
né bicchiere in mano, le si avvicinò e le porse un foglietto.-Prendi queste
cose, sono tutte scritte qui.-
La
ragazza prese il foglio.-Va bene- andò a prendere la sacca a tracolla dal suo
armadio e ci infilò il foglietto.-Vado a chiamare Cammy, va bene?-
-Basta
che ritorni per le una.- Si raccomandò Kaguya.-E non dare spago a quella
gentaccia.-
-Stai
tranquilla mamma- la rassicurò Arissa, dopodichè uscì, diretta prima di tutto a
casa di Cammy.
Ci
volle un bel po’ prima che Cammy aprisse uno spiraglio della porta.-Arissa...-
mormorò.-Che ci fai qui?-
Arissa
tentò di sbirciare dentro casa, ma Cammy fece di tutto per non farle vedere
niente.-Ero passata a chiamarti... vuoi uscire con me?-
-Non
posso...- Cammy declinò la proposta senza neanche pensarci.
-Qualcosa
non va?- s’informò Arissa, preoccupata.- È successo qualcosa?-
Cammy
era pallidissima.-Mio padre non sta molto bene...- disse.-Devo prendermi cura
di lui.-
-Ha
alzato un po’ troppo il gomito anche stavolta?- sbottò Arissa, infuriata con il
padre di Cammy.
La
ragazzina scosse la testa e si lanciò un’occhiata dietro le spalle.-No, ha solo
un po’ di febbre...-
-Davvero?
Hai chiamato mio padre?-
Un
sorriso timido.-Certo. Il signor Eichiro ha detto che deve stare a letto e che
devo prendermi cura di lui. Non è niente di grave, starà in piedi prima di
quanto si pensi.-
Arissa
le mollò un buffetto sulla guancia.-Ma certo. Io vado allora. Buona fortuna con
tuo padre!-
-Certo!-
esclamò Cammy, ripreso spirito.-Ci vediamo presto, Arissa!- e rientrò chiudendo
la porta.
La
ragazza rimase a fissare la porta sgangherata con una certa perplessità,
chiedendosi perché Cammy fosse stata così elusiva. Se ne stette in piedi per
almeno due minuti, poi diede le spalle all’abitazione, si sistemò la tracolla e
si diresse verso la via principale, continuando a lambiccarsi il cercello con
le ipotesi più improbabili.
Era
davvero preoccupata. Cammy era fragile, e molte volte non sapeva come
comportarsi di fronte a situazioni difficili. Beh, neanche Arissa in realtà,
per quello si cacciavano spesso nei guai. Come quella volta che i soccorritori
le avevano dovute recuperare dal fondo di un pozzo perché a Cammy era caduta
una moneta e voleva recuperarla. Arissa aveva tentato di afferrarla, ma la sua
scarsa forza fisica e il suo fisico leggero non avevano retto lo sforzo,
facendola precipitare insieme all’amica. Per fortuna non si erano fatte niente;
a parte i vestiti fradici e la moneta persa non c’erano stati danni
irrecuperabili.
Arissa
sbucò nel viottolo principale, una strada dritta, ricoperta di ghiaia. Il
mercato si trovava di fronte al Bazar del Cuoco, in fondo alla via. Si avviò
con una certa circospezione, stando attenta a notare se in giro ci fossero
facce nuove. Sembrava tutto normale. La sbadata signora Hakane era con il suo
nipotino di cinque anni, di fronte alla macelleria. I suoi novant’anni di
maldestria si facevano sentire tutti, soprattutto quando la gente incespicava
su di lei perchè tentava di riacchiappare il nipotino pestifero.
Niente
pirati in giro, si disse Arissa sollevata.
Superò
gli ultimi due negozietti e arrivò al negozio, dove fuori erano state disposte
casse piene di frutta di ogni genere e dimensione. Il proprietario era un uomo
sui cinquant’anni, con la schiena tutta rotta e la testa quasi calva.
Arissa
si fermò e lo vide buttare per terra una scatola di legno, sollevando un nugulo di polvere.-Signor Kunoichi!- lo
salutò.
L’uomo
si buttò all’indietro e fece scricchiolare la schiena, poi la fissò.-Ah,
Arissa. Sei venuta comprare della frutta per la signora Kaguya?-
-Sì...-
Arissa incominciò a frugare nelle tasche in cerca del foglietto.-Mi ha dato
questo...- lo tirò fuori e glielo diede.
Kunoichi
lo guardò, assorto, poi annuì e iniziò a fare avanti e indietro con un
sacchetto in mano. Infilò con cura un po’ di pesche, poi prese un melone e lo
mise in un’altra bustina. Quando ebbe finito consegnò tutto ad Arissa, che
sorrise e ripose le buste nella tracolla.-Facciamo come al solito?-
Kunoichi
rise.-Ma certo. Dì alla signora che la aspetterò nel pomeriggio per il
pagamento. Tanto io sono sempre qui... almeno credo- aggiunse, in tono triste.
-Qualcosa
non va?- domandò Arissa, perlessa.
-Hai
sentito dei pirati?-
-Mio
padre me l’ha accennato- rispose la ragazza, congiungendo le sopracciglia
sottili.
Il
fruttivendolo sospirò pesantemente e si aggiustò la camicia a quadri.-Ragazza
mia, quando hai una figlia di sette anni a cui badare, non fa piacere sapere
che i pirati gironzolano a pochi metri da casa...-
-Mio
padre ha detto che non hanno intenzione di ferire nessuno...- disse Arissa.
-E
tu ci credi? Non bisogna mai fidarsi dei pirati, hai capito?- affermò Kunoichi,
in tono serio.-Sono la feccia della peggior specie, e in giro si dice che
uccidono e poi imbalsamano la gente per farne dei trofei...-
Arissa
rabbrividì, mentre nella testa le si disegnavano immagini terrificanti. Le
rimosse muovendo una mano davanti al viso come se stesse cacciando una
mosca.-Mi ha messo paura, signor Kunoichi...-
L’uomo
fece un’espressione che ad Arissa fece gelare il sangue nelle vene.-Dovresti
averne, ragazza mia...-
La
ragazza ridacchiò nervosamente.-Vado... A vedere che frutta c’è, okay?-
Kunoichi
la seguì con lo sguardo mentre si spostava qualche metro più in là per
esaminare un cesto di prugne. La vide lanciargli occhiate spaventate di tanto
in tanto, poi, improvvisamente, scorse qualcuno arrivare alle spalle della
ragazza. Impallidì.
-I
PIRATI!- gridò qualcuno.
Lo
sbattere di porte e di finestre seguivano e precedevano l’avanzata di un uomo
dai capelli rossi, che sembrava muoversi senza curarsi della gente che
scappava. Guardava dritto di fronte a sé, con il mantello sulle spalle che gli
sventolava alle caviglie.
Quando
fu abbastanza vicino al bazar, Kunoichi lo sentì sbottare:-Neanche un buco per
mangiare un po’ di ramen in santa pace...-
Arissa
si raddrizzò e quando si voltò lo vide passare dietro di lei. Quasi saltò
dietro le casse di frutta per lo spavento.
Il
pirata si fermò davanti a Kunoichi.-Mi scusi buon uomo...- esordì.
Kunoichi
passò da bianco, a verde a blu per la paura e corse via
strillando:-PIRATIIIII!!!-
-Cos’ho
fatto adesso...?- domandò l’uomo a sé stesso. Si guardò intorno perplesso. Si
soffermò a fissare la cassa dietro cui si era nascosta Arissa, poi sospirò e
riprese a camminare per la via principale, da solo.
La
testa nera di Arissa fece capolino dietro un mucchio di albicocche.-Era un
pirata...- mormorò, pallida come un cencio.-Uno vero...-
Guardò
il mantello dell’uomo, poi i suoi capelli rossi e non ebbe difficoltà ad
affibbiargli il titolo di “scuoiatore di persone innocenti”. Rabbrividì al
pensiero di quello che avrebbe potuto farle, quindi solo quando se ne fu andato
uscì fuori dal proprio nascondiglio. Fece il giro della cassa e si preparò ad
avviarsi verso casa, quando lo sguardo le cadde a terra. Aveva calpestato un
foglio piegato in quattro. Con molta riluttanza lo prese e lo esaminò
rigirandolo tra le dita, poi lo aprì.
-Il
frutto Tam-Tam...- lesse. Non c’erano immagini di illlustrazione, ma soltanto
parole scritte velocemente e senza preoccuparsi troppo che fossero scritte in
modo leggibile.-Il frutto Tam-Tam è un frutto del diavolo che ha una strana proprietà
curativa... si dice che possa curare tutti i mali del mondo e che renda immuni
alle malattie. Inoltre...- il resto della frase era praticamente illegibile.
Alla fine del foglio c’era scritto:-Tam-Tam è un frutto molto raro che cresce
solamente su un’isola, Taraah.-
Arissa
fissò a lungo il foglio, poi alzò lo sguardo per sbirciare la via deserta che
le correva di fronte e strinse la pagina tra le mani. Era caduta a quel pirata
dai capelli rossi. Che fosse una cosa importante? Imboccò la via, decisa a
seguirlo.
(...)
Il
pirata si era inoltrato nel folto della foresta per tornare alla sua nave.
Infatti per raggiungere la costa si doveva attraversare la foresta che
racchiudeva il villaggio. Fortunatamente Arissa conosceva quel posto meglio di
chiunque altro, e anche se aveva perso di vista il suo obiettivo era riuscita
lo stesso a trovare la nave.
Si
era seduta dietro ad una roccia bianca abbastanza grande da poterla nascondere,
si era tolta la tracolla che iniziava a pesarle e l’aveva poggiata dietro il
masso. Solo dopo che ebbe preso il foglietto e il coraggio a due mani riuscì a
sbriciare al di là del suo nascondiglio.
La
battigia distava dal limite della foresta almeno cinque metri. Cinque metri di
sabbia dorata e finissima, per poi terminare nell’oceano. La vista dell’orizzonte
era bloccata da una nave enorme, un’imbarcazione che Arissa non aveva mai visto
in vita sua. Seguì la gente indaffarata che correva sul ponte, incantata, poi
guardò l’albero maestro e alzò lo sguardo verso la bandiera. Era un rettangolo
nero svolazzante, con un teschio che aveva dietro di sè due spade incrociate.
Aguzzò la vista, e le sembrò di distinguere alcuni graffi su un occhio. Non
aveva mai visto una bandiera pirata. Era affascinante e spaventoso allo stesso
tempo.
Tornò
con gli occhi alla battigia.
Gli
uomini sembravano proprio impegnatissimi a riattoppare la nave con travi e
martelli. C’era un flusso di gente che portava alcuni materiali a bordo, e a
terra l’uomo dai capelli rossi stava parlando con uno della ciurma.
Sarà
il capitano, pensò Arissa.
La
ragazza guardò il foglio che aveva ancora in mano, dubitosa. Forse avrebbe
dovuto portarglielo, avvicinandosi così in modo spaventoso a quella nave
terrificante, oppure avrebbe dovuto chiamare il capitano e costringerlo a
raggiungerla? Si immaginò le scene nella propria testa, ma entrambe finivano
con cattura, morte e scuoiamento. Era stato un errore arrivare fin lì e giacchè
a quella distanza nessuno l’avrebbe vista, di disse che era meglio tornare al
villaggio e tenersi il foglio, che fosse importante oppure no.
Riemerse
dai suoi pensieri con quest’obiettivo, ma non fece in tempo ad agguantare la
tracolla, che il volto dell’uomo dai capelli rossi fece capolino da dietro alla
roccia, e indicò il foglio che Arissa teneva stretto tra le dita.-Ah, eccone
una coraggiosa! Ti dispiace? Quel foglietto è mio...-
Arissa
strillò, lasciò cadere la borsa e corse via gridando.-UN PIRATAAAA!-
L’uomo
non esitò a correrle dietro, con l’intento di riprendersi la pagina che si era
perso.-Fermati ragazzina!-
Si
infilarono entrambi nel folto, Arissa gridando come una forsennata e il pirata
che le la seguiva cercando di non perdersi tra gli alberi. Si domandò dove
l’avrebbe portato quell’inseguimento, sempre che la ragazza stesse capendo
quale fosse la direzione della sua corsa...
-Ragazzina!
Non voglio farti del male! Fermati un attimo!-
Arissa
altò radici sporgenti, si infilò in cespugli pieni di rovi e fece almeno tre
volte il lo stesso giro, mentre l’uomo continuava a non perderla di vista
neanche un attimo. come lei, dovette evitare di sbattere contro le numerose
cortecce, e almeno un paio di volte riuscì a ritrovarla soltanto grazie alle
sue urla.
-VUOLE
UCCIDERMIII!-
-Non
voglio farti niente!-
Continuarono
così per un bel po’, finchè Arissa presa dalla stanchezza inciampò sulla radice
di un albero. In quel punto gli arbusti erano più radi, ma i tronchi erano
molto più imponenti. L’erba era umida, e gli unici rumori erano il fiato corto
di Arissa, insieme allo scricchiolare di bastoncini e il frinire dei grilli.
Arissa
cadde in ginocchio, ma si rialzò subito e corse a nascondersi dietro al tronco
dello stesso albero in cui era incappata .
Il
pirata la raggiunse e si piegò un po’ sulle ginocchia per riprendere fiato,
posandoci sopra l’unica mano che gli era possibile usare.-Caspita... ne hai di
fiato per essere una ragazzina...-
-Stai
lontano da me! Capito?! Lontano!-
Shanks
ci mise poco a riprendersi, dopodichè allungò la mano verso la ragazza e le
sorrise nel modo più confortante che conosceva.-Mi hai fatto correre per tutta
la foresta, sai?-
-Cosa
pretendi?! Tu vuoi uccidermi!- gridò Arissa, con quanto fiato aveva in
gola.-AIUTO! UN PIRATA VUOLE UCCIDERMI!-
La
sua voce si spense tra le folte chiome degli alberi.
Shanks
fece un passo avanti e lei ne fece automaticamente uno indietro, cadendo di
nuovo a terra, seduta. Mosse una mano tra le foglie e l’erba, fino a sentire
qualcosa di duro tra le dita. Teneva sempre il foglietto nell’altra mano, non
l’aveva mai abbandonato. Chissà perché, pensava che fosse la sua garanzia per
continuare a vivere. Se il pirata cercava soltanto quello, lei sarebbe stata
ben felice di darglielo.
-Davvero,
non voglio farti del male... Solo che tu hai una cosa che mi appartiene...-
disse, mentre le si avvicinava con l’intento di aiutarla.
Non
appena fu a meno di un metro, dovette tirarsi indietro perché Arissa aveva
brandito un bastone e aveva tentato di colpirlo.-Indietro!- gli intimò,
alzandosi subito in piedi. Barcollò, poi agitò il bastone nella direzione di
Shanks. Era un tentativo piuttosto ridicolo, ma pur sempre un tentativo.
-Stai
calma ragazzina, così mi fai paura- le fece notare l’uomo con una punta di
studiato sarcasmo.-Non c’è bisogno di agitarsi... Vedi... Temo che tu abbia un
foglio che per me è molto importante...- lo disse con gentilezza.
Arissa
corrugò le sopracciglia, dubitosa, poi lo guardò dall’alto in basso, e
improvvisamente gli apparve ancora più pauroso di quando l’aveva visto da
lontano.-Riprenditelo pure, va bene?! Tanto io non ci faccio niente! Ma in
cambio devi lasciarmi andare!-
-In
realtà la mia intenzione era quella fin dall’inizio.- Ricevette un’
occhiataccia.-Giuro. Lo giuro sul mio nome. Adesso... Potresti darmi quel
foglio...?-
La
ragazza fece un passo indietro e gli mostrò la pagina.-Lo metto per terra... Poi
mi allontano... Tu lo prendi... E mi lasci tornare a casa. Va bene?-
Shanks
annuì, serio.
Arissa,
senza togliergli gli occhi di dosso, si piegò e poggiò il fogliettino a terra,
dopodichè si alzò, fece un salto all’indietro e si appoggiò con le spalle ad
una quercia.
Il
pirata, finalmente, prese il pezzo di carta e se lo infilò in tasca, sollevato.
-Adesso
non mi ucciderai, vero?- domandò Arissa, con il fiato sospeso.
Shanks
si guardò intorno.-In realtà... Avrei un favore da chiederti...-
Di
nuovo, la ragazza era sul chi va là.
-Mi
hai portato troppo lontano dalla mia nave. Non so dove siamo.- Ammise
Shanks.-Non ti dispiacerebbe riportarmi alla spiaggia?-
Lei
lo guardò, diffidente.-Non è un trucchetto per catturarmi, vero?-
-Credimi,
se avessi voluto, l’avrei già fatto- fu la risposta.
Si
guardarono negli occhi per svariati minuti, uno in piedi tra due alberi e
l’altra ancora con le spalle al tronco della quercia, con il bastone tra le
mani e un’aria alquanto dubitosa negli occhi. Si ricordò che nella foga aveva
lasciato la tracolla al nascondiglio, e per un attimo fu tentata
dall’accompagnarlo.
-Per
favore.- Insistè Shanks, con un sorriso affabile.
-Non
sembri un bugiardo- commentò Arissa, in tono poco convinto.- Chi sei?-
-Mi
chiamo Shanks. E sono il capitano della nave che hai visto...-
-Sei
un pirata.-
-Certo.
Ma non sono qui per farti del male.-
Arissa
sbattè le palpebre diverse volte, indecisa se fidarsi o meno. C’era qualcosa
nello sguardo di quell’uomo che la rassicurava, ma non doveva dimenticare che
era un pirata, e che in quanto tale non bisognava abbassare la guardia. Non
voleva finire scuoiata.
-Facciamo
così allora- propose Shanks.-Ti seguo da lontano, va bene?-
Lei
non era ancora convinta, ma alla fine decise e gli disse:-E va bene. Ma stammi
almeno a tre metri di distanza, okay?-
L’uomo
rise e si allontanò da lei.-Così...?- domandò.
Lei
contò mentalmente la distanza che aveva messo tra loro, e considerandola
sufficiente, annuì. Disse: -Bene. Adesso andiamo.- Non lasciò il bastone, però.
Camminarono
nella foresta, in silenzio per svariati minuti.
-Non
mi hai ancora detto il tuo nome!- le fece notare il capitano, dopo aver
superato l’ennesimo arbusto. Ogni tanto la figura della ragazza scompariva
dietro gli alberi, per poi riapparire seria e rigida, con il bastone tra le
mani.
Lei
gli lanciò un’occhiata in tralice e non rispose.
-Arissa-
disse inaspettatamente, dopo un lungo periodo d’attesa.
-Un
bel nome- osservò Shanks, per essere cordiale. La vedeva molto tesa.
La
ragazza per tutta risposta lo guardò spaventata.-Ripetimi come ti chiami, non
ho capito.-
-Vuoi
vedere?- domandò Shanks, e così facendo estrasse una pergamena arrotolata.
Arissa
si fermò, e lui fece lo stesso.-Che cos’è?- chiese, curiosa.
-Qui
c’è il scritto il mio nome- disse Shanks.-Ma se vuoi vederlo devi avvicinarti.-
-Non
ci penso nemmeno. Non cado nei tuoi tranelli.-
-Puoi
fidarti di me per un secondo?-
-No.-
Fu la fulminea risposta.-Non ci penso nemmeno.-
Shanks
sorrise e poggiò la pergamena a terra, dopodichè si allontanò di almeno altri
tre metri.-Forza!- la incitò.
Arissa
lo fissò sconcertata, poi si avvicinò con cautela e raccolse la pergamena. La
srotolò con molta fatica perché non voleva lasciare il bastone. Quando portò a
compimento l’operazione, vide la foto di Shanks.-C’è scritto “Wanted”. È così
che ti chiami?-
-No-
rise Shanks.
Arissa
arcuò le sopracciglia e lesse il nome:-“Shanks Il Rosso”. La tua taglia è
altissima- lo disse con preoccupazione.
-Non
scappare di nuovo!- si affrettò a dire Shanks.
La
ragazza prese a lanciare sguardi nervosi a
lui e alla sua taglia, tanto che Shanks si pentì di avergliela mostrata.
Il fatto era che lei sembrava diffidente come un animale in trappola.
-Il
tuo nome è Shanks...- mormorò Arissa.-Un bel nome... credo.-
Lui
si rilassò.-Allora ti sei calmata?-
-Forse
non vuoi uccidermi- commentò la ragazza, porgendogli la pergamena.
Se
avesse voluto farlo non ci avrebbe pensato due volte, si disse Arissa.
Quell’uomo aveva una taglia da capogiro.
Shanks
si avvicinò con cautela e prese l’oggetto.-Manca molto per arrivare alla nave?-
Arissa
si diede un’occhiata in giro.-Non penso. Comunque è da questa parte, seguimi.-
-Devo
stare a tre metri?-
-Non
ce n’è bisogno- rispose lei, d’un fiato.-Ma non farmi del male...-
Shanks
sospirò. Era proprio cocciuta, eh?
(...)
Arrivarono
alla spiaggia verso mezzogiorno. La ragazza si riprese la tracolla e la indossò
senza fiatare, mentre Shanks aspettava per ringraziarla.
-Ti
ringrazio Arissa, non so come sdebitarmi- disse, nel tono più gentile che
conosceva.
Per
la prima volta, la ragazza gli sorrise e arrossì.-In realtà un modo ci
sarebbe... tu sei un pirata, no?-
Lui
annuì. La risposta ormai era ovvia.
-E
quindi hai solcato mari e mari... Vero?-
-Certo.-
Arissa
incrociò le mani dietro le schiena e mosse gli occhi neri da tutte le parti,
come se si vergognasse di arrivare al sodo.-Beh... Forse potresti raccontarmi
qualcosa del mondo esterno...-
-Credevo
che avessi paura dei pirati.- Osservò Shanks. Infatti la ragazza non aveva mai
lasciato il bastone.
-Ne
ho.- Rispose lei, gettando a terra il bastone.- Ma vorrei tanto conoscere
qualcosa del mondo esterno. Per favore...- lo implorò, congiungendo le mani.-Ci
terrei davvero tanto...-
Shanks
la fissò.-Io dovrò partire tra sette giorni.- La informò.-Fino ad allora... Puoi
farmi tutte le domande che vuoi.- Sorrise.
Lei
fu felicissima.-Davvero?!-
-Sempre
se non ti faccio paura- scherzò l’uomo.
-Ho
sempre desiderato sapere qualcosa sul mondo esterno!- esultò Arissa.
-Adesso
torna a casa però.- La redarguì il pirata.-Altrimenti i tuoi genitori si
preoccuperanno.- Le rivolse un altro sorriso gentile, dopodichè si avviò verso
la sua nave.
Arissa
lo seguì con gli occhi, eccitata, poi si infilò di nuovo tra gli alberi e sparì
nella foresta.
(...)
-Ora
del decesso: undici e trenta del 14 maggio.- Sentenziò Eichiro, in tono grave.
Il
signor Kakuri cadde a terra, in lacrime.-Avevi detto che sarebbe stato bene...-
L’aiutante
del dottore, un ragazzone di trent’anni di nome Yuki, gli cinse le spalle per
dargli conforto ma fu brutalmente scansato.
-L’ho
detto, signor Kakuri- disse Eichiro, mentre si detergeva il sudore sulla fronte
con un fazzoletto di stoffa.-Infatti suo figlio è morto per arresto cardiaco,
la febbre non c’entra niente.-
Il
signor Kakuri continuava a piangere.
-Portalo
via di qui, Yuki- si raccomandò Eichiro, accennando al signor Kakuri.
Yuki
annuì in tono grave e cercò di fa alzare l’uomo, che però tentò di divincolarsi
con tutte le sue forze. Allora lo prese su con la forza dei suoi tent’anni e lo
scortò fuori da quella stanza che fino ad allora era stata la camera di suo
figlio.
Eichiro
rimase a fissare la salma, sconvolto. Temeva che l’arresto cardiaco c’entrasse
eccome con la malattia, ma non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Nei
suoi libri non esisteva niente di simile, e lui brancolava nel buio. Le
preghiere non erano servite a niente, e ora lui si ritrovava da solo con i
rimorsi della coscienza. Avrebbe dovuto stare più attento. Il padre di Cammy si
era ammalato proprio quella mattina, inaspettatamente. Aveva la febbre e
delirava.
Cammy
era spaventata, ma Eichiro le aveva garantito che suo padre sarebbe stato bene
in un lampo. Deglutì sonoramente. Un giovane di vent’anni aveva resistito tutto
quel tempo, ma non era sopravvissuto. Quali effetti avrebbe avuto quella
misteriosa malattia sulla gente più avanti con gli anni?
Eichiro
ricoprì la salma con il lenzuolo e si passò una mano sul viso, poi cadde seduto
sulla sedia accanto al letto, distrutto. Se la malattia era contagiosa voleva
dire che erano tutti in pericolo. Aveva scoperto con orrore che il padre di
Cammy era andato a trovare Kakuri proprio venti giorni prima. Quando lo aveva
saputo si sarebbe volentieri dato una coltellata.
Aveva
sottovalutato la questione, e ora si ritrovava con un numero di probabili
contagiati non indifferente. Il padre di Cammy e sua figlia, Eichiro stesso, il
signor Kakuri e Yuki. Senza contare che anche Arissa e Kaguya non erano da
escludere dalla lista. Ma quel che era peggio era la segretezza con cui doveva
gestire la faccenda. Se si fosse saputo che il dottore non riusciva a capire
niente di quel malanno, avrebbe perso la professione, oltre che la faccia.
È
meglio aspettare, si disse, forse mi sto facendo un sacco di problemi per
niente. Dopotutto, il padre di Cammy non sta malissimo.
Tirò
un sospiro di sollievo, si alzò, prese la borsa e uscì dalla stanza.
Non
voleva pensare a cosa sarebbe successo se fosse scoppiata un’epidemia. Probabilmente
il pandemonio, perchè il villaggio non era abituato a gestire i contagi.
Sarebbe
stato un disastro.
No,
meglio pensare positivo.
Angolino
dell’autrice:
Come
non detto. Ho riflettuto a lungo sul pubblicare anche il primo capitolo, e alla
fine mi sono detta che si poteva fare, tanto era pronto. Visto che sono qui,
vorrei fare un paio di chiarimenti che non ho fatto (me ne sono dimenticata, lo
ammetto).
Innanzitutto, il motivo che non ho detto
sull’altro capitolo. Perché pubblico questa storia? Perché semplicemente, come
tanti altri ho già notato, non mi è andata giù la morte di Ace XD. Allora mi
sono messa a scrivere.
Poi, devo specificare che per il frutto
del diavolo ho scelto un nome a caso (che mi sembra in One Piece non ci sia...).
Come per il villaggio.
Inoltre, la storia è divisa in più
parti, ognuno con un ambiente diverso. Ma questo si vedrà a tempo debito.
Penso di aver detto tutto? Mi ero
proprio dimenticata di fare questi avvisi, pardon. È che ero davvero emozionata
per la pubblicazione...
Scusate ancora ^^