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Autore: chaplin    06/09/2010    5 recensioni
“Ah, ovvio che mi mancano i bei tempi.”
1960. Una ragazza decide di scappare di casa insieme a tre amici verso la Germania, alla ricerca del valore della liberta' dai vincoli della famiglia e dell'adolescenza appena raggiunta. L'incontro con un giovane batterista cambiera' in parte la sua vita. In una notte del 1962, il bassista dei Beatles, James Paul McCartney, si sveglia da un incubo.
Il nuovo episodio - sebbene completamente indipendente dal precedente - della serie "Rubber Soul." del "The Beatles... Again."
Genere: Demenziale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison, John Lennon , Paul McCartney , Quasi tutti, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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- Questa storia fa parte della serie 'Rubber Soul.'
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C'era John che sbraitava per chiedermi aiuto dall'altra parte della porta, ma non potevo aprirgli.
Ero nudo, diamine! Non riuscivo proprio a sopportare il tempismo perfetto di Lennon nel scoprirmi in situazioni imbarazzanti o potenzialmente imbarazzanti. Avevo il sospetto che, in un modo o nell'altro, lo facesse apposta.
“Aspetta, Johnny! Mi sto vestendo!” urlai, mentre dall'altra parte della porta John continuava a sbattere i pugni contro lo stipite, cercando di aprire girando la maniglia con insistenza.
Io frugavo con foga tra le coperte alla ricerca delle mie mutande, poiche' non sarebbe stato carino fargli vedere il mio Willy, sia per lui che per il povero Will. Willy e' sempre stato un tipo molto timido, a parte quando si tratta di donne.
McCartney! Cosa cazzo stai dicendo, taci! strillo' allora Puffetta, rimettendomi in riga. Bah, stronzetta blu.
“Maccaaaa! Sbrigati, ho bisogno di teee!” urlo' ancora il disturbatore fuori dalla stanza, continuando a bussare.
John non era proprio quel genere di persona che sa essere paziente, e io lo sapevo meglio di chiunque altro. Riuscii a trovare in tempo i miei boxer, che si erano infilati all'interno della fessura tra la testiera e il materasso, sotto i cuscini, quindi me li infilai in fretta per poi precipitarmi alla porta.
“Arrivo, smettila di rompere!” urlai, dopo aver resistito a lungo alle sue lamentele. Al contrario di John, credo di potermi ritenere una persona paziente, che e' capace di controllare le proprie emozioni, ma nessuno avrebbe saputo mantenere la pazienza di fronte a una persona come lui – unico nel suo genere, forse. Almeno, io ci riuscivo, poi pero' finiva che crollavo, esausto.
Spalancai la porta e mi ritrovai davanti il suo enorme sorriso che mi capitava di definire “Ah si', il sorriso da gentleman di John”, poiche' lo usava spesso per presentarsi alle pollastrelle che sculettavano nei bar; lo lasciai entrare con poco entusiasmo e lui si getto' a capofitto tra le coperte del letto.
Sbuffai. Sapevo che si divertiva a prendere per i fondelli, in generale, e di certo non ero l'unica vittima fra tante.
“Oh Paulie!!! Paulie-Paulie!!! Ma quanto mi sei mancata, piccola mia!!” strillacchio', stringendo tra le sue braccia il cuscino.
Ben presto, quel cuscino fu sostituito da me.. purtroppo.
“John? … non ora.” ringhiai.
“Senti, ho trovato George in bagno e volevo chiederti se potevi aiutarmi a raccoglierlo! Sai, per la mia collezione..” disse, con una strana luce negli occhi. Ignorai l'ultima parte della sua richiesta per evitare inutili discorsi e inutili domande sulla faccenda, poi spalancai gli occhi. Che ci faceva George in bagno? Ma non ci misi troppo per capire cosa stava succedendo.
“Povero Harrison..” commentai. “D'accordo, andiamo ad aiutarlo.”
Mi feci spazio tra le lenzuola per trovare stavolta i miei indumenti. Cercai di smuovere John dal posto in cui aveva deciso di appostarsi e notai con orrore che stava annusando con gola la mia camicia, fingendo che fosse una sottospecie di afrodisiaco. Ah, questa poi!
“Ridammela, dai..” dissi, piano, allungando la mano verso la camicia, ma John emise un urlo che mi ricordava tanto le scimmie che vedevo nei zoo e scappo' via dalla mia presa coprendosi la testa con il mio povero vestito.
Poi si mise a frignare, ancora. “Ma Paaauuul! Si e' affezionata tanto a me! Non posso lasciare che tu la porti via!”
“E tu hai bevuto un bicchiere di troppo.. Okay ridammela, adesso!” insistetti.
Incomincio' un vero e proprio inseguimento pieno di urla, insuti sparati contro l'un l'altro e altrettante risate; alla fine riuscii comunque a reimpossessarmi della camicia, ma dalle occhiate truci che Lennon mi lanciava, mentre mi stavo infilando i pantaloni, capii che se la sarebbe ripresa molto presto. Rabbrividii e inghiotii un poco di saliva, che scese viscosa lungo la gola.
Passarono dieci minuti e uscimmo dalla camera di corsa; camminammo per un po', John mi offri' una sigaretta e io mi lasciai trascinare in silenzio fino al pub dell'altra sera, che non era ancora aperto – ma la saracinesca era stata sollevata e quello che aveva tutta l'aria di essere lo spazzino del locale dormiva beatamente su un tavolo con la testa rivolta all'indietro e la bocca spalancata. Entrammo dentro senza dire niente, anche se John bisbiglio' un “Salve, America!” prima di varcare la soglia in stile western. Sorrisi, divertito.
“Allora, devi sapere che mezz'ora fa' ero in giro da queste parti quando sono passato per di qua e mi e' venuto in mente che potevo rubarmi un Jack, visto che il personale non c'era e avevano lasciato la porta aperta! Ho bevuto il mio Jack, ho lasciato un penny per ringraziarli per il drink e mi e' venuta voglia di pisciare...”
“... da questo momento in poi posso dedurre da solo il finale di questa storia.” intervenni, visto che non mi interessava avere ulteriori dettagli.
“Comunque sono andato per sbaglio nel WC delle femmine e ho scovato quello scopone minorenne d'un George. Tutto qua.” prosegui', facendo finta di non aver sentito nulla. “Gli ho augurato una buona mattinata e poi ho pisciato!” concluse, soddisfatto.
Alzai gli occhi al cielo e posai sul tavolino sporco un bicchiere di whiskey che mi ero messo a sorseggiare nel mentre John aveva deciso di raccontarmi la triste storia dello sbronzo-Harrison nel bagno delle femmine e ci dirigemmo assieme verso i bagni, che si trovavano poco distanti dal lato sinistro del bancone, il lato piu' oscuro rispetto alla parte centrale e il piu' distante dal palco. Era una porticina bianca semi nascosta dall'ombra, poi all'entrata c'erano altre due porte che portavano rispettivamente al bagno delle femmine e al bagno dei maschi.
Avevo come la sensazione di essere gia' stato in quel posto, ma avevo ancora un po' di sonno e non ero del tutto lucido. Quel buffo nome, Layla, fluttuava ancora tra i miei pensieri. L'avevo gia' vista da un'altra parte, in un altro posto – lontano da Liverpool, probabilmente – ma mi veniva in mente solo quel sorriso che mi aveva rivolto prima di andarsene. Forse anche lei voleva prendermi in giro, come John amava prendermi in giro e io, nel mio inconscio, amavo prendere in giro le ragazze che mi portavo a letto. E avevo quell'orribile sensazione che, questa volta, non fossi stato
io a portarmi a letto lei, ma lei a portarsi a letto me.
Entrammo nel bagno dopo aver spinto la seconda porta – quella con
l'omino in gonnella – e John mi indico' il primo gabinetto del bagno delle femmine, quello piu' vicino all'ingresso, e apri' la portiera del cesso con una presentazione in un lieve americano, esagerando la pronuncia del cognome: “So, this is... the great George HERISSN!!”
Trattenni una risata, ma avrei anche potuto scoppiare a piangere. George era ancora addormentato, lanciato miseramente all'angolo del cesso, con i pantaloni slacciati e a petto nudo. Cosi' piccolo e in un cosi' pietoso stato... mi veniva voglia di strapazzargli una guancia.
“Ma siamo sicuri che stia bene?” domandai, preoccupato ma allo stesso tempo sulla via della morte per le risate.
“Certo! Sara' come nuovo, appena sveglio, vedrai!!” rispose Lennon, tirandomi un'energica pacca sulla schiena.
In quel momento, dopo aver rivolto un'occhiataccia (l'ennesima) a John, notai che la mano destra di George, posata sullo stomaco, si era mossa leggermente. Poi le sue palpebre cominciarono a tremare, dischiuse piano le labbra e le richiuse di scatto mentre i lineamenti del suo volto di piegavano in una smorfia infastidita.
“Ssshh.. La bella addormentata di sta svegliando!” disse allora Lennon, invitandomi a stare zitto.
Harrison riacquistava i sensi con estrema lentezza, aprendo e chiudendo le palpebre in continuazione, senza riuscire a sopportare la luce, forse; si accorse con medesima velocita' di quello che gli stava succedendo, e i suoi occhi caddero su di noi.
“Nottata da lupi, eh, Georgie?” gli dissi – beccandomi una gomitata da parte di John – indicandogli la lampo abbassata con un piccolo gesto col mento.
John fece un'inquietante risolino e tacque, George ci guardo' in cagnesco e fece per rialzarsi. La mancanza di energie lo fece andare a sbattere contro il coperchio del gabinetto, in un fallito tentativo di appoggiarsi contro.
Lennon rideva come un matto e io gli facevo l'eco. Eravamo dei grandi bastardi, si'.
“Divertente...” lo sentii gemere, lasciandosi cadere nuovamente per terra.
Lo sollevai di peso e me lo misi sulle spalle, prendendolo per le braccia per non farlo cadere. Uff, ecco che toccava a me.
“John, tu porta via la sua roba.. senza annusarla. Io lo porto a casa e gli preparo qualcosa di buono da bere, per fargli passare i giramenti.” dissi. George si era gia' riaddormentato.
“Se c'hai sbatta, fa' pure.” rispose lui. “E vai sicuro, non diro' a nessuno che sei gay.”
Gli lanciai una scarpa. Di George, ovviamente.

 

Dopo un paio di volte che suonai al campanello, papa' venne ad aprirmi. Alzo' un sopracciglio nel vedere la mia faccia davanti all'ingresso della casa, mentre tenevo sulle spalle George, che si era messo a russare. Ci mancava poco che mi sbavasse sul collo.. rabbrividii al solo pensiero e sorrisi, pallido come un cencio. Papa' guardava la testa di George, perplesso, ma sembrava anche sorpreso di vedermi arrivare a quell'ora.. penso.
“Ciao papa'..” borbottai, con le guancie rosee. “Non pretendo la colazione in tavola, eh..”
“Entra pure, figliolo.” mi interruppe subito, facendo spazio per lasciarmi entrare.
Chiuse subito dopo la porta e io non riuscii nemmeno a rivolgere un saluto decente a mio padre, quindi feci per andare subito in camera a mettere subito George da qualche parte. Era magrissimo ma pesava un po', non avrei resistito a lungo.
Michael doveva essere a dormire, oppure doveva essersene andato da qualche altra parte.
“Ecco.. Paul?” balbetto', insicuro.
“Si'?” risposi.
“Per caso, sono io che dopo deve parlare a Michael sui tuoi nuovi..
gusti?
Rimasi a bocca aperta. E dopo John, mancava solo mio padre.
“... papa', George e' ubriaco e io lo sto aiutando.”
Mio padre fece un gran sorriso e si avvicino' a me, senza troppa enfasi.
“Mi aspettavo una scenata isterica da parte tua, ragazzo.” sghignazzo'. “Vai tranquillo, e se hai bisogno.. chiama.”
Feci un lungo sospiro e mi incamminai in direzione della camera per posare George da qualche parte – poteva essere magro quanto voleva, nonostante tutti i panini che si sbranava, pero' pesava quanto me e io non ero mai stato un gran sollevatore di pesi – e per cambiarmi anche di vestiti, perche' la camicia tanto bramata da John era un poco sporca di sudore.
La camera era sempre uguale, tutto era al suo posto e mi venne naturale un altro sospiro, stavolta carico di malinconia.
Feci sdraiare George sul mio letto e gli rimboccai le coperte, buttandomi subito per terra dalla stanchezza.
Conoscevo un intruglio strano che faceva passare tutte le sensazioni di ebbrezza di cui ricetta mi era stata data da alcuni strani tipi di Amburgo, almeno cosi' mi pareva. Servivano carote, cipolle e maionese.
Mi rialzai dal pavimento e decisi che avrei preparato quella bevanda con calma, trovando gli ingredienti necessari.
Nel frattempo, papa' era risalito in camera per rimettersi a dormire; scesi in cucina per preparare quello strano miscuglio di tutto quello che potrebbe essere presenza nella cucina di un grassone americano.
Ebbi delle difficolta' quando mi misi a tagliare le cipolle e mi feci un brutto taglio al pollice, poi a triturare il tutto con il frullatore ci misi anche di piu' perche' non riuscivo a trovare da nessuna parte il punto per attaccare la spina. Per fortuna non fu troppo difficile, anche se dubitavo che la maionese fosse cosi' necessaria.
Risalii di nuovo in cucina, dopo aver passato venti minuti dentro la cucina a fare tutto quel lavoro sporco che mi sentivo obbligato di fare. Tenevo in mano un bicchiere di vetro pieno quasi fino al collo di una strana sostanza di un colore simile all'arancione, che grazie alla maionese aveva assunto un colorito roseo che lo rendeva ulteriormente disgustoso, e mi guardavo intorno camminando lentamente.
La casa, a quell'ora, mi appariva quasi spoglia. Era inquietante, eppure in fondo al cuore sentivo una strana sensazione di sollievo. Tornare di nuovo a casa era comunque una bella sensazione, piu' bella di quanto mi fossi aspettato. Mi lasciai scappare una piccola risata liberatoria e, dopo aver posato il bicchiere sul comodino, mi sedetti per terra appoggiando la testa al materasso.
Che bel silenzio che c'era a quell'ora. Un silenzio accompagnato da scricchiolii, dal canto degli uccelli che iniziavano a destarsi. Riuscivo quasi a sentire il respiro di mio padre e di mio fratello, ma doveva solo essere la mia immaginazione. Sbuffai, tanto prima o poi anche Puffetta si sarebbe svegliata.
Intanto, George stava ancora dormendo e si era piegato di lato. Era ancora immerso nel sonno, sembrava starsene in pace in un mondo tutto suo; lo invidiavo perche' anch'io avrei voluto dormire, in quel momento.
La finestra era aperta sulla strada, lasciando che la luce del sole entrasse, mostrandosi flebile dietro le nuvole. Il sole bianco, al centro del cielo con le nuvole ammassate attorno ad essa, su quel cielo mattutino colorato di indaco, era l'unico ad illuminare quella camera scura. L'intruglio magico mi fissava e io lo fissavo, rivolgendo ogni tanto delle occhiate verso George, che continuava a sonnecchiare.
Anche Puffetta aveva deciso di prendersi una mattinata di ferie, per mia fortuna. Se ne stava zitta, cullandosi sulla sua sedia a dondolo. Ed era adorabile, avrei tanto voluto che provasse a starsene in silenzio per un altro bel po', ma prima o poi si sarebbe svegliata. Dovevo godermi il momento, godermi quel silenzio interiore.
Tesi le orecchie e ascoltai attentamente tutti i suoni che mi circondavano; era rilassante, forse mi avrebbe aiutato ad addormentarmi. Peccato che, ad un certo punto, il lieve ticchettio delle lancette dell'orologio divenne un fastidioso rumore di.. grandine. Qualcosa di piccolo e duro che si scontrava contro i vetri. Aggrottai la fronte: c'era qualcosa che non andava.. C'era un tempo meraviglioso, fuori.
Quella grandine, col passare dei minuti, divenne un piccolo mucchietto di sassolini lanciati contro la mia finestra e io dovetti guardare in strada per vedere chi fosse. Forse era John, pensai. Ma John non era mai stato cosi' magro e non l'avevo mai visto con i capelli lunghi.. e non aveva le tette. Storsi la bocca.
“Ehi, scemo! Aprimi! Sono
io!” grido' lei, quella che a primo impatto credetti fosse John, ridendo.
Aprii la finestra. Feci un grande errore: un altro sassolino volo' dentro la mia stanza evitando per un pelo la mia traiettoria.
“Ho aperto! Ho aperto!” scattai. “Ma.. tu
chi?!”
“Sono
Layla!” mi rispose, agitandosi e buttando per terra i sassolini che stringeva in pugno.
Layla? Ah, la ragazza dell'altra sera. Sorrisi tra me e me, appoggiando i gomiti sul bordo della finestra.
Rideva, dall'alto riuscivo a vedere i suoi occhi illuminati dal sole e i suoi capelli mossi e castani che le ricadevano morbidi sulle spalle. Aveva addosso la stessa giacca in pelle di prima ed era vestita un po' come una exies.
Ad un certo punto, mi sorse un dubbio.
“Scusa, ma.. come fai a sapere che abito qua?” le domandai.
“Ti ho pedinato!” urlo' ancora, mettendo una mano vicino alla bocca per alzare il tono.
“Oh, questo mi rassicura molto..” borbottai, per poi urlarle: “D'accordo, entra! Ma stai attenta a.. a non svegliare i vicini!”
“Vicini? Non e' che vivi ancora con i tuoi genitori?” disse lei, e scoppio' a ridere al solo pensiero. Arrossii.
“Ma che dici?! N-non e' vero! E adesso sali!” le dissi, facendo per scendere ad aprirle la porta.. ma era troppo tardi.
“Paulie? Cos'e' tutto questo chiasso?” mi domando' papa', uscendo dalla stanza e andando verso l'ingresso per vedere cosa stava accadendo. Da rosso divenni di un inconfondibile vermiglio che mi ricordava orribilmente la ragazzina di cui John si era preso la cotta. Quella con i capelli rossi.. Mi chiesi come poteva stare, in quel momento, cos'era successo con John.. Scossi la testa per distogliere i pensieri da John e.. quella li', perche' papa' era gia' all'ingresso e aveva aperto la porta per vedere chi ci fosse all'ingresso.
Sentii solo una sonora risata e vidi la figura di una ragazza alta e magra, vestita tutta di nero, entrare in casa mia. Mi spiaccicai una mano sulla fronte e dissi “Hey!” per attirare la sua attenzione in mia direzione.
Papa' sembrava un po' confuso ma gli feci segno che gli avrei spiegato piu' tardi e la portai di sopra, verso la mia camera.
Lei mi sussurrava nell'orecchio: “Allora vivi ancora con i tuoi genitori!”
“Ma no.. non e' che vivo con mio padre, vivo.. vivo, insomma!” risposi, vago.
Layla mi tiro' una gomitata sul braccio e mi precedette, dirigendosi da sola verso la porta aperta della mia camera, per poi indicarla con l'indice e domandarmi: “E' questa la tua stanza?”
“Ci hai azzeccato.” le dissi, lasciandola entrare.
Non la conoscevo per niente, era solo una ragazza che mi ero portato a letto l'altra sera e non mi aspettavo che sarebbe venuta a trovarmi a casa. Tanto meno che mi avrebbe pedinato! Non sapevo ancora come potesse essere come persona, ma al momento non mi interessava. Ero solo interessato a che genere di biancheria intima indossasse, quella roba. Continuavo a guardarle il sedere, ma lei non se n'era ancora accorta.
Layla si sedette tranquillamente sul letto – accanto a George – e mi invito' a sedermi accanto a lei. Obbedii come un cagnolino, un poco imbarazzato dalla brutta figura di prima e anche dal fatto che.. che stavo gia' fantasticando su quell'evidente segno del reggiseno sotto la cannottiera nera, quel filo di tessuto color carne che riuscivo a intravedere sulla pelle.. Scossi la testa e staccai gli occhi dal suo seno, mentre lei automaticamente si volto' verso di me. Era come una calamita: io staccavo gli occhi dal suo corpo e lei guardava me.
“Sai? Ti ho pedinato perche' ti trovo davvero carino.. Hai dei bei occhi!” mi disse, guardandomi in faccia.
“G-grazie..” la ringraziai, intimidito dalla sua lieve voce.
“E poi a letto sei
uno spettacolo.” disse ancora, maliziosa.
“Oh, grazie!” mi venne subito da rispondere, con un improvviso attacco di vanita', facendola ridere di nuovo.
“La cosa ironica e' che.. io ti trovo davvero carinissimo, ma non conosco ancora il tuo nome.” disse, carezzandomi la guancia con le dita. Un brivido percorse la mia schiena al contatto con la sua pelle, ma mi trattenni.
“Io mi chiamo.. Paul.” mormorai, rabbrividendo ad ogni movimento della sua mano.
“Che bel nome che hai, Paul..” commento'. “Il mio lo sai gia'.” aggiunse, alzando un sopracciglio.
“Eh, hai ragione..” dissi, ridendo come un deficiente. Accidenti, com'ero poetico.
E successe di nuovo. Non so chi si avvento' per prima sull'altro, o io o lei. Ci scambiammo un lungo bacio, abbracciati, la sua lingua solleticava il mio palato e iniziai a sentire caldo alla fronte. Non riuscivo a respirare.
Le sfilai i vestiti e lei cerco' di togliermi di dosso i miei, baciandomi sul collo. Boccheggiavo, mi mancava l'aria, e allora ricordai il profumo che emanava la sua pelle – quel profumo che avevo assaporato con gusto l'altra sera, poi vidi davanti a me quel bagno in cui l'avevo incontrata per la prima volta, con le pareti luride e l'aria inquinata dall'odore di sporco e dai troppi deodoranti per l'ambiente.
“Ci vediamo domani, Paul.” mi sussurro' nell'orecchio, prima che potessi perdere il controllo.

 

Dovevo essermi addormentato. Con me si risveglio' anche Puffetta, quel maledetto cosino blu che avrei volentieri schiacciato, anche solo per vedere se aveva il sangue blu.. Scossi la testa.
Il letto era vuoto, segno che George se n'era andato.
Sul comodino c'erano ben due biglietti, entrambi strappati dallo stesso quadernino ad anelli che giaceva sul pavimento. Su uno c'era scritto:

Ci vediamo domani, Paul.
Ti ho scritto il numero di casa mia sul muro.
Layla.”

Alzai lo sguardo. Aveva davvero scritto il suo numero sul muro, con la penna a sfera. Scoppiai a ridere; che tipo.
Il biglietto accanto, invece, in una calligrafia tondeggiante diceva:

Hai fatto colpo, eh? Anche se il nome 'Layla' l'ho gia' sentito..
Vabbe', io vado! E grazie mille per il passaggio!!
Il mitico, bellissimo, grandioso George Harrison!

P.s.: Ah, non ci crederai ma Ringo ha avuto un appuntamento! Sai Meg? La mia amica, quella bionda, non so se te la ricordi.. Vabbe', Ringo ha avuto un appuntamento con lei! John ha in programma di andarli a spiare ma io non ho voglia, poi ho altro da fare.. Se vuoi, puoi fargli tu compagnia! Vabbe', ora questo Post Scriptum si e' fatto anche piu' lungo del messaggio stesso quindi smetto di scrivere! Ciao!!!”

Ringo ha avuto un appuntamento? Questa e' bella.” commentai, da solo.
Bene, forse facevo meglio a vestirmi e uscire. La sveglia segnava le una del pomeriggio.

 

 

 


 

See Emily Play
E aggiorno, finalmente! Oggi e' anche il giorno del mio compleanno, buffo! XD
L'ultima parte del capitolo era poco ispirata quindi ho deciso di inserire i due bigliettini di Layla e George. L'immagine di Paul che va in giro con George sulle spalle mi fa tornare in mente una slash che scrissi tempo fa' su
un certo gruppo. D:
Va bene, allora spero che questo capitolo sia piaciuto almeno un po' e ora mi dileguo!
Grazie a chi ha recensito ma anche a chi ha solo letto! <3

Zazar90: Quel capitolo pero' non mi piaceva molto, questo gia' mi piace un po' di piu' anche se ho paura che possa essere un po' noioso. XD Gli approfondimenti su Meg e Ringo penso arriveranno al prossimo capitolo, un po' grazie a quell'adorabile ficcanaso di John! ;) Grazie mille! <3
E devo ammettere che alla scena di loro che giocano agli indiani ci tenevo molto. XD

Ariadne_Bigsby: Meg in fondo e' molto debole, ma tende a nasconderlo per non mostrarsi debole di fronte agli altri e di conseguenza assume un carattere un po' scorbutico.. di fronte a Ringo ha rischiato per un attimo di far crollare tutte le barriere che si e' costruita attorno. Comunque non pensavo che potesse far ridere, “la terra del fanculizzati”! XD Grazie! <3

Cerchero' di aggiornare piu' in fretta. >.<
Saluti cordiali. :D

  
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