3.
Trac.
Mi immobilizzo
di colpo, sperando con tutto il cuore che
nessuno l’abbia sentito.
Ma chi
cavolo vuoi che ci sia? Sono tutti in cortile!
Riprendo a
camminare, cercando di fare il meno rumore
possibile, ma io sono silenziosa solo quando leggo o quando sono in
classe. E
non posso certo di dire di essere particolarmente aggraziata. Anzi.
Lancio un
piccolo strilletto, quando inciampo in un sasso
piuttosto grande. Appunto.
Inizio a
intravedere la luce in fondo al corridoio.
Mamma mia,
mi sembra di essere nel tunnel che conduce
all’aldilà. Sempre che ci sia
seriamente un tunnel che porta all’altro mondo.
Sbircio oltre il
muro e vedo Caspian che ripassa il piano
d’azione seduto sul suo cavallo. Mi viene da ridere ma mi
trattengo.
Che poi,
perché mi viene da ridere?
E adesso
che si fa?
Guardo in giro,
cercando di adocchiare Ed (oh, si, ora posso
chiamarlo così con il suo permesso! Sono troppo
felice) nonostante il buio.
- psss! Giulia!
Qui! – mi giro verso Edmund, che non era dove
stavo guardando io.
Certo che, oltre
ad una “grazia innata” mi ritrovo anche un
ottima vista. O forse sono uno schifo a nascondermi. E dire che giocavo
sempre,
a nascondino, da piccola.
Tutto il
contrario di lui, perfettamente nascosto al buio
(che i capelli neri aiutino? Bah) che mi ha notata anche celata
nell’ombra e
che se ne sta comodamente aggrappato al grifone.
No, nel suo
caso, la frase “graziosamente aggrappato al
grifone” non era adatta. E poi nessuno ha mai rivolto
l’aggettivo “grazioso” ad
un maschio.
Oddio, ma che
sto pensando?
Mi fa segno di
avvicinarmi, guardandosi intorno sospettoso.
Striscio
lentamente contro il muro, fino a raggiungerlo.
È
orribile, strisciare contro un muro, credete a me. Vorresti
appiattirti sempre di più ma non ci riesci mai.
- ma come sei
conciata? – sussurra, guardandomi con curiosità.
Gli altri sono tutti girati, o impegnati nei preparativi, per fortuna.
- beh, mi dici
come facevo a salire su un grifone con il
vestito? – ribatto a bassa voce, lisciandomi i calzoni di
cuoio.
Sto davvero
così male? E dire che ho messo la camicia
apposta, dopo anni che rifiuto tutte quelle che mi vengono proposte.
E
perché la mia voce esce sempre stridula, quando sono
emozionata? Rischia di essere troppo acuta, e quindi troppo udibile,
accidenti.
- se lo scopo
era quello di somigliare a un maschio non ci
sei riuscita. Sembri una ragazza anche così –
commenta.
Non so se
prenderlo come un complimento o meno. Se fosse un
complimento sarebbe dovuto arrossire, no?
Bah,
sarà il buio, ma a me le sue guancie sembrano del colore
di sempre.
A parte che,
perché mai sarebbe dovuto arrossire?
Io sono
arrossita di sicuro, comunque.
Respiro a fondo,
cercando di rimettere in ordine i pensieri e
di far uscire una voce che non sembri quella di una gallina strozzata.
- e chi ha mia
detto di voler sembrare un maschio? Io sono
orgogliosamente femmina, sai? Forse non femminista, quello no.
Però ho sempre
pensato che le ragazze avessero una marcia in più rispetto a
voi maschi. Pensa,
mia sorella dice che i maschi usano solo l’1% del proprio
cervello. E, riguardo
ai pantaloni, nel mio tempo anche le ragazze li mettono, quasi tutti i
giorni, ergo
mi trovo più a mio agio che con quella sottospecie di
tenda.–
O ho la voce da
gallina strozzata o parlo a vanvera, sputando
frasi senza senso alcuno. O tutti e due assieme. Sono irrecuperabile.
In
più mi sta sicuramente guardando male, in quanto ho appena
dato dell’idiota all’intera razza maschile, di cui
lui fa ovviamente parte.
Infatti sembra
sul punto di ribattere, quando una voce bassa,
e per nulla umana, bisbiglia:
- la volete
smettere? Se continuate così ci scopriranno.-
Edmund lancia
uno sguardo offeso verso Byron, il grifone.
Se
un’aquila reale potesse parlare avrebbe sicuramente la sua
voce: bassa, ma capace anche di lanciare strilla acute.
Sospiro, quasi
sollevata per la mancata discussione che,
probabilmente, verrà riproposta in seguito.
-
l’arco? – chiedo.
Edmund cerca a
tastoni alle sue spalle, afferrandolo e
porgendomelo. Bel nascondiglio, eh. Contro il muro. Avranno pensato che
fosse
di qualche arciere , spero.
- comunque Lady
Giulia ha ragione. Anche solo salire su un
cavallo con il vestito è difficile. Non che mi si possa
paragonare a un
cavallo… – continua Byron.
Sorrido mesta,
tralasciando per una volta tanto il “Lady
Giulia”. Riuscirò mai a convincerli che quel
“lady” davanti al mio nome sta
malissimo? Ne dubito. Non per questo mi arrendo, però.
Edmund sbuffa.
- ci muoviamo?
Siamo i primi a dover partire, e dobbiamo
farlo velocemente se non vogliamo che distinguano Giulia. –
Sale e mi fa
segno di sedermi dietro di lui. Cerco di
sistemare alla bell’e meglio la faretra sulle mie spalle,
chiedendomi perché
diavolo non hanno la protezione per il braccio, qui.
Poi mi arrampico
(sempre poco aggraziatamente, anzi, credo di
somigliare ad un troll di montagna che scala, appunto, la montagna) sul
dorso
di Byron.
Bene, ora che
sono seduta dietro di lui me ne rendo conto:
per non cadere dovrò stringermi
a
lui. Aiuto. Cioè, evviva è da anni che aspetto
una cosa del genere, ma aiuto
che imbarazzo.
Nel frattempo,
però, sono ancora immobile come uno
stoccafisso.
- emh, Giulia?
–
- eh? eh, si?
–
- forse
è il caso che ti tieni a me. Non vorrei mai dover
spiegare a Caspian cosa ci facessi su Byron, mentre stai su un lettino
in
infermeria –
- s..si giusto.
–
Gli allaccio le
braccia alla vita, tenendo l’arco tra le
mani, cosa che non mi facilita il movimento già di per
sé impacciato.
Oh, Miranda Kiss
* ha ragione: dovrebbe esserci una botola
per ognuno di noi, che si apre nel momento del bisogno.
- Edmund, puoi
partire! – grida Caspian, da qualche parte
nella sala.
- Subito!
– urla Ed in risposta, mentre Byron spicca il volo
così velocemente che dubito che qualcuno abbia visto
qualcosa di più di una
macchia sfocata.
L’aria
è fredda e mi stringo più forte a lui,
istintivamente.
O quasi.
La treccia in
cui ho raccolto i capelli mi svolazza dietro
come un serpente impazzito.
Dio, che
paragone orribile, ma in questo momento non mi è
venuto proprio niente di meglio.
Posso dire di
essere relativamente tranquilla, nonostante io
stia eludendo gli ordini di Caspian e andando all’attacco di
un castello.
So perfettamente
come andrà a finire, so il film praticamente
a memoria, e forse è per questo che sono calma. Alla fine
non dovrò fare nulla
di eclatante: semplicemente stare dietro a Edmund, e evitare di venire
lasciata
lì.
Rabbrividisco al
solo pensiero.
Ok, ora forse un
po’ agitata lo sono.
Ma Ed non mi
abbandonerebbe mai lì, vero? Vero?
Ma con chi
diavolo sto parlando?
Scuoto la testa,
sfiorando con la fronte la sua schiena.
- Ed?
– sussurro, e per un attimo ho paura che non mi abbia
sentito.
- si?
– la sua risposta giunge, appunto, in ritardo, ma forse
è colpa del vento che ulula, portandosi via le nostre
parole.
- quanto
durerà il viaggio? –
- un
po’ –
Non si
è ovviamente girato verso di me. In più
,“un po’” , è
una risposta leggermente generica, ma mi accontento.
- posso dormire?
Credo che altrimenti potrei vomitare la cena
–
In effetti il
mio stomaco non gradisce particolarmente il
volo, perché purtroppo, soffro leggermente di mal
d’auto, soprattutto in quelle
strade di montagna piene di curve e tornanti.
Non che si possa
paragonare Byron ad un’auto, ovviamente.
In qualsiasi
caso, sento il consueto nodo alla gola, che
m’impedisce di respirare normalmente e mi costringe a
deglutire nel vano
tentativo di scioglierlo, andarsi a formare.
Finalmente si
volta a guardarmi.
- si, certo. Ma
credo siano solo un paio d’ore. Ti bastano? –
Oh, che carino.
Si preoccupa per me. Deglutisco, maledicendo
il mal d’auto e domandandomi come posso non riuscire a
respirare quando ho
tutta l’aria che mi sbatte in faccia.
- si.
–
Rimango in
silenzio, fissando la sua schiena, mentre lui
torna a puntare lo sguardo davanti a noi. Deglutisco, di nuovo.
- Ed?
– faccio per la seconda volta.
Stavolta si gira
subito. Forse crede che riuscirei a vomitare
sul serio.
Uh, beh, lo
credo anche io. Anche se di solito mi limito a
diventare bianca da far invidia ad un cadavere e ad avere un mezzo
attacco
d’asma.
- si?
–
- posso
appoggiarmi alla tua schiena? – è un sussurro
talmente impercettibile che spero non l’abbia sentito. Ma mi
ha sentito
perfettamente.
Sorride, tra il
divertito e l’imbarazzato.
- certo. O avevi
intenzione di dormire in qualche altro modo?
–
Scuoto la testa,
sorridendo flebilmente e appoggiando una
guancia contro di lui.
L’ultima
cosa che sento è il suo cuore che batte:
tum,
tu-tum.
- ehi. Ehi,
Giuly, svegliati. –
Sbatto le
palpebre, mettendoci un minuto buono a realizzare
che:
·
mi trovo seduta
su un grifone.
·
mi trovo seduta
su un grifone con Edmund Pevensie
·
ho dormito sulla
schiena di Edmund.
·
siamo arrivati
a destinazione, e a momenti
atterreremo
·
mi ha chiamato Giuly?!
Nessuno mi chiama mai
Giuly. Di solito optano per soprannomi più assurdi e che il
più delle volte non
c’entrano niente con il mio nome.
- ci sei?
– domanda ancora lui, voltato verso di me, sebbene
lanci occhiate preoccupate verso il castello.
- uh,
più o meno. – rispondo, reprimendo un
“come mi hai
chiamata, scusa?”.
Non che non mi
piaccia il soprannome Giuly. Semplicemente
quasi nessuno mi chiama così. È …
strano. Però detto da lui suona bene. Penso
che gli concederò di chiamarmi così.
Sbadiglio.
- pensi di
riuscire a non vomitare? – domanda divertito.
Ah-ah. Che
spiritoso. Se la mia faccia potesse assumere
espressioni da manga ora sarei quella faccina con i trattini al posto
degli
occhi e il punto al posto della bocca. E anche un
bell’apostrofo come
gocciolina.
Già.
Peccato che non sono un personaggio da manga, io.
- credo.
– rispondo seccata.
Mi rendo conto
in questo momento che sono praticamente
abbracciata a lui.
Divento rossa di
botto e, facendo finta di niente, lancio uno
sguardo sotto di noi.
Oh, wow.
Menomale che non
soffro di vertigini. Anzi, sulla seggiovia
che ho fatto in Francia, a Deux Alpes con Silvia, me la ridevo
bellamente
guardando la cuna sotto di noi che si apriva in una discesa piuttosto
ripida.
Ora, vi starete
chiedendo che diavolo ci facevamo in Francia
io e Silvia.
La risposta
è una sola: sciavamo. Anche se forse è meglio
sottolineare che io stavo imparando a sciare.
Silvia adora
sciare, e sua madre le ha promesso che quando
avrà diciott’anni le farà fare le
selezioni per diventare maestra di sci.
Lo sci
è uno dei suoi argomenti preferiti, anche se sa che io
non l’ascolto quasi mai, visto che non ci capisco niente.
In camera sua,
esposte su una mensola, ha la sua bella
collezione di medaglie e coppe vinte durante le gare; le stesse gare
per cui ci
abbandona durante i week-end, quando dovremmo uscire tutte quattro
assieme e
lei non c’è mai. Spesso non riesce ad esserci
neanche per il suo compleanno.
Mi racconta
sempre di quando va su a Motta a sciare, dove ha
la casa, e delle stupidate che fa con il suo
“giro”, come dice lei.
Una volta ci
sono andata, a Motta, con lei. Era estate, però
e di neve non ce n’era neanche un pochino. Quindi eravamo
andate a raccogliere
mirtilli. Mi ricordo che i bordi dei miei pantaloni rosa erano
diventati viola
e blu.
Quando sono
tornata a casa, mia mamma, voleva mettermi in
lavatrice con i pantaloni. Brr.
Comunque, non so
neanche come, Silvia è riuscita a
trascinarmi in Francia e a farmi fare il corso di sci per principianti
o per
“non esperti”, come lo chiama lei.
E la seggiovia
citata prima serviva per portarci su fino alla
funivia, che poi ci avrebbe portato all’ovovia che ci avrebbe
depositate al
ghiacciaio dove stavano le piste.
Vabbè.
Atterriamo con
un tonfo soffocato sul tetto di una torretta. Poco
sotto di noi ci sono alcune guardie di Telmar.
Edmund balza
giù con agilità, senza fare alcun rumore e mi
porge la mano, per aiutarmi a scendere.
Ho le gambe
tutte indolenzite e mi si è informicolato un
piede.
Stringo
l’arco, per poi voltarmi e guardare il cielo, che
stanotte è coperto. Non si vede neanche una stella.
Respiro
profondamente, chiudendo gli occhi. Mi era mancata,
la sensazione di qualcosa di solido sotto i piedi.
- tutto ok?
– mi fa, tirando fuori la torcia dalla bisaccia.
Mi guarda, un po’ troppo intensamente per i miei gusti. No,
aspetta. Mi piace
che mi guardi così, però mi manda in
fibrillazione, e non credo sia il caso.
- si, tutto
bene. – trovo la forza di rispondere, non so da
dove.
- bene. Io vado
giù. Ti chiamo io, quando puoi scendere. Stai
qui e non muoverti.– mi intima.
Fa per calarsi
giù dal tetto, quando lo fermo.
-
emh… posso muovermi in caso di estrema emergenza?
–
Mi guarda come
se fossi pazza. In effetti che situazioni di
estrema emergenza potrebbero mai esserci su un tetto? Il massimo che
può
succedere è che
si rompa qualche
mattonella.
Annuisce,
lentamente.
- muoviti solo
se sei in pericolo. Non posso permettermi che
ti venga fatto del male, quindi fa’ come ti dico. Intesi?
–
Certo che
potrebbe dirmelo senza sembrare un dittatore.
E quel
“non posso permettermi che ti venga fatto del male”
…
oddio, l’ha detto in un modo talmente serio …
Ok, Giu,
niente filmini mentali, intesi?
- intesi
– rispondo, senza sapere se a lui o alla mia testa.
Cerco di
sorridere, ma credo mi sia uscita una smorfia.
Lui annuisce,
ancora, e la sua capigliatura corvina scompare
oltre il bordo.
Sospiro.
Byron mi guarda
in un modo strano. Ricambio lo sguardo.
- beh?
– dico, cercando di suonare disinvolta.
Essere guardati
da un grifone non è una cosa che mi succede
tutti i giorni però, e non è per nulla facile
reggerne lo sguardo.
- nulla. Pensavo
a quando siete strani voi umani – commenta.
A che diavolo si
riferisce?
- ah, grazie
– borbottò, incrociando le braccia al petto con
espressione imbronciata.
Mi sporgo verso
il basso, e vedo Edmund armeggiare con la
torcia, pronto a mandare i segnali.
Una guardia si
sta avvicinando, silenziosa. Dev’essergli
sfuggita, visto che altre due guardie sono stese a terra, non so dire
se vive o
morte.
Rabbrividisco.
Vedere morire le guardie di Telmar nel film
era tutta un’altra cosa.
Crack.
Il soldato
telmarino schiaccia un sasso prima di fermarsi di
botto, producendo un rumore che alle mie orecchie suona assordante, ma
che
Edmund non sente.
La guardia
riprende a camminare, dopo essersi accertato che
Edmund non l’abbia sentito, con più cautela,
però.
-Ed! –
sibilo, ma lui non mi sente, preso com’è.
Certo che riesce
a distinguermi quando sono nascosta, ma
quando si tratta di sentire qualcosa…
Oddio, che
faccio?
Teoricamente non
posso muovermi di qui, ma..
Afferro
l’arco, e incocco una freccia, puntandola
sull’uomo.
Ma le
freccia non rimbalzerà sull’armatura?
Accidenti,
è vero.
Lo guardo,
indecisa, mentre si avvicina strisciando.
- Ed!
– sibilo un’altra volta, ma lui non mi sente
ancora.
Giuro che gli
regalerò l’amplifon. Così
riuscirà a sentire i
miei avvertimenti, una buona volta.
Punto alla gamba
dell’uomo.
Lascio andare la
corda e la freccia spara dritta verso il
polpaccio del telmarino, che si accascia con un gemito di dolore
strozzato.
Edmund sobbalza,
lo guarda sorpreso, poi alza lo sguardo
verso di me, che ancora tengo in mano l’arco.
- non era una
situazione di estrema emergenza – sibila con
rimprovero.
Ah, vedo che
gronda di gratitudine per avergli salvato la
vita.
- volevi morire?
– sibilo in risposta io.
Lui mi guarda
corrucciato.
- non sarei
morto – risponde imbronciato, tornando poi a
guardare la sua torcia.
Mi sporgo ancora
un po’.
- prego, eh!
– faccio io, seccata.
La prossima
volta manco il bersaglio apposta.
Ah, gli uomini.
Sono troppo orgogliosi per accettare di
essere stati salvati da una donna. Ora che ci penso, mi sa che mia
sorella ha
ragione. Ma non glielo dirò mai.
Edmund finisce
di lanciare questi benedetti segnali luminosi
e mi fa segno di scendere.
Guardo di sotto.
La fa facile
lui, che è ben allenato.
Io a malapena
scavalco i muretti, anche se devo ammettere che
Silvia è messa peggio di me.
- Giulia,
muoviti – mi incita a voce bassa, guardando verso
destra, dove c’è una porta.
- come diavolo
faccio a scendere? – rispondo io, piccata. Ed
alza lo sguardo, con un sopracciglio alzato.
- salti, no?
–
Saltare?! Ma
siamo matti? Col cavolo che salto giù da questa
sottospecie di cornicione! Mi rompo una gamba!
- n.. non sono
proprio sicura di saperlo fare – balbetto,
sedendomi sul bordo.
Oh, ma
perché non sono rimasta alla Casa di Aslan?
- guarda che non
saper saltare è grave – ironizza, anche se
c’è un filo di tensione nella sua voce.
Ecco,
fantastico. Sicuramente starà pensando che sono una
palla al piede, il che non è poi così lontano
dalla realtà.
Giulia, sei
un genio. Ti sei bruciata tutte le tue possibilità con lui.
- non intendevo
quello. So saltare, ma non credo di saper
atterrare. – replico, cercando di sembrare calma.
- ti prendo io
–
Deglutisco a
vuoto.
Che
cos’ha appena detto?
- altrimenti
puoi restare con Byron, se preferisci. Anzi,
forse è anche meg.. –
- NO!
– sbotto subito io. – salto. Mi devo solo preparare
psicologicamente –
Non sono venuta
qua per stare sul grifone.
Anche se in
effetti non so bene perché sono venuta.
Sarà
che me l’ha chiesto Edmund…
- ti devo
prendere? – mi domanda.
Si, si, si!
- no. Ce la
posso fare. –
Ok, sono
un’idiota.
Dovrebbero darmi
il tesserino di riconoscimento per gli
idioti più idioti del pianeta.
Ok,
Giuggia. Ci siamo. Al tre.
Uno..
Due..
- tre!
–
Salto,
trattenendo il fiato per quel millesimo di secondo che
sto in aria, per poi ruzzolare a terra.
Mi alzo
traballante, e per un
attimo il mondo mi gira intorno come impazzito.
Bene, niente di
rotto: solo un livido sul ginocchio. È già un
inizio.
Edmund,
già davanti alla porta, mi fa cenno di stare dietro
di lui. La apre di scatto, lama alzata, pronto ad attaccare eventuali
telmarini, ma dietro non c’è nessuno.
Uh, che cosa
sospetta.
Sento Byron
alzarsi in volo, poco dietro di noi.
Ma nel film era
così?
Oddio, ho dei
vuoti di memoria.
No, non
può essere! Io dovrei sapere a memoria ogni singola
parola del film! Com’è possibile?
Avanzo a piccoli
passi, sempre alle spalle di Edmund.
Mi volto di
scatto, sentendo un rumore venire da dietro e
evito per un soffio la spada del telmarino, procurandomi un innocuo
graffietto
sulla guancia.
- Edmund!
– strillo, e mi sento incredibilmente stupida.
Edmund lo trapassa in un attimo, prendendomi poi per il polso e
trascinandomi
su un altro balconcino.
Gli scivola la
torcia dalla tasca, che cade giù, vicino ad
una guardia.
Beh, questo me
lo ricordavo.
- accidenti
– sbotta lui, in un soffio – tu resta qui!
– mi ordina
poi, prima di scendere.
Ok, se prima ero
tranquilla ora mi sento il cuore che batte
furiosamente nel petto. E vorrei che fosse soltanto la vicinanza di Ed
a
farmelo battere così, e non la paura.
- ma
guarda… -
Mi volto di
scatto, sobbalzando alla voce roca che ha
parlato. Un uomo, di Telmar, con un viso squadrato e la barba mal
fatta, avanza
verso di me a spada sguainata. Ha
una
cicatrice che gli attraversa la guancia, fino al mento.
- da quando in
qua i narniani hanno delle signorine così
carine, nelle loro file? – continua, gongolante, come se
fosse già sicuro
dell’esito del nostro piccolo scontro.
Non che ci
voglia tanto a capire, infondo.
Lancio
un’occhiata ansiosa a Edmund, ma sta combattendo
contro un’altra guardia.
Sento lo
scalpiccio di cavalli, poco lontani.
Peter. Susan.
Caspian. Sono entrati.
Credo di provare
un po’ di sollievo, che però non dura molto.
Oddio, e ora che
faccio? Non posso star certo qui ad
aspettare che mi venga un’idea!
Schivo un paio
di fendenti, stupendomi dei miei riflessi.
- una signorina
bene addestrata, vedo – commenta, un po’ meno
gongolante di prima. Ma dubito che evitare i suoi colpi lo faccia
desistere.
Oddio. Oddio. Oddio.
Sento il sangue
del graffio di prima che mi cola lungo la
guancia, e me lo strofino via col bordo della camicia.
Ok,
Giuggiola, pensa. Pensa, pensa, pensa.
Mi costringe ad
indietreggiare, mentre continua a menar
fendenti che evito come meglio posso.
Faccio un ultimo
passo all’indietro, prima di rendermi conto
che, oddio, di lì si cade e basta.
- Ed! il
segnale! – sento urlare Peter, da sotto.
- sono occupato,
ora, Peter! – ribatte Edmund, parando un
colpo con la spada.
L’uomo,
intanto, ghigna e carica verso di me.
Non ho la
più pallida idea di come, ma mi scanso un attimo
prima che lui mi raggiunga, e finisce giù di sotto in testa
al proprio compagno
che sta combattendo con Ed.
Guardo
giù, ansimando e ringraziando il mio istinto di
sopravvivenza che è decisamente più sviluppato di
ciò che credevo.
Edmund ha la
testa alzata.
- co..come..?
–
- Edmund. Il
segnale. – faccio io, fingendomi calma e
atterrando accanto a lui e in piedi.
Oh, come mi
sento fiera di me stessa.
Lui annuisce
frettolosamente, sbattendo la torcia sul proprio
palmo un paio di volte, prima di riuscire a farla partire.
Lancia il
segnale e, qualche attimo dopo, l’esercito narniano
entra urlando.
Corriamo per i
tetti, arrampicandoci su pezzo ripido.
Ci sono altre
guardie, ma se stiamo in silenzio dovremmo
raggiungere la porta senza problemi.
Purtroppo, il
silenzio, non è una mia dote innata.
Scivolo.
- aaah! -
Chiunque altro,
conscio del pericolo, si sarebbe limitato a
sobbalzare per poi cercare appiglio.
Io, invece, ho
dovuto lanciare per forza uno strillo. E, se
non ci fosse stato Edmund a prendermi, sarei scivolata giù
di sotto.
Beh, ormai le
guardie ci hanno visti.
- scendiamo!
– urla Edmund, sempre tenendomi per il polso, e
saltando giù. Atterriamo su corridoio all’aperto
piuttosto stretto.
Altre guardie.
Mitico.
Corre, e mi
trascina verso una
piccola terrazza.
Chiude la porta
dietro di noi,
fermandola con la torcia.
Sotto di noi di
sente l’eco della
battaglia. Una battaglia che stiamo ovviamente perdendo, d'altronde.
Ed si volta
verso di me, con fare
preoccupato.
- tutto bene?
–
- oh –
faccio con ironia,
rendendomi conto solo dopo che non è il momento adatto.
– cioè, si. Più o meno
–
Il suo viso si
rilassa un attimo,
prima di tornare teso, quando sentiamo i colpi alla porta.
Oh, cazzo,
cazzo, cazzo, cazzo.
La terrazza
è una specie di vicolo
cieco.
E non vedo come
Byron possa
salvarci, visto che non credo sappia che siamo qui.
Anche se nel
film lo sa.
Ma mica siamo
nel film! Solo per il
fatto che io sono qui vuol dire che qualcosa dovrà pur
cambiare!
Ok, ora siamo
quasi sul bordo.
Inciampo in me
stessa e finisco
addosso a lui.
- scu..
– non faccio in tempo a
finire che mi interrompe, afferrandomi la mano.
- guai a te se
ti stacchi, capito?
–
Annuisco,
proprio mentre le guardie
riescono a forzare l’entrata.
Ma in quante
diavolo sono?
Edmund si mette
davanti a me, con
la spada alzata e io recupero per un soffio la torcia, che stava per
cadere
giù.
- arretra
– sibila Edmund,
voltandosi appena verso di me, mentre la pattuglia di Telmar ghigna,
pregustandosi già la vittoria.
Oh Mio Dio.
Ok,
dov’è finita tutta la calma che
avevo prima? Perché se n’è andata?
Sono sul bordo.
Un altro passo e
cado nel vuoto.
Bene, benissimo.
Edmund ora mi
affianca, stringendo saldamente la mia mano.
- salta quando
te lo dico io, ok? –
- ma sei matto?
– mormoro involontariamente, stringendo la
torcia fino a farmi venire le nocche bianche. Mi sorride, cercando di
risultare
rassicurante.
- ehi, so quello
che faccio –
Devo aver fatto
una faccia poco convinta, per lui aumenta la
stretta sul mio polso.
- ti fidi di me,
no? Altrimenti mica mi avresti seguito qui –
Annuisco, piano.
- bene.
– annuisce anche lui, lanciando un’occhiata nervosa
alle guardie che si avvicinano. – non ti devi preoccupare.
–
Sbuffo poco
convinta.
- ora!
– esclama, lasciandosi cadere all’indietro e
trascinandomi con lui.
Atterro su
Byron, davanti a Ed e con un suo braccio sulle spalle.
Come diavolo
c’è finito lì?
Sono
praticamente in braccio a Edmund.
Dio, che
vergogna.
Si sente il
segnale di ritirata, e Byron non se lo fa
ripetere due volte, prima di cambiare rotta verso il nostro
accampamento,
schivando un paio di frecce senza troppo difficoltà.
E dire che gli
sono mezza raggomitolata sopra.
E appoggiata a
Edmund, per di più.
Oh, se avessi
saputo che sarebbe finita così avrei fatto
decisamente meno scene.
- ehi, stai
bene? –
No, per
niente. Abbiamo abbandonato un mucchio di gente, là dentro.
Verranno trucidati,
giustiziati, torturati o non so che altro. Dio, come mi sento in colpa.
Cosa
credevo di fare, venendo qui? Di cambiare quello che doveva succedere?
Come se
l’aiuto di una ragazzina possa servire..
- eh.. si. Si.
– non suono un granché convinta, mi sa. Anche
perché ho come l’impressione di essermi lasciata
sfuggire una lacrima, che
corre calda sulla mia guancia.
- vuoi dormire?
– soffia lui, e arrossisco di botto quando
sento il suo respiro così vicino.
In effetti posso
dire di risentire delle mie ore di sonno
mancate. Sono abituata a dormire fino a tardi, durante le vacanze
estive.
E mi sento
ancora più in colpa, per il fatto che io me ne sto
qui ad arrossire mentre ci sono persone ancora dentro al castello.
Persone che
moriranno, di sicuro.
E io sono qui a
pensare che ho sonno e che le braccia di
Edmund sono calde e incredibilmente accoglienti.
E che mi piacerebbe tanto abbracciarlo ma mi
vergogno troppo.
- mmm.. magari
– mormoro, cercando di non sembrare sul punto di
scoppiare a piangere.
-ok .. ti
sveglio un po’ prima di arrivare, così scendi nel
boschetto e fingi.. non so.. di essere andata a cavalcare –
- senza il
cavallo? – rido io, con la voce impastata. Ride
anche lui.
- digli che sei
andata a fare una passeggiata, allora. –
Annuisco,
stropicciandomi gli occhi.
- si, penso
farò così – concludo, facendo fatica a
tenere gli
occhi aperti.
Sbatto le
palpebre, un’ultima volta. Ho troppo sonno, ma non
riesco a smettere di sentirmi in colpa.
- Ed?
– sussurro e lui si volta verso di me.
C’è una stella,
proprio sopra di lui. Scuoto la testa. – grazie –
mormoro. Non riesco a capire
se risponde o meno, perché sto già dormendo.
- sicura di
riuscire a saltare da qui? – fa preoccupato
Edmund, lanciandosi occhiate dietro per controllare che Caspian e gli
altri
siano ancora lontani.
Siamo a qualche
metro d’altezza, sopra il bosco che circonda
la Casa di Aslan.
E no, non sono
sicura di riuscire a saltare da qui, ma di
farlo atterrare non se ne parla neanche. Darebbe troppo
dell’occhio. Così,
invece, può dire di essersi fermato ad aspettare gli altri.
- si –
rispondo in un soffio. Annuisce, stringendo il mio
arco e le mie frecce.
- ci vediamo
dopo, allora – conclude, distogliendo lo
sguardo.
- a dopo
– sussurro io, prima di saltare.
Atterro sul ramo
di un albero piuttosto grosso, dopo essere
stata travolta da diversi rametti pieni di foglie e chissà
quali insetti,
facendomi male al fondoschiena e battendo lievemente la testa contro il
tronco.
Guardo in basso,
per decidere come calarmi dai rami senza
spezzarmi il collo. Non mi ero mai arrampicata su un albero, prima.
A parte che non
mi sono arrampicata, ci sono caduta sopra; il
fatto è che se sapessi arrampicarmi saprei anche scendere,
no?
Altrimenti tutti
i bambini che sono saliti sopra un albero
sarebbero ancora su, a pregare che arrivino i pompieri a prenderli,
come si fa
con i gatti.
Mi aggrappo
saldamente al ramo e cerco un appoggio con il
piede. Quando l’ho trovato provo a vedere se tiene il mio
peso, visto che non
poso definirmi propriamente un uccellino.
Bene, tiene.
Mi sposto in
modo da tenermi aggrappata al tronco e scendo.
Ok. Bene. Mi
basterà procedere così per un po’,
lentamente, e
sarò giù sana e salva.
Sto per
appoggiarmi ad un altro ramo, quando sento un
improvviso “crack” provenire dall’alto.
Sobbalzo, perdo
la presa e cado per terra, senza troppi
danni: per fortuna non ero troppo in alto.
Ah, il mio
povero sedere.
Ancora stordita
alzo lo sguardo e vedo un uccello guardarmi
dal ramo dove poco prima dovevo esserci io.
Accidenti a lui.
Mi ha fatto prendere un infarto.
Mi rialzo,
spazzolo i calzoni e la camicia, provo a rifarmi
la treccia decentemente e mi avvio verso la Casa di Aslan.
Arrivo
all’entrata tranquillamente, l’esercito non
è ancora
arrivato.
Non faccio in
tempo a entrare che Holly mi travolge in un
abbraccio soffocante.
- Dio, Giuls,
dove sei stata? Eravamo così preoccupate! –
- a.. a fare una
pas.. passeggiata nel bosco – balbetto,
cercando di liberarmi dalla presa asfissiante.
Si scosta da me
e mi guarda con aria critica, con i suoi
occhi che Elisabetta (una nostra compagna di scuola) ha definito
“color
cioccolato alla nocciola”.
Per la cronaca,
io, secondo lei, li ho “color cioccolato
all’arancia”. Quando me l’ha detto
eravamo a pattinare, e
sono quasi scivolata, facendo cadere
Silvia, che stava dietro di me. Ah, bei tempi.
Beh, detto in
parole povere: mi fissa, con un sopracciglio
alzato per di più.
- ah, si?
– mi domanda, come se sapesse benissimo che non è
vero. Ma mica lo sa, giusto?
- si –
rispondo, notando con piacere che sembro piuttosto
convinta.
- e sei andata a
fare una passeggiata nel bosco notturna?
–
Uh, porca
miseria. E chi c’aveva pensato?
- e.. emh.. non
avevo sonno – improvviso, scotendo in aria la
mano destra.
Mi fa la faccia
che fa sempre quando mi costringe a dire
qualcosa che non voglio dire, una faccia da: “su, lo sai che
sono la tua
migliore amica, che non lo dico a nessuno. Ti puoi fidare”
È una
di quelle espressioni che le migliori amiche fanno
sempre, con il classico mezzo sorriso complice e le sopracciglia
alzate. Però
lei è quella del gruppo a cui riesce meglio, credo.
Si, come se mi
potessi fidare sul serio di lei. Holly parla
sempre troppo. Può metterci anche tutta la sua buona
volontà, ma in un modo o
nell’altro il tuo “segreto” le scappa
sempre.
- sul serio?
– domanda, le sopracciglia che si alzano ancora
di più, e vorrei picchiarle in testa un bastone per farla
stare zitta, ma so
che non funzionerebbe neanche quello.
- s..si
–
Dio,
perché non so mentire?
- dai, Giu, lo
so che non sei andata nel bosco a passeggiare.
Abbiamo fatto il giro noi stamattina e non c’eri –
Oh, fantastico.
La prossima volta lascio loro un bigliettino
in cui scrivo di essere scappata e di non cercarmi, così mi
lasciano in pace.
Anche se, nei film, succede tutto il contrario. Vabbè.
- e.. ero molto
lontana – ribatto.
-
Giuuuuggia… non sei brava, a mentire, lo sai? –
- si –
borbotto io, imbronciata.
- dooove seei
andataaa? – domanda ancora, facendo somigliare
la domanda ad una canzoncina, e prolungando alcune vocali, cosa che mi
irrita
alquanto.
- non te lo dico
– rispondo io, incrociando le braccia al
petto.
- allora provo a
indovinare che dici? Vediamo.. dove potevi
essere? – si picchietta un dito sul mento, alzando lo sguardo
sul soffitto
pensierosa.
Ah, tanto non
indovinerà mai.
Sgrana
improvvisamente gli occhi.
-
Giuggi… tu non sei andata al castello, vero? –
Salto per aria.
Ma .. ma.. non
è possibile!
Mi guarda
stupita.
- oddio, Zuzu,
come hai fatto? –
Gonfio le
guancie. Ormai tanto vale dire tutto, no?
- mi ci ha
portata Edmund – borbotto a voce talmente bassa
che spero non l’abbia sentito.
- CHI?!
– urla invece lei, e sono costretta a balzare in
avanti per tapparle la bocca, prima che qualcuno la senta.
- ssh!
– faccio poi, premendomi un dito della mano libera
sulle labbra – dillo a qualcuno e ti strozzo. –
- ma.. ma.. non
ti sei fatta male, vero? – mi tasta, cercando
di capire se sono ferita o meno. Me la scrollo di dosso, infastidita.
- se mi fossi
fatta male non sarei qui, non pensi? – commento
mettendomi le mani sui fianchi.
- e .. e non si
sono accorti che c’eri anche tu? – domanda,
fissandomi sempre più stupita.
Scuoto la testa.
Certe volte vorrei che non leggesse tutte
quelle riviste scandalistiche dove fanno il terzo grado a tutti. La sua
mente
non fa altro che elaborare domande che riguardano soprattutto le
situazioni
complicate.
- non eravamo
nella battaglia… Ed doveva solo lanciare i
segnali dai tetti, non l’hai sentito? – sbuffo.
- quindi sei
stata con.. Edmund – commenta, con un tono di
voce che non fa presagire nulla di buono.
Oh, no, no, no!
Adesso passerà alle domande imbarazzanti!
Dov’è la mia botola?
- e… -
- e niente!
– ribatto, forse un po’ troppo velocemente.
Sento i cavalli
che arrivano e delle urla. Mi sporgo verso
l’uscita e guardo fuori, vedendo l’esercito
raccolto intorno a Caspian e a
Peter, che litigano.
Oh, fantastico.
Mi avvio a passo
di marcia verso di loro, sfoderando il mio
miglior sorriso da benvenuto.
- ragazzi!
–
Mi guardano.
Dietro di me
appare subito Lucy, e sobbalzo, perché non l’ho
vista arrivare.
Mi guarda.
Perché
accidenti mi guardano tutti?
- si
può sapere dove sei stata, tutta la mattina? Giorgia mi
ha trascinato in giro disperata, credendo che ti avevano rapita
– commenta
Lucy, con un sopracciglio alzato.
Dio, credo che
inizierò a odiare le sopracciglia alzate.
- e.. ero a fare
una passeggiata. Non avevo sonno – mento, e
sembra crederci.
Oh, vuol dire
che non faccio così schifo a mentire.
Holly mi si
affianca, e si appoggia col mento alla mia
spalla, abbracciandomi da dietro. La guardo male. Solo
perché sono più bassa di
lei non vuol dire che sono il suo “appoggia-mento”
personale.
Lucy sta
fissando Caspian e Peter, con aria severa ma anche
triste.
- dove sono..
gli altri ..? –
Loro due non si
guardano, distolgono lo sguardo.
La folla si
apre, e si vedono dei fauni che portano Briscola
su una barella. Lo appoggiano a terra e Lucy gli corre incontro.
Byron e Edmund
atterrano poco più
in là, e anche lui corre al “capezzale”
del nano.
E, non posso
fare a meno di
domandarmi come diavolo ha fatto a finire in fondo alla fila.
Vabbè.
Non riesco a
correre incontro a
Briscola anche io perché Holly sembra intenzionata a
rimanere ancorata al
terreno.
Vedo Lucy fargli
bere la sua famosa pozioncina, quella che ha
salvato Edmund nel primo film.
Briscola
tossisce, e si scuote tutto, prima rassicurare tutti
quanti con uno dei suoi soliti commenti.
A questo punto,
Caspian e Peter riprendono a litigare
furiosamente, dandosi reciprocamente la colpa.
Evviva
l’amicizia!
Caspian se ne
entra nella Casa di Aslan a passo di marcia,
così furibondo che non mi sorprenderei se comparisse da un
momento all’altro
una nuvola con tuoni e fulmini corredati, sopra la sua testa.
E non mi stupire
per niente, anzi, se uno di quei fulmini per
caso colpisse Peter,
disintegrandolo.
Beh, su, tanto
non è possibile, giusto? E Caspian non farebbe
mai una cosa del genere. Non quando
i
Pevensie sono la sua ultima speranza. Si, beh, più o meno.
Briscola viene
trascinato, a forza ovviamente, in infermeria,
giusto per controllare che sia guarito del tutto.
Lo seguo con lo
sguardo, sorridendo lievemente per le
continue e rumorose proteste, fino a che Edmund non mi passa affianco,
e, con
un breve cenno della mano, mi saluta.
Guardandomi.
Perché
oggi mi devono guardare tutti? Io odio
essere guardata.
Holly sta per
sparare fuori una cavolata delle sue, ma le
tappo la bocca con una bella gomitata nello stomaco.
Ecco,
così impara anche ad appoggiarsi a me.
Lucy mi guarda
con un sorrisetto divertito.
Basta. Giuro che
mi trasformo nella donna invisibile se non
la smettono di fissarmi.
Seguo Edmund e
Lucy all’interno, sommersa dalle estenuanti
chiacchiere di Holly, che riesce a trovare qualcosa da raccontarmi
anche quando
viviamo assieme.
Qualcuno mi
salvi. Per favore.
Peter
è subito dopo di noi.
Già
non è nella classifica dei miei personaggi preferiti, e
viverci assieme non sta certo migliorando la sua postazione.
Si affianca a
Edmund, e iniziano a parlare concitatamente.
Certo che
è bravo a litigare, il biondo.
Si sente una
sottospecie di tuono, e trema il terreno.
Ci fermiamo
tutti di colpo.
- cosa.. cosa
è stato? – sussurra Lucy, guardandosi intorno
all’erta.
Peter scuote la
testa.
- non lo so.-
- un terremoto?
– propone Holly, che mi sta praticamente
soffocando. Mi dimeno un po’, prima di riuscire a staccarmi,
e mi avvicino a
Lucy il più possibile. Magari se sto di fianco a lei Holly
non s’appiccica.
Vana speranza. Infatti mi afferra la mano.
- non credo
– commenta Edmund, fissando il fondo del
corridoio in cui ci siamo inoltrati.
Guardo la fiamma
della torcia appesa al muro. Sento come un
sussurro, impercettibile, una cantilena.
- ehi. Lo
sentite anche voi? – esclamo all’improvviso,
saltando
per aria io stessa quando il suono della mia voce rimbalza lungo le
pareti del
corridoio, amplificandosi.
- che cosa?
– mormora Edmund, prima che tutti si mettano in
ascolto, orecchie tese e sensi all’erta.
Eccola. Sembra
quasi una litania, e si sta facendo un po’ più
forte.
Ehi. Ma io la
conosco già.
Il respiro mi si
blocca in gola, quando collego: la Strega.
Ommioddio la
Strega!
Prendo a corre
per il corridoio, trascinandomi dietro Holly
che è ancora ancorata alla mia mano senza alcuna intenzione
di staccarsi.
Dietro di noi i passi veloci di Edmund, Peter e Lucy rimbombano in un
modo
inquietante.
Ecco, neanche
due minuti che corro e c’ho già il fiatone.
Arrivo nella
sala, e freno di colpo, strillando quando il
lupo mannaro decide di lanciarsi addosso a noi.
- Holly,
giù! – urlo, trascinandola a terra, ed evitando
per
un soffio gli artigli del mannaro.
Per fortuna, il
licantropo, sembra decidere che noi non siamo
alla sua altezza e si lancia contro Edmund, mentre Peter tenta di
affettare la
strega e Lucy corre in aiuto di Briscola, che sta combattendo contro
Nikabric.
Come diavolo
c’è finito, qui, Briscola?
Alzo lo sguardo,
fino ad arrivare alla lastra di ghiaccio in
cui è ancora intrappolata la Strega. E Caspian se ne sta
lì in mezzo, con lo sguardo
incantato e la mano sanguinante tesa verso di lei.
Una delle tante
domande che mi sono sempre posta è: perché la
Strega ha bisogno di sangue, per uscire, se il suo braccio è
uscito
tranquillamente senza?
In qualsiasi
caso, non posso certo starmene ferma a guardare,
giusto?
Mi
avvicino, piano,
lentamente, verso Caspian, scollandomi di dosso Holly.
- Caspian!
– urlo. – esci subito di lì, accidenti!
–
Lui si volta di
scatto verso di me, sobbalzando, e mi guarda
sorpreso. Abbassa di un po’ la mano.
So che la Strega
mi guarda male, e si sta sicuramente
chiedendo chi diavolo sono mentre cerca di congelarmi con uno sguardo.
Il sangue mi si
ghiaccia nelle vene, e un brivido freddo mi
corre lungo la schiena.
Ok, devo
ammettere che avrebbe raggiunto il suo scopo, se
Peter non si fosse letteralmente lanciato addosso a Caspian, buttandolo
fuori
dal cerchio magico.
Buttandolo
addosso a me, per la precisione.
A momenti mi
schiaccia. Cioè, va bene tutto, ma non pesa come
una piuma, decisamente no.
Per fortuna si
rialza, porgendomi la mano.
La afferro,
tirandomi su.
Sento dietro un
guaito di dolore, che diventa sempre più
fievole, fino a spegnersi: Edmund deve aver sconfitto il lupo mannaro.
- lo sai che non
ce la puoi fare da solo, Peter caro. – fa la
Strega con quel fare suadente che ho sempre odiato.
Dio, fosse per
me non so quali atroci torture le avrei fatto
soffrire, alla fine del primo film. Altro che ucciderla, come ha fatto
Aslan.
Troppo poco doloroso. Ci volevano anni e anni di torture solo per
quello che ha
fatto a Ed.
Ora che ci
penso, mi sa che la odio proprio perché ha
imprigionato Ed.
Si, ok, Edmund
se l’è cercata, quella volta.
Però
continuare a perseguitarlo, no!
E poi: caro, carissimo Peter.
Ma se l’ha sempre guardato male! Credo che neanche fosse
sicura di quale fosse
il suo nome, nel primo film. O forse gliel’ha detto Edmund.
Si, probabile.
- Peter, vieni
via! – lo incita Caspian, improvvisamente
conscio del pericolo. Non fa in tempo a finire la frase, che la lastra
di
ghiaccio s’incrina. Si crepa tutta, in piccoli pezzi, mentre
lo sguardo della
Strega Bianca si fa furioso e confuso al tempo stesso. Il ghiaccio va
in mille
frammenti, che cadono a terra con un suono cristallino.
Edmund ci guarda
tutti, ancora con la lama alzata, soffermandosi
su Peter.
- lo so
– dice, prima che l’altro possa fare niente
– era
tutto sotto controllo – e se ne va.
*
Miranda Kiss è un personaggio
della storia “Provaci ancora, signorina Kiss!” di
Michele Jaffe; la potete
leggere nella raccolta di storie “Danze
dall’Inferno” in cui potete trovare anche
racconti di Meg Cabot, Kim Harrison, Stephenie Mayer e Lauren Myracle.
Sono tutti
racconti “dell’orrore”, ambientati
durante dei tipici balli scolastici
americani. Ve lo consiglio caldamente.
Bene,
sono fiera di me J
Posso
dire di aver fatto un
aggiornamento-lampo, visti i miei standard xD
Speriamo
di non aver deluso
nessuno . . .
Beh,
un ringraziamento gigantesco
a chi ha recensito :
Kattiva97:
ciao! Mi
fa molto piacere che il personaggio di Giulia di piaccia J
Per
le altre ragazze, hai
ragione. Dovrei approfondirle decisamente di più. In questo
capitolo ho provato
un po’ a far conoscere meglio Silvia e Holly, ma non credo
che sia uscito come
volevo io.
Al
solito, sono una frana nelle
descrizioni xD
Per
quanto riguarda alla tua
domanda: nel libro viene spiegato che ci sono diversi portali, che
conducono a
Narnia; a quel punto, ho pensato che a Narnia il tempo scorre in modo
diverso. E
questo diciamo che è “testato”, quindi
lo sanno tutti. Quello che mi sono
inventata io di sana pianta è: se a Narnia il tempo scorre
in modo diverso
rispetto a qui, perché i portali si devono aprire tutti
nella stessa epoca? (è
una domanda senza senso, ora che ci penso, ma ormai quel che fatto
è fatto) cioè,
ogni portale ha il suo, diciamo.. “spazio
temporale”. Quindi il portale è
sempre nello stesso posto, (come nell’hotel, per esempio, o
nell’armadio) ma
non si apre sempre nello stesso periodo. Diciamo che mi sono basata
anche sul
fatto che il portale dell’armadio non si è
riaperto, quando i Pevensie sono
tornati indietro dopo essere diventati Re e Regine. Quindi, ho dedotto
che il portale
non è “fisso”. E poi, se Aslan vuole che
qualcuno arrivi a Narnia, dubito che
si faccia dei problemi sull’epoca da cui vengono. xD
Si,
ok. È un po’ un casino, in
effetti, ma più o meno è così. Ho la
mente contorta, lo so.
Visto
che sicuramente ti avrò
fatto venire altri dubbi (xD), non farti problemi e chiedi pure.
P.S.
uuuh.. dimmi il nome dell’hotel
che vado, sfondo la porticina e mi catapulto a Narniaaa *__* poi ti
chiamo,
così mi raggiungi. Infondo la scoperta è tua J
e che gusto c’è ad andare
a Narnia se non c’è nessuno a sclerare con te? xD
AlexJimenez:
ahah! sai,
ho pensato che rompergli il timpano non era il modo migliore per
farselo amico,
ma giuro che anche Giulia vorrebbe urlare in stile fan girl. xD
Beh,
la tua domanda ha già
avuto risposta, Giulia al castello c’è andata, e
ho continuato la storia,
quindi spero di averti reso felice :) e di non aver deluso le tue
aspettative
su questo capitolo.
Grazie
mille per l’incoraggiamento
J
Non
avendo nient’altro da dire mi dileguo, ringraziando Kattiva97
e
VesiSchwartz
per aver messo la mia storia tra le seguite. Thank you
all! <3
_
L a l
a