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Autore: GurenSuzuki    06/09/2010    4 recensioni
In un salotto consumato dal tempo tre donne si incontrano e, in modo del tutto indiretto, ci narrano le loro storie.
Incontriamo così Eva, sangue norvegese, lingua tagliente e intellettuale. Ilona, finlandese, giovane e spigliata dal carattere deciso e Cornelia, svedese, donna di mezza età che non sa più che aspettarsi dalla vita, rigida e precisa.
"“Si inchina davanti al crecefisso, tenendo stretto quel piccolo fagotto urlante, e prega. Prega per sé. Prega per il paese. Prega per il mondo. Prega per il marito. Prega per sua sorella. Prega per sua madre. Prega per Sarah. E poi fa un ultimo disperato appello per il piccino che stringe al seno. Ma il cielo è affollato e non sempre, lassù, riescono ad ascoltare tutto. Così anche lui muore.” Dedicata a Jo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il profumo delle rose.

I personaggi, i fatti e i luoghi qui citati sono frutto della fantasia dell'autrice. Ogni riferimento è puramente casuale

A Jo, perchè mi sentivo di doverle regalare qualcosa di mio.
E più 'mio' di questa storia non credo ci sia altro.
A lei perchè le voglio bene e ormai mi sto affezionando sinceramente al suo humor tutto italiano e al suo carattere forte.
A lei perchè la vedo benissimo socia di un club letterario :)




Il profumo intenso delle rose riempiva lo studio.
Il Concerto in D minore, primo movimento, Vivace permeava il sottofondo della stanza e due donne sedevano in cerchio attorno ad un piccolo tavolino traballante di frassino scheggiato in poltrone dalla stoffa ormai consunta. Sorseggiavano una tazza di tè ciascuna. I loro occhi, cantastorie intonanti poemi nordici ormai dimenticati, sepolti sotto lo spirare pungente del vento scandinavo, si osservavano loquacemente.
La prima a poggiare la tazza fu Eva, che arricciò le labbra indispettita, quasi una nota stonasse nella fina melodia che si poteva udire, proveniente da un antiquato e quanto mai abbacchiato giradischi.
Bach era quasi un tacito accordo d'unione tra le donne, che ormai si riunivano mensilmente in quella stanza, sorseggiando tè e narrando le trame più affascinanti in cui erano incappate durante quelle settimane silenziose.
La quiete venne interrotta dall'abbassarsi della maniglia d'ottone e una trafelata Ilona irruppe, saturando subitaneamente l'aria della stanza con la propria aura. Un consistente manipolo di ciocche bionde sfuggiva all'acconciatura e sulla spalla magra reggeva una tracolla ricolma di libri.
Si sedette e sospirò, prima di slacciarsi la cerniera del pail bianco.
"Sei in ritardo." la novergese non si voltò neanche nel pronunciare quelle parole mentre la finlandese socchiudeva gli occhi nel cogliere la leggera melodia in sottofondo.
"Scusate ma ho avuto dei problemi in università: una collega ammalata, un esame che senza di me saltava... roba così." accavallò le gambe slanciate e versò il tè nella propria tazza. L'aroma pungente dell'Earl Grey le invase le narici, beandola col proprio tepore.
"Ti ricordo che possiedi un cellulare." osservò compunta e in modo saccente quasi Cornelia, le ginocchia perfettamente incollate e i polpacci reclinati, in una posa la cui eleganza era rotta solo dall'eccessiva legnosità che lasciava trasparire la svedese.
Ilona fu abile a glissare, prendendo la propria tracolla ed estraendone velocemente un libro sottile e malconcio.
Continuarono a bere indisturbate, senza rivolgersi la parola per lunghi minuti, ognuna persa nella propria spirale di pensieri. Eva, colei che possedeva due vispi occhi di ghiaccio, guardava con misurata placidità e un'espressione serafica in volto le altre donne che non si accorgevano neanche di queste occhiate.
All'improvviso la norvegese posò l'elegante tazzina, si allisciò la lunga gonna verde scuro e parlò con voce pratica.
“Allora, mie giovani compagne, cosa avete portato oggi?”.
Cornelia si alzò con un gesto fluido dal divano, sporgendosi di dietro e afferrando una busta di carta. Così facendo scoprì due gambe corte ed emaciate, di un candore virgineo.
“Io ho letto Essendo donna... di Kat Levy.”
Ilona continuava a tenere le palpebre serrate, bevendo gli ultimi sorsi del proprio tè e oscillando la magra gamba avvolta dal jeans a ritmo di musica, perdendosi nella sinfonia che ancora permeava il sottofondo dello studio.
“Decantaci la trama.” disse Eva, osservando la piccola figura di Cornelia rigirarsi il grosso tomo tra le mani, da dietro le sottili lenti degli occhiali da lettura.
La svedese si passò, incerta, una mano tra i lunghi fili dorati prima di parlare tentennando appena e movendo freneticamente un piede sul tappeto.
“Ecco, questo libro sarebbe l'unione di molteplici storie di donne sotto lo stesso nome. Tradimenti, violenze sia fisiche che psicologiche, litigi, nuovi amori, fine di storie ormai consumate.” si schiarì la voce prima di continuare. “Sapete, l'autrice riesce a catturare dopo poche righe, catapultando immediatamente il lettore nella realtà di questa donna. Ha uno stile essenziale, quasi 'ridotto all'osso'. Mi è piaciuto molto.” annuì con convinzione.
“Mh. Ilona, tu avevi mai letto questo romanzo?” domandò Eva alla diretta interessata, che aprì svogliatamente gli occhi e si richiuse la cerniera del pail bianco latte prima di articolare il semplice monosillabo “No.” ella sedeva con calma e tranquillità, adattando il magro corpo al morbido schienale della poltrona, movendo il capo verso la norvegese.
“Nemmeno io... bhe, sarei proprio curiosa di poter sentire la tua candida voce leggercene un pezzetto, che ne dici Cornelia?”
La svedese annuì e aprì il libro nel punto dove fino ad allora aveva trovato alloggio il suo dito indice, scorse le fitte righe della pagina prima di fermarsi ad un nuovo capoverso e cominciare a leggere, modellando la voce alle diverse richieste del testo.
“Ecco uno dei miei pezzi preferiti: “Hayden si ritrovò ginocchioni sul pavimento, gli occhi vacui. Comprese in uno squarcio di secondo perchè era finita ancora; debolezza. Debolezza quella che l'aveva spinta a cercare di distruggere il proprio dolore e la propria frustrazione, facendole collimare violentemente con la più mera e sporca soddisfazione carnale, distruttiva e devastante. I segni li portava ancora, indelebili: lunghe strisce che spiccavano sul diafano incarnato, scure e tortuose. I segni asimmetrici di amori, dolori, lacrime, felicità tutti nati, sbocciati, cresciuti e poi appassiti. E in quel momento, Hayden capì che la svolta alla propria vita, andava data nel punto opposto alla spaccatura che si era venuta a creare. Basta uomini. Basta donne. Basta scheletrici appigli cui ancorarsi febbrilmente: doveva vivere. Vivere il breve battito di ciglio che la separava dalla fine di tutto. Scendere dal filo di cotone che l'aveva sostenuta a mezz'aria per tanti anni e camminare stabilmente. Le cicatrici sarebbero sempre rimaste, per ricordarle il delitto che aveva commesso: appassire tra le illusioni.”
Un intenso silenzio, carico di pensiero, calò sulla stanza. Ognuna rifletteva sulle poche parole che erano scivolate fuori dalle bianche pagine del libro. Cornelia che fremeva, tremava appena e gli occhi le si appannavano di ricordi: gli uomini, le notti, i sogni, le ancore fatte di fumo, gli appigli inconsistenti, le cicatrici che portava sotto il maglione.
Richiuse il tomo lentamente, senza rumore e lo poggiò sul tavolinetto, poi si versò dell'altro tè.
Un'ulteriore pausa -breve come solo l'attimo prima di esalare l'ultimo respiro potrebbe essere- perdurò tra le tre donne.
Cornelia si rinchiuse nel proprio animo ottenebrato dai ricordi, tenendo compostamente la tazzina sbeccata con una mano, e il piccolo piattino con l'altra, eccessivamente composta.
“Interessante” esordì Ilona con voce cordiale, assumendo uno sguardo che a chiunque sarebbe parso canzonatorio ma che in realtà non voleva essere altro che vivo. Intanto continuava ad oscillare nervosamente la gamba e ballava col capo da una all'altra commensale. “Molto interessante.” enfatizzò.
Eva produsse un flebile “Mmh” pensieroso, quasi stesse ragionando su quali parole utilizzare. “Inebriante, senza dubbio, con un malinconico sfondo che ben si cuce al contesto... credo che lo leggerò!” dichiarò, sorreggendosi il capo con il pollice e l'indice, posati uno sotto al mento, l'altro sul labbro superiore.
La Svedese si limitò ad assentire col capo e a reprimere l'ombra di un sorriso.
“Ilona?” chiamò con verve Eva “Cosa sottoponi al nostro giudizio?” parve quasi serafica la norvegese, osservando l'amica da sopra gli occhiali.
Ilona si limitò a sorridere, assumendo l'aspetto di un gatto sornione e pigro, col mento poggiato sul pugno e la gamba che ancora si muoveva nervosa nell'aria.
E senza distogliere lo sguardo celeste dall'altra si sporse e prese il piccolo e malridotto libriccino, il quale era stato abbandonato precedentemente accanto alla teiera.
Scorse con calma estenuante le pagine, fino a chè non incappò nel punto che desiderava leggere alle proprie colleghe.
“E' di un ragazzo, Aleh Schwartz... si intitola... aspetta... L'altalena arrugginita. Ve ne leggo un pezzetto: L'alba scivolò nella camera di Alice come acqua su un piano reclinato e una sottile pioggerellina primaverile perdurò per pochi minuti. La piccina aprì gli occhi e si sedette sulle morbide coperte di quello che per lei era un letto immenso, stropicciandosi le palpebre appesantite dal sonno. Il piccolo orologio sul suo comodino segnava le 5:47. Mentre osservava il cielo screziarsi d'arancio, e i primi pallidi e timidi raggi stiracchiarsi tra le rade e sfilacciate nuvole grigiastre, la sua bocca venne sigillata da una mano ruvida e callosa, che puzzava di Whiskey. Non oppose resistenza, non quella volta. Mentre le mutandine dal simpatico motivo a coniglietti, le venivano sfilate piano e delicatamente ella si concentrò sul panorama fuori della finestra. Un timido uccellino iniziò a cantare, e mentre quello strazio imposto dall''uomo perdurava, lei si immaginò di essere un rosso colibrì che volava libero tra le fronde verdi degli alberi, senza impedimenti, senza costrizioni... e senza il suo papà che gli sfilava i vestiti.
Richiuse il libro e dovette socchiudere gli occhi innanzi alla scarica di immagini che le comparirono nella testa.
Le urla ovattate dalla grande e sporca mano di suo padre le pervasero le orecchie e si risentì i polsi incatenati tenacemente come all'epoca, tanto che per un attimo credette di non riuscire davvero più a muoverli. Era irrigidita allo spasmo e teneva gli occhi serrati, alla strenua ricerca di riportare equilibrio nella propria mente con qualche risultato appena soddisfacente..
Quando ebbe ripreso un minimo di controllo sulle proprie sinapsi riaprì le palpebre e vide che Eva, incassata nella poltrona e col tozzo corpo avvolto nell'opaco tessuro verde scuro, la stava fissando. E non come al solito, con qualche sentimento di derisione, di malcelata sopportazione o scherno: oh no, la norvegese abbassò tutte le proprie difese nel donare quello sguardo spento e dolce, materno quasi.
Ilona lo sigillò nella propria mente, mentre la gamba riprendeva a muoversi più frenetica di prima.
Nessuna disse nulla per molti secondi, nei quali la finlandese, oltre ad allentare la cerniera del pail che rischiava di soffocarla assieme al groppo alla gola che sentiva, rialzò il proprio sardonico muro.
“Tu non hai portato niente?” domandò poi a Eva, che ridacchiò prima di alzarsi dalla poltrona con un accenno di fatica e trascinarsi fino all'appendino di frassino incassato dietro la porta, prendere la propria enorme borsa nera e cavarne fuori un libro dalla copertina verde e rigida. Si risedette con uno schiocco delle molle della poltroncina.
Cinque più uno di Jeff Steffhord.”
Il libro presentava molteplici segnature, ottenute ripiegando l'angolo estremo della pagina. La norvegese aprì su uno di questi segni e prese a leggere col tono flemmatico che solo una paziente ed addestrata madre racconta-storie può possedere.
Si inchina davanti al crecefisso, tenendo stretto quel piccolo fagotto urlante, e prega. Prega per sé. Prega per il paese. Prega per il mondo. Prega per il marito. Prega per sua sorella. Prega per sua madre. Prega per Sarah. E poi fa un ultimo disperato appello per il piccino che stringe al seno. Ma il cielo è affollato e non sempre, lassù, riescono ad ascoltare tutto. Così anche lui muore.”
Chiuse con estrema lentezza il volume, poggiandosi poi un'angolo sulle labbra. Dopo pochi eterni secondi lo ripose nella borsa che ora giaceva al suo fianco e si levò gli occhialetti, prendendo a massaggiarsi il setto nasale tra pollice ed indice.
“Lui ti guarda ancora da lassù...” a parlare fu Ilona, con voce comprensiva, ma col solito volto austero e inviolato da qualsivoglia ruga d'espressione.
Eva sorrise stancamente dai suoi sessant'anni di polvere, prima di proclamare con tono concitato “Ci rivediamo qui tra un mese esatto, il sei di maggio. Arrivedervi care.” le congedò così, con un sorriso mezzo trattenuto e le tre tazze di thè che giacevano scopostamente sul tavolino, vuote e velate di zucchero.
La prima ad andarsene col suo passo legnoso e composto fu Cornelia, la svedese salutò brevemente prima di richiudersi la porta alle spalle.
Ilona ripose tutto nella tracolla che si gettò su una spalla, poi poggiò l'affusolata mano sulla maniglia. Ma ebbe un ripensamento, si voltò e disse “Non ti pare strano?”.
Eva rialzò lo sguardo che si era posato sulla trama cosunta del tappeto. “Cosa?”
“Che...” ma sembrò avere l'ennesimo ripensamento che la spinse a dire “Ci vediamo Eva.” sorridendo.
La norvegese ricambiò il saluto con un cenno del capo e poi Ilona scomparve.
Si alzò dalla poltrona, riordinò le tazze da tè, le portò nel bagno attiguo allo studio e le lavò, riponendole.
E mentre stava per togliere la puntina dal giradischi chiuse gli occhi e si inebriò ancora un poco del profumo di rose che permeava lo studio.

Note dell'Autrice.
Tale storia è nata per un concorso letterario del mio liceo ma non è mai stato presentato perchè ho decisamente sforato per il numero di parole ^^ l'ho riscritto in alcune parti e credo che così la narrazione risulti più scorrevole.

Koneko adorata, lo so che dedicarti un'original è un grosso azzardo, ma spero che tu l'apprezzi :) ti voglio bene *le spacca le ossa in un abbraccio*

Alla prossima!
g.
   
 
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