Dolce capolavoro
Sapeva che era una
cosa impossibile, disegnare ogni suo piccolo anfratto. Era troppo perfetto il
suo corpo, per essere trattenuto tutto dentro un foglio bianco, per quanto
grande fosse.
Eppure Elisa ci
provava, voleva riuscirci. Perché
quel corpo, quelle forme eleganti, quelle nudità si mostravano a lei nella sua
pura perfezione. La sua modella. Con fatica glielo aveva chiesto, a lei. Sapeva
quanto le dava fastidio, mettersi a nudo, in ogni sua forma.
Eppure ci era riuscita.
Quel giorno, lei aveva vinto.
E gli occhi scuri
scorrevano veloci tra la sua calda pelle e il freddo foglio, accarezzava quella
carne ogni volta e poi con un lieve tremore, solo nella mente, disegnava,
cercando di riprodurre la meraviglia che osservava da ormai mezz’ora.
Lei rimaneva ferma,
nella posizione che avevano predisposto, entrambe amanti dell’arte. Anche se in
forma diversa. Lei usava le mani, per modellare la sua arte. Elisa preferiva il
carboncino, la matita o, in alcuni casi, la penna.
Si passò la mano
veloce nei capelli, tenuti fortemente corti. Gli occhi volavano, passavano da
uno scenario ad un altro, dal divano di casa sua, a quello del disegno. Dalla
luce artificiale creata da una lampada e da quella immaginaria del foglio. Solo
una cosa era immutata nelle due: il battito accelerato di entrambe.
«Scusami, Artemiya,
potresti lievemente spostare il braccio? Esatto così. Adesso, sta ferma.» le
sue labbra che veloci parlano a lei, mormorare il suo nome la faceva
letteralmente impazzire. Non c’era bisogno di urlare, avrebbe fatto scappare
l’ispirazione da quel posto, da quella stanza, da quel divano… da quegli occhi verde prato.
E la modella,
completamente nuda sul divano, spostò la mano, cercando la posizione che la
pittrice voleva.
I capelli biondi si
mossero leggermente, cadendo ancora di più dalla schiena diafana. La luce, nel
buio di quella stanza dava un colore strano alla sua pelle, la rendeva più
scura, più morbida, più… calda.
Elisa non la
smetteva di mettere quel doppio senso nei suoi occhi, in quel momento, alle
nove passate, di notte, con solo una fetta di pizza nello stomaco, lei. Elisa
Santoro, artista in erba, negli occhi aveva due luci differenti: luce d’arte e
luce di passione.
Quando era venuta in
quella scuola prestigiosa si era prefissata di rimanere single e senza
distrazioni fino alla fine. Ma bastò il primo giorno di scuola per mandarli
entrambi in fumo.
Quando scorse lei,
Artemiya.
Un brivido corse giù
per la schiena e si fermò un secondo, ammirando il capolavoro che lentamente
stava nascendo davanti a lei, con le sue mani.
«A che punto siamo?»
chiese la ragazza sul divanino. Lo sguardo curioso, acceso.
«Manca poco.
Veramente.» e con quelle parole, riprese in mano il carboncino.
Ma seppe fin da
subito che non avrebbe avuto possibilità, troppi fustacchioni dai muscoli
pompati e dai capelli cotonati giravano intorno a lei, per poter sperare che la
osservasse. Così decise di parlarvi, di farsela amica e basta, di riferirle che
il suo amore per le donne era solo per l’arte, e non per la carne.
Quante bugie,
menzogne elaborò ogni giorno per lei.
Dolce donna che
lentamente rubò il capolavoro dentro il suo cuore, rendendola un’artista a
metà. Perché solo con lei di fianco vedeva la bellezza in ogni cosa, persino un
cestino dei rifiuti, con lei vicino sprizzava bellezza da ogni singola buccia
di banana marcia.
Frequentavano corsi
troppo differenti per poter fare i compiti insieme, ma almeno i giorni a fare
shopping, o a girare per la città erano abbastanza per Elisa.
Quando lei osservò
le sue mani modellare la cera e formare vasi, tazzine o sculture stupende, si
era immedesimata lei, in quei vasi. Essere accarezzata con tanto amore e
pazienza da quelle mani lunghe e delicate, mani da pianista ed artista.
Ma poi, un giorno,
tutto questo finì.
«Cos’hai, Elisa?» la
sua voce la destò dai suoi pensieri, che l’avevano fermata dal disegnare.
«Eh? No, niente…
stavo pensando… scusami.» e riprese a spingere la matita sul pezzo di carta.
Un nuovo tratto si
formò, e gli occhi scuri ritornarono concentrati. Spenti sì, ma concentrati.
«Mi sono messa con Edward!» urlò trionfante.
«Ah! Davvero?» mormorò Giulia, mentre Elisa
assimilava la notizia con dolore. Quel pomeriggio fuggì da loro, fingendo un
malore. Ma seppe, con assoluta certezza, che gli occhi di Artemiya si
colorarono dolcemente di dolore, mentre lei scappava in lacrime.
«Elisa, smettila di
disegnare, se ti senti stanca.» mormorò poi la modella, accennando ad alzarsi.
«Non muoverti di lì!
Finirò questo disegno, e non c’è stanchezza che tenga!» detto quello riprese a
disegnare con più foga, mettendoci del finto impegno. Ma lo sapeva, lo sapeva, che lei, in quel foglio, non
ci sarebbe mai entrata. Almeno non completamente.
Gli sarebbe mancato
il pezzo più importante, quello di cui tutti gli artisti hanno bisogno: il cuore.
«Sai, mi sono
lasciata con Edward.» la ragazza bionda lanciò la bomba in mezzo al campo,
sperando che Elisa non si ferisse troppo nello scoppio. Sapeva gli sguardi che
gli lanciava. Sapeva tutto. Ma non
aveva il coraggio di parlarne.
«Ah… davvero? Come
mai? Non eri felice, con lui?» domande, domande, domande. Quello che farebbe
un’amica curiosa, un’amica pettegola… un’amica
e niente più.
«Mi sono accorta di
non amarlo affatto… anzi, mi sono accorta di non amarli affatto…» mormorò poi,
aspettando che la curiosità di lei predominasse la sua frase.
«Di non amare
affatto chi?» chiese Elisa innocente, continuando il disegno rapita. Non capiva
dove l’amica volesse andare a parare, il disegno adesso aveva tutte le sue attenzioni, sia fisiche che mentali.
«… gli uomini.» e il
silenzio divenne tomba. Soffocante. Deprimente. Doloroso. Pesante.
Fermò la matita a
mezz’aria, perché il disegno non fu più al centro di Elisa, perché adesso, al
centro, c’era lei.
Lei, che l’azzannava con dolci sguardi desiderosi.
Lei, lentamente mosse il dito a richiamarla.
Lei, che comandò il corpo di Elisa fino al divano, abbandonando la matita
sul treppiedi.
Lei, che sapeva di rose e lillà.
Lei, che modellava il corpo di Elisa.
Lei, che in quel disegno adesso ci poteva entrare.
Con ogni fibra del corpo e dell’anima.