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Autore: Mizar19    07/09/2010    7 recensioni
Analizziamo un campionario di ragazzi un po' fuori dal comune. Per fare ciò, occorre sottoporli ad uno stress psicofisico piuttosto consistente e cosa meglio dell'orale per superare il debito di latino?
Tratto da una storia vera: [...]Tutti e sei si voltarono di scatto verso l’ingresso. Dietro ad una pila, sbucava un cranio rotondo e glabro. Il professore di latino se la rideva osservando i suoi alunni, che parevano aver completamente perso il lume della ragione. Ognuno dava sfogo alla tensione nel modo che riteneva più opportuno e lui si stava divertendo come un matto, almeno finché non si accorsero di lui. Non riuscì a trattenere un’altra risata di fronte ai loro infantili volti sconvolti. [...]
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Hysteria'
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Un sentito ringraziamento a Emmaps3 per l'aiuto con gli anagrammi e a Kabubi, per gli anagrammi e il titolo (e perchè mi sopportano).


***


Lo, lo so, non dovrei essere qui a scrivere questa cosa. Ma non ho potuto resistere!

Tratto da una storia vera.

I nomi dei personaggi sono stati modificati per una questione di privacy.


Godetevela!

HYSTERIA

- In bocca al lupo –

- Crepi! –

Zoe corse giù per le scale: nonostante fosse il 27 agosto, alle 7 e mezza di mattina l’aria era ancora frizzante e lei si stringeva nella sua felpa.

Si avventurò nell’interrato, cercando con mani tremanti la chiave per aprire la porta basculante. Questa no... nemmeno questa... ma dove c... eccola! Era talmente tesa, talmente nervosa, che faticò ad inserirla nella serratura, provocando più volte un fastidioso stridio contro la lamiera.

Quando finalmente riuscì ad entrare nel garage, sospirò profondamente e sentì le gambe cederle. Si aggrappò al polveroso armadio. Non sto andando al patibolo, insomma! Ma che dico?! Mi bocceranno, porca miseria!

Arrancando fra il vecchio ciarpame accatastato, inciampando nella bicicletta, raggiunse la portiera della Matiz blu elettrico. Dopo aver trovato la chiave (e fu un’impresa titanica dato il tremore alle mani) e averla inserita correttamente nella fessura al terzo tentativo, con uno scatto le portiere si sbloccarono. Lanciò lo zaino sul sedile posteriore e si sedette al suo posto.

Tentando di farsi forza, inserì la chiave e la macchina si accese. Bene, fin qui ci siamo. Potrei andarmi a schiantare tanto sono nervosa! Mentre questi pensieri l’assalivano, inserì la retromarcia. La macchina si spense con un sussulto.

- Porca ... ! Il freno a mano! Okay, ora calma, Zoe, respira. Rilassati. Dobbiamo arrivare a scuola intere, altrimenti è la fine. Andrà tutto bene, sì. Senz’altro. L’importante è esserne convinti... –

Continuando con il suo soliloquio, riuscì ad uscire dal garage e a risalire la rampa senza schiantarsi contro il muro. Notevole punto a suo favore.

Per allentare l’atmosfera tesa come gli elastici che avevano usato durante la preparazione atletica, decise che era il caso di accendere l’autoradio. Forse canticchiare Guccini l’avrebbe tranquillizzata. Il mangianastri gracchiò, poi la cassetta iniziò.

- Piccola città, bastardo posto, appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via...

Sì, canticchiare la faceva sentire meno sola, accantonando per una manciata di minuti l’ansia. Per intercessione divina, la macchina non si spense mentre s’immetteva nella strada, dato che aveva inserito la terza anziché la prima. Con alcuni singulti e sonore proteste, la macchina ripartì.

Percorse il corso principale mantenendo la velocità costante sui 30 chilometri all’ora: le tremavano le mani sul volante e le gambe che premevano sui pedali, inoltre non era del tutto certa di essere nel pieno possesso della sua solitamente ottima reattività, quindi non si arrischiava ad accelerare. In fondo, erano solo le sette e mezza del mattino e il paese era praticamente deserto.

Dopo qualche minuto arrivò all’ultima rotonda prima di dover imboccare la via che l’avrebbe portata a scuola. Iniziarono a sudarle le mani e un fastidioso crampo le attanagliò l’intestino. Mentre il suo stomaco strillava sinistra, gira a sinistra!-  inserì la freccia e svoltò a destra, rallentando progressivamente fino ai 15 all’ora.

Temporeggiare non ti servirà, si ripeteva. Ma il suo cervello era andato in corto circuito. Temendo di aver anche perduto tutte le nozioni relative alla grammatica latina, iniziò un forsennato elenco di tutte le particelle e gli antecedenti possibili e immaginabili. Incurante della musica a tutto volume proveniente dall’autoradio, borbottava la sua litania.

Quando svoltò nella strada piastrellata di porfido dietro alla scuola, il panico l’assalì. Nello stesso momento vide un parcheggio gratis e senza disco orario! Così ci si fiondò. Nella foga si era inserita male, con le ruote posteriori praticamente in mezzo alla strada. Okay, ci sono. Zoe, siamo qua. Ora raddrizzo ‘sta carretta e andiamo al liceo!

Ridacchiando istericamente, inserì la retromarcia. Il parcheggio era leggermente in salita e, a causa della tensione, le si spense per ben tre volte la macchina prima di riuscire a farla entrare correttamente nel rettangolo bianco. Si riappropriò dello zaino, coricato sul sedile posteriore, per poi estrarne faticosamente un libro dalla copertina blu e verde: la grammatica latina. Richiuse con uno scatto lo zaino, poi, al quarto tentativo, chiuse anche la macchina e si avviò verso la scuola. Mancavano venticinque minuti alle otto.

Quando giunse sulla piazzetta, si appostò davanti al teatro adiacente la sua scuola per osservare la situazione e scorse tre figure davanti al vecchio portone di legno. Li riconobbe senza sforzo: la testa riccia non poteva appartenere ad altri se non a Lia; la voce cavernosa e quella matassa di capelli spettinati erano senz’altro di Filippo; l’alta ed esile ragazza dai lunghi capelli neri era Lara. Tre dei suoi otto compagni che sarebbero andati assieme a lei all’appuntamento con il fato.

- Sto diventando melodrammatica... – borbottò, avvicinandosi al trio.

- Ciao –

- Ehi –

- Ciao –

Un saluto caloroso. Era tutti nervosi, tutti con il loro libro di grammatica stretto al petto, sperando forse che, per osmosi, il sapere si sarebbe trasmesso a loro.

- Entriamo? –

Qualcuno citofonò. Zoe era troppo occupata a reggersi sulle tremanti ginocchia per prestare attenzione ai dettagli. Si limitò a superare la porta che Lia le teneva spalancata, borbottando un grazie stentato. Il portico era deserto, così i quattro ragazzi si avventurarono nel chiostro, per godere della suggestiva vista del giardino. Rimasero a fissarsi qualche secondo, interdetti, indecisi sul da farsi. Darsela a gambe era l’opzione più accreditata.

Ieri mi sembra di averla fatta bene la versione... e poi di orale me la sono sempre cavata con dei bei voti! Devo stare tranquilla, sì, perché se inizio ad iperventilare è la fine... Perfetto, mi sento la tachicardia. Ho i sudori freddi, ora svengo. Si sedette su una panchina di legno che, molto probabilmente, aveva più anni di lei.

Lara prese posto alla sua sinistra, sfilando dallo zaino anche il libro di letteratura latina: quando si era resa conto che ormai il debito in latino era irrimediabile, aveva smesso di studiare anche la letteratura, per potersi concentrare su matematica, che era riuscita a recuperare. Ora, però, le toccava essere interrogata non solo sulla grammatica, ma anche sugli autori.

Zoe si strinse le ginocchia al petto, poggiandovi sopra il mento, socchiudendo gli occhi e focalizzando ogni sua energia nel latino.

- Gli antecedenti nelle consecutive! – saltò su improvvisamente, mentre le sue pupille si dilatavano.

Poi iniziò a dondolare avanti e indietro, convulsamente. Dalle sue labbra appena dischiuse, un borbottio prendeva forma: ita, sic, adeo, talis...

Lia aveva lanciato lo zainetto in un angolo del polveroso chiostro e, grammatica latina sempre stretta al petto, iniziò a marciare avanti e indietro lungo il chiostro, come una sentinella, gli occhi fissi di fronte a sé, spalancanti all’inverosimile. Gli occhi di Lia erano normalmente piuttosto grandi e rotondi, ma ora sembrava una rana assatanata. Anche lei era assorta nel suo ripasso. Periodo ipotetico indipendente del primo tipo: nell’apodosi troviamo tutti i modi, nella protasi l’indicativo. O il congiuntivo per l’eventualità. Periodo ipotetico indipendente del secondo tipo: nell’apodosi...

Filippo era il più nervoso di tutti: come Lia, dopo l’interrogazione di latino avrebbe avuto la prova scritta di matematica, ma quest’anno non era andato troppo bene a scuola e temeva seriamente di dover ripetere la seconda liceo.  Quindi dava sfogo alle preoccupazioni represse urlando oscenità in inglese, scuotendo il capo e dando calci agli zaini delle sue compagne di classe. Doveva sfogare non solo la tensione, ma anche la rabbia.

- Filippo! – strillò Lia, gli occhi iniettati di sangue. Le aveva fatto cadere la grammatica e ci stava giocando a calcio, manco fosse stato un pallone, correndo per il chiostro.

- Smettetela! – guaì Zoe, assorta nel furioso ripasso dell’ultimo minuto delle proposizioni temporali.

Lara, ancora seduta accanto a lei, aveva gli occhi serrati, la fronte corrucciata e si premeva i palmi delle mani contro le orecchie. Le sue labbra si muovevano, ma non emetteva alcun suono. Da quei movimenti, Zoe dedusse che stesse mettendo a confronto la poetica di Tibullo con quella di Properzio, poiché le parve di captare le parole “domina” e “servitium amoris”.

Lia recuperò la il suo tesoro, per poi tornare a piantonare il chiostro, a ritmo di periodo ipotetico dipendente con apodosi all’infinito. Le sue scarpe azzurre producevano solo un leggero fruscio sull’antica pietra con cui era lastricato il pavimento del porticato.

Improvvisamente, un nuovo rumore si unì a quelli già presenti: un ticchettio.

Toc-toc-tac-toc-toc.

Poi un sussurrò. Omnis, omnis, omni, omnem...

Lara non si era accorta di nulla, immobilizzata nella sua posa non vedo, non sento, non parlo. Gli altri, invece, allarmati, rimasero di pietra nella posizione in cui quel suono li aveva raggiunti.

Ed ecco spuntare improvvisamente da dietro una pilastro di pietra Renata: i capelli castani sciolti sulle spalle, una lunga maglia bianca, tracolla di cuoio, nessun libro di grammatica!, pantacollant neri e, ai piedi, fonte di tanto rumore, un paio di paperine bianche con un tacco di due centimetri.

Toc-toc-tac.

Non riuscivano a capire cosa stesse facendo, le mani nascoste dietro la schiena, lo sguardo vacuo, mentre, con i piedi, teneva il ritmo della sua litania.

- Omnes, omnium, omnibus, omnes, omnes, omnibus –

- Rena? – mormorarono in coro, timorosi.

- Sh! – replicò lei, seccata. Poi voltò loro le spalle e iniziò a saltellare, scandendo con il rumore delle sue ballerine la declinazione di omnis. Lia la guardava stralunata: si era appena resa conto che lei aveva confuso quell’omni della versione, considerandolo un dativo quando invece era un ablativo! E non aveva ripassato la declinazione!

- Rena! Vieni qui! – l’assalì con foga, afferrandole le spalle con forza.

- E’ dalle sei di sta mattina che vado in giro così! Non mi interrompere ora! – protestò lei.

- No! Mi devi aiutare, hai capito?! È questione di vita o di morte, Rena! – strillò Lia, gli occhi sempre più spalancati. Si gettò ai suoi piedi, stringendole le ginocchia, continuando a supplicarla con voce lacrimosa.

- Va bene, va bene! –

- Oh sì, grazie, grazie! – cinguettò rialzandosi e sfregandosi i jeans dove erano entrati in contatto con la pietra polverosa. Poi la sua espressione da cucciolo soddisfatto mutò in quella di un pitbull idrofobo. – Declinami ancora omnis, lentamente

- Omnis, omnis, omni, omnem, omnis, omni –

- Bene, ora il plurale – ringhiò, gli occhi ridotti ad avide fessure.

- Omnes, omnium, omnibus, omnes, omnes, omnibus –

- Anche il neutro –

- Lia, mi stai facendo paura – sussurrò Renata, arretrando di un passo.

- Il neutro – scandì Lia, sfoderando un ghigno sadico da far arrossire il Joker.

Mentre Renata veniva molestata da un’ipertesa Lia, Lara aveva cambiato registro e stava surclassando tutti ripetendo a menadito le eccezioni più impensabili e assurde della grammatica latina. Zoe la ascoltava disperata: avrebbe voluto afferrarsi i capelli e strapparseli a ciocche. Ma dove le ha lette ‘ste cose?! Io non le ho manco viste! Zeus, Era, Atena, Cerere, Apollo, Artemide e Visnù, aiutatemi!

Una volta sottrattasi alle grinfie di Lia, Renata era tornata a declinare nomi e aggettivi, saltellando sulle sue scarpette rumorose e scandendo il ritmo dell’esposizione. Lia aveva ripreso d’assalto la sua grammatica, ormai ridotta un mucchio di carta straccia, sfogliandola con cieca ira. Filippo continuava ad imprecare con il suo raffinato slang americano, con la differenza che aveva smesso di dare calci alle cartelle dopo che Zoe l’aveva minacciato di azzannargli un polpaccio se avesse sfiorato nuovamente il suo zaino. Lara continuava a farsi bella con regole note solamente a lei, cosa che faceva montare in Lia un nervoso e una rabbia tali che avrebbe potuto trasformarsi in Hulk senza bisogno di radiazioni.

- ‘Fanculo! –

Quell’esclamazione, piuttosto colorita per appartenere ad un insegnante, attirò la loro attenzione.

Ognuno allungò il proprio collo verso il portone, curioso di scoprire chi fosse appena entrato, nonostante si fossero fatti già una mezza idea. Infatti, le loro aspettative non vennero deluse: una ragazza alta, molto alta, con i lunghi capelli castani legati in una stretta coda alta, pantaloni neri alla zuava (acquistati da sua zia in Afghanistan) e una sformata maglia verde. Insomma, Roberta.

- Abbassa la voce! – sibilò Lia, osservandosi rapida attorno.

- Via dalle balle! Ora qualcuno muove quel suo cazzo di culo e mi spiega cosa minchia è una fottuta relativa improria! – sbraitò Roberta, lanciando lo zaino per terra.

- Roberta, calmati. E’ semplicemente una relativa al congiuntivo che assume valore circostanziale – rispose Lia con voce suadente, sbattendo le lunghe ciglia colorate di viola.

Roberta la fissò alcuni secondi, esitando, incerta se spaccarle subito la testa contro il muro oppure ucciderla con qualche ingegnosa ed efficace tortura cinese.

- Ma che cazzo di minchia è il valore circostanziale?! Fanculo, Lia, fanculo! Te e il tuo mascara del cazzo! –

- Roberta, ma ti sei rincoglionita?! –, Lara le scoccò un’occhiata altezzosa, per poi continuare con tono saccente – Valore circostanziale, significa che assume una sfumatura finale, consecutiva, causale, condizionale, concessiva, limitativa o avversativa –

- E come cazzo faccio a sapere quando è finale e quando è limitativa?! – s’inalberò Roberta.

- Lo desumi dal contesto –

- Ma è ‘sta stronzata qua?! -, Roberta osservò i loro volti in attesa di conferma. Tutti annuirono.

- Ma vaffanculo! –

Con quell’ultima, toccante espressione si unì a Filippo nel suo errare imprecando come un vero gangsta.

Ognuno ritornò alla sua isterica occupazione: chi ricopriva il ruolo di sentinella, chi ripeteva yo allo sfinimento, chi, invece, si dondolava avanti e indietro strappandosi i capelli, ripetendo le particelle che fanno perdere le ali ad aliquis, chi teneva il ritmo con i tacchi sulla pietra.

- Yo, yo, bro! –

- Omnia, omnium, omnibus, omnia, omnia, omnibus  -

- Aliquis perde le ali quando ci sono ut, ubi, quo, cum, nisi, sive, num, an... –

- Periodo ipotetico dipendente del terzo tipo con apodosi al congiuntivo... –

- Hey, nigga, hey! -

- Nelle poesie elegiache, i veri nomi delle donne cantate erano sostituiti con soprannomi aventi uguale lettura metrica, ad esempio... –

In quel momento si udì una risatina.

Tutti e sei si voltarono di scatto verso l’ingresso. Dietro ad una pila, sbucava un cranio rotondo e glabro. Il professore di latino se la rideva osservando i suoi alunni, che parevano aver completamente perso il lume della ragione. Ognuno dava sfogo alla tensione nel modo che riteneva più opportuno e lui si stava divertendo come un matto, almeno finchè non si accorsero di lui. Non riuscì a trattenere un’altra risata di fronte ai loro infantili volti sconvolti.

- Fra cinque minuti di sopra –

Si schiarì la gola, riacquistando contegno, si sistemò la cravatta e salì le vecchie scale consumate ridendo.

Dodici occhi, in cui si leggevano tutte le sfumature del terrore, si puntarono sul retro della sua camicia e lo seguirono al piano superiore.

- Boia faus! – sibilò Roberta, dando un pugno all’aria fredda del chiostro.  Una moderata esclamazione, che stupì gli astanti.

- Che succede? – pigolò Beatrice, appena arrivata. I dodici occhi terrorizzati si puntarono su di lei, che indietreggiò. Beatrice non era particolarmente amata, in quanto esponente piuttosto in vista del Lato Oscuro della classe.

- Ci vuole di sopra – rispose Lara, sbrigativa, raccogliendo i suoi appunti sparsi per tutto il chiostro.

- Cazzo, cazzo, cazzo... quello è un fottuto bastardo, ora ci fa la festa, me lo sento.. quello stronzo... -

- Yeah, c’mon bitch! –

Filippo afferrò Lia per un braccio, iniziando a trascinarla verso le scale. Lia, che già era tesa all’ennesima potenza, scoppiò in una risata isterica, tentando di mordergli il braccio, che lui ritrasse prontamente.

- Scappa, scappa! – strillò Lia, inveendo contro le scale ormai vuote.

Zoe chiudeva la fila, reggendosi a stento sulle gambe. Se fino ad ora era stata assalita da brividi e sudore freddo, ora si sentiva avvampare. Non può essere la menopausa... maledetto stress! Si sfilò la felpa, rimanendo in canottiera. Verde acido, un bel colore. Come la bile che fra un po’ vomiterò. Assalita da un capogiro si aggrappò al corrimano. Non era mai stata tanto terrorizzata in vita sua: era il primo anno (e anche l’ultimo, perché se l’anno successivo avesse avuto un’insufficienza non sarebbe stata ammessa all’esame) che prendeva un debito. Non aveva idea di cosa sarebbe successo, dato che nessuno si era degnato di illuminarla decentemente.

Così, ora, era sprofondata nel suo baratro di disperazione interiore.

Si raggrupparono tremanti di fronte alla porta della segreteria, dove era entrato poc’anzi il professore, mettendo in atto la loro migliore formazione a testuggine, per proteggersi a vicenda. L’istinto di sopravvivenza prevaleva sulle ostilità.

- C’è già il professore? – sussurrò una testa riccia e castana, appena sbucata dalla cime delle scale.

- Tom! Minchione! Mancano tre minuti alle otto, che strano, sei in anticipo! – ironizzò Filippo, dandogli una poderosa pacca sulla spalla. Tom squittì.

- E’ lì, è lì, è lì! – sussurrò concitata Lia, indicando la segreteria, nascosta dietro la schiena di Renata.

- Ci ha già comunicato l’ordine? O andiamo in ordine alfabetico? – domandò Tom, lasciando cadere la cartella. Era il più rilassato di tutti: continuava a sostenere la tesi secondo la quale nessuno sarebbe stato bocciato. Nessuno, oltre a lui ci credeva, nonostante Zoe, in cuor suo, sperasse per il meglio: si era sempre impegnata moltissimo per tutto l’anno, raggiungendo ottimi risultati in ogni materia, tranne il latino. Non sarebbe stato giusto bocciarla per una sola insufficienza, un cinque!, tenendo conto che la media complessiva era molto vicina all’otto. Zoe si crogiolava in questo pensiero, sua unica speranza e forza con cui opporsi al terrore dell’esame.

- Non ha ancora detto nulla... –

- Ragazzi! Che bello rivedervi –, il professore sfoderò il suo migliore sorriso sadico, portandosi in mezzo ai suoi studenti. La formazione a testuggine fallì.

Rimase per alcuni secondi in silenzio, il sorriso sempre stampato sul volto, osservandoli attentamente: Tom pareva il più tranquillo di tutti; gli occhi di Filippo erano inquieti; Renata si stava ventilando con una mano, che le tremava sensibilmente; Lara si mordeva le unghie; Lia si grattava le sopracciglia, portandosele via; Zoe era pallida come un cencio; Roberta spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra; Beatrice tentava di farsi più piccola di quanto già non fosse per evitare di attirare troppo l’attenzione. Erano così carini!

- Potrebbe, per favore, comunicarci l’ordine in cui dobbiamo andare a morire? – gli domandò Lia ridacchiando, sull’orlo di una crisi isterica.

- Sì. Ho un criterio tutto mio in testa... non so se lo capirete. Però voglio... vediamo un po’... – tornò a scrutarli con gli occhi, passandoli in rassegna singolarmente.

- Prima Renata, poi Zoe, Lia e Beatrice; poi può venire Filippo e, infine, Roberta e Tom. Per ultima, ovviamente, Lara che mi deve raccontare qualcosa anche di letteratura, vero?  -

La ragazza mora annuì, piuttosto convinta.

- Perfetto, ora mettetevi da qualche parte. Vengo io a chiamarvi –

Si allontanarono lungo il corridoio, il più distante possibile dalla sezione nella quale si sarebbe decisa la loro sorte. Si sedettero in cerchio, gli appunti sparsi nel mezzo, fogli e libri sparpagliati ovunque.

- Meno male che passo per prima! Meno male! – stava esultando Renata, che aveva smesso di saltellare e declinare omnis.

- Io non voglio andare per seconda! Ho paura – si lamentò Zoe. Si sentiva girare la testa, probabilmente un calo di zuccheri. Così si accasciò contro al gelido termosifone.

- Ti senti male? –

- Svengo – gemette, chiudendo gli occhi e assumendo un’espressione sofferente.

- Renata, prego! – la chiamò a gran voce il professore di latino, la cui pelata scintillava persino a quella distanza.

Renata si alzò in piedi: aveva completamente abbandonato ogni timore, ogni ansia. Era pronta, decisa e tenace: avrebbe vinto lei quella battaglia.

- Amici miei, se non dovessi fare ritorno a questi lidi, sappiate che vi ho voluto bene – disse con tono da scadente soap opera, portandosi una mano alla fronte.

- In bocca al lupo, Rena! –

- Amici miei, ora percorrerò il mio miglio verde. Ho un appuntamento con il destino –

Così dicendo s’avviò lungo il corridoio, incedendo con fare drammatico, mentre Lia le cantava la colonna sonora, aiutandosi con eleganti gesti delle mani.

Giunta alla fine del corridoio, Renata sparì oltre una porta arancione. E di lei non si seppe più nulla.

No, non vero. Uscì tre minuti dopo, esultando come un ultras allo stadio che ha appena assistito alla vittoria della sua squadra, le braccia al cielo, i pugni a fendere l’aria.

- What the fuck?! –

- Allora, come è andata?! – un mormorio concitato si levò dai ragazzi seduti sulle piastrelle.

- Sei! Ho preso sei della versione! –

- E cosa ti ha chiesto? –

- Nulla! Solo di fare una firma e i compiti assegnati –

Si puntellò un fianco con il braccio, mentre con la mano libera si scostava i capelli a mo’ di diva del cinema.

- Ciao bambocci, io torno a casa! -, così dicendo si avviò all’uscita, lasciando gli altri interdetti ad osservare le sue anche ondeggianti sparire oltre la scala.

Zoe si alzò, tremando. Altro che sicurezza e tenacia: avrebbe voluto darsela a gambe il più rapidamente possibile! Ma il destino incombeva anche per lei.

- Ragazzi, pensatemi intensamente –

- Con il corpo e con la mente... – canticchiò Lia.

- Voglio una colonna sonora più drammatica! – protestò Zoe.

Lia eseguì e Zoe, testa bassa e grammatica latina stretta al petto, raggiunse la fantomatica aula delle interrogazioni. Sporse la testa quel tanto da permetterle di vedere il professore seduto in mezzo alla stanza, circondati da biro e fogli.

- Buongiorno – esalò, quasi afona.

- Ciao, Zoe –

Eccolo, il sorriso dello squalo.

Zoe produsse un anomalo squittio. Era impaziente di vedere la sua versione: sapeva che l’aveva fatta abbastanza bene, però era terrorizzata. Non poteva aver fatto l’ennesima, orrenda versione, non dopo tutto il lavoro che aveva fatto durante l’estate.

- Questa è la tua versione –

Il professore le spinse sotto al naso un foglio protocollo. Voltato al contrario.

Zoe digrignò i denti, reprimendo l’istinto omicida che stava colmando le sue membra. Posò due dita tremanti sull’angolo destro del foglio.

- Posso? – domandò, mimando l’atto di girare il foglio.

- Pensavo avessi imparato a leggere attraverso la carta – ironizzò lui.

Al secondo tentativo, riuscì ad afferrare l’angolo di carta e a trattenerlo fra le dita. Voltò il protocollo con uno scatto del polso. Per alcuni istanti, le parve di annegare in un mare di righe e inchiostro nero, confusa dal candore della pagina. Quando riuscì a mettere a fuoco la parte superiore del foglio, notò un piccolo sei scarabocchiato nell’angolo.

Si lasciò sfuggire un sussulto. È fatta!

Il professore le mostrò gli errori che aveva fatto, mentre lei annuiva accondiscendente. Era troppo euforica per poter recepire anche solo mezza parola. – E qui, mi sei caduta su una cosa stupida! – la rimproverò il professore.

- Sì, ha ragione. Ha ragione –

Era fatta. Zoe era in una dimensione estatica molto lontana da quell’aula, dal professore e dal mondo intero: davanti alle sue pupille danzava una schiera di elefanti rosa in calzamaglia e tante stelline vorticavano furiose attorno al cranio glabro del suo interlocutore, assieme a pianeti vari con rispettivi sistemi satellitari.

Quando una melanzana dai colori dell’arcobaleno le strizzò l’occhiolino, si risvegliò dall’allucinazione.

- I compiti, Zoe. Mi dai i compiti? –

- Sì, mi scusi. Subito –

Gli consegnò il plico di fogli. Poi rimase in attesa di istruzioni.

Il professore fissava il foglio che aveva fra le mani, in silenzio. Lei si schiarì la gola.

- Ehm... posso andare? –

- Non so, fai tu –

Zoe arrossì, tossicchiando ancora.

- Vuoi prendere la residenza? Ho altra gente da interrogare! -,la scacciò ridendo dall’aula.

- Ehm... allora... grazie. E arrivederci! –

Zoe scappò dalla stanza con un enorme sorriso ad illuminarle il viso. Tutta radiosa e gioconda, ripercorse al contrario il miglio verde, fino a raggiungere i suoi amici.

- Lia, è il tuo turno – le ricordò con tono soddisfatto.

- Allora?! –

- Ho preso sei! E nemmeno a me ha chiesto nulla! –

- Epico! –

- Lia, aspetta! –

Le era caduto il pesce che le raccoglieva i morbidi boccoli castani. Ma ormai lei era dall’altra parte del corridoio.

Zoe si sedette nuovamente nel cerchio.

- Non te ne vai? –

- No, voglio godermi lo spettacolo – ridacchiò compiaciuta, notando solo ora quanto fossero divertenti i suoi amici in situazioni di stress. Si stiracchiò, appoggiandosi al muro, decisamente più rilassata.

- Sei una merda! –

Sì, sarebbe venuto fuori un racconto davvero divertente!

***

Fatemi sapere cosa pensate di questo fatterello! 

A presto, 

Mizar

   
 
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