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Autore: ChelseaH    07/09/2010    3 recensioni
A Dougie piaceva quando era Harry a vezzeggiarlo e coccolarlo.
Era bello sapere di avere al proprio fianco qualcuno che lo capiva così bene e che sapeva sempre cosa fare per fargli tornare il sorriso sulle labbra, e difatti ora lui stava sorridendo. Era un sorriso timido e appena accennato ma sarebbe stato un sorrisone se non fossero stati in uno studio radiofonico nel bel mezzo di un’intervista e con una videocamera puntata in faccia. Ogni tanto temeva che la gente potesse leggergli in volto ciò che gli passava per la testa, che potesse leggergli negli occhi ciò che provava.
Per Harry.

[PUDD]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dougie Poynter, Harry Judd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Make a wish Dougie Poynter.


3. Esprimi un desiderio Dougie Poynter.

[#3. Desiderio svelato.]

Dougie non vedeva Harry da tre o quattro giorni, forse cinque, non era stato a contarli.

Avevano avuto una piccola pausa fra la promozione radio in Inghilterra e quella in Irlanda e Harry se n’era scappato in campagna, lontano dalla civiltà, dagli impegni mondani e da lui.

Con Izzy.

Anche Tom era andato via per qualche giorno dal caos cittadino, ma Tom non gli aveva sbattuto in faccia una dichiarazione d’amore in pieno stile vittoriano l’ultima volta che si erano visti.

Ok, forse quella di Harry non era stata esattamente una dichiarazione d’amore in pieno stile vittoriano, forse non era stata nemmeno una dichiarazione d’amore ma il messaggio che gli aveva passato era quello, ne era sicuro oltre ogni dire.

Aveva visto l’espressione negli occhi di Harry, l’aveva vista e riconosciuta perché era la stessa che c’era sempre nei propri di occhi, quando c’era il batterista di mezzo. E poi tutta quella storia della convivenza, la sua gelosia nei confronti di Frankie... ok, forse quello di Harry era stato un ragionamento spinto dalla logica e non dalla gelosia, ma in fondo aveva potuto assaporare una punta di discontento nella voce dell’amico mentre gli faceva la predica sull’amore e gli impegni che esso comportava. E poi se n’era andato in vacanza con Izzy nel bel mezzo del nulla, lasciandolo solo con Danny, Georgia – la ragazza del chitarrista –, Frankie e le uscite a quattro.

Il tutto mentre rimuginava sulla dichiarazione d’amore che tale non era stata ma che allo stesso tempo era stata esattamente quello, una dichiarazione d’amore.

“Ho la testa che mi scoppia.” si lamentò mentre erano in coda per fare check-in all’aeroporto di Londra.

“Pensa di meno.” ridacchiò Danny, senza nemmeno avere idea di quanto la sua battuta di basso livello si avvicinasse alla realtà. Aveva mal di testa perché tutto quel ragionare su Harry gli stava fondendo ogni rimasuglio di neurone che ancora aveva nella scatola cranica.

“Doug, dov’è Harry?” gli chiese Tom guardando per l’ennesima volta in mezzo minuto l’orologio.

“E io che ne so?” mugugnò il bassista, non era certo colpa sua se Harry non era ancora arrivato e loro dovevano fare check-in.

“Lascialo in pace povero Poynter, è troppo impegnato a pensare.” lo prese di nuovo in giro Danny, lasciandosi andare a una delle sue risate sguaiate che fecero girare mezzo aeroporto verso di loro.

“Qualcuno di voi ha sentito Judd nelle ultime ore?” insistette Tom, ignorandolo.

“Arriverà, rilassati.” Danny gli diede una pacca sulla spalla, mentre Tom lanciava uno sguardo interrogativo in direzione di Dougie che scrollò la testa irritato.

No, non aveva sentito Judd nelle ultime ore.

Non lo aveva sentito per nulla negli ultimi giorni.

Per quel che lo riguardava poteva benissimo essersi perso in una qualche palude non bonificata, possibilmente portando sul fondo anche la sua preziosa Izzy che non amava e con la quale non aveva intenzione di passare il resto dei suoi giorni perché in realtà amava qualcun altro. Ma dato che non credeva di poter avere al proprio fianco questo qualcun altro, era evidente che aveva optato per l’ignorarlo del tutto.

“Facciamo noi check-in per lui, che problema c’è?” propose Danny.

“Serve la sua carta d’identità.” sbuffò Tom.

“Fatelo per me, grazie.” disse in tono ancor più lamentoso di prima Dougie, allungando la propria carta d’identità a Danny e andandosene prima che qualcuno potesse obbiettare.

Si allontanò dall’area dei check-in e si lasciò cadere seduto appoggiato al primo muro che trovò. La testa gli scoppiava sul serio e quello che era peggio era che più meditava sui misfatti del batterista e più il dolore aumentava, dannato Harold Judd.

“Cosa ci fai steso lì in terra?” chiese la voce di Harry e alzando lo sguardo Dougie lo vide che lo osservava con fare scettico.

“Gli altri ti aspettano per fare check-in.” gli disse allungando un braccio verso la fila nella quale si trovavano Danny e Tom.

“E tu non fai check-in?” domandò Harry sempre più perplesso.

“Ti aspettano.” ripeté lui, riabbassando lo sguardo e concentrandosi sul suo mal di testa mentre Harry finalmente si degnava di andare a fare il suo dovere.

Peccato che un minuto dopo fosse già di ritorno.

“Che cos’hai?” chiese sedendosi di fianco a lui.

“Devi fare check-in.” insistette Dougie.

“Ho lasciato i documenti a Tom, si può sapere che hai?”

“Mal di testa.” mugugnò lui.

Harry allora gli posò una mano prima sulla fronte e poi su una guancia, preoccupato.

“Non sembri caldo.” disse rincuorato.

“Non sto male, ho solo mal di testa.” ripeté Dougie, che non aveva alcuna intenzione di dare ulteriori spiegazioni alla causa prima dei suoi tormenti e malanni.

“Che hai fatto in questi giorni?” Harry decise di cambiare argomento e Dougie avrebbe preferito rimanere fermo al mal di testa e alla febbre che non c’era.

“Lo sapresti se ti fossi degnato di farti sentire.” sbottò, strisciando qualche centimetro lontano dall’amico come se quella distanza bastasse a levarselo di torno.

“Io-“

“Tu cosa?” lo interruppe il bassista.

“Ok, hai ragione, contento?” sospirò Harry.

“No, per niente.” così dicendo Dougie si alzò e tornò a fare la fila insieme ai compagni.


***


Harry aveva tanta voglia di sbattere la testa contro al muro e l’avrebbe fatto se non ci fossero stati troppi occhi indiscreti puntati su di lui e non fossero stati nel bel mezzo di una diretta radiofonica a Belfast. L’unica cosa che avrebbe voluto era parlare con Dougie, spiegargli perché non si era fatto sentire, chiarirsi e farlo smettere di tenergli il muso, perché era questo che il biondino stava facendo fin dal loro incontro in aeroporto.

Eppure quel giorno trovare un attimo di privacy pareva impossibile ed era irritante. Come se tutto questo non bastasse, nei pochi attimi in cui erano lontani da orecchie indiscrete, Danny si appiccicava a piovra a Dougie e lui non riusciva proprio a capire come mai di tutti i giorni di cui era composto un anno, il chitarrista avesse dovuto scegliere proprio quello per mettersi in mezzo.

“Tu e Dougie siete strani oggi.” osservò Tom sedendoglisi a fianco durante una pausa pubblicitaria. Lui non rispose, fece direttamente finta di non aver sentito e di non essersi assolutamente accorto di avere addosso lo sguardo indagatore dell’amico.

Era colpa di Dougie se lui si stava tormentando in quella maniera e il fatto che il biondo avesse ragione era un dettaglio insignificante.

Si era praticamente dichiarato l’ultima volta che erano rimasti da soli.

Si era dichiarato e nemmeno sapeva perché l’avesse fatto.

Non era stata una cosa pianificata e le parole gli erano uscite dalla bocca senza che potesse fare nulla per fermarle.

Certo non era stata una dichiarazione in piena regola, ma era sicuro che Dougie avesse afferrato il punto, ne era sicurissimo.

Ecco perché non si era fatto sentire, perché sapeva che la prossima volta che avessero parlato avrebbero dovuto affrontare l’argomento.

E aveva paura.

Non tanto paura di ciò che aveva detto a Dougie, sapeva che in ogni caso l’amico non l’avrebbe giudicato male né si sarebbe allontanato da lui, erano troppo legati l’uno all’altro perché qualcosa potesse separarli sul serio. Aveva paura di aver letto male l’espressione dei suoi occhi, aveva paura di aver frainteso. Di questo aveva paura.

Paura di aver passato un paio di giorni ad illudersi di essere ricambiato, paura che non fosse vero.

E Dougie non lo stava esattamente aiutando a far luce sui suoi dubbi e non lo avrebbe aiutato fino a quando non fosse riuscito a isolarlo dagli altri e a parlargli faccia a faccia, con franchezza.

L’occasione però pareva non arrivare mai, passavano da una radio all’altra senza sosta e quando Danny si degnava di staccarsi da Dougie, questo correva ad attaccarsi a Tom facendo bene attenzione a non rimanere mai solo con lui. La cosa iniziava a diventare frustrante, tanto più che sull’aereo del ritorno il bassista andò a sedersi di fianco a Danny facendogli capire chiaramente che non era assolutamente dell’umore per parlare. Quando atterrarono Dougie era ancora immerso nel suo mutismo e la cosa iniziava a farsi esasperante.

“Bene, ci vediamo nei prossimi giorni!” Tom disse ad Harry, dandogli una pacca sulla spalla come congedo mentre si avviavano verso il parcheggio dell’aeroporto.

“Veramente avrei bisogno di un passaggio.” tentò il batterista, ben sapendo che Dougie era in macchina con lui.

“Pensavo fossi qui con la tua macchina.” commentò Danny.

“No, sono venuto in taxi.” fece spallucce Harry mentre Dougie lo fissava incredulo.

“Ti porterei io ma vado dritto da Georgia.” così dicendo Danny li salutò e sparì verso la propria vettura.

“Non c’è problema per me.” disse Tom allegramente facendo cenno di seguirlo ai compagni rimasti.

“Non sei venuto in taxi.” borbottò Dougie stando attento a non farsi sentire da Tom che li precedeva.

“Sì invece. – fece di nuovo spallucce il batterista. – Puoi lasciarmi da Dougie, da lì in poi me la cavo da solo!” aggiunse, rivolto verso Tom.

Il bassista si limitò a scrollare la testa e in breve si ritrovarono scaricati di fronte a casa sua.

“Bene, ci sentiamo.” mugugnò Dougie avviandosi verso la porta.

Harry invece di andarsene lo seguì all’interno della casa e quando si furono richiusi la porta alle spalle Dougie scoppiò.

“Si può sapere cosa stai combinando? Lo so che hai la macchina all’aeroporto, lo capisco lontano kilometri quando dici una bugia!”

Harry avrebbe voluto dirgli mille cose ma tutti i discorsi che si era preparato nelle ore precedenti, improvvisamente gli sembravano privi di senso. Dougie meritava più di un semplice “ho avuto paura” e così, colto da un’ispirazione improvvisa, tirò fuori la propria fotocamera dallo zaino.

“Guarda.” gli disse andando a sedersi sul divano in salotto e Dougie, seppur di malavoglia, lo seguì senza dire nulla. Harry scorse le foto in fretta e poi gli porse la fotocamera.

“Cos’è?” chiese Dougie di fronte all’immagine che mostrava solo uno scorcio di cielo notturno.

“Era appena passata una stella cadente, proprio qui.” gli spiegò indicando la foto.

“E allora?”

“Ho espresso un desiderio.” gli disse con semplicità, ed era vero.

Stava fissando il cielo quella notte, quando una stella cadente l’aveva illuminato per un breve, brevissimo istante. E a lui era venuto spontaneo esprimere un desiderio e poi immortalare in una foto quel pezzo di cielo, sperando che ciò che aveva chiesto potesse avverarsi.

“Che cosa romantica.” replicò ironicamente Dougie, riferendosi probabilmente al fatto che con lui c’era Izzy.

“Ero solo, ero andato a fare una passeggiata. Ma non è questo il punto.”

“E qual è?”

“Esprimi un desiderio Dougie Poynter.” gli sussurrò.

Erano seduti così vicini che gli sembrava quasi di sentire il battito del cuore del biondo, poi si rese conto che era il suo di cuore a essergli improvvisamente balzato in gola.

“Perché?” Dougie si girò verso di lui e il muso che aveva tenuto per tutto quel tempo aveva lasciato il posto ad un’espressione di genuina confusione.

“Fallo e basta. Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio.”

Vide Dougie lanciare un’ultima occhiata alla foto e poi chiudere gli occhi.

Lo vide deglutire a fatica e sentì un nuovo battito affiancarsi a quello del proprio cuore impazzito. Quello di Dougie, stavolta ne era sicuro.

Non aspettò che il biondo riaprisse gli occhi.

Non aspettò di sentire che aveva espresso il suo desiderio.

Si avvicinò a lui e lo baciò, posando le proprie labbra sulle sue, sentendo che queste si schiudevano automaticamente, quasi non avessero aspettato altro per lungo tempo.

Le loro lingue si sfiorarono appena, quando Dougie si scostò impacciato, come se non sapesse quale fosse la mossa seguente da fare.

Ma stava sorridendo, Dougie gli stava sorridendo.

Ed era perfino arrossito.

“Cosa hai desiderato?” gli chiese.

“Q-questo...” gli rispose il biondo in sussurro, sfiorandosi le labbra con un dito.

“Anch’io.” ammise Harry, prima di attirarlo nuovamente a sé e fargli scoprire cosa venisse dopo.

   
 
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