- Un giorno
gliela farò vedere io a quel farabutto di George Smeat! Ha oltrepassato il limite della sopportazione
ma capirà, un giorno, di aver fatto il suo più grande errore…- Andrew serrò il pugno tanto da spezzare la matita con la
quale stava continuando il suo progetto: numeri, dodici e disegni si
soverchiavano uno sull’altro come in una grande battaglia di linee su di un
gigantesco foglio bianco.
- ….perché un giorno costruirai i più grandi e potenti robot del
mondo, dico giusto? – lo derise Matt continuando a
svolgere i compiti di matematica. Sì, era quello il suo più grande
sogno, costruire le più grandi macchine del mondo, ed essere il figlio di Nicholas Pride, uno dei più
importanti proprietari di industrie e società per la ricerca scientifica
finalizzata dalla creazione di modelli di macchine, strumenti ed anche case
supertecnologiche uniche al mondo, beh, si poteva dire una fortuna bella e
buona. Ma era anche una fonte di guai e di problemi per qualche verso: Andrew veniva deriso e accusato
regolarmente dalla gelosia di George Fish, un suo compagno di classe, nemico fin dalle
elementari, che continuava a ad attribuire la sua popolarità nella scuola, il
suo successo nei voti ma soprattutto con le ragazze, alla posizione sociale che
prendeva grazie alle opere di suo padre, non alle sue.
- Se tu non
fossi figlio di Nicholas Pride
nessuno di darebbe un solo sguardo, saresti più
insignificante dei vermi che strisciano per le strade, - gli aveva urlato
qualche minuto prima nel corridoio della scuola in mezzo a tutti gli studenti
paralizzati dallo stupore e dalla curiosità -.. e soprattutto Sarah Rogers non avrebbe sprecato ore preziose della sua vita con
te. Non sei nulla, Andrew, nulla. Sei solo un brutto
lurido…- ma non si seppe mai cos’era Andrew Pride poiché
le parole di George furono strozzate quando un ormai
conosciuto pugno gli colpì lo stomaco. La rabbia di Andrew aveva pagato un caro prezzo, come al solito: due
giorni di sospensione, il ché non lo avrebbero di certo fatto risaltare
positivamente sotto gli occhi inquisitori degli insegnanti di Harvard, la scuola dove aveva deciso di completare i suoi
studi dall’età di tre anni, quando suo padre gli aveva mostrato la ricchezza e
la potenza che avrebbe acquisito solamente scegliendo il college giusto. Spesso
aveva accennato a Yale, un
altro splendido college, ma ormai Andrew si era
innamorato di Harvard e, data la sua ostinazione e
ambizione, non avrebbe fatto che inseguire quel sogno finché non si sarebbe
esaudito. Ma tutto stava svanendo. Tutto stava
svanendo a causa di George Fish.
- Sì, Matt, quando vedrà cosa sono capace di
fare con le sole mie mani, non potrà che smettere di dar vita alle sue critiche
super infondate e si dovrà ingoiare la lingua, lì seduto su di una poltrona
inchiodato alla televisione dove vedrà sempre e costantemente la mia immagine
su notiziari, trasmissioni e conferenze. Sì, me lo immagino già lì
seduto con una due bottiglie di birra in mano, solo
come un cane e grasso come un maiale! – un sorriso maligno contorse il suo
volto con una lunga ferita.
- Ricordati,
però, che gli hai fregato la ragazza, è normale che se
la sia presa. Ammettilo, anche tu lo avresti fatto –
lo accusò Matt. Odiava quando
l’amico iniziava a desiderare il male di qualcun altro e a fantasticare sul
terribile destino di un conoscente, anche il meno importante. Non voleva che
diventasse un avaro, ostinato e crudele, riccone di Boston. Il tempo aveva
tramutato il suo carattere e questo li aveva allontanati un po’, ma Matt lo conosceva troppo bene, era oramai come un fratello
per lui e lo sarebbe rimasto per sempre e, come succede in tutti i rapporti tra
fratelli avrebbe dovuto accettare i suoi difetti il
meglio possibile, aiutandolo quando sarebbero divenuti una forma di ostacolo o
di rovina, ma senza mai rinnegarlo del tutto, senza cercare di tramutare la sua
personalità quando e come meglio gli piaceva e gli faceva comodo. Se no a cosa serve un amico?
Andrew si alzò da terrà
dove un momento prima era chino sul suo progetto e posò il suo sguardo su Matt, uno sguardo intenso e indagatore un poco seccato di
chi trattiene un moto di rabbia.
- Prima di tutto non è la sua ragazza: è da dieci
anni che la insegue senza successo, non aveva speranze e non le ha tuttora –
controbatté con lo sguardo di uno che ne sa più del diavolo, avvicinandosi a
scrutare il viso dell’amico - … e poi, da quando in qua, Matthew
Taylor, stai dalla parte di quel cane di George Fish? – sottolineò
l’ultima parola, per ridicolizzare quel cognome – Ti ricordo, - continuò – che
non si riferiva solo a me ma a tutti quelli come noi. Il fatto che i nostri
genitori si siano messi in società insieme, che ti piaccia o no, fa rientrare
anche te nella cerchia – spiegò senza smettere di fissarlo per un attimo.
“Cosa c’entra? Io non mi metto con tutte le ragazze della
scuola e non prendo a pugni e a calci i miei compagni. E poi se Fish avesse qualche motivo per odiarmi
sarebbe per il semplice fatto che sono tuo amico. Non c’entra il cognome” avrebbe voluto replicare Matt per tutta
risposta, ma aveva capito che avrebbe peggiorato la sua situazione dilungando
ancora di più quel dialogo.
Decise invece di accendere la televisione per distogliere
l’attenzione di Andrew dal
suo viso, intento a percepire ogni minimo movimento muscolare che avrebbe
simboleggiato una sconfitta o almeno un accenno di paura o di pentimento. Ecco
un altro difetto di Andrew:
cercava sempre di avere l’ultima parola su tutto.
Appena azionato il tasto le immagini non comparvero subito, ma una
voce si faceva sentire forte e chiara.
“ Strani
gas particolarmente nocivi e mortali soprattutto per alcune specie di animali stanno invadendo velocemente tutto il Messico…”
diceva la telegiornalista mostrando immagini
raccapriccianti di animali morti o malati nel Parco nazionale di Los Mármoles e le città di Acapulco e di Città di Messico
oscurate da una coltre di fumi e sostanze di uno strano colore verdognolo-grigiasto che ostacolavano il circolamento
stradale e pedonale.
-
Ma cosa…? – Matt non riuscì a trattenere un'esclamazione di stupore. Cosa stava accadendo? Fino al giorno prima
non si era parlato di tutto questo
Anche Andrew, prima tanto occupato e affaccendato nel suo
“progetto robot” e nel suo bisogno di essere assecondato, si allarmò
sentendo degli strani fatti che stavano accadendo.
“ …non si
conoscono bene gli effetti che procurano sull’essere umano, ma oramai si è
diffuso il panico per le strade e…” continuò la telegiornalista
quasi ignara dello scompiglio che stava creando in milioni di persone, coloro
che seguivano il telegiornale proprio in quell’ora,
minuto e secondo, simultaneamente.
Entrambi i ragazzi sussultarono nel momento in cui la telegiornalista predisse che l’onda di gas avrebbe
raggiunto anche gli Stati Uniti tra una, o al massimo,
due settimane e quindi, anche se tra quattro o cinque settimane,
inevitabilmente anche Boston.
Andrew corse immediatamente verso la
sedia dove aveva posato la giacca. L’afferrò e dalla tasca anteriore sfilò il
cellulare con cui si affrettò a chiamare il padre.
Ma Matt non fece la stessa cosa:
questi rimase immobile a fissare quelle immagini di terrore e a chiedersi che
cosa fosse accaduto, quando, dove, perché e soprattutto…come? Era stato sempre
terrorizzato dalla più insignificante svolta che poteva prendere la sua vita e
pensare che per qualcosa di ignoto il mondo sarebbe
cambiato, magari anche distrutto, questo lo sconvolse. Sarebbe stato molto più
tranquillo se avessero scoperto di un altro disastro come quello di Cernobyl che, anche se era stato una
terribile tragedia, si era trattato di un fatto di cui si conoscevano le cause.
Ma sembravano tutti piuttosto disorientati come lui in quelle
circostanza e non si poteva dire un fatto rassicurante.
Stava
accadendo qualcosa di strano, fuori dal naturale.
Matt se lo sentiva nelle ossa, nella testa.
Era sempre
stato preso in giro per essere stato un credulone, uno che vedeva fantasmi o
mistero nel più semplice degli oggetti, ma quella
volta no, non si poteva sbagliare.
Ad un
tratto sentì una vampata di calore che si dilungò partendo dai piedi fino ad
arrivare al cervello.
Una voce…..una voce sottile sussurrava frasi incomprensibili. Ma poi
sentì, come sottofondo una voce più grave, in contrasto …….Matthew………….Matthew. il
suo nome veniva pronunciato bisbigliato in un richiamo misterioso, inquietante.
Matt cercò lo
sguardo dell’amico voltando la testa alla parete opposta della stanza, ma
divenne all’improvviso tutto buio, nero.
Andrew si accorse solo dopo alcuni
secondi che l’amico giaceva a terra, svenuto.
-
Matt, Matt! Matthew svegliati! – una
stridula voce lo scosse costringendolo ad aprire gli
occhi. Dapprima la luce lo abbagliò e vide sopra di sé una figura sfumata,
scura che lo spaventò a morte, ma appena riconosciuti gli occhi verdi come i
suoi, le labbra tinte di un rossetto rossissimo comprato al Sephora
e lo sguardo preoccupato di una persona troppo ansiosa, sorrise: era sua madre.
Ma non fu facile capire come mai si trovava sdraiato su di un
letto bianco che non era il suo in una stanza dalle pareti bianche che non era
sua. Si guardò attorno dimentico di ogni cosa.
-
Matt, ti
abbiamo portato all’ospedale appena Andrew ci ha chiamati. Era preoccupatissimo!
Non sapeva cosa fare! È appena uscito insieme a tuo padre, arriveranno tra un
momento e…… – la madre fu improvvisamente interrottà
dal cigolio della porta.
-
Eccoci qua! Matt, lo sapevo che ti saresti ripreso subito ed infatti guarda…- gli porse il vassoio traboccante di cibo
di ogni genere che aveva appena portato nella stanza – Tempismo perfetto, non
trovi?- e non era finita: Andrew trasportava caffè,
latte, te e camomilla su di un altro vassoio. Prima di poter obbiettare il
padre infilò in bocca al figlio un biscotto di considerevole grandezza che non
lo fece per poco strozzare.
-
Dio come ci siamo preoccupato
tutti quanti! Quando Andrew
mi ha chiamato al cellulare sono quasi svenuto anch’io! – Robert
Taylor si sedette sul lato del letto e sorrise al
figlio.
-
Ma cosa ti è
successo? Parlavo con mio padre, poi mi sono girato e ti ho visto……..non dirmi che è per il telegiornale…….- si intromise Andrew ricordando a Matt i fatti
accaduti prima di arrivare all’ospedale incosciente, fatti di cui un attimo
prima era ignaro e dimentico.
-
…comunque mio padre si è
informato meglio e a quanto ne so questa ondata di gas sta svanendo, anche se
lentamente…di sicuro non raggiungerà Boston – cercò di consolare e rassicurare
l’amico che pareva paralizzato, lì seduto sul letto con la schiena appoggiata
al cuscino.
-
No, no, non era per quello. Ad un tratto avevo
caldissimo ed ho sentito…. – “delle voci che sussurravano il mio nome e
frasi incomprensibili” avrebbe voluto confessare Matt,
ma non era sicuro di voler fare la figura del pazzo.
-
….ho sentito un po’ di
nausea – concluse. Ma i genitori non si rassicurarono
affatto. Conoscevano bene il figlio e non sarebbe stata
la prima volta in cui ridicolizzava qualcosa di grave.
-
Ora però ti senti bene, vero, tesoro? – e senza
ascoltare risposta la signora Taylor premette il
polso sulla fronte della ragazzo e, non sentendo
sintomi di influenza o altro richiese il dottore per sicurezza anche se
l’infermiera che si era preso cura di lui aveva loro comunicato che non vi era
motivo di preoccupazioni per il figlio: si trattava di calo di zuccheri o di
pressione bassa, tutto qui, come in tutti i soliti mancamenti.
Era quello
il pregio e, allo stesso tempo, difetto che consumava i suoi genitori da quando era nato.
Si preoccupavano troppo e forse,
per un certo verso avevano ragione: fin dall’età di quattro anni Matt aveva mostrato sintomi di decine di allergie.
Inoltre, dopo un traumatizzante incidente, era incapace di rimanere in spazi
piccoli e chiusi. Col tempo le allergie erano passate, i medicinali avevano
rafforzato il suo organismo debole di natura, ma tutte
le visite dal dottore, le operazioni ed il resto avevano segnato una profonda
cicatrice indelebile sulla memoria dei genitori che non riuscivano ancora a
capire che Matt era un ragazzo come gli altri, né più
forte, né più debole, né più importante. Il problema incurabile era solo uno:
la claustrofobia, qualcosa che i medicinali non potevano guarire.