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Autore: Pinca    09/09/2010    3 recensioni
-Sai Ari....- oramai l'attenzione, nonostante il nuovo arrivato, era completamente catalizzata sul rosso che sembrava finalmente tornato serio, ma un sorrisetto lo tradì.
-In vita mia credo di non averti mai voluto così tanto...-
Oramai Boris e Sergey lo fissavano increduli con gli occhi sgranati. Kai si sentì come investito da una doccia fredda.
-...ma così tanto bene come in questo momento.-
La cosa bella era che era stato talmente convincente che Ariel stessa non riuscì a pensare che la stesse prendendo per il culo perché, in effetti, era stato sincero. Per la prima volta da quando Yuri la conosceva, Ariel Mayer aveva fatto, anche se inconsapevolmente, qualcosa per il suo personale piacere: rendere Kai Hiwatari vulnerabile.
Kai si portò una mano alla fronte massaggiandola compulsivamente, gli altri due erano rimasti a bocca aperta, forse troppo sconvolti e preoccupati.
-Si può sapere chi cazzo è che l'ha rotto?- chiese brusca Ari completamente disgustata e seccata dalle buffonate del capitano. Cielo, Yuri era un sentimentalotto, era vero ma non in modo così ripugnante!
-Fino a ieri sera funzionava normalmente!- continuò nervosamente pretendendo una risposta da Sergey e Boris.
-Non ne ho la minima idea!- biascicò Sergey. -Stamattina sembrava normale....-
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Return of revange'
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aoi 27
Ciao! lo so che vi avevo detto tempo una settimana e posto, e invece è passato un mese e trono con un capitolo più vuoto e insignificante della testa di daichi U_U (ehi io non ho la testa vuota! Nddaichiè_é), ma sono successe tante cose che mi hanno distratto dalla storia e tuttora il mio livello di concentrazione è ai limiti della decenza! Quindi, ho passato un mese spensierata perché c’era il mio amoruccio *_*! Poi quando il mio amoruccio se ne è andato mi sono depressa, dopo la fase depressiva ho attaccato con sailor moon a guardarmi le puntate su internet, e quando mi sono resa conto che avevo quasi finito la prima serie mi sono data una bella smossa! Tra qualche giorno parto e torno tra una settimana, quindi per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po’.
Intanto posto questo:la prima parte l’ho scritta subito dopo il capitolo precedente, e penso che si noterà, mentre le altre due parti sono così così, scritta perché doveva scritta la seconda parte, la terza avevo scritto il dialogo di getto, ed è una cosa che sto aggiungendo alla trama adesso perché è stato un lampo di genio (o almeno spero), ma non mi soddisfa comunque, forse perché oltre al dialogo non ci sono chissà che pensieri profondi XD!
Lo so, ci saranno un sacco di errori, ma non ho ancora voglia di rileggerlo da capo, la voglia mi viene solo quando ho esami da preparare e lezioni da seguire, praticamente quando ho da fare, quando invece sono libera non riesco a fare niente -.-…
Cmq ringrazio infinitamente tutti coloro che mi seguono e cherry, ben, lumik e elena.
Un bacio a tutti! Ciao!
 
 
 
 
 
 
27. Shell Killer
 
I bey sferragliavano nel piccolo campo blu elettrico. Si incontravano al centro in un testa a testa accanito per poi darsi un attimo di tregua di qualche millimetro, tempo di pochi secondi, poi tornarono a scontrarsi altre uno, due, tre volte.
Sospirò seccata e abbassò lo sguardo.
L’avversario era fuori, sconfitto. Il suo drawind era ora nella sua mano.
Mai aveva avuto un tale senso di vuoto. Il suo bey aveva una forza e una resistenza al di sopra della norma, ma la vittoria non aveva alcun sapore senza Lei al suo fianco.
Quasi non aveva nessun senso continuare a lanciare quel beyblade.
Il mare era in burrasca. Aveva affrontato diversi avversari in quei quattro giorni, nessuno veramente degno di nota. Aveva attraversato montagne, boschi ed era arrivata fin lì, su quella scogliera dove le onde si infrangevano impetuose, a limite della terra ferma.
Forse stava sbagliando, non avrebbe dovuto cercare così la sua aquila, lì in quei fugaci incontri senza senso. Magari non si trovava più lì ma al di là del mare, oltre le muraglie cinesi, il deserto del Gobi, gli Urali e le zone frastagliate dell’Europa dell’est, a sorvolare i cieli grigi del Mittelgebirge e del Reno. Sicuramente era tornata al suo luogo d’origine mentre lei invece era intrappolata lì, bloccata in quell’arcipelago sul pacifico … ma forse non erano quelle le terre dell’aquila bianca, magari ora stava volteggiando sui sette colli romani nel cielo terso e caldo.
No, stava dimostrando impazienza, troppa per una che, come lei, era capace di attendere anni per raggiungere un obbiettivo. L’impazienza non portava a niente, doveva solo aspettare e dimostrare giorno dopo giorno, occasione dopo occasione di essere all’altezza di tornare ad essere sua custode e di meritare il suo perdono.
E poi era un pensiero così stupido. L’aquila bianca non era legata a nessuno posto, era aria nell’aria, uno spirito non legato alla terra, come poteva pretendere di trovarla in un luogo?
Questa era forse la sfida più grande che le si era mai presentata. Chiuse gli occhi e il rumore delle onde le invase l’anima come un potente respiro. Il vento si insinuava sotto la maglia grigia e sferzava sul viso smuovendo i capelli legati in una treccia ordinata e stretta.
No, questa non era come le altre sfide, questa volta non aveva obbiettivi fisici da raggiungere, non aveva avversari da sconfiggere, non aveva una vendetta da consumare. Questa volta era veramente sola con se stessa. Non più lei e il lavoro di laboratorio, non lei e i suoi superiori, lei e la missione, lei e Kai. Ari e basta, contro i suoi demoni, contro la debolezza, per il suo onore.
L’amava.
L’aveva sempre saputo, ma adesso era quasi lampante e si scoprì incredula di poter provare un sentimento tanto forte e… positivo.
Quanto aveva odiato! Conosceva bene le ramificazioni labirintiche e intricate che avevano messo radice del suo cuore, come quelle di un salice marcio affondate nelle acque paludose e torbide della sua anima.
Oh sì, come lo conosceva bene l’odio! Ogni minimo particolare del perfetto viso di quel demonio cieco e vigliacco avrebbe potuto riprodurlo su un foglio!
Per anni quel volto aveva assunto la sua fisionomia, aveva avuto i suoi occhi e la sua mente, le sue mani. Lo conosceva così tanto che non si era mai soffermata a guardarsi veramente in uno specchio, non aveva mai provato il bisogno di guardarsi in faccia.
E ora invece? Ora forse un po’ di curiosità c’era. Come era il suo volto adesso? Che colore avevano i suoi occhi? Erano neri, o erano rimasti rossi come quelli del demonio?
La verità era stata accecante, come una luce, l’aveva disorientata. Per alcuni attimi, quando il presidente Hiwatari le aveva detto la verità, aveva sentito il demonio fuori controllo, sbrigliato, confuso. Aveva sbattuto contro le pareti rimbalzando da una parte all’altra dello studio di Hiwatari alla cieca, senza sapere su cosa sfogarsi e come.
Era furioso, era immenso, era lei! 
Ci aveva messo poco a rielaborare tutto e a dare un nuovo verso al suo odio, a indirizzarlo sull’elemento giusto e, infine, a scatenarlo nel modo migliore. Un controllo magistrale, da fare invidia ai ranghi più infimi dell’inferno.
E alla fine, il compagno di una vita, quel male che respirava attraverso di lei, che si era nutrito di lei, l’aveva abbandonata. Che vigliacco!
Era crollata penosamente senza quell’odio, come se dentro di lei non ci fosse nient’altro, solo ora riusciva a rendersene conto. D’altronde aveva vissuto di odio, e se questo non aveva più ragione di esistere, neanche lei ne aveva una. Con chi poteva mai prendersela se non con se stessa che era stata troppo sciocca da affidarsi a Kai o a credere alle fandonie di Vorkof o, ancora peggio, a volere andare contro il proprio destino? Già solo quest’ultima era una delle motivazioni che l’avevano convinta più di una volta a infilarsi quel maledetto ago nelle vene!
Perché? Non era abbastanza valida come motivazione secondo voi? Lo era stata invece, e lo era ancora, doveva ammetterlo!
Ma, a quanto pareva, c’era qualcos’altro in lei. Aveva sempre creduto il contrario, Yuriy le aveva sempre detto questo: che in lei non c’era niente, che era vuota come una macchina, che un’anima lei non ce l’aveva, che era un mostro! Sì, era vero, lei era un mostro, lo era sempre stata, spietata, cinica e infida! Ma un’anima ce l’aveva, c’era ancora nel suo petto, quel qualcosa che emanava calore ogni volta che pensava allo spirito della sua aquila bianca, ogni volta che la vedeva spiccare il volo rispondendo al suo richiamo. L’aveva sempre provato, e quella cosa era amore.
Non sopportava l’idea che se ne fosse andata, che stesse lontana da lei! La voleva lì, al suo fianco!
In lontananza si sentivano gli schiamazzi di alcuni bambini che giocavano. Erano piccoli, sui cinque, sei anni e ridevano spensierati mentre si ricorrevano. Una aveva preso a piangere perché un bambino le aveva lanciato una lucertola sul vestito.
La brezza della sera si alzò dal mare in una ventata, investendola con la sua aria gelida. Le mamme raccolsero i loro piccoli per fare ritorno a casa. Prendevano le manine paffute e bianche dei loro bimbi nelle loro.
Che belli quei sorrisi, fragili come steli di cristallo e pronti a frantumarsi in qualsiasi momento. Fragili e preziosi….
Sì, era crudele, era cinica, era infida e amava. Nonostante questo era capace di amare, l’aveva sempre fatto e avrebbe continuato a farlo, come avrebbe continuato a essere crudele, cinica e infida e, soprattutto, finché ci fosse stata anche una sola ragione al mondo per cui fosse valsa la pena lottare, lei avrebbe continuato a farlo!
Si girò di spalle al mare. Il vento dava verso est. Direzione: Tokyo.
 
 
 
 
 
-Quindi il massimo comune divisore è….-
Il professore lasciò la frase in sospeso e continuò a guardarla… forse si aspettava una risposta?!
Claire guardò nuovamente la lavagna nera con quei numerini che aveva segnato lei stessa col gesso bianco che ora stringeva tra le dita. Niente, non le dicevano assolutamente niente!
Forse avrebbe dovuto sapere quale fosse il coso maggiore divisore di quei numeri, così, su due piedi… ma come poteva pretendere una cosa del genere quel pazzoide del professore?!
Passò a setaccio la classe sperando in qualche suggerimento. I ragazzi in prima fila erano di un ghiaccio disarmante, la fissavano con quei loro odiosi occhietti neri a mandorla. Non sarebbe sfuggito neanche un suggerimento dalle loro labbra intirizzite e vigliacche! Nella sua vecchia scuola i secchioni avrebbero fatto a gara per aiutarla, assurdo!
Boris in fondo alla classe dormiva con un giornale di moto sulla faccia, Yuriy aveva le mani tra i capelli, mentre Sergey le faceva segni incomprensibili. Kai non era neanche presente, quel bastardo! Quel giorno il professore doveva interrogare lui e, sapendolo, non si era nemmeno presentato!
Si morse le labbra agitata. E pensare che quello era solo l’inizio di quella orribile e lunga operazione!
A seguito c’erano numeri con la virgola, lettere greche, piani e piani di frazioni e chi più ne ha più ne metta! C’aveva messo mezz’ora per scriverla tutta sulla lavagna, consapevole a ogni tratto che segnava col gessetto di non aveva la più pallida idea di come si svolgesse quell’esercizio chilometrico e disumano.
Il professore la guardava sempre più allibito.
Che diamine, quel maledetto punkettaro! Sicuramente il professore stava pensando che i suoi compiti in classe non coincidevano affatto con la sua preparazione.
Oddio! Avrebbe sicuramente capito che aveva copiato di sana pianta da qualcuno! E Yuriy? Avrebbe capito che anche lui aveva fatto lo stesso e sarebbe finito nei guai e se la sarebbe presa con lei! Che mondo crudele era mai questo!?
Si rigirò nervosamente il gessetto tra le mani tornando a guardare la lavagna. Perché!? Perché non si scriveva da sola una soluzione?!
-Tutto bene?- le chiese il professore.
Era giovane, magari avrebbe compreso, sarebbe stato meno severo!
-Sì… certo!- rispose frettolosamente alzando il gesso sulla lavagna. Le sarebbe di certo venuto un colpo di genio, un’ispirazione….
Perché diamine la sua testa era così vuota?!
-Forse per questa volta è meglio lasciare stare…- la interruppe il professore. –Mi sembri piuttosto agitata, stai diventando viola!-
-Eh?- fece incredula, ma la sua testa aveva già capito e avvisava a gran voce: non saltare di gioia, non saltare di gioia!
Non ci poteva credere, la stava passando liscia!
-Grazi… ehm, va bene professore, mi scusi!-
Dileguarsi, dileguarsi, dileguarsi!
Mollò il gessetto e si dileguò a testa bassa nascondendosi dietro il proprio banco e il libro di matematica. Tirò un sospiro di sollievo quando il professore chiamò qualcun altro.
Tutto quello stress non le faceva affatto bene, e sapeva anche chi doveva ringraziare per quella brutta figuraccia!
E poi il suono della campanella, il suono della libertà! Un’altra giornata era finita!
Programmi per il futuro: rinfacciare a mr punkettaro la sua assenza.
-Portami lo zaino, grazie!- mollò distrattamente lo zaino sul banco di Yuriy e passando dritto.
Lui ringhiò, lo sentì chiaramente, gli dava fastidio prendere ordini, lo sapeva, ma non le importava, dopo tutto era pur sempre un modo come un altro per farsi notare. E poi le ragazze che avrebbero visto Yuriy portarle la borsa avrebbero capito subito che era di sua proprietà e ci avrebbero tolto occhi e pensiero!
Sì, lo sapeva, era geniale. Nessuna ragazza avrebbe mai avuto il coraggio di competere con lei: alta, bella e francese! Anche se però doveva ammetterlo, le ragazze ce ronzavano intorno a Yuriy, o comunque che gli sbavavano dietro, erano veramente esigue, massimo una decina in tutta la scuola, e la cosa l’aveva sorpresa non poco.
Nella sua vecchia scuola avrebbe avuto un successo planetario uno come lui, non avrebbe avuto pace. Boris neanche a parlarne, si sarebbe trovato veramente in paradiso!
Ma a quanto pareva le giapponesine avevano gusti meno esotici, sì, insomma, puntavano sulla “bellezza” del posto. Lì in mezzo era Kai che riscuoteva i migliori sospiri ad ogni passaggio. Forse per il fatto che fosse mezzo giapponese e mezzo russo, forse per il suo “fascino” assai discutibile da taciturno/tenebroso, ma il buon novanta percento della popolazione femminile lì dentro gli sbavava dietro senza ritegno. Ultimamente pure la Sumisu e il suo gruppetto avevano preso a ronzargli intorno…. forse era anche per questo che non si era presentato a lezione quel giorno!
Quel vigliacco!    
Yuriy la seguiva taciturno per il corridoio con un broncio infinito. Teneva il suo zaino malamente poggiato su una spalla.
Era vero, non doveva sciupare il suo splendido schiavetto per lavori di così poco conto, ma le faceva piacere che le venisse dietro!
-Ti suona il cellulare!- le disse improvvisamente.
-Cosa?- si voltò a guardarlo. Sì, aveva proprio un broncio epico! Afferrò il cellulare e interruppe la suoneria di Miley Cyrus, quella che riservava alla sua mammina, e infatti….
-‘Ma, ciao!-
Yuriy sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Che male aveva fatto?! Adesso si sarebbe dovuto sorbire tutta la conversazione tra lei e la madre. Era troppo!
-Su, non avere quell’aria d’insofferenza! Dopo tutto non tutti hanno l’onore di potermi portare la borsa, dovresti ritenerti fortunato! Potrei benissimo usarti per lavori più degradanti!- gli disse altezzosa dirigendosi verso il cortile.
Che presuntuosa e sfacciata! Yuriy alzò la borsa pronto a lanciargliela contro. Di certo l’avrebbe ammazzata, col gran libro di matematica che c’era dentro! Ma non lo fece. Lo zaino gli ricadde pesante lungo il fianco e la seguì lungo i corridoi senza più discutere. Decise di non pensarci, di andarsene con la mente e lasciare che il suo corpo muovesse quei passi seguendola senza di lui dentro, sì, più o meno come quando lo torturavano, perché quella era una vera e propria tortura. Dover sentire farfugliare in francese quell’oca che aveva preso a vagare senza meta per la scuola, senza avere il minimo riguardo per lui, povero sfigato, che magari voleva andarsi a riposare, mangiare, studiare, o semplicemente starle lontano per trovare un po’ di pace!
Accidenti a lei e a Ariel che l’aveva messo in quella situazione! La cosa peggiore era che non poteva scaricare questo gravoso compito a Boris, Yuriy ci aveva subito provato, come no, era stata la prima cosa che aveva fatto. Claire gli aveva mollato le valigie davanti perché gliele portasse in camera, non appena arrivati dal ritiro, subito, e lui ovviamente voleva sistemare la faccenda dicendo:”Boris, portagliele tu!”. Ma lei immediatamente aveva iniziato a petulare con la sua odiosissima vocina acuta costringendolo a sbrigare lui quel compito ingrato.
Ma che male aveva fatto?!
Andò a sbattere contro qualcuno e tornò sulla terra.
Claire sembrò un po’ scombussolata guardandolo. –Ma che fai dormi?- gli chiese a bassa voce.
Gli fece segno di fare silenzio.
Aveva attaccato il telefonino, ma da quanto? Erano arrivati addirittura in palestra.
-Allora, quando me ne posso tornare…-
-Zitto!- lo ammonì lei avanzando con dei passi piccoli e silenziosi lungo la parete. –C’è qualcuno!-
Yuriy si guardò intorno. La palestra era vuota e … e fuori era buio! Anche lì era buio, tutte le luci erano spente. Ovvio, all’ora di cena! Accidenti a lei, gli aveva fatto passare sicuramente un’ora e passa a passeggiare!
Claire chiuse con uno scatto il cellulare e si avvicinò quatta quatta alla porta della stanza degli attrezzi. Effettivamente era socchiusa e qualcuno stava parlando all’interno. Si avvicinarono silenziosamente. Anche Yuriy, dovette ammetterlo, stava iniziando a provare una certa curiosità.
Chi c’era lì dentro a quell’ora della sera?
Sbirciarono furtivi dallo spiraglio della porta incuriositi sempre più da quei borbottii insistenti. Erano le voci di un ragazzo e una ragazza.
Claire rimase a bocca aperta quando capì chi fossero. Non ci poteva credere!
Yuriy le afferrò un braccio e la tirò dietro una pila alta di materassi blu e rossi poco più in là, appena in tempo perché il professore di ginnastica uscisse dal ripostiglio degli attrezzi seguito subito dopo da una ragazza bella e alta dai setosi e fluenti capelli neri e la divisa scolastica svolazzante.
  
 
 
 
 
-Ariel Mayer?-
Si voltò verso il lato opposto del vicolo scrutando nella penombra metropolitana. Un gruppo di sei, sette ragazzi erano in attesa dietro un tipo dal cipiglio duro che era certa di aver già visto da qualche altra parte.
-Un campione del tuo livello non passa certo inosservato, specialmente per certe zone di Tokyo.- Questo si avvicinò con passo sicuro, tenendo gli occhi dritti puntati in quelli di lei e le mani nelle tasche del giubbotto di jeans strappato.
-Che vuoi.-
-Ho bisogno di mettermi in contatto col tuo compagno di squadra, Hiwatari. Sono certo che tu saprai aiutarci….-
-Ti sbagli.- lo interruppe. Gli diede le spalle e riprese a camminare per la propria strada.
-Aspetta! Abbiamo bisogno di lui…-
La sua insistenza la infastidì. Si voltò senza nascondere l’irritazione.
-E quindi?- fece minacciosa, come a sfidarlo a continuare.
Capivano che era un tipo pericoloso quello con cui stavano avendo a che fare. Alcuni indietreggiarono, il capo tentenno. Solo un piccoletto tarchiato sembrò abbastanza temerario da azzardare a farsi avanti nonostante il timore dei compagni. 
-Devi aiutarci!- disse tutto d’un fiato allarmato facendo sussultare il capo che gli rifilò un’occhiata ammonitrice.
-Devo?- ripeté lei inarcando un sopracciglio e passando in rassegna tutti i ragazzi. Alcuni di loro era sicura di averli già visti, se ne ricordava vagamente, ma non le importava. Il capo la guardava in attesa di una risposta.
-Non lo farò, non vi devo niente.-  non aveva voglia di attaccare briga, si voltò semplicemente per andarsene. -Secondo, Hiwatari ha a che fare solo con chi vuole lui!-
-Kai Hiwatari era il nostro capo.- insistette il ragazzo. Questa volta si fermò perché incuriosita da quella storia. Kai a capo di una banda di teppistelli giapponesi? Quante cose interessanti si venivano a sapere passeggiando per Tokyo!
-Noi siamo gli shel killer, e io sono Hiruta e per adesso sono io il capo.- continuò il ragazzo. -Sicuramente se gliene parlerai lui ti darà conferma che è tutto vero!-
-Ts! Non ho tempo da perdere con teppistelli come voi!-
-Fagli sapere che i Quazar stanno minacciando il territorio oltre i confini delle tre stazioni!- continuò lui insistendo, quasi supplicando a momenti. -Se non interviene qualcuno di forte che risolva la situazione, qui finirà in un lago di sangue!-
In un lago di sangue. A quanto pareva non erano semplici teppisti, sicuramente si trattava di una lotta tra bande per qualcosa di più consistente di qualche disputa tra bulletti.
-Il nostro capo, Heiji, è stato catturato e adesso non è più riconoscibile, gli hanno fatto qualcosa. Se i Quazar lo vengono a sapere è la fine!-
-Voi conoscete bene questa città?- chiese improvvisamente tornando a guardare Hiruta.
-Si, ovviamente.-  
- Kai non verrà in vostro aiuto.-
-Cosa? E perché?- si agitò lui. I ragazzi dietro di lui sussultarono allarmati dalle sue parole.
-Perché non gliene importa niente.- Ari sospirò e infilò le mani in tasca. Gli occhi si assottigliarono guardando quei tizi, alcuni goffi e appariscenti, altri dall’aspetto anonimo ma molto probabilmente ai vertici di quel gruppo. Quell’affermazione sconfortò il capo, Hiruta. Già sapeva che Kai non sarebbe tornato in suo aiuto.
-In compenso…- continuò. Un ghigno si delineò sottile e maligno sulle labbra rovinate. D’altronde, perché non approfittarne? Quei tipi, gli shell killer, sembravano capitati apposta ì per lei. -… credo di potervi essere utile in altro modo. Avete bisogno di un capo, giusto? Posso prendere io il posto di Hiwatari.-
-E perché dovremo volere te come capo?- chiese Hiruta alterandosi.
-Perché se cercate l’aiuto di uno come Kai, fidatevi, il mio sarà certamente superiore.-
-E dovremmo crederti?-
Ari lo fissò per un lungo momento prima di riprendere a parlare tranquillamente, come se fossero affari di poco conto. -Cosa avete da perdere? Non mi pare che siate messi tanto bene da fare gli schizzinosi! Riuscirò a risolvere i vostri piccoli problemini territoriali nel giro di tre giorni. Non mi pare che abbiate offerte migliori della mia!-
Hiruta tentennò. I ragazzi dietro si guardarono scettici e guardinghi. Fidarsi o meno. D’altronde sapevano, sentivano di non avere a che fare con una ragazza qualunque abituata a casa, scuola e shopping con le amiche.
-Cosa vuoi?- sbottò seccato Hiruta alla fine. Sembrava essergli costata molta fatica quella domanda, i pugni erano stretti e il viso contorto per la rabbia. A quanto pareva erano veramente messi male se erano costretti a mettere da parte l’orgoglio così violentemente. 
-Sciocchezze, poco e niente, solo qualche piccolo favore.- smorzò Ari. -Intanto il posto dove Kai si allenava con dranzer, voglio sapere dove si trova. Poi, una volta risolta la vostra guerra tra bande, io smetterò di essere il vostro capo, ma dovrete essere a mia disposizione se ve lo chiederò.-
-Disposizione per cosa?-
-Dovrete tenermi d’occhio una certa persona, non penso di chiedere poi così tanto…. Allora?-
Hiruta rimase in silenzio. Due ragazzi si avvicinarono a lui e iniziarono a confabulare lanciandole occhiate sospettose.
Ari rimase in attesa per qualche minuto osservandoli con indifferenza.
-Penso che sia ovvio,- disse ad un tratto. -ma è sempre meglio chiarirle prima certe cose: se accettate sarò il vostro capo indiscusso, voglio che siate ai miei completi comandi.-
I tre ragazzi la osservarono pensierosi e corrucciati. Era difficile come decisione, ma d’altronde….
-Tre giorni hai detto?- chiese uno dei due ragazzi che si era avvicinato ad Hiruta.
-Sì.-
-Ti conviene non sforare neanche di mezzo minuto!- disse minaccioso Hiruta facendosi avanti e accorciando la distanza che li aveva divisi.
Ari ghignò e afferrò la mano che il ragazzo le stava porgendo. Non pensava che avrebbe fatto un affare così proficuo passando per caso per una stradina laterale e desolata di Tokyo, quello era stato un vero e proprio colpo di fortuna, doveva ammetterlo. Le sarebbero stati certamente utili quei ragazzini giapponesi. Fondere il suo genio forgiato nell’acciaio sovietico con il braccio repentino e preciso di un gruppo giapponese non le dispiaceva affatto come idea, e inoltre si sarebbe divertita a giocare alla guerra. Era il suo gioco preferito!
 
 
 
 
 
   
 
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