La fiducia nella bontà altrui è una notevole testimonianza della propria bontà.
- Michel de Montaigne
Ufficio di Derek Morgan,
Unità di
Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.
Gli occhi di Derek erano seri e
concentrati e
saettavano velocemente dalle due profonde e limpide pozze azzurre sul
viso di Alaska alle iridi scure di Spencer.
Se gli occhi dell'antropologa trasmettevano
quanto fosse rilassata, seduta sul bordo della sua scrivania nel
piccolo ufficio che aveva arredato per lui Penelope, quelli di Reid,
sulla sedia di fronte a lui, erano cupi e pieni di preoccupazione. E
lui, tornando a fissare lo sguardo sui fogli che teneva fra le mani,
non poteva che dargli ragione.
Erano diverse foto e tutte avevano un unico
soggetto.
Alaska che usciva dal portone del proprio
palazzo. Alaska che prendeva un frappè. Alaska che cercava
qualcosa nella propria borsa. Alaska che sceglieva un paio di jeans
in un negozio. Alaska che sfogliava un libro seduta su una panchina
al parco. Alaska che saliva sull'autobus.
Ce ne erano quasi un centinaio e man mano che
le sfogliava Morgan sentiva un brivido gelido scendergli lungo la
schiena, paralizzandolo sul posto. Lo stesso che aveva sentito Reid,
moltiplicato all'infinito, la sera precedente, quando si era
ritrovato la stessa busta fra le mani.
“L'avete
trovata ieri sera, mi hai detto?” domandò al
giovane
collega.
Spencer annuì rigido “Già, ma
potrebbe essere stata messa lì chissà quando.
Alaska
spesso si dimentica di ritirare la posta dalla cassetta.”
“Hey,
se avessi saputo che vi sareste preoccupati tanto non ti avrei
nemmeno lasciato avvicinare alla mia posta.” si
lamentò
scherzosamente la ragazza, sperando di riuscire così a
stemperare la tensione che era scesa pesante in quell'ufficio. Le sue
parole, però, non vennero ascoltate e i due profiler
continuarono a parlare fra loro, serissimi.
“La
cassetta è controllata?” si informò
ancora Derek.
“No.-
scosse la testa Reid- Nel palazzo di Alaska non c'è il
portiere, niente telecamere di sorveglianza e ogni altra forma di
sicurezza come antifurti e affini è affidata alla
discrezione
degli affittuari.”
“E'
un buon sistema!Se avessi voluto tutte quelle cose sarei andata a
vivere in un bunker, no?” rise l'antropologa, a cuor leggero.
Anche quel suo commento venne completamente
ignorato. Morgan abbandonò gli scatti sulla propria
scrivania,
lanciandogli un'ultima, avvilita, occhiata.
“Hai
fatto bene a portarle qui.- disse l'uomo, rivolgendosi a Spencer-
È
meglio prendere in mano la situazione prima che degeneri.”
Alaska scrollò le spalle “Forse
gli state dando troppa importanza.- pigolò- Sono solo delle
foto, niente di allarmante.”
“Alaska non minimizzare.- sbottò
Reid, voltandosi verso di lei- C'è qualcuno che ti sta
seguendo da settimane!”
“E' un po' stressato perchè
non abbiamo potuto festeggiare insieme il mio compleanno.”
disse a
bassa voce, portandosi una mano di fianco alla bocca e sporgendosi
verso Derek.
“Alaska!” la rimproverò di
nuovo il giovane profiler, che sentiva di stare per impazzire.
“Va bene, mi arrendo!-capitolò
la ragazza alzando le braccia, ma senza riuscire a togliersi dalla
faccia l'espressione tranquilla- Sono seria e davvero preoccupata da
questa situazione.”
Reid fece roteare gli occhi,
esasperato, e rivolse di nuovo l'attenzione al proprio collega.
“Di solito questo tipo di molestatori
si attaccano a qualche particolare gesto che è stato fatto
nei
loro confronti.- iniziò a spiegare Morgan, cercando di
catturare anche l'attenzione dell'antropologa- Se, incrociandolo per
strada, gli hai sorriso distrattamente lui si auto-convince che l'hai
fatto di proposito e che desideri le sue attenzioni.”
Spencer si voltò verso la
propria ragazza e la vide alzare un sopracciglio, scettica.
“Quindi vuoi che ti dica di tutte le
persone con cui sono stata gentile nelle ultime settimane?”
Derek scosse la testa “Dimmi solo
degli avvenimenti particolari.”
“Allora...ho comprato un frappè
a una coppia di fratellini al parco perchè mi sembravano
tristi...” cominciò ad elencare, alzando gli occhi
e
cercando di ricordare.
“Erano soli o c'era magari un
fratello maggiore o un genitore?” chiese Morgan con tono
professionale.
“Non ci ho fatto caso, perchè
avrei dovuto?- Alaska gli aveva rivolto un'occhiata strana per quella
domanda che le sembrava assurda- Ah, e poi ho aiutato un tizio a cui
è caduto un raccoglitore a mettere a posto i
fogli.”
Reid si mosse sulla sedia, agitato “Ti
ricordi che faccia aveva?”
“Aveva un'architettura facciale molto
particolare, con gli zigomi molto pronunciati e il naso storto.
Probabilmente l'ha rotto diverse volte.”disse la ragazza,
sfoderando una briciola della propria conoscenza della fisionomica
umana.
“Quindi potremmo avere un identikit.-
annuì l'agente di colore soddisfatto- C'è qualcun
altro
di particolare con cui sei venuta in contatto di recente?Forse una
nuova conoscenza?”
Alaska riflettè qualche secondo,
picchiettandosi l'indice sul labbro inferiore “Beh,
c'è
Mandy.”
“Mandy?- ripetè Reid
aggrottando le sopracciglia- Non mi hai detto di aver conosciuto
nessun Mandy.”
“Non ci siamo conosciuti conosciuti.- continuò
a spiegare la giovane, gesticolando animatamente- Ha chiamato a casa
mia qualche settimana fa credendo che il mio fosse il numero di un
idraulico e ci siamo ritrovati a chiacchierare. Chiama due o tre
volte a settimana da allora.”
Derek la fissò preoccupato “Due
o tre volte a settimana?”
“Alaska!!” esclamò Spencer,
scioccato.
L'antropologa fece saettare il proprio
sguardo innocente fra i due uomini “Che
c'è?”
“Potrebbe essere lui ad averti
mandato quelle foto.” le fece notare Morgan.
“Il signor Mandy?Andiamo!- rise la
ragazza, prima di spiegare- Il signor Mandy ha ottantanove anni, la
cataratta e non esce mai di casa per via di un problema all'anca che,
sommato alla sua gamba di legno che ha come ricordo della guerra del
Vietnam, gli rendono impossibile quasi ogni movimento. È
solo
un uomo molto solo e io gli ho detto che mi fa piacere chiacchierare
con lui di tanto in tanto se la cosa lo rende felice.”
Derek sospirò “Non puoi essere
sicura che ti abbia detto la verità.”
“E voi non potete essere certi che mi
abbia mentito.” ribattè tranquilla Ross, alzando
leggermente
le spalle.
“Faremo un controllo.- disse Morgan,
facendo un cenno a Reid- Ci sono casi particolari a cui stai
lavorando di recente?”
“Niente di particolare. L'FBI mi ha
chiamato solo per delle identificazioni, ma ancora qualche settimana
fa.- spiegò l'antropologa, facendo un vago gesto con la
mano-
Sapete, in inverno la natura offre a noi antropologi una sorta di
vacanza: il freddo congela i corpi mantenendoli adatti alle
valutazioni dei medici legali.”
“Che mi dici invece dei casi già
chiusi?- indagò di nuovo il profiler- Devi testimoniare a
dei
processi, giusto?E so che a volte vieni chiamata da difesa o accusa
come consulente...”
Alaska si strinse nelle spalle “Non
ho trattato casi particolarmente scottanti, ultimamente...”
“Controlleremo anche questi.”
assicurò Morgan, più a Reid che ad Alaska, che
sembrava
prendere la situazione decisamente sotto gamba. Il giovane genietto,
invece, se ne stava seduto rigidamente sulla propria sedia, le
braccia incrociate intorno all'esile torace e le labbra strette in
una linea dura. Non occorreva certo essere un profiler per capire che
lui, invece, era decisamente scosso da quella situazione.
“Deve
esserci qualcos'altro di significativo a cui possiamo
collegarci.”
sbuffò Reid, che impaziente aspettava delle conferme, di
qualsiasi tipo, che lo facessero venire a capo di quella situazione.
“Sapete una cosa?- disse
improvvisamente Alaska, facendo schioccare le dita per attirare
l'attenzione su di sè- Forse potrebbe essere stato uno dei
miei studenti!”
“Perchè dovrebbero avercela con te?”
domandò Spencer spiazzato: di certo la dottoressa Ross non
era
affatto la tipica insegnante acida facile da odiare.
“Beh, io mi occupo dell'ammissione
dei tirocinanti ai progetti di ricerca in antropologia dello
Smithsonian e ho rifiutato parecchie richieste.- gli
ricordò-
Uno degli studenti ci è rimasto particolarmente
male.”
Derek
annuì, prendendo in considerazione quell'ipotesi
“Come si
chiama?”
“Perchè?” lo sguardo di
Alaska si era fatto confuso, i grandi occhi cerulei spalancati: se
quella era la soluzione più probabile, si domandava, che
bisogno avevano di altre informazioni?
“Così lo rintracciamo, lo
denunciamo, e io lo farò pentire talmente tanto di aver
fatto
una cosa del genere che resterà lontano a vita da qualsiasi
tipo di macchina fotografica.” elencò Morgan,
enfatizzando
l'ultima frase.
“Tutto questo è esagerato.-
sorrise Ross, sperando di convincerli- Sapete come sono i ragazzi, ha
voluto vendicarsi e divertirsi un po' alle mie spalle.”
Spencer
sembrava però di tutt'altro avviso “E' una cosa
sbagliata,
inopportuna e anche punibile per legge.”
“E' solo una ragazzata!” ribadì
la ragazza con una scrollata di spalle.
“Qua dentro siamo noi gli agenti FBI,
quindi la decisione spetta a noi!” le ricordò
Morgan, con un
tono che non ammetteva repliche.
Fu in quel momento che JJ fece capolino
nella stanza, affacciandosi dalla porta lasciata socchiusa
“In
sala conferenze fra cinque minuti!-annunciò, prima di posare
lo sguardo su Alaska- Hey, Al!Che c'è, oggi è il
giorno
del porta la tua ragazza al lavoro?”
Alaska rivolse alla nuova arrivata un
sorriso smagliante “Non che io sappia. All'FBI avete davvero
giornate del genere?”
JJ rise, scuotendo la testa facendo
ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi “Magari!Cinque
minuti,
ragazzi.”
Morgan si alzò, indicando però
la busta ancora sul suo tavolo “Di questo dobbiamo
riparlare.”
“Voi siete troppo stressati.-sospirò
l'antropologa alzando gli occhi al soffitto- Avete bisogno di una
vacanza!”
Derek colse lo sguardo preoccupato di
Reid e capì che aveva bisogno di parlare da solo con la
ragazza. Fece un cenno di saluto col capo, dicendo al giovane collega
che l'avrebbe aspettato fuori dall'ufficio.
“Non è niente di importante,
uh?” borbottò imbronciato, fissando i propri occhi
scuri in
quelli di Alaska.
“No, infatti.- ripetè Ross
posandogli una mano delicata sul braccio- Solo una ragazzata, uno
scherzo un po' stupido e troppo elaborato...”
Spencer sospirò, abbassando lo
sguardo “Tu credi davvero a quello che stai dicendo,
vero?”
“Ma certo. Sono solo foto...” le
dita della giovane si contrassero un poco intorno al suo avambraccio,
in una stretta che doveva essere rassicurante.
“Che avresti fatto se avessi trovato
tu la busta?” si informò quindi Reid, alzando un
sopracciglio e fissandola indagatore.
“Probabilmente l'avrei aperta,
controllato che non ci fosse davvero l'indirizzo del mittente e visto
che le foto non sono la mia passione l'avrei buttata.-
spiegò
con noncuranza- Semplice.”
Gli occhi di Reid si spalancarono
“L'avresti buttata senza pensare al perchè
qualcuno ti ha
mandato una cosa del genere?!”
“Se lo dici con quel tono la fai
davvero sembrare una cosa sbagliata!” ribattè la
ragazza,
cercando di riportare la conversazione a toni leggeri.
“Alaska io sono solo preoccupato per
te!- ribadì Spencer, prima di massaggiarsi le tempie con le
dita- Non puoi continuare a fare così...”
Ross si mordicchiò l'interno
delle guance “Così come?”
“Fidarti di chiunque ti capiti a
tiro.- spiegò Reid tornando a fissarla- Non tutte le persone
sono buone come te le aspetti.”
“Ma non sono nemmeno tutti dei
mostri, sai?”
Il sorriso disarmante che era comparso
in seguito a quelle parole sul viso di Alaska strappò al
giovane genietto un sospiro rassegnato.
“Reid?- chiamò Morgan da
fuori- Dobbiamo andare.”
“Arrivo subito.- gli rispose il
ragazzo, prima di tornare a rivolgere la propria attenzione
all'antropologa- Aspettami alla mia scrivania, d'accordo?Ne
riparliamo più tardi.”
Alaska rimase a guardarlo mentre si
allontanava con ampie falcate, affiancato da Morgan, e non
riuscì
a impedirsi di rivolgergli un sorriso dolce per via di quel senso di
protezione che tirava sempre fuori nei suoi confronti, prima di
uscire dall'ufficio di Derek per fare quanto gli aveva detto.
Stava camminando spensierata nell'open
space quando sentì dietro di sé una voce
conosciuta.
“Accidenti!Direi che quel maglione mi
ha quasi bruciato le retine: credo sia illegale indossare un colore
del genere, lo sai?”
Alaska si voltò ridendo,
trovandosi di fronte David Rossi che ancora additava il suo maglione
giallo limone con una finta espressione disgustata sul volto.
“Dave!” lo salutò,
fiondandosi fra le sue braccia per un abbraccio.
“Finalmente ci rivediamo. Sei
latitante da un pò!” la rimproverò
bonariamente
l'uomo.
Ross fece dondolare la testa “Lo so.
Ho un sacco di cose per la testa: l'università, lo
Smithsonian, le indagini cui faccio da consulente...”
“Dovresti ritagliare un po' di tempo
per un vecchio amico, comunque.” le ricordò David
strizzandole l'occhio.
“Lo farò di certo.- assicurò
la giovane, facendo un passo indietro e scrutandolo attentamente, con
le braccia incrociate- Avrei qualche domanda riguardo le tue nuove
amicizie, infatti...”
Rossi le rivolse un'occhiata allibita
“Le mie che?”
“Beh, Spencer mi ha raccontato che ad
una riunione improvvisa ti sei presentato in smoking e c'è
qualcosa in te che mi fa pensare che probabilmente hai fatto una
nuova conoscenza.- snocciolò, prima di sfoderare un
sorrisetto
saputo e aggiungere- Femminile.”
“E tu come fai a...” tentò
di domandare, ma Alaska lo interruppe con una risata.
“Sono segretamente una profiler!”
Dave scosse la testa divertito “Non
dirlo troppo ad alta voce, qui dentro, od Hotch potrebbe metterti ai
lavori forzati.”
“In realtà è per via
del profumo.” spiegò di nuovo l'antropologa,
indicandolo con
un gesto della mano.
“Quale profumo?” domandò
Rossi, aggrottando la fronte.
“Quello della tua nuova fiamma.-
spiegò la ragazza con un sorriso- Il tuo dopobarba non lo
copre perfettamente. È Dior?”
“Dimenticavo il tuo superolfatto.”
rise l'uomo, scuotendo piano la testa.
Ross annuì soddisfatta, dandogli
una pacca sul braccio “E tu che credevi che fosse una cosa
inventata!”
“Allora, Alaska, come mai qui?- si
informò quindi Rossi-Ho visto che Reid e Morgan erano
piuttosto seri prima mentre ti parlavano.”
“Niente di
importante.- rispose scrollando le spalle la ragazza- Piuttosto, sto
organizzando una cena per presentare Spencer a mio padre, sei dei
nostri?”
“Servono testimoni per non indurre
tuo padre ad usare il fucile?” azzardò l'uomo,
ricordando
quanto il padre della ragazza fosse protettivo verso di lei e
tendesse a diffidare di chiunque vi si avvicinasse.
Alaska si strinse nelle spalle “Non
credo che arriverà a questo, ma non si sa mai.”
“Mi
piacerebbe molto.- acconsentì, prima di puntare lo sguardo
sulla sala riunioni dove probabilmente tutti gli altri lo stavano
aspettando- Ora devo andare ma tu non sparire, ok?”
“Userò il mantello
dell'invisibilità in un'altra occasione, allora.”
disse a
mo' di saluto, facendo sventolare una mano, prima di spostare una
sedia e sedersi alla scrivania di Reid.
Alaska allontanò
il foglio da
sé, per osservare la propria opera. Non era un disegno
accurato, ma un semplice schizzo in cui erano ancora ben visibili i
tratti della struttura di base. In ogni caso le delicate sfumature
fatte a matita ricalcavano alla perfezione il viso squadrato della
donna che in quel momento era impegnata a fascicolare un centinaio di
fogli al tavolo di fianco alla fotocopiatrice, non molto distante da
dove si trovava lei in quel momento. L'antropologa sbuffò,
appallottolando il foglio e facendo canestro nel cestino poco
lontano, dopodiché ruotò sulla sedia, iniziando a
fissare intensamente la porta, ancora chiusa, della sala conferenze.
Si stava annoiando e sperò che i
profiler non ne avessero ancora per molto.
Strinse gli occhi chiari,
concentrandosi ardentemente su quanto desiderava che quella riunione
finisse in fretta. Aveva visto un programma con ospite un sensitivo
qualche giorno prima, e quello aveva detto che la forza di
volontà
era estremamente importante per esercitare i propri poteri psichici.
Non era certa di averne, ma il pensiero la divertiva e, dopotutto,
non aveva niente di meglio da fare.
“Uscite di lì!- sussurrò
rivolta all'uscio, agitando le dita come aveva visto fare a qualche
illusionista- Uscite, uscite, uscite...”
Un uomo seduto a qualche scrivania più
in là le lanciò un'occhiata stranita, soprattutto
quando, qualche minuto dopo la porta venne spalancata dalla figura
slanciata dell'agente Hotchner, la giovane antropologa proruppe in un
gridolino gioioso.
“Ciao Aaron!” trillò
alzandosi di scatto ed attirando su di sé l'attenzione
dell'uomo.
“Alaska.- disse Hotch, voltandosi
verso la giovane- JJ mi ha detto che eri qui, come mai questa
visita?”
Ross scrollò le spalle con noncuranza “Niente
di che, sono passata a salutare.”
“Certo.” interloquì
semplicemente, assecondandola. Ma gli era bastato osservare
l'espressione preoccupata del giovane agente e gli sguardi sfuggenti
che gli lanciava Morgan per capire che sotto doveva esserci
qualcos'altro.
“Partite?” domandò la ragazza, con tono
casuale.
L'uomo annuì “Già,
abbiamo un caso urgente a Roswell.”
“La città degli alieni, fico!-
trillò Alaska- Se ne vedete uno fategli una foto!”
“Sicuro.- ribattè Hotch
abbozzando un sorriso- Partiamo tra mezz'ora, non trattenere troppo
Reid.”
Ross mimò un saluto militare
“Agli ordini, capitano!”
Quando stava per abbassare il braccio
che aveva alzato, si sentì afferrare le spalle da delle mani
affusolate.
“Attenta Alaska!- la avvisò
Emily, da dietro la sua schiena- Credo che Reid voglia metterti in
castigo, aveva una faccia durante la riunione...”
Ross si fece scappare una risatina
“Spero che non mi tolga i dolci, non posso vivere senza
quelli.”
“Beh, se vuoi potrei condividere con
te la mia scorta di cioccolato e dartene un po' di
contrabbando.”
la rassicurò scherzosamente la profiler.
Il volto di Prentiss tornò serio
“Sul serio, però, dovresti parlargli. Il caso ci
terrà
via per un po', e ci occorre il nostro genietto al massimo delle sue
capacità. La regola non è che non ci si deve mai
separare se si è arrabbiati l'uno con l'altro?”
Alaska sbattè le palpebre “Ma
io non sono arrabbiata con lui.”
“E neanche io con lei.” assicurò
Reid raggiungendo le due donne.
Morgan, che insieme a Rossi e JJ stava
uscendo dalla stanza, sfilò loro di fianco, afferrando Emily
per un braccio per trascinarla via “Andiamo, Prentiss- la
esortò-
Lasciamo i piccioncini qua a tubare per un po' prima della
partenza.”
La mora spalancò gli occhi
confusa ma, come gli altri, si affrettò a seguire Hotch
fuori
dall'open space per prepararsi alla partenza.
I due aspettarono che le porte
dell'ascensore si chiudessero dietro la squadra e poi tornarono a
fissare i propri occhi l'uno in quelli dell'altra.
Reid sospirò prima di iniziare a
parlare “Alaska...”
“Spencer.” gli fece eco
l'antropologa con un sorriso sulle labbra.
Il ragazzo le posò le mani sulle
spalle “Io non sono arrabbiato con te.- spiegò
accorato-
Vorrei solo che ti rendessi conto che ricevere una busta con delle
foto di quel genere non è affatto normale.”
“Spencer, io capisco che tu sia
preoccupato, ma credo che la tua reazione sia un pochetto esagerata,
non trovi?- ribattè Ross con voce posata- Io sono qui, sto
bene, e non mi è successo niente a parte essere stata
fotografata a mia insaputa.”
“Ma Alaska...” cercò di
protestare Reid, ma lei gli posò l'indice sulle labbra.
“Respira, Spencer, respira e calmati
un po'.- gli ordinò sorridendo- Pensa
all'Inghilterra!”
Spencer l'assecondò, prendendo due
grossi respiri prima di continuare a parlare “E'
che...insomma
Alaska io una storia così l'ho già
sentita.”
L'antropologa sollevò un sopracciglio
“Cioè?”
“Si conobbero, si innamorarono e vissero
felici e contenti finchè il lavoro macabro di lui
portò
nella loro vita un folle sociopatico che riuscì a rovinare
tutto portando a un finale tragico.” buttò fuori
Reid tutto
d'un fiato, finendo per fissarsi i piedi.
“Per prima cosa...- disse Alaska,
abbassandosi per incontrare di nuovo i grandi occhi scuri del
ragazzo- da oggi comincerò a controllare le tue letture e,
in
secondo luogo, anche il mio è un lavoro macabro e, terzo, io
non credo affatto nei finali tragici.”
“Sai di che cosa sto parlando.”
borbottò Spencer imbronciato.
“Sì, lo so.- ammise
l'antropologa con una scrollata di spalle- E penso che tu stia
preoccupandoti troppo per un problema che ancora non esiste.”
Reid
non sembrava voler lasciar cadere l'argomento “Ma...se
dovesse
succedere qualcosa, invece?Mentre sono via?”
“Non preoccuparti, starò bene.
È stato solo uno scherzo di pessimo gusto.” gli
assicurò
Ross facendo sventolare una mano con noncuranza.
“Sicura?” disse di nuovo scettico,
alzando un sopracciglio.
“Certo.- sorrise gioviale, dandogli
una carezza leggera- Stasera prima di andare a letto devi immettere
in Google la parola cuccioli, salvare un po' di immagini tenere e
dimenticarti di questa storia.”
Reid si concesse una risatina “Ci
proverò.”
“Faresti meglio.- gli consigliò Alaska
con voce dolce mentre gli accarezzava di nuovo il viso. Poi si
alzò
sulle punte e gli lasciò un bacio leggero sulle labbra- Stai
attento.”
“Come sempre.” soffiò Reid,
prima di sciogliere l'abbraccio in cui si erano allacciati e
dirigersi con passo affrettato verso l'ascensore per raggiungere gli
altri.
Stazione di polizia di Roswell. Roswell, New Mexico.
Reid si
allontanò furtivamente
dal team di profiler per cercare un angolo tranquillo in cui poter
fare la propria telefonata. Si intrufolò nella fatiscente
sala
per gli interrogatori della stazione di polizia di Roswell e compose
velocemente il numero che desiderava chiamare trovandolo, con suo
dispetto, occupato.
La verità era che la carriera di
Alaska si era sviluppata più velocemente di quanto si
sarebbe
aspettato, una volta che si era inserita all'interno del reparto di
antropologia dello Smithsonian. Aveva passato un primo periodo in cui
si era limitata a svolgere le proprie mansioni di ricerca, pur non
senza collaborare con i propri colleghi il cui lavoro riteneva
interessante. Dopo di che aveva assistito un collega che lavorava
all'istituto di medicina legale di DC durante delle indagini di
polizia e da lì, in seguito ad una sua idea brillante che
prevedeva la riproduzione di un teschio che era andato perduto grazie
all'uso delle TAC, era iniziata la sua collaborazione fissa con il
dipartimento. Se c'era un caso che implicava cadaveri decomposti,
scheletrizzati, carbonizzati o decisamente irriconoscibili e senza
tessuti, l'antropologa che veniva chiamata era lei: le era perfino
stato assegnato un partner ufficiale dal quartiere generale dell'FBI,
nel caso avesse dovuto collaborare con casi di competenza federale.
Quindi, fra il lavoro allo Smithsonian e la collaborazione con la
sede di Washington dell'FBI, le giornate di Alaska spesso erano
caotiche quanto le sue, rendendola poco rintracciabile.
Quando finalmente sentì che
dall'altra parte avevano finalmente alzato la cornetta, Reid non le
diede il tempo di parlare.
“Va tutto bene, Al?” domandò
accorato.
“Certo, tutto nella norma.- lo
rassicurò Ross con tono leggero, prima di assalirlo con una
chiacchierata veloce- Come all'ultima chiamata che mi hai fatto, del
resto. Neanche un'ora fa. Non che non mi faccia piacere sentirti
così
spesso, anzi, se lo avessi saputo prima probabilmente mi sarei
inventata questa storia da sola, solo che credo davvero che tu ti
stia stressando troppo per una cosa che è poco importante
e...”
Spencer non la lasciò finire di
parlare “Hai più ricevuto lettere
strane?Telefonate
anonime?Incontrato tizi dall'aria sospetta che stranamente si trovano
sempre negli stessi posti in cui ci sei tu?”
“No, no e no.- rispose Alaska alle
tre domande- A meno che tu non consideri strana una lettera in cui
Davon mi comunica che si vuole trasferire alle Hawaii per rimettersi
a lavorare nonostante sia in pensione, e sospetto il nuovo look del
mio assistente di laboratorio: sinceramente il look heavy metal
è
un po' sopravvalutato, non trovi?Oh, e si può considerare
una
telefonata anonima quella della lavanderia per il ritiro dei vestiti
che ho dimenticato là?Perchè, tecnicamente, chi
ha
chiamato non mi da detto il suo nome e io....”
Reid tirò un sospiro di
sollievo. L'ennesimo in quei tre giorni in cui era in New Mexico
“D'accordo, Alaska, d'accordo: hai vinto!Ammetto di essere un
tantino iperprotettivo.”
“Sarà deformazione
professionale.- ipotizzò l'antropologa con una scrollata di
spalle- Sei stato molto dolce, comunque, a preoccuparti così
per me...”
“Sì, certo. Stai ancora da
Garcia, vero?”
Prima di partire Spencer aveva
praticamente consegnato Alaska alle cure di Penelope, convincendo la
collega a tenere la sua ragazza agli arresti domiciliari fino al suo
ritorno.
“Certo. Io e Penny ci facciamo un bel
pigiama party ogni sera da quando siete via.- gli rivelò
contenta- In effetti ci divertiamo molto: ieri le ho tinto i capelli
di rosso e lei a me di blu, ma solo una ciocca, sulla nuca,
così
se tengo i capelli sciolti non la vede nessuno...”
“Bene. Sai, preferisco comunque che
tu aspetti che ci sia io prima di tornare a casa tua. Sai, non vorrei
trovassi qualcos'altro...”
“D'accordo, Spencer, come vuoi.- Ross
non sembrava infastidita dal suo comportamento- Ora ti devo salutare,
sono su una scena del crimine.”
Al sentire quelle parole
l'attenzione del profiler si spostò su un nuovo argomento
“Un
nuovo caso?Lì a Washington?”
“Esatto.- confermò la giovane-
Strano per il periodo, no?”
“Già.” interloquì
Reid.
“Il tuo caso come procede?- si
informò quindi Alaska, interessata- L'avete preso?”
“Ci siamo quasi. Abbiamo un
sospettato, ormai.- le rivelò il profiler, prima di
aggiungere- Devo andare ora, stai attenta.”
“Come sempre.” gli fece eco, prima
di mettere termine alla chiamata.
Constitution Avenue. Washington, DC.
L'agente Gordon fece finta
di non aver
sentito nulla della conversazione telefonica che aveva appena avuto
la ragazza. Le posò una mano sulla spalla, guidandola in
mezzo
alla folla di poliziotti, membri della scientifica e semplici curiosi
e alzò con gesto galante il nastro rosso che intimava a
chiunque non appartenesse alle forze dell'ordine di non avvicinarsi.
Non appena li vide avvicinarsi il
detective Donovan si congedò dall'uomo che stava
interrogando
cosa che fece con piacere, oltretutto, considerando il fatto che
aveva tutta l'aria di non essersi mai fatto una doccia in vita sua e
l'odore nauseabondo che lo accompagnava confermava quell'ipotesi.
“Agente Gordon. Dottoressa Ross.-
disse, accompagnando il proprio saluto con un cenno del capo-
Benvenuti nel Paese delle Meraviglie!”
Allargò le braccia magre,
facendo aprire così la giacca grigio fumo che stava
indossando
sopra una camicia azzurra da quattro soldi, per mostrare con finta
ammirazione il sudicio vicolo in cui si trovavano.
Gordon fece una smorfia che gli deformò
leggermente il viso rubicondo “Francamente, quando leggevo
quella
storia ai miei figli me lo immaginavo diverso.”
“Credo che il detective stesse
facendo dell'ironia.” lo informò Alaska,
mettendosi una mano
davanti alla bocca per non essere sentita dal poliziotto.
L'uomo si passò una mano sulla
faccia, esasperato, e si fece un appunto mentale che gli avrebbe
ricordato, in futuro, di cercare il sarcasmo il meno possibile quando
era in presenza della giovane antropologa.
“Allora- esordì, ignorando
volutamente il commento della ragazza- che cosa abbiamo?”
Il detective non rispose, ma fece loro
segno di seguirlo mentre si addentrava ancora di più in quel
vicolo poco raccomandabile. Certo, la zona di per sé non era
certo una delle migliori di Washington, considerando l'alto numero di
piccoli criminali, barboni e tossicodipendenti che la frequentavano
abitualmente, ma quei palazzi fatiscenti e ormai abbandonati da tempo
potevano considerarsi la cigliegina sulla torta di quello che,
l'agente federale ne era certo, sarebbe stato un caso difficile da
trattare.
Alaska e Gordon seguirono lo sguardo di
Donovan, che stava osservando accigliato il cadavere.
“E'...su una scala antincendio.”
gli fece notare Ross, inclinando la testa per osservare il corpo che
pendeva tristemente attaccato a una corda.
“Sì.” confermò il
poliziotto annuendo.
“Impiccato.” precisò Gordon
incredulo.
“Esatto.” assentì di nuovo
Donovan.
“Nessuno se ne è accorto
prima?- domandò di nuovo l'agente FBI- Quel cadavere
è
piuttosto...sì, insomma, è bello
rinsecchito!”
“Di certo non è morto
qui.-spiegò Alaska- Il livello di decomposizione non
coincide
con questo clima: fa troppo freddo. Il cadavere sarebbe dovuto
rimanere in condizioni ottimali.”
Il detective fece schioccare le dita
“Doc ha ragione: il nostro amico è comparso
stamattina
presto, verso le cinque.”
Gordon aggrottò la fronte “Come
sarebbe a dire comparso?”
“Che si è reso visibile
inaspettatamente e improvvisamente. È apparso, sbucato,
spuntato, si è manifestato, si è presentato,
è
all'improvviso...” elencò la ragazza velocemente.
Si interruppe presto, però,
sentendo su di sé gli sguardi severi dei due uomini
“Scusate.
Ultimamente mi diverto con il gioco dei sinonimi.”
“Diceva che è comparso?-
ripetè la propria domanda il federale- In che
senso?”
“Che da quanto ci ha raccontato un
barbone che bazzica in zona, prima non c'era e quando lui è
tornato dal suo giro, puff!- Donovan aprì i palmi con un
gesto
d'effetto- Mucchietto di ossa era qua ad aspettarlo.”
“Non vorrei entrare nei rami del
vostro lavoro,- commentò Ross aggrottando la fronte- ma
questo
mi sembra un po' strano.”
I due uomini le lanciarono un'occhiata
stranita “Solo un po' strano?”
“Direi che siamo in presenza di un
caso di sindrome di Cabot Cove, cara dottoressa
Ross.”aggiunse
Gordon mentre, alle loro spalle i tecnici del laboratorio di medicina
legale rimuovevano il corpo dalla posizione originaria e lo
disponevano su un telo bianco steso poco lontano dal terzetto.
“Non ho mai sentito parlare di una
cosa del genere.” disse Alaska dopo qualche attimo di
silenzio
meditabondo, mentre si avvicinavano allo scheletro.
“Andiamo: La
signora in giallo, Jessica Fletcher!- elencò l'uomo,
spazientito dal fatto che l'antropologa continuava a rivolgergli
occhiate confuse- Quella vecchia che trovava cadaveri e omicidi
ovunque si recasse!”
Alaska alzò un sopracciglio,
ancora incerta “Era una patologa?”
“No, il personaggio di un
telefilm: era una scrittrice di gialli e in ogni puntata si ritrovava
per caso sul luogo di un omicidio.- spiegò animatamente
l'agente, prima di sospirare rassegnato- Davvero, Ross, a volte mi
domando in che mondo tu viva.”
“Pianeta Terra, per ora dicono sia
l'unico abitabile...” ribattè la ragazza con un
sorriso.
“Devo ricordarmi che con te qualsiasi
forma di ironia e sarcasmo va sprecata.” sbuffò di
nuovo
Gordon, sotto lo sguardo allibito del detective Donovan.
“Dov'è Nate?” domandò
quindi Alaska, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno.
L'agente storse la bocca in una
smorfia: non sopportava l'agente Crowford, che di solito era l'agente
capo dei casi di cui si occupava l'antropologa. In effetti, lo era
anche di quello ma se ne era andato poco prima che la dottoressa
arrivasse.
“Crowford è tornato al
quartier generale dell'FBI.- spiegò con tono piatto- A
quanto
pare il nostro scorbutico collega ha scoperto qualcosa che aveva
fretta di verificare e che ha ritenuto più importante della
tua consulenza.”
L'antropologa si piegò per
iniziare una prima analisi sommaria dei resti “Che cosa ha
scoperto?”
“Non ne ho idea. Come al solito si è
espresso solo a monosillabi, troppo incomprensibili per poter capire
quali fossero le sue intenzioni.”
Alaska alzò lo sguardo sull'uomo
“Oh, andiamo. Nate non è così
male.”
“Non
quando lo prendi nelle sue giornate migliori, sai allora può
effettivamente essere...- Gordon si interruppe, fingendo di
riflettere sulla cosa-nah, neanche in quel caso è di buona
compagnia.”
“A me piace lavorare con lui.”
disse invece Ross, mentre tastava il corpo alla ricerca di qualche
segno particolare.
“Sei l'unica a cui abbia mai sentito
dire una cosa del genere.- borbottò il federale con una
scrollata di spalle- E in secondo luogo, a te piace lavorare con
chiunque, non fai testo.”
“E' una donna.”
Donovan aggrottò la fronte
all'affermazione della ragazza “Chi?”
“La vittima, è una donna.”
specificò quindi Ross.
“Una donna. Almeno una cosa la
sappiamo.- disse l'agente appuntando la cosa sul suo taccuino-
Altro?”
“Ci sono dei segni lasciati da morsi
di animali.- continuò Alaska, concentrata- Carnivori, o al
massimo necrofagi. Sono troppo grossi per essere associati ad animali
di quest'area, anche se potrebbero essere stati fatti da dei randagi.
In ogni caso sono piuttosto sicura che si tratti di canidi.”
“Come fai a dirlo?” si informò
quindi il detective Donovan. A lui non sembrava altro che una specie
di mummia mal ridotta.
“Per via dei solchi lasciati dai
canini.- spiegò l'antropologa, prima di puntare su di lui i
suoi occhi azzurri- Sai, è per questo che si chiamano
così.”
“Solchi?” azzardò l'uomo che
stava perdendo il filo del discorso.
Alaska rise divertita “Canini.”
“Giusto, giusto.- borbottò
Gordon, riattirando su di sé l'attenzione- Che altro puoi
dirmi?”
“So che sembra assurdo ma...- iniziò
a parlare con tono pensieroso, mentre si alzava e con un cenno del
capo dava il permesso ai barellisti di portare via il corpo- A
giudicare dallo stato dei resti sembrerebbe che il cadavere abbia
raggiunto questo grado di decomposizione in un deserto.”
“Un deserto?” ripeterono
all'unisono i due uomini.
“Sì, sapete, una di quelle
aree geografiche quasi completamente disabitate, dove le
precipitazioni atmosferiche sono praticamente assenti e...”
iniziò
a spiegare con tono leggero l'antropologa.
“So che cos'è un deserto,
Ross!- sbottò Gordon interrompendola- Ma qua intorno non ce
ne
sono molti, no?”
La ragazza alzò le spalle
“Evidentemente allora la vittima non è di queste
parti.”
“E come ha fatto ad arrivare fin
qui?” domandò quindi Donovan.
Alaska si strinse nelle spalle. Le sue
idee a riguardo erano del tutto assurde e coinvolgevano l'intervento
di creature soprannaturali e capaci di volare come Superman o il cane
volante della storia infinita. In effetti, c'era un motivo se non
aveva mai neanche lontanamente pensato di entrare nella parte
investigativa della polizia.
“Che mi puoi dire di quei segni sulla
schiena?” chiese quindi Gordon, additando il cadavere che
veniva
portato via.
“Non saprei.- rispose Ross,
inclinando la testa di lato, pensierosa- Sono piuttosto
astratti.”
“Di certo non è arte
contemporanea.- ribattè l'agente con una smorfia- Ma quello
che intendevo è se hai idea di che cosa possono essere
fatte.”
“Intendi se so se si tratta di
qualche materia organica?- ricapitolò quindi l'antropologa-
Direi di no, ma farò fare delle analisi di
laboratorio.”
Gordon ammiccò nella sua
direzione“E io sarò il primo che saprà
di che si
tratta anche se il caso è di Crowford?”
Alaska rise: non capiva affatto perchè
l'agente, ormai prossimo alla pensione, fosse così in
competizione con Crowford “Manderò un messaggio in
contemporanea a tutti e due!” assicurò infine,
seguendolo
alla macchina, ben contenta di avere un passaggio fino ai laboratori.
Istituto di Medicina Legale. Washington, DC.
“Buongiorno,
dottoressa Ross!” la
salutò cordiale la receptionist dell'istituto di medicina
regale, facendo rimbombare la propria voce nasale per tutta la hall.
“Buongiorno a te, Meredith!” la
ricambiò Alaska, avvicinandosi al desk e appoggiandosi al
piano con le braccia incrociate.
“Come va?” domandò con tono
chiacchiericcio, mentre scrutava la scrivania alla ricerca della
cartella del suo caso.
La donna agitò la mano “Solite
cose: cadaveri entrano, cadaveri escono. Qua è sempre un
manicomio, il dottor Shawn e la dottoressa Gonzales si stanno
contenendo la sala autopsie grande. Di nuovo.”
Ross scosse la testa “Che ci puoi
fare?Quei sono davvero come cane e gatto.”
“Non me lo dire.- sbuffò la
segretaria, prima di afferrare un post-it volante e leggendoglielo-
Ha chiamato quel cafone di Crowford, senza salutare e parlandomi come
se fossi l'ultima ruota del carro, come al solito, e mi ha lasciato
un messaggio per te.”
“E' molto stressato in questo
periodo.- si scusò Alaska al suo posto- Che
voleva?”
“Dice che hanno trovato dei
documenti, sul cadavere e che quindi presto ti spediranno impronte
dentarie e campioni di DNA per un confronto. La vittima si chiamava
Sandra Tarrash e...
“Meredith!-tuonò una voce
dall'interfono- Ho bisogno di te ora!”
La segretaria fece roteare gli occhi
platealmente “Subito, signore.- rispose lapidaria, prima di
tornare
a rivolgersi ad Alaska- Ti ho scritto tutto nella cartella. Ti
dispiace fare da sola, cara?”
Alaska scosse la testa, esortandola ad
andare e poi girò attorno al bancone, per raggiungere il
porta
documenti alla ricerca del proprio fascicolo.
Fece passare le dita scostando le
cartelle una a una. Non riuscì a fare a meno di leggere
degli
altri casi in attesa, affidati ad altri medici legali e patologi.
Una donna era stata picchiata a morte
dal marito violento.
C'erano tre corpi carbonizzati in
seguito ad un brutto incidente stradale dovuto ad un camionista
ubriaco.
Un ladro che aveva tentato un colpo in
banca aveva avuto la peggio in una sparatoria con la guardia giurata.
Sospirò piano, scuotendo la
testa e, finalmente trovò quello che stava cercando.
Corpo scheletrizzato non identificato.
Sala autopsie 4.
Afferrò il fascicolo e se lo
portò con sé nella stanza di laboratorio e, dopo
essersi infilata un camice azzurro di plastica, un paio di guanti e
una cuffietta, azionò il tasto del registratore e
iniziò
ad analizzare i resti.
“Sono la dottoressa Alaska Ross e sto
procedendo con l'autopsia del corpo ritrovato a Constitution Avenue.-
spiegò, riportando ciò che stava per fare-
L'analisi
del DNA ci confermerà se si tratta di Sandra Tarrash,
scomparsa nel Nevada in seguito ad un'escursione nella Valle della
Morte, i cui documenti sono stati trovati sul cadavere.”
Girò attorno al tavolo di
acciaio per esaminare i resti “Il cadavere si presenta come
parzialmente scheletrizzato. Sui resti sono ben visibili dei solchi
lasciati da denti di animali necrofagi.”
Rimase in silenzio per un po',
appuntando delle note sulla cartella e poi ricominciò a
parlare.
“La donna è morta da almeno
due o tre settimane. La causa della morte è disidratazione,
conseguente a una perdita di coscienza dovuta a un trauma cranico sul
lobo frontale, provocato probabilmente da una pietra. La condizione
di ciò che resta dei tessuti esterni concorderebbe con
l'ipotesi che il cadavere è rimasto per diverso tempo in
balia
delle condizioni atmosferiche tipiche della zona desertica, cosa che
coinciderebbe con il luogo della scomparsa. Sul corpo si possono
osservare diversi segni dovuti ad animali necrofagi, probabilmente
coyote o volpi.”
Scosse la testa, confusa. Quell'ultima frase
l'aveva già detta.
Sbattè gli occhi, cercando di
ritrovare la concentrazione. Di solito non faceva errori del genere,
ma in quel momento si sentiva come se una nebbia densa le si stesse
avvolgendo attorno ai pensieri.
“C'è qualcosa spinto dentro il
cavo orale.” disse, ritornando ad operare sul cadavere.
Prese un paio di pinze e spostò
la mandibola di modo di recuperarlo senza danneggiare i resti. Quando
ebbe estratto quello che sembrava un sacchetto di plastica
trasparente, contenente un foglio di cartoncino accartocciato, lo
posò su un vassoio di metallo poco distante, pronta a
consegnarlo alla scientifica.
“Lascio il reperto da analizzare alla
squadra di tecnici di laboratorio.”
Fece di nuovo una pausa, cercando di
respirare con il naso. Aveva degli strani giramenti di testa e uno
strano senso di nausea.
Strinse le mani intorno al ripiano del
mobile addossato alla parete, cercando di ritrovare il controllo.
Sentiva il cuore batterle all'impazzata
e uno strano dolore, acuto e violento, all'addome.
C'era qualcosa che non andava.
Trascinò i piedi vicino alla
porta del laboratorio e premette la mano contro un pulsante rosso.
Immediatamente un allarme iniziò
a suonare in tutto l'istituto e in poco tempo i dottori che stavano
operando nelle stanze attigue si precipitarono di fronte alla porta
di vetro, ormai sigillata dal sistema automatico che si attivava
ogniqualvolta veniva schiacciato l'allarme per le sostanze tossiche.
“Dottoressa Ross!- si sentì
chiamare Alaska da un uomo dai capelli brizzolati che, a fatica,
riconobbe come il dottor Shawn- Che succede?”
Le parole le uscirono a fatica dalla
gola “Credo...credo che ci sia qualcosa di tossico,
qua.”
“C'è
una maschera antigas nell'armadio!” l'avvisò
preoccupata una
donna.
La dottoressa Gonzales?, si ritrovò
a domandarsi, mentre si avvicinava al mobile.
Aveva le gambe molli e la testa le
girava ormai vorticosamente. Senza che se ne rendesse conto,
urtò
contro il carrello di acciaio di fianco al tavolo operatorio, facendo
cadere tutti i suoi strumenti di lavoro, e ritrovandosi
improvvisamente a terra e incosciente.
Le voci dei dottori, fuori dalla sala,
le arrivavano ovattate alle orecchie, ma presto, sopraffatta dal buio
che le si era creato alla vista, si lasciò andare in uno
stato
di oblio.
Stazione di polizia di Roswell. Roswell, New Mexico.
Spencer abbassò
lo sguardo sul
cellulare che aveva iniziato a squillare insistentemente. Prima di
rispondere alzò un sopracciglio, incuriosito: non conosceva
il
numero sul display.
“Il dottor Reid?” disse una voce
sconosciuta dall'altro capo del filo.
“Sì?” ribattè, sempre
più confuso.
“Sono la dottoressa Tragger,
dell'Howard University Hospital. La chiamo per informarla che Alaska
Ross è stata ricoverata qui e lei è il numero da
chiamare in caso di emergenza.”
Reid sentì la terra mancargli
sotto i piedi. Si ritrovò inchiodato sul posto, il volto
pallido come un lenzuolo “C-cosa?Ricoverata?Che cosa
è
successo?Sta bene?”
“Non posso dirle molto, al momento.-
continuò la donna- È arrivata da poco ed ora
è
al Pronto Soccorso, nella sala emergenza.”
“Nella sala emergenza?Ma cosa....”
Tutto quello non aveva senso. Spencer chiuse gli occhi con forza,
pregando che fosse solo un brutto incubo.
“Senta, non posso dirle di più,
ora.- la dottoressa Tarrash era evidentemente di fretta- Forse
è
meglio che venga qua al più presto.”
Rimase così, col cellulare
stretto convulsamente in mano e appoggiato, ormai inutilmente,
all'orecchio.
Fu dopo qualche minuto che si accorse
che il brusio che sentiva di sottofondo altro non erano che le voci
dei suoi colleghi.
“Hey, Spence, che succede?- domandò
JJ preoccupata- Hai una faccia...”
“Reid?- chiamò di nuovo,
Hotch, questa volta- Va tutto bene?”
“No.- fu tutto quello che riuscì
a dire, con voce debole e sottile-Alaska è in
ospedale.”
______________________________________________________________________________________
Ok, lo so. Adesso voi mi odiate, vero? Ma non è colpa mia, davvero: il fatto è che io sono una sociopatica, non afferro le regole sociali, quindi non è colpa mia. Io lo so che non si fa di lasciare un finale di capitolo così, solo che non posso farci niente. Quindi, via ogni forma di arma: asce, pistole, cerbottane, immagini di Barbara d'Urso, e riappropriamoci della nostra pace interiore. Fatto?Bene! Eheheh, finito il cazzeggio, vi dico che questo voleva essere in realtà un aggiornamento-gift in onore del ritorno di Criminal Minds su mamma rai stasera!Quindi...buona visione, niente mail minatorie all'autrice e: buon week-end!Al prossimo capitolo, bacini baciotti. JoJo
lillina913 : Heylà!Uhm...direi che questo capitolo esplicativo di ciò che accade ad Alaska non è come te lo aspettavi, vero?Sorry, è che sono sadica dentro, credo che ormai sia irreversibile...Dai, comunque grazie mille per i complimenti!Ho messo un pochetto di lovely time anche a inizio capitolo se no ciao, qua!Vabbè, fammi sapere che pensi di questo capitolo, besos!
Maggie_Lullaby : La risposta alla tua domanda è: vd. sadismo dell'autrice. Ecco, direi che è l'unica spiegazione. Potrebbe anche essere una sorta di sindrome di Jessica Fletcher che ha contagiato la nostra povera e ignara antropologa!Chi può dirlo,eheheh!Al soltio, Thanks per i complimenti, cercherò di spedirti un Reid appena ne ho uno sottomano!Al prossimo capitolo!Kisses!
Luna Viola : Postato ho postato perchè non voglio averti sulla coscienza, non so se sarai molto felice del finale di capitolo, però!*me malvagia* In ogni caso thanks per tutti i lovely diretti alla mia storia, gracias davvero!!Il papy di Alaska si vedrà solo all'ultimo capitolo, ma ce lo devo mettere per forza!Eheheh!Al prossimo capitolo, bacibaci!