-Note
dell’Autore: Si
lo so, chiederti se era possibile cambiare
la fic è stata una cosa un po’ assurda
però questa versione ha qualcosa che…non
lo so…mi ispira mille volte di più.
Sono
partita con questa idea aiutando la madre della mia ragazza a svuotare
la casa
di sua nonna e, tra un libro e l’altro, ho pensato che per
scrivere una cosa
simile mi ci sarebbe voluto tanto coraggio, fino a che non è
uscita questa
cosa.
Pensa
che avevo paura di non averla nemmeno cominciata la fic per questo
contest ed
invece l’avevo addirittura già finita =o=’…va
beh!
Spero
ti piaccia!
Salut!
Rei.
Polvere
e Ricordi
Poggiò il capo al muro fissando, per un’ultima volta, le pareti spoglie che avevano costituito l’enorme villa a due piani in cui era cresciuto.
Poteva sentire gli uomini della ditta di traslochi che sua sorella aveva appositamente chiamato ritirare gli ultimi scatoloni dalla stanza affianco alla sua e parlare con Hana riguardo il pagamento e le questioni burocratiche che lui ancora non capiva.
Erano passati solo quattro giorni dal funerale, cazzo!
Com’era possibile che sua sorella e sua zia fossero così lucide da parlare liberamente di soldi con quel tipo grasso ed unticcio, al posto di sentirsi svuotate e prive di forza come lui? Come?
Sospirò sommessamente, carezzando il pavimento ed il sottile strato di polvere sotto le sue mani, chiudendo gli occhi.
Ci sarebbe dovuto essere lui al posto di sua madre.
Quella macchina avrebbe dovuto colpire lui ed invece…Tsume Inuzuka si era buttata in avanti per proteggerlo, per salvare la vita di suo figlio minore.
Strinse i pugni, colpendo il pavimento con forza.
Era stata colpa sua! Solo colpa sua!
Se avesse fatto attenzione al posto di attraversare la strada preso dall’impeto della litigata che stava facendo….
Se non si fosse girato a fissare sua madre nel preciso istante in cui lei lo chiamava per dirgli di stare attento!
Se si fosse spostato! Se non…se non…
Calde lacrime scivolarono dai suoi occhi andando a bagnare il collo della maglia.
Lui aveva sempre voluto bene a sua madre.
Lei lo aveva allevato da sola, aveva tirato avanti crescendo lui e sua sorella meglio di quanto qualsiasi altra madre avrebbe mai potuto fare.
La mattina si alzava presto, preparava il caffélatte per tutti e poi andava a lavorare, lasciando la casa nel silenzio più assoluto.
Da piccolo passava tanto tempo con lei, si occupava di ogni sua esigenza, non faceva mancare mai nulla a nessuno dei due.
Strillava ai brutti voti scolastici ma poi era sempre pronta a consolarlo e a fare il tifo per lui quando arrivava la pagella.
Conosceva a memoria le cose che adorava e quelle che odiava, era partecipe di ogni suo interesse e di quelli di sua sorella e quando litigavano pretendeva che fosse lui a domandarle scusa, ma poi chinava la cresta anche lei e si risolveva tutto con un abbraccio sul divano.
Suo padre era scappato dopo la seconda volta che l’aveva messa incinta.
Hana lo odiava con tutta se stessa per la sua vigliaccheria.
Entrambi sapevano dove abitava e che si era rifatto una famiglia, ma mai si erano azzardati ad avvicinarglisi per non rimanere feriti né ferire la donna che li aveva cresciuti, con la presenza di un “estraneo” all’interno della loro casa.
Aveva riposto con cura, in una busta da portare via, alcune delle cose di sua madre a cui lei teneva particolarmente.
Il ferma capelli con le perle che le aveva regalato nonno; non lo aveva mai indossato – sua madre era un maschiaccio nato – e sperava un giorno potesse passare ad Hana.
Una scatola con dentro scontrini, biglietti e lettere del suo viaggio in Europa, di cui custodiva gelosamente ogni ricordo – che avrebbe seppellito in un punto del giardino prima di andare via.
La loro fotografia al lunapark fatta quando aveva sette anni, tutti e tre con il viso sporco di cioccolata e l’espressione felice.
Una poesia che suo padre le aveva scritto, quella che l’aveva fatta innamorare di lui ed un diario, dalla copertina un po’ rovinata che riportava sulla prima pagina, scritto di fretta e con una calligrafia storta:
Tsume Inuzuka
Ricordi, pensieri e sogni.
Non
avrebbe dovuto
farlo, ne era consapevole.
Avrebbe
dovuto
riporre quel diario negli scatoloni, sigillare ogni cosa e aspettare
che il
tempo lo facesse marcire.
Che
portasse l’odore
di muffa che tutti gli scatoloni avrebbero avuto, per riscoprirlo una
volta più
grande, come un ricordo caro, che non avrebbe mai dovuto leggere.
Peccato
che il
bisogno di mantenere viva quell’ultima parte di sua madre era
impellente e che
quindi aveva bisogno delle parole scritte da lei per continuare a farla
esistere.
-
Sei sicuro di quello che stai
per fare, Kiba? –
Silenzio.
15/10/****
Non ho la
più pallida idea del perché io stia cominciando
una cosa così stupida come un
diario.
Me lo ha
regalato Yoshino, per il mio quindicesimo compleanno.
Un diario
è una cosa stupida, priva di senso.
Le
ragazze lo utilizzano per scriverci ciò che gli passa per la
testa, credo.
I ragazzi
per gli appunti di tutti i giorni, per segnare le scopate fatte,
più probabilmente.
Quindi
per cosa lo dovrei utilizzare io?
Non credo
di aver bisogno di presentazioni dato che non lo leggerà
nessuno e che
probabilmente non lo continuerò, mi sembrerebbe anche a dir
poco stupido
nasconderlo e tenerlo da parte, in fondo non credo lo
utilizzerò.
Volevo
riempire solo la prima pagina per non dare un
senso di soldi buttati al regalo di
Yoshino…anche se sono passati tanti
anni da quando me lo ha donato.
Il primo
foglio
prese fuoco con estrema facilità, sperdendosi come cenere
nel vento di fine
settembre.
Fissò
i rimasugli
allontanarsi e cadere senza rumore dentro l’acqua scura della
baita di Tokyo
avvertendo il breve sospiro di sua sorella.
Ecco la
fine che
avrebbe fatto il cuore di sua madre.
Dato che
sua zia non
aveva accettato la crematura del corpo loro avevano deciso di bruciarne
l’anima.
Ogni
pagina di quel
diario, che avrebbero letto assieme, sarebbe bruciata lentamente e
lasciata
cadere qua e là.
L’intero
Giappone
avrebbe conservato un pezzo dell’anima di sua madre e lei
avrebbe visto quanto
i suoi figli, a differenza di quando erano piccoli, erano uniti.
- Mamma
avrebbe
voluto lasciare un pezzo di sé anche nel luogo in cui
è nata –
Hana gli
passò una
mano tra i folti capelli castani rimettendo nella tasca dei jeans
l’accendino
nero preso da casa della donna.
- Lo so
–
Rispose
laconico
chiudendo il diario.
25/09/****
Sono sempre
più della convinzione che Shibuya, non sia un buon quartiere
dove andare ad
abitare.
Avrei
preferito una località di mare, magari trasferirmi ad
Okinawa, nella prefettura
di Nara.
Avrei
voluto prendere una casa grande, direttamente sulla spiaggia.
L’estate
fare le grigliate di carne e guardare le stelle.
Ma la
tempestività della cosa non si può proprio
frenare.
Sono
rimasta incinta, mia madre non ne vuole sapere di darmi una mano e lui
è una
persona così inaffidabile che ancora mi chiedo come io possa
aver preso la
decisione di scapparci assieme, ahh stupido amore giovanile.
Abbiamo
preso una casa, piccola ed accogliente.
I muri
sono color pesca, il mobilio scarso.
Il tavolo
al centro della stanza è rovinato in più punti ma
di legno pregiato, potremmo
provare a venderlo e vedere cosa possiamo ricavarne.
Ho
trovato un lavoro, non troppo pesante e che mi permette di fermarmi se
stò
male.
Ho anche
già deciso il nome della bimba che porto in grembo.
Hana.
Suo padre
mi ha portato un mazzo di fiori misti quando gliel’ho detto,
poi è sparito per
due mesi.
Si
prenderà una parte della responsabilità, mi
passerà qualche soldo e se poi
andrà bene…beh, mi sposerò con
qualcuno capace di amarmi più di quanto ha fatto
lui.
Nonostante
tutto sono felice.
Porto una
vita nel mio grembo, cresce lentamente e sana e presto sarà
tra le mie braccia.
È
già la
migliore parte di me.
Hana
guardò la casa
in cui aveva passato i primi anni della sua vita.
Al suo
interno
adesso ci viveva una coppia di giovani ragazzi, anche la novella
sposina era
incinta ed in grembo portava una bambina che avevano deciso di chiamare
Aiko.
Entrò
in quella che
era stata la sua camera da letto, mentre Kiba parlava in sala,
spiegando alla
donna perché erano passati da lì.
Fissò
la culla, le
tende colorate di rosa, il mobilio infantile che la sconosciuta aveva scelto per la
propria bambina.
Le
sembrava quasi
che avessero profanato l’integrità dei suoi
ricordi, distruggendo ciò che c’era
e che le era appartenuto, rendendosi al contempo conto che erano
passati troppi
anni perché avessero potuto farlo.
Strappò
la pagina di
diario che annunciava la sua venuta al mondo e, con estrema lentezza,
le diede
fuoco fissando il foglio cadere a terra e consumarsi lentamente.
Raccolse
ciò che ne
era rimasto e, senza farsi vedere, aprì un piccolo scomparto
che aveva trovato
quando era piccola, all’interno del muro e ora posizionato
dietro la scrivania,
per poi tornare dal fratello.
- Saluta
Aiko,
Hanachan –
Sorrise,
fissando
Kiba intento a indicare la pancia della donna e rendendosi conto che
ora era
tutto ciò che rimaneva della sua famiglia.
07/07/****
È
nato.
Il mio
secondo figlio è nato.
Due ore
fa piangeva insistentemente tra le mie braccia e ora dorme accanto a
me, con i
pugnetti chiusi davanti agli occhi e Hana che lo fissa come se fosse un
piccolo
mostro venuto a portarle via la sua mamma.
A volte
mi chiedo cosa passi nella testa di mia figlia.
È
uno
scricciolo con qualche ciuffo castano in testa e gli occhi di uno
strano colore
giallastro.
Ha una
voce potente e sono certa che, crescendo, mi creerà non
pochi problemi, se
prende dalla madre…
Lui non
si è fatto vedere per tutto il tempo del mio travaglio.
Ha
portato un mazzo di rose un’ora fa poi è scappato
dalla sua “fidanzata
tappabuchi” per una veloce scopata.
Se non
vado errata anche lei è incinta…spero nasca un
bel bambino come il mio.
Il vento
proveniente
dal mare era decisamente più forte di quello che avevano
sopportato fino a quel
momento.
Hana si
era presa
tre giorni di ferie dal lavoro, lui aveva saltato la scuola.
Seduti
sulla
spiaggia consumavano un cornetto al
volo
fissando l’alba spuntare da dietro al mare.
Ormai
erano arrivati
a metà del diario che, un mese prima, avevano
“rubato” dalla casa della loro
infanzia.
Da quando
Tsume era
morta, né lui né sua sorella avevano accennato a
quanto era successo.
Si
parlavano poco,
solo per cose veloci e riguardanti il diario.
Il loro
rapporto
sembrava incrinarsi mano a mano che le pagine diminuivano e il suo
senso di
colpa per la morte della donna cresceva a dismisura.
-
Kiba…a te piace il
mare? –
Si
voltò verso la
sorella, sorpreso da quella domanda così improvvisa e priva
di apparente senso,
per poi annuire.
- Mamma
lo amava –
Hana sorrise poggiando la testa sulla spalla del fratello.
–
Diceva che la
linea dell’orizzonte era il punto preciso in cui acqua e
cielo facevano l’amore
ogni giorno e, dal loro incrocio, nascevano le stelle, la luna e il
sole –
Spostò
lo sguardo dal
capo castano della sorella alla linea lontana e offuscata dalle folate
di vento
che gli mandavano i capelli davanti agli occhi e alzavano la sabbia.
Tre
pagine di diario
bruciavano lentamente di fronte a loro venendo poi alzate e portate
fino al
mare.
-
L’acqua fa l’amore
anche con la terra…è un po’ come le
puttane, ma con lei non fa figli. Lascia
solo i pesci morti –
Sorrise a
quella
constatazione, strappando un’altra pagina e dandole fuoco.
Non
avevano mai
parlato, né erano mai stati vicini per così tanto
tempo come in quei giorni.
Non
conoscevano
l’uno i gusti dell’altra, erano come due estranei
che si riscoprivano per la
prima volta e si sfioravano timorosi di farsi del male a vicenda.
- Mi sono
fidanzata
con un Uchiha, sai? Si chiama Itachi –
- Questo
a zia non
piacerebbe –
Le spalle
della
ragazza si alzarono in un gesto vago per poi ricadere stanche al loro
posto.
Kiba si
chinò a
baciarle la fronte.
-
Dì al tuo
fidanzato che, anche se sono un fratello poco presente, se ti fa
soffrire gli
straccio i coglioni –
Lei
scoppiò in una
risata cristallina prima di prendergli il diario dalle mani.
- Mamma
non
approverebbe questo tuo modo scurrile di parlare –
- Mamma
non
approvava niente, ma ci appoggiava sempre su tutto –
Tornò
il silenzio,
infranto solo dalle onde del mare.
Un’ora
dopo erano
nuovamente in viaggio per l’Hokkaido.
25/12/****
Questo
è il primo Natale che
ricevo qualcosa in dono dai miei figli e, per la prima volta, mi rendo
conto
quanto siano diversi da me e allo stesso tempo diversi tra di loro.
Hana ormai ha
ventuno anni, Kiba diciotto.
Penso di
essermi presa cura di
loro nel miglior modo possibile, nonostante i risvolti degli ultimi
tempi.
Kiba ha fatto
coming-out.
Sta con un
ragazzo di due anni più
grande di lui, l’unico guaio è che si tratta di un
Aburame.
La mia
famiglia e quella di quel
ragazzo non hanno dei buoni trascorsi…mentalità
troppo differenti, credo.
Il fatto che
mio figlio sia gay
non mi dà un grande turbamento.
Agli inizi mi
ha lasciata senza
parole, spiazzata; ora invece riesco a vederla da un’ottica
più…normale.
Non hanno
comportamenti ambigui in
pubblico, lui è una persona riservata e silenziosa, Kiba
compensa la mancanza
di rumore con fiumi di parole e si ferma solo quando i gesti
dell’altro lo
inducono a farlo.
Hanno
un’intesa così spettacolare
che mi lascia senza parole.
Non so se si
amino e che
intenzioni abbiano in futuro, ma se io avessi avuto solo la
metà di
quell’intesa con suo padre ora, forse, non sarebbe finita
così.
Dopo tanti
anni ho anche rivisto
Yoshino.
Si
è sposata con il primogenito
dei Nara e ha avuto un figlio che, ora, ha l’età
di Kiba.
Diventa
sempre più bella ogni anno
che passa…mi piacerebbe tornare ad uscire con lei come
facevamo alle medie.
Hana prova
interesse per un
ragazzo, qualcuno di cui non mi vuole parlare, forse ha paura della mia
reazione.
Anche
chiedendo alle sue amiche,
nessuna di loro ha saputo dirmi nulla e la cosa mi lascia un
po’ perplessa.
Non ci sono
mai stati segreti tra
di noi e il fatto che abbia cominciato a tenerli non mi lascia
tranquilla.
Ho paura di
perdere mia figlia, un
giorno o l’altro perché, a differenza di Kiba, non
ha una mentalità così
semplice e lineare da fare in modo che io possa capirla.
Spero che,
nonostante tutto,
continuino a vivere felici e spensierati come sono ora.
- Salve,
stavo
cercando Yoshino Nara –
Il
ragazzo che le
aveva aperto la porta si fece da parte, chiamando a mezza voce la
madre, prima
di tornare a poggiare lo sguardo su lei e suo fratello.
Aveva
l’aria di una
persona che si era svegliata da poco, gli occhi castani scrutavano i
due nuovi
arrivati con distacco e disinteresse.
Appena la
madre li
raggiunse, girò sui tacchi e si allontanò dalla
porta.
Yoshino
era una
bella donna proprio come ne parlava sua madre.
Lunghi
capelli neri,
grandi occhi castani.
Portava
un vestito
nero su cui si trovava un grembiule sporco.
A
pensarci bene
anche loro, erano arrivati a suonare all’ora di cena in
quella piccola villetta
coperta dalla neve.
La donna
li aveva
fissati a lungo prima di invitarli ad entrare in casa ed offrirgli una
tazza di
tea.
Non
c’era stato
bisogno di parlare, guardando lei e suo fratello aveva già
capito di chi si
trattasse.
- Ho
saputo di
vostra madre...era una mia carissima amica –
Mormorò
sedendosi di
fronte a loro e chinando il capo in avanti.
Hana
tirò fuori
dalla borsa le pagine di diario rimanenti, passandole alla donna.
- Lo
sappiamo.
Questo è ciò che rimane del diario di nostra
madre, frequentavate la stessa
scuola ed era la sua migliore amica. Queste pagine parlano solo di lei,
abbiamo
pensato di portargliele come ricordo –
La Nara
le prese,
stringendole con le lunghe dita affusolate, prima di sorridere.
Un’ora
dopo
camminavano tra la neve alta diretti verso l’hotel.
- Mamma
sarebbe
contenta –
- Mamma
vorrebbe che
non ci separassimo come abbiamo deciso –
Vide il
fratello
alzare lo sguardo dorato su di lei e poi sospirare.
Il suo
aereo sarebbe
partito tra meno di tre ore. Avrebbe raggiunto Itachi, sarebbe rimasta
con lui
per un po’ e poi sarebbe tornata ad occuparsi di suo
fratello, però…non se la
sentiva di partire.
Abbracciò
il ragazzo
in piedi di fronte a lei.
Era
conscia del
fatto che il loro rapporto non era mai stato tra i migliori.
Non aveva
mai voluto
avere niente a che fare con lui, da piccola aveva sempre creduto che
volesse
portargli via la mamma. Quella gelosia e quella paura, crescendo, erano
diventate voglia di prevalere su di lui.
Andava
bene a scuola
per portare voti migliori dei suoi, aveva imparato a giocare a basket
per
batterlo e, mano a mano, si era resa conto di quanto suo fratello non
fosse
interessato a quello stupido gioco e aveva perso interesse anche lei.
Non si
era mai
accorta che, pian piano, lui stava ripercorrendo la sua stessa strada.
-
Tornerò presto,
Kiba. Te lo prometto –
Il
ragazzo annuì
riprendendo a camminare davanti a lei, le mani infilate nelle tasche e
il capo
chino.
Qualche
ora dopo
Hana partì verso l’Austria come aveva promesso al
suo ragazzo, lasciando al
fratello un numero su cui rintracciarla se avesse avuto bisogno e
l’ultima
pagina del diario di sua madre.
Seduto
nuovamente su
quel pavimento spoglio, con il capo poggiato al muro e il foglio del
diario
della madre sulle gambe, Kiba fissava il soffitto.
Aveva
chiesto al
proprietario la chiave di casa con la scusa di essersi dimenticato
qualcosa,
aveva fatto il giro delle stanze e poi era tornato lì, in
quella dove aveva
trovato il diario.
L’accendino
nero
giaceva poggiato contro la sua coscia destra, come a monito di
ciò che avrebbe
dovuto fare anche se non ne trovava la voglia.
Aprì
gli occhi,
afferrò il sacchetto a pochi centimetri da lui e, dopo aver
preso l’accendino,
ne estrasse la candela bianca che aveva comprato e l’accese
poggiandola sul
pavimento
- A te,
mamma… -
Mormorò
prima di
bruciare anche l’ultimo foglio di diario.
08/10/****
Alla fine
dei conti, scrivere quella prima pagina di diario ti è
servito a qualcosa.
Io e Hana
abbiamo creato una sottospecie di rapporto che sono certo
durerà nel tempo.
Abbiamo
conosciuto i posti dove sei vissuta, carpito pezzi della tua esistenza
anche se
non avremmo dovuto farlo.
Ti
abbiamo sempre voluto bene mamma, nonostante tutto.
Dicevi
che sarei diventato una piccola peste e beh…non avevi tutti
i torti.
Hana
è
partita, ora sta con Itachi.
Io per
ora sono ospite da tua sorella, qualche giorno fa sono passato da
papà per
avvisarlo della tua morte.
Quando mi
ha riconosciuto – cristo quanto siamo uguali – mi
ha fatto accomodare ed è
rimasto a fissarmi a lungo, ma sono certo tu lo sappia dato che ci
guardi
dall’alto.
Mi
dispiace per quelle cose orribili che ti ho detto quella mattina.
Mi
dispiace per non aver fatto nulla per impedire ciò che
è successo…mamma.
Sei stata
l’unica donna della mia vita, ora ti prometto che mi
prenderò cura di mia
sorella e smetterò di rubarle la cioccolata di nascosto.
Ti saluto
Akamaru che in questi giorni non è potuto stare con noi.
Ti ho sempre
voluto bene, mamma, davvero.
Riposa in
pace.
Kiba.
Le
ultime pagine bruciarono
silenziosamente, velocemente.
Cercò
di trattenere le poche
lacrime che, finalmente, avevano osato lasciare i suoi occhi e poi,
lentamente,
si alzò dalla
posizione scomoda in cui stava, andando verso la porta.
Gli
parve di vedere sua madre,
vicino alla finestra.
Sorrideva
come aveva sempre
fatto, salutandolo con la mano.
Rispose
a quel silenzioso gesto
imboccando la porta.
Qualche
secondo dopo, anche la
casa dove era cresciuto prese fuoco,
lasciando
dietro di sé
solo
polvere e ricordi.