Commenti
dell’autrice:
Non
chiederti cosa sia questa ...
cosa.
Ho
passato quasi un mese a
scervellarmi per far uscire qualcosa di decente e pertinente con la
frase che mi
avete dato e, impossibilitata a ritirarmi per colpa di iaia questo
è il massimo
che mi è uscito.
Hinata
è clamorosamente ooc, ma
data la sua momentanea pazzia data dall’essere ignorata da
tutti forse si può
anche capire.
Ho
cercato di rendere la cosa più chiara
possibile, ora spetta a voi l’arduo giudizio … e
speriamo che la prossima frase
che mi arriva sia meno complicata di questa XD.
Ovviamente
anche l’ultima frase è
ripresa da “Il ritratto di Dorian Gray” mi sembrava
più “bello” chiudere la fic
con una frase di Lord Henry piuttosto che con una mia XD
(cercate
di non vomitare leggendo
la fic. Non voglio avere nessuno sulla coscienza XDD)
Rei.
Madness
Lasciò
cadere a terra il coltello sporco di sangue fissando l’uomo
steso ai propri
piedi;
Una
macchia scura sul pavimento bianco della villa in cui avevano sempre
abitato.
Un
fiore rosso sulla camicia color pastello che si apriva piano piano,
come una
rosa sotto il primo sole di maggio, e quella mano … quella
dannata mano che
ancora si tendeva verso di lei, stringendo la presa sulla camicetta
violacea
che portava addosso, stringendo la presa come l’ultima
richiesta scritta negli
occhi ancora sgranati per lo stupore.
Non uccidermi
Anche
lei, per troppi anni, aveva fatto una sola richiesta.
Non uccidermi
Richiesta
che non era mai stata ascoltata:
Guardami
L’aveva
urlato con tutto il fiato che le era rimasto, con quella voce flebile
che
nessuno ascoltava mai.
Lei
aveva urlato.
Lei
aveva richiesto la sua attenzione per anni senza riceverla quindi
perché…?
Perché
in quel momento avrebbe dovuto accogliere la richiesta di
quell’uomo?
Non uccidermi
Le
parole rimbombavano ancora nella sua testa, sommergendo qualsiasi altro
rumore.
Fece
un passo indietro, guardando la mano dell’uomo ricadere a
terra, con un rumore
secco, andando poi verso la camera della sorella.
Non
avrebbe risparmiato nessuno, come nessuno aveva risparmiato il suo
dolore.
*°*°*
A
questo mondo c'è una sola cosa peggiore che il far parlare
di sé, ed è il non
far parlare di sé.
*°*°*
- Sai
papà, oggi ho preso un buon
voto a scuola … -
Silenzio
- I
professori dicono che stò migliorando
…
se vado
avanti così ho buone
possibilità di superare l’anno scolastico
… -
Silenzio
- Sei
fiero di me, Papà? –
Ecco
le prime lacrime …
- Sai
papà oggi ho preso un buon
voto a scuola –
- Non
è una novità questa, Hanabi
–
Ascoltami
- La
professoressa di Matematica
si è complimentata con me, pensavo di andare a fare lo
scientifico una volta
finite le medie –
- La vedo
una buona idea, ne hai
le capacità –
Guardami
- Sei
orgoglioso di me, Papà? –
- Si
Hanabi, lo sono … -
GUARDAMI!
*°*°*°*
Aprì
gli occhi di scatto, fissando le pareti bianche di quella che ormai era
diventata la sola “casa” in cui avrebbe potuto
abitare.
Il
poliziotto camminava lentamente nel corridoio poco distante da
lì.
I
detenuti urlavano improperi e ingiurie verso di lui ma, qualsiasi cosa,
sembrava scorrergli addosso e andare oltre.
Anche
lei avrebbe voluto avere la sua stessa forza.
Anche
lei avrebbe voluto andare avanti, continuare per la propria strada
fregandosene
di qualsiasi cosa:
Di suo
padre che non la riteneva all’altezza per la loro famiglia
– lo stesso padre che aveva ucciso.
Del
ragazzo di cui era innamorata che non la calcolava mai – lo stesso che aveva sfregiato.
Delle
compagne di classe che non facevano che prenderla in giro – La stessa classe cui aveva dato fuoco.
Uscite
dalla mia testa.
Era
arrivata al culmine.
Dopo
un’intera vita passata
nell’ombra, dopo innumerevoli tentavi di essere vista,
ascoltata, capita, era
semplicemente impazzita.
I medici
avevano parlato
d’infermità mentale.
L’avvocato
l’aveva difesa parlando
di stress.
Non
sapeva a cosa era dovuto
quell’atto di pura follia.
Cosa
l’avesse spinta a lasciare la
piccola e tenera Hinata – la
ragazzina
debole e silenziosa che passava inosservata agli occhi degli adulti e
che
invece era l’oggetto di maggior attrazione per bulli e prese
in giro
dell’intero istituto che frequentava –
per andare incontro a quello che era
diventata … ora.
Non
si pentiva di ciò che aveva fatto, nonostante tutto.
La rabbia
l’aveva divorata per
anni.
La
solitudine l’aveva resa
insofferente ai tentativi di aiuto che l’insegnante di
sostegno e l’unica
persona che poteva considerare amico, lo stesso e unico amico che
l’andava a
trovare tutti i giorni, cercavano di darle di continuo.
Era
scoppiata.
Qualcosa
nella sua testa si era
incrinato, distruggendo ogni più piccola cellula e dandole
quella forza che le
era mancata per anni.
La Hinata
che tutti conoscevano era
sparita, lasciando posto ad una pazza psicopatica che aveva sfregiato
il viso
del ragazzo che diceva di amare nel tentativo di essere guardata da lui
Ho
bisogno d’aiuto
Lasciando
posto a un mostro che
aveva bruciato la sua classe con alcool e accendino durante
l’intervallo.
Non
c’è
nessuno che possa aiutarmi?
Lasciando
posto a quella donna che
aveva afferrato un coltello e ucciso il proprio padre.
*°*°*°*
-
Sai papà, oggi ho preso un buon voto a scuola … -
La
lapide, sotto le sue esili dita era fredda.
-
I professori dicono che stò migliorando …
Se
vado avanti così ho buone possibilità di superare
l’anno scolastico … -
Le gocce
di pioggia erano
ghiacciate sul suo viso.
-
Sei fiero di me, Papà? –
Si
lasciò cadere sulla terra umida
fissando la lapide implorante.
-
Sei fiero di me, Papà? –
Lente
lacrime cominciarono a
solcare le sue guance.
-
Sei fiero di me, Papà? –
Strinse
le mani a pugno,
affondando le unghie nella carne.
Non
avvertì nemmeno il poliziotto
raggiungerla fino a che non le mise le manette ai polsi.
-
Sarai mai fiero di me, papa? –
*°*°*°*
Guardò
per un’ultima volta la cella in cui aveva vissuto nelle
ultime due settimane.
Poteva
dire di conoscere ogni singolo angolo di quel posto umido.
Ogni
segno sulla parete sporca
Ogni
dislivello del pavimento su cui si era seduta.
In
fondo al vialetto, un uomo con un camice bianco e i capelli argentei
l’aspettava sorridendo sinistro.
Suo
cugino era fermo in piedi accanto a lui, le mani in tasca, i lunghi
capelli
sciolti sulle spalle larghe.
Alla
sua destra, Kiba, la fissava triste, impotente e con il capo affossato
tra le
spalle.
-
Piacere di conoscerti Hinata, mi chiamo Kabuto. Da oggi mi
prenderò cura di te
–
Annuì
debolmente, cercando di abbozzare un sorriso prima di seguire
l’uomo sulla
macchina bianca dietro di lui.
Sentì
i singhiozzi di Kiba e l’indifferenza di Neji.
Sentì
la solitudine tornare nuovamente a divorare il suo essere.
Lei
non sarebbe mai stata felice.
Nessuno,
il giorno dopo, avrebbe parlato della povera piccola Hinata rinchiusa
in un
ospedale psichiatrico.
Nessuno
si sarebbe mai occupato di lei.
Suo padre non sarebbe mai stato
orgoglioso di
lei.
Ognuno di noi
riunisce il sé il cielo e l'inferno.