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Autore: MeliaMalia    26/10/2005    7 recensioni
Scusatemi, ma non ho resistito... E se Willy Wonka non avesse cercato un erede, ma una moglie?
Questo racconto vuole essere una gentile parodia di un libro e di un film che ho apprezzato molto; se vorrete commentare e consigliarmi, mi farete molto felice!
Completata! ^^
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto, grazie mille a coloro che mi hanno commentata! Grazie a cloudy_chan, anche se le sue minacce sugli Umpa-Lumpa mi fanno a dir poco rabbrividire xD... E grazie anche a VallyBeffy (sono curiosa di leggere la tua fic, sai? ^^). Shark Attack è stata la prima a commentarmi, e ringrazio anche lei! Infine, gracias a Fibrizio, che è sempre costretto a leggere ciò che scrivo xD
Ecco, questo capitolo non sarà frizzante come gli altri, perché è più che altro di translazione (prima o poi dovevo presentare come si deve tutte le altre concorrenti ^^'). Però nel prossimo... posso scrivere di Willy Wonka! Oddio, emozione! ^///^
Va beh, vi lascio alla lettura! Ecco il terzo capitolo!




CAPITOLO TERZO
Erano anni che non si faceva vedere in giro, eppure tutte le voci maturate sul suo conto avevano l’incredibile particolarità di non contraddirsi a vicenda; che fossero leggende metropolitane, o incredibile storie che potevano racchiudere un fondo di verità, i semplici aneddoti… tutti avevano in comune una particolare idea: Wonka era matto. Matto! Matto come un cavallo zoppo innamorato di un’ape malandrina.
A causa di un brutto caso di spionaggio industriale, da molte stagioni si era rinchiuso in quella sua fabbrica, che pareva tirasse avanti da solo. Una cosa impossibile, ovviamente, ma per un matto realmente matto esiste qualcosa oltre il limite del possibile?
“Nonna… non potrebbe essere pericoloso entrare sole solette in quella fabbrica?”
“Pericoloso! Che vuoi che succeda?” Nonna Dea non la smetteva di spazzolarla di qua, aggiustarle un orlo di là, metterle a posto la treccia così e cosà. Una cosa a dir poco estenuante.
“Non lo so… e se oltre che essere pazzo, è pure un pazzo maniaco?” Azzardò, impedendole di scioglierle i capelli.
“Oh, beh! In questa vita bisogna pur correre qualche rischio!” Nonna Dea sbuffò, lasciandole la treccia: che nipote ostinata! Eppure stava così bene, con i capelli sciolti...
“Sei sempre rassicurante…” Sussurrò Viola, alzando appena gli occhi al cielo, e non riuscendo proprio a rilassarsi: si sentiva leggermente osservata.
Forse questa sensazione era imputabile al fatto d’essere una delle cinque Prescelte che ora, quasi alle ore dieci di una fredda ma solare mattinata, formavano una riga irregolare di fronte al grande cancello d’ingresso. E dietro di loro, una folla. Giornalisti, uomini, donne, bambini: tutti che spiavano lo storico momento della riapertura della fabbrica. Ma chi glielo aveva fatto fare di presentarsi lì? Accidenti a nonna Dea…
Si sporse, spiando di sottecchi le altre vincitrici.
Prima fra tutte una fanciulla dai lunghi capelli simili al grano e circonferenza toracica da far invidia ad un ippopotamo; sgranocchiava distrattamente una barretta di Cioccocremoso Rosa, avvolta in un cappotto di pelliccia, che l’arrotondava ulteriormente, creando una perfetta illusione ‘orso bruno’. La sera prima, Viola aveva sfruttato qualche vecchio spicciolo per acquistare un giornale ed informarsi sulle concorrenti: grazie a questo, seppe dare un nome a quel rotondo faccione: Mara. Veniva dalle terre del nord. Un po’ golosa, ma dall’aria simpatica.
La seconda, invece, tutto sembrava, tranne che simpatica. Il suo nasino all’insù con una perenne puzza sotto ne lasciava intuire le origini, ovviamente francesi. Aveva lunghi capelli color fiamma, occhi simili a smeraldi che si guardavano attorno con aria annoiata, e candida pelle perlata. Vestiva abbastanza scollata, roba da prendersi una polmonite. Nonna Dea sostenne che forse le persone più abbienti hanno una specie di convenzione con la polmonite: pagano, e non la pigliano. Viola rise mentalmente di quella battuta; in effetti, Denise non aveva esattamente l’aspetto della proletaria.
Accanto a Denise, intenta a fissarla con sguardo truce, vi era la ragazza che più le incuteva timore: Sara. Chioma nera, corta, ribelle, che incorniciava sottili e glaciali occhi azzurri: un aspetto più che appropriato per una ragazza che sul ring si tramutava in una belva, pronta a sconfiggere anche un troll. Sentendosi osservata, Sara fece dardeggiare un terribile sguardo su Viola, la quale, deglutendo a fatica, decise che non avrebbe mai più osato tanto.
Solo l’ultima, quella cosina mingherlina accanto a lei, sembrava una persona più o meno normale. Beh, se si scavava un po’ sotto la facciata composta da enormi occhiali e un grande schermo di portatile, sulla quale Elmena, questo il suo nome, sembrava dannatamente concentrata, ecco allora era una comunissima ragazza, come tante altre.
“Tra quanto apre?” Sbottò ad un certo punto Denise, tichettando nervosamente il piede a terra. “Fa freddo, qui.”
“Alle dieci, com’è scritto sul biglietto, no?” La voce di Sara era una specie di miscuglio tra una alta nota di violino e il suono di una sega elettrica che affetta un povero innocente.
“Alle dieci… speriamo che si sbrighi! Mi perdo tutte le telenovela!” Bofonchiò Mara, addentando un nuovo dolcetto.
“Posso fartela vedere on-line, se ti va…” Elmena sorrise gentilmente, esibendo il note-book.
“Non potevi metterti qualcosa di scollacciato?”
”Nonna, ma che dici?”
”Hai delle belle forme, no? Mostrale!”
Viola provò l’irresistibile impulso di sbattere più volte il capo contro un muro; peccato che al momento non ne avesse a disposizione.
Fu allora: allo scoccare del campanile che festoso annunciava le ore dieci, con uno schianto i cancelli si spalancarono. Una voce gentile e sicura di sé eruppe dagli altoparlanti.
“Benvenute, splendide fanciulle! Se siete in possesso dei biglietti d’oro, prego: entrate!”
Denise non se lo fece ripetere due volte; partì in quarta, con feroce passo di modella. Avvertendo una sfida, Sara la seguì, stringendosi nel lungo cappotto nero come la notte; seguirono Mara – che entrò forse perché semplicemente attirata dall’intenso odore di cioccolato – ed Elmena, la quale non si sognò neppure di alzare il naso dallo schermo; c’era da chiedersi come facesse a non inciampare.
“Beh, che aspetti?” Ultima ma non ultima, ecco una povera ragazza, vestita di vecchi stracci, dalla lunga e spessa treccia, che veniva spedita nel cortile interno a pedate da un’arzilla vecchietta.
I cancelli si richiusero dietro Viola, come una prigione, facendola rabbrividire. Era dentro.


   
 
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