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Autore: Nusia    12/09/2010    5 recensioni
Bella si è trasferita a Forks a causa di un brutto incidente che le ha cambiato la vita. Da ragazza solare e entusiasta diventa taciturna e si chiude in se stessa. L'unico che riuscirà a darle la forza di andare avanti sarà un ragazzo dai grandi occhi verdi. p.s. Tutti umani!
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Che ci fa questa di nuovo qui? XD tranquille è una semplice one-shot che posto mentre scrivo le altre ff =D

Bene non vi dico di che tratta però sperò vi piaccia. È un po’ triste ma chi di voi mi conosce sa che amo scrivere cose di questo genere.

p.s. questa one-shot è nata per partecipare al concorso MEYER PER UN GIORNO su una pagina di face book e visto che ha vinto *-* ho deciso di postarla anche qui.

Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e lasceranno una recensione. Un bacio a presto =D

 

 

*Guardian Angel

Pov. Bella

Che noia la scuola! L’avevo sempre odiata, anche da piccolina quando mi portavano all’asilo nido per giocare con gli altri bambini. Mia madre mi diceva sempre che ero nata che avevo già 35 anni e che adesso ero prossima alla mezza età. Invece, ne avevo solo 17 e ciò significava ancora tanti, tantissimi, anni di dolore. Penserete che sia pazza vero? Beh non vi do tutti i torti anche se sfiderei chiunque a non comportarsi come la sottoscritta, se gli fosse capitato quello che era successo a me. Fino a un anno addietro ero una delle ragazze più solari, vivaci e estroverse del mondo. Ero sempre felice, allegra e persino la scuola non sembrava così pesante e noiosa come in quel momento. Poi un giorno tutto cambiò. Bastò una semplice uscita in aiuto e mi ritrovai a vivere un incubo. Il mio incubo personale. Scossi la testa cercando di rimuovere quei brutti pensieri e addentai un trancio di pizza surgelata concentrandomi su qualsiasi futile particolare. Tutto pur di non ricordare. Mi guardai intorno e annoiata mi misi a osservare un po’ gli studenti che seduti ai tavoli della mensa sgranocchiavano qualcosa e parlavano tra loro, poi posai lo sguardo al mio tavolo e fissai indifferente le sedie vuote che giacevano al mio fianco. Nessuno mangiava con me ed io ero felice di ciò. Non volevo nessuno attorno a me. Mi ero trasferita a Forks, da mio padre, da circa un anno. Mi ci aveva mandato mia madre nella speranza che riprendessi di nuovo la mia vecchia vita. Che illusa! Tutti mi avevano accolto con grande calore e gioia, tutti i ragazzi della Forks Hight School si erano rivelati disponibili ma dopo neanche un mese avevano rinunciato a parlare con me. Chi vorrebbe mai parlare con una scorbutica dall’aria depressa? Sospirai pesantemente lanciando un’ occhiata all’entrata dell’aula ed eccoli i Cullen. Come al solito tutti si voltarono a guardarli: c’era chi li salutava, chi li osservava con fare invidioso o peggio ancora chi sospirava al loro passaggio. Era tutto talmente ridicolo. I Cullen altro non erano che 5 fratelli: due femmine e 3 maschi. Erano stati adottati quand’erano ancora piccoli da Dottor Cullen e signora e stavano assieme. Emmett ,Rosalie e Alice, Jasper, intendevo. L’ultimo di loro, Edward, era l’unico a non avere una compagna o per meglio dire era l’unico che ne aveva più di una. Avete presente quei buffoni che oggi giorni si fanno vedere con qualcuno di diverso? Ecco lui era proprio uno di quelli. Erano i popolari delle scuola, quelli che avevano tutto, dai soldi alla bellezza, come se bastasse quello per vivere. Molti studenti, se non tutti, quasi si umiliavano per diventare loro amici ma il più delle volte fallivano miseramente. I Cullen erano un gruppo a se, certo erano gentili con chiunque, ma nessuno veniva considerato da loro davvero amico. Non so, forse si sentivano superiori? Quasi mi venne da ridere pensando a tutto quello. Insomma, io ero l’ultima persona al mondo a poterli giudicare. Un po’ di tempo prima anche io ero come loro. Anche io ero definita popolare e avevo il mio ristretto gruppo di amici. Già, un tempo! Avevo letto in qualche libro che il passare dei giorno aiutava a rendere più sopportabile qualsiasi dolore, chissà perché a me sembrava il contrario. Ogni minuto, ora che passava mi sentivo sempre più soffocare e sola. Si, mi sentivo sola e loro mi mancavano terribilmente. Portai una mano al viso spazzando via quella lacrima solitaria che era sfuggita al mio controllo. Io non dovevo piangere, non ne avevo il diritto. Se in quel momento ero così sola e triste la colpa non era altro che mia. No, non avevo il diritto di versare lacrime, l’unica cosa che potevo fare era sopportare in silenzio la grande voragine che avevo al centro del petto. Quasi fosse un dovere!

Mi ridestai dai miei pensieri quando sentii qualcuno muovere la sedia di fronte a me. Alzai lo sguardo incrociando subito due occhi verde smeraldo, troppo intensi per non perdersi a fissarli.

“posso?” chiese la voce del proprietario di quel tesoro scompigliandosi la masse informe di capelli ramati. Non risposi, troppo scioccata per riuscire ad aprir bocca. Lui si sedette comunque e in quel momento sentii tutti gli occhi puntati su di noi. Mi ritirai subito in me stessa, abbassando il capo e mettendomi a leggere la copia, ormai malridotta, di Cime Tempestose. Che ci faceva Edward Cullen seduto al mio stesso tavolo? Era forse uno scherzo? O forse ero l’unica ragazza che mancava nella sua lista di playboy? Beh qualsiasi erano le sue intenzioni era meglio che alzasse i tacchi e andasse via. Io non gli avrei certo rivolto la parola.

“cosa leggi?” mi chiese cercando di essere gentile. Alzai il libro facendo in modo che leggesse lui stesso il titolo.

“però, lettura impegnativa” commentò. Non persi tempo a rispondere, figuriamoci se uno come lui capisse la bellezza di un classico. Lo sentii sospirare e sporsi un po’ verso di me.

“forse dovrei presentarmi. Piacere, sono Edward Cullen”

“so chi sei” mi lasciai sfuggire. Lui sorridere trionfante.

“allora sai parlare!” esclamò. Scrollai le spalle riprendendo a leggere.

“perché ti ostini tanto a leggere quel libro? Insomma quella non è affatto una storia d‘amore, i personaggi si odiano” chiusi il libro, ormai esasperata dalla sua presenza.

“e chi ti dice che a me piacciano le storie d‘amore?” domandai sfidandolo. Sembrò compiaciuto si sentirmi articolare una frase.

“beh a tutte le ragazze piacciono le storie d‘amore”

“peccato che io non sia tutte”

“su questo ti do ragione” mi appoggiò sorridendo ancora una volta.

“tuttavia i personaggi di questa storia non si odiano affatto, casomai tutt‘altro” aggiunsi stizzita dalla critica fatta al mio libro preferito.

“sono talmente pieni di difetti che mi sembra impossibile che possano essere paragonati a Romeo e Giulietta”

“vorresti farmi credere che sei un‘amante dei classici Cullen?”

“chiamami Edward” disse per poi aggiungere “e comunque si, io adoro i classici. Tutti eccetto Cime Tempestose” puntualizzò. Chi l’avrebbe mai detto che Edward Cullen fosse un appassionato di classici.

“non pensi che il bello stia proprio in questo? L‘unico pregio dei personaggi è il loro amore”

Lui ci pensò su per qualche secondo per poi affermare:

“continuo a pensare che sarebbe una storia più bella se i protagonisti avessero almeno un pregio, eccetto il loro amore”

“allora non andremo mai d’accordo Cullen”

“Edward”

“Cullen, meglio mantenere le distanze”

“ti sto così antipatico da non voler pronunciare il mio nome?” chiese ironico.

“tu non mi sei antipatico, direi più indifferente. Non tutti cadano ai tuoi piedi sai?”

“grazie al cielo, altrimenti avrei pensato di aver sbagliato giudizio su di te, cara Isabella”

“Bella” precisai.

“Isabella, sai com‘è per mantenere le distanze” mi prese in giro ripetendo le mie stesse parole.

“oh beh, allora dovresti chiamarmi Swan” lo corressi proprio mentre suonava la campanella. Mi alzai raccogliendo i miei libri e mi voltai per andarmene.

“a presto Swan” mi salutò lui. Non risposi, feci solo un leggero cenno con la mano e uscii dalla mensa lasciandomi scappare un sorriso. Il primo dopo un anno. Scombussolata dalla prima reale conversazione fatta dopo tanto tempo con qualcuno che non fossero i miei genitori, mi avviai a biologia.

Il giorno dopo, così come la restante parte della settimana, Edward Cullen non mi mollò un attimo. A mensa veniva sempre a sedere al mio tavolo e benché io facessi di tutto per non rivolgergli la parola lui trovava sempre un modo per irritarmi e quindi farmi parlare. Sembrava ci trovasse gusto. Come se ciò non bastasse gli altri studenti, forse incoraggiati dal gesto del loro beniamino, iniziarono a pormi qualche domanda e salutarmi appena mi passavano di fianco. Era snervante! L’ultima cosa che cercavo in quel periodo era la notorietà, così quel venerdì decisi che avrei pranzo in cortile. Stranamente c’era il sole e quindi libro di trigonometria alla mano e mi misi a ripassare sgranocchiando una semplice mela. Ah che pace!

“sei qui allora” disse una voce alle mie spalle. La sua voce. Dio, era una congiura contro la sottoscritta forse?

“già e gradirei rimanerci…da sola” precisai. Lui ridacchiò accomodandosi comunque al mio fianco.

“dimmi un po’ è il sole a renderti nervosa o trigonometria?”

“a dire il verso sei tu”

“oh, non ti ero…com‘è che hai detto il primo giorno? Ah si, indifferente?”

“beh si vede che ho cambiato idea. Sei insopportabile Cullen”

“sono felice di aver fatto qualche passo avanti allora. Meglio essere insopportabile che indifferente no?” avrei volentieri schiaffeggiato quella faccia d’angelo che si ritrovava, così da eliminare quel sorriso strafottente. Stanca di tutta quella messa in scena mi alzai dalla panchina sbuffando.

“vedi di lasciarmi in pace eh? Addio Cullen” e così dicendo feci per andarmene. Mi sentii afferrare per un polso così mi voltai a fulminarlo con lo sguardo.

“lasciami” ringhiai.

“resta qui, giuro che non parlo. Sto qui solo a farti compagnia”

“io non voglio la tua compagnia, non voglio la compagnia di nessuno” lui fece finta di non sentire e lasciandomi il braccio picchietto sulla panchina. Sospirai rassegnata sedendomi. Come promesso non aprì bocca così ripresi a ripassare trigonometria. Naturalmente il silenzio durò ben poco.

“perché?” chiese semplicemente.

“perché cosa?”

“perché non vuoi la compagnia di nessuno?” precisò. Abbassai il capo incupendomi e sorvolai facendo finta che non avesse posto nessuna domanda.

“Bella” sussurrò lui. Mi morsi il labbro prendendo a leggere un teorema.

“ehi” ci ritrovò. Allora decisi di leggere ad alta voce sperando che così capisse che non volevo affrontare l’argomento.

“un cateto è uguale al prodotto tra ipotenusa e seno dell’angolo opposto” dissi. Lui sospirò ed io continuai:

“oppure si può dire che un cateto è uguale al prodotto tra ipotenusa e coseno dell’angolo adiacente”

“ehi…ehi Bella guardami” tirai su col naso ignorandolo e solo allora mi accorsi di aver cominciato a piangere.

“Bella” mormorò ancora mettendomi una mano sotto il mento e costringendomi ad incontrare il suo sguardo. Smeraldo e cioccolato si fusero insieme e per la prima volta dopo un anno abbassai le difese scoprendomi per quella che ero: una ragazza indifesa e dolorante.

Lui non disse niente, mi attirò a se stringendomi forte e aspettò che i singhiozzi si placassero. Tutto il dolore accumulato, tutto le lacrime trattenute vennero fuori in un solo istante liberandomi, in parte, dall’enorme macigno che portavo in petto.

“ssshhhh…calmati Bella ora ti porto via da qui” e detto ciò mi sentii prendere tra le braccia. Cercai di protestare, di farmi mettere giù, ma le lacrime mi impedivano di proferire parla.

Quando sentii qualcosa sotto il mio corpo, socchiusi gli occhi e notai che eravamo nella sua auto.

“meglio?” chiese accarezzandomi dolcemente una guancia. Annuii.

“dove andiamo?” riuscii a chiedere in un sussurro.

“ti porto in un posto dove mi piace stare quando c‘è bel tempo”

Per tutto il tragitto non volò una mosca ed io potei finalmente pensare a quello che era da poco successo. Perché, perché mi ero aperta così tanto con lui? Perché quando ho incrociato quello sguardo mi sono sentita a casa e desiderosa di raccontargli tutto? Perché, Edward Cullen mi faceva quell’effetto?

“vieni, siamo arrivati” annunciò venendomi ad aprire la portiera. Scesi facendo attenzione a non guardarlo negli occhi e prendemmo a camminare a piedi.

“per quando dobbiamo camminare?” domandai ormai capace di controllare le mie emozioni.

“lo stai rifacendo. Hai tirato su le barriere”affermò. Non risposi, attendendo delle informazioni.

“soltanto per 5 minuti, siamo quasi arrivati” disse finalmente. Annuii seguendo il sentiero da lui indicato. Esattamente 5 minuti dopo giungemmo in un ampio spazio perfettamente circolare. Era una radura. La guardai estasiata, beandomi del rumore del ruscello che si sentiva a distanza e ammirando gli splendidi fiori di campo che risiedevano tra l’erba verde. Era come se qualcuno avesse estirpato gli alberi per formarne questo piccolo paradiso terrestre.

“ti piace?” bisbigliò Edward al mio orecchio poggiando le mani sui miei fianchi. Venni percorsa da una scarica elettrica e da leggeri brividi così scossi la testa come disorientata.

“è meraviglioso!” esclamai facendolo sorridere. Sorrisi anch’io. Un sorriso vero, di quello che ti contagia gli occhi e mi meravigliai di ricordare come si facesse.

“sei bellissima, dovresti sorridere molto di più” si complimentò lui sedendosi al centro dell’enorme spiazzo. Lo imitai mettendomi proprio di fronte a lui tanto vicino da poterlo toccare ma distanze abbastanza da non sentire il suo respiro sul volto. Per alcuni attimi restammo in silenzio. Lui a contemplare il nulla ed io ad ammirare il cielo perfettamente azzurro. Era raro vedere giornate come quelle a Forks.

“ci ha rinunciato anche Alice sai? Ed è strano per lei che non si arrende mai” abbassai lo guardò e lo trovai a fissarmi.

“di cosa parli?”

“del tuo costante desiderio di rimanere sola. Sai Alice non si arrende mai, perciò quando è venuta a casa annunciando che si arrendeva siamo tutti rimasti basiti” mi spiegò lui perso nel ricordo di quel giorno probabilmente.

Ricordavo quel piccolo folletto, l’avevo soprannominata così. Era stata un intero mese a tartassarmi, cercare di parlarmi, offrirmi uscite, poi da un giorno all’altro mi aveva ignorata come tutti gli altri. Mi ero sentita sollevata!

“perché lo fai? Perché te ne stai sempre per conto tuo?”

“perché è meglio così. È meglio che io sia sola” mi decisi a rispondere.

“avere degli amici è bello. Con loro puoi fare tante cose, parlare di tante cose. I miei fratelli, le mie sorelle, sono loro i miei amici. Ti senti bene con te stesso quando hai qualcuno che ti vuole bene”

“si…si, lo so”

Sapevo di cosa stava parlando, ricordavo perfettamente come mi sentivo quando avevo i miei amici con me. Ero io, semplicemente me stessa. Bella!

“e tu? Tu perché sei qui con me? Se ci ha rinunciato Alice, perché dovresti tentarci tu? Io non voglio nessuno amico Edward, sto bene così” dissi chiamandolo per la prima volta per nome. Lui sorrise e poi scosse la testa stringendosi le gambe al petto.

“perché io so che tu indossi una maschera. Tu non sei così Bella, i tuoi occhi parlano per te. Sono lo specchio della tua anima ed io attraverso essi riesco a capire che non sei per niente scontrosa come ti mostri a tutti. Tu sei la ragazza più bella, dolce e allegra del mondo, quasi quanto Alice ma lei raggiunge la pazzia“ si fermò per ridacchiare ed io mi persi ad ammirarlo. Era bellissimo!

“Io so che lo sei, so che dentro di te è nascosto tutto questo e voglio che tu riesca a farlo vedere a tutti” continuò.

“perché?” mi era davvero impossibile capire il motivo di tale ostinazione.

“non lo so. So solo che è da quando ti sei trasferita qui che mi hai incuriosito. Tu…tu sei diversa, non sei come gli altri. Quando sei arrivata e non ci hai minimamente calcolato io e miei fratelli di siamo guardati come a dire < finalmente qualcuno normale! > noi odiamo essere trattati come dei divi. La popolarità è qualcosa che ci è piombata addosso senza che noi lo volessimo. Tu…per te eravamo indifferenti, siamo indifferenti e volevamo averti come amica. Ma non ce l‘hai permesso”

“tutto qui? Tu mi hai perseguitato per una settimana e mi hai portata qui solo per ringraziarmi di non…venerarvi?”

“No, forse il primo giorno che mi sono seduto al tuo tavolo era così, ma appena hai aperto bocca, mi hai tenuto testa, qualcosa in me è cambiato. Io…io sono me stesso quando sono in tua compagnia. Io provo emozioni del tutto nuove. Nessuna ragazza mi ha fatto l‘effetto che mi fai tu eppure sono stato con tante, troppe ragazze. Che idiota eh? Avrai pensato fossi uno stupido maschilista che usa le donne per soddisfare il proprio piacere, ma la verità è che io non sapevo cosa si provasse a…ad avere interesse per qualcuno e ora che lo sto scoprendo, ora che…”

“Edward” soffiai interrompendolo “ti prego non…non continuare tu…io…non devi starmi così vicino. Non devi”

“ma io voglio. Voglio capire perché ti sei chiusa in te, io voglio sapere tutto di te”

Scossi la testa accennando un sorriso malinconico.

“mi disprezzeresti o peggio ancora avresti pena di me”

“mettimi alla prova” mi propose. Lo guardai negli occhi ancora una volta e lui mi sorrise accarezzandomi una guancia. Chiusi gli occhi a quel contatto e poi mi dissi che potevo fidarmi di lui, che pure se mi avesse disprezzata non avrebbe mai rivelato nulla a nessuno. Tornai a guardare dritto davanti a me e iniziare a tirar fuori ricordi per me dolorosi:

“fino ad un anno e mezzo fa anch‘io ero come te, popolare, allegra, con tanta voglia di divertirmi ed uscire con i ragazzi. Avevo degli amici, o meglio dei fratelli, ormai erano diventati ciò per me. Erano 4 Kate, Garrett, Tanya e Jacob. Ah Jake, pensavo di essermi presa una bella cotta per lui sai? Ma mi vergognavo ad ammetterlo, insomma era il mio migliore amico, mi aveva vista praticamente crescere. Non ci separavamo mai, eravamo davvero un bel gruppo affiatato e progettavamo di andare a vivere insieme una volta finita la scuola. Magari avremmo comprato una casa che si trovasse a metà distanza dai college che avremmo scelto. Era un classico pensiero di 5 ragazzi adolescenti con tanta voglia di vivere. Ero felice, non mi mancava niente” presi un bel respiro e guardai Edward con la coda dell’occhio. Era li che mi fissava in silenzio perciò ripresi a parlare della mia storia:

“un giorno di giugno, decidemmo di andarcene a mare e marinare la scuola. Andammo tutti con la mia Audi e ci divertimmo tantissimo. Prendemmo il sole, facemmo il bagno, giocammo. Stemmo li fino alle nove di sera poi decidemmo che era ora di tornare a casa. Raccogliemmo le nostre cose e iniziammo a percorre la strada del ritorno cantando a squarciagola stupide canzoni rock. Successe tutto in un secondo. Io guardai dallo specchietto Tanya che discuteva con Kate, Jacob si abbassò per prendere un cd dal cruscotto e Garrett rideva a crepapelle per la discussione delle ragazze. Nessuno teneva gli occhi puntati sulla strada, d‘altra parte era vuota, cosa sarebbe potuto succedere per un secondo, un reale secondo di distrazione? Non fu così, qualcuno, uno stupido ragazzo ubriaco, sbucò dal nulla tagliandoci la strada. Io cercai di sterzare e nel vano tentativo di scampare lo scontro andai a finire in un burrone. Non era profondo ma questo non cambiò le cose” mi fermai singhiozzando e Edward mi si avvicinò subito abbracciandomi.

“ok Bella, ferma se non ti va di continuare non fa nulla. Shhh…ti prego” scossi la testa contro il suo petto e cercando di calmarmi continuai. Ormai i ricordi erano tornati alla mente e non sarebbero rientrati tanto facilmente in quel cassetto dove per mesi l’avevo rinchiusi.

“Tanya e Garrett morirono sul colpo. Kate aveva semplicemente perso i sensi. Gli unici parzialmente coscienti eravamo io e Jacob. Lui mi diceva di star tranquilla, di prendere il cellulare e chiamare i soccorsi. Feci come mi disse, era l‘unica che aveva il cellulare a portata di mano e poteva muoversi. Quando avvisai Jake che sarebbero arrivati presto lui non mi rispose. Andai nel panico, non sapendo cosa fare. Quando mi resi conto che due dei miei amici non c‘erano già più mi sentii morire con loro. Cercai di liberarmi dalla cintura di sicurezza e con molta fatica ci riuscii. tentai di far riprendere conoscenza a Kate ma non reagiva allora provai con Jacob. Lui aprì gli occhi, mi sorrise, disse di volermi bene e che non se ne sarebbe andato. Glielo feci promettere. Quando arrivarono i soccorsi per Kate non c‘era più nulla da fare. Io e Jacob fummo portati d‘urgenza in ospedale e li svenni anch‘io” mi asciugai le lacrime nel vano tentativo di trovare un po’ di lucidità e proseguii.

“mi svegliai dopo qualche ora, mia madre era li con me e fu felice di vedermi riaprire gli occhi. Io ricordavo poco e niente e lei mi spiegò tutto tra le lacrime. Mi disse che il teppista era morto sotto i ferri. Gli chiesi di Jacob e lei mi disse che l‘avevano operato ma che era troppo presto per dire se stesse fuori pericolo o meno. Io venni dimessa dopo due giorni, non mi ero fatta nulla: una semplice gamba rotta e qualche insulso punto alla fronte. Ricordo che mi sentivo vuota, priva di emozioni e le cose peggiorarono quando mi chiamarono per dirmi che Jacob era morto in seguito ad una crisi respiratoria. Mi cadde il mondo addosso, iniziai ad urlare che me l‘avevo promesso, che mi aveva giurato che non sarebbe morto. Ero definitivamente sola. Molti pensavano fossi una miracolata, l‘unica sopravvissuta ad un incidente mortale, per me…beh per me era solo una disgrazia. Nei 6 mesi successivi il dolore non accennava a diminuire e per farmi forza mi chiusi in me stessa. Mia madre mi propose di trasferirmi qui a Forks < magari cambiando aria ti sentirai meglio > mi aveva detto. Accettai ma appena misi piede in questo paese mi feci una promessa. Non avrei mai più avuto amici, in modo che non li avrei mai più persi e non avrei mai più sofferto in quel modo. Ecco perché devi starmi alla larga Edward, con me sei in pericolo, se…se succedesse qualcosa tu moriresti ed io probabilmente la farei di nuovo franca. Nessuno deve rischiare di nuovo la vita. Nessuno” terminai lasciandomi andare in un altro lungo sfogo. Edward mi cullò sul suo petto fin quando gli ultimi singhiozzi non si placarono ed io lo lasciai fare. Mi lasciavo accarezzare, baciare, vivendo anche se per poco di quelle sue dolci attenzioni. Quando anche l’ultima lacrima finì di rigarmi il viso mi sentii meglio. Dopo tanto tempo non sentivo più una voragine lacerarmi il petto e un macigno nello stomaco. Mi sentivo più leggera, come se quella piccola confessione avesse portato un po’ di ordine nel mio stato d’animo.

“io non ti disprezzo e non mi fai pena Bella. Tu…la tua non è stata una disgrazia. Non è colpa tua se i tuoi amici sono morti e tu invece sei viva. Loro non darebbero la colpa a te per quel incidente e non dovresti dartela neanche tu. Si eri tu quella a guidare ma non sei stata tu a tagliare la strada a qualcuno. Sei una vittima come tutti e loro, i tuoi amici, sono sicuro che non vorrebbero vederti così. Devi tornare a vivere Bella, a sorridere, gioire, parlare ed interagirti con le persone. Magari farti altri amici, certo non saranno mai loro e non potranno mai sostituirlo, ma potrebbero rivelarsi veri e sinceri. Ed io, se tu lo vorrai, sarò al tuo fianco ad aiutarti”

Mi guardò negli occhi mentre parlava, come a volermi dimostrare che pensava davvero quelle cose e che non fossero solo parole di circostanza. Mi aveva chiesto il permesso di aiutarmi ad andare avanti e continuava a chiedermelo stando in silenzio e pregandomi con lo sguardo. Avvicinai la mia mano al suo volto e lo accarezzai.

“si” mormorai semplicemente e lui sorrise attirandomi a se e baciandomi una guancia.

“grazie” bisbigliò al mio orecchio tirandosi su e porgendomi la mano.

“dove andiamo?” chiesi.

“a casa mia, è tempo di voltare pagina” detto ciò mi portò di nuovo alla sua macchina e viaggiammo verso casa sua.

Stetti in silenzio per tutto il tempo, domandandomi se stessi facendo la cosa giusta, poi quando aprì la porta di casa sua e mi ritrovai ad osservare i volti sorridenti dei suoi fratelli e genitori mi lasciai scappare un sorriso e mormorai a me stessa un “si”

Si, stavo facendo la cosa giusta. Nessuno mi avrebbe mai giudicata per essere andata avanti. Edward mi prese la mano ed insieme entrammo in salotto. Strinsi la mano a tutti i presenti, sorridendo alle loro parole e mi lasciai stritolare da un abbraccio di Alice che urlava che era felice di vedermi li con loro.

Incrociai due occhi verdi e sorrisi mimando un grazie al mio angelo custode.

Da quel giorno avrei cominciato una nuova vita, senza però dimenticare quella vecchia.

 

*Nusia!

   
 
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