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Autore: _Princess_    12/09/2010    16 recensioni
Si erano trovati per caso. Si erano conosciuti, si erano piaciuti, e tutto era stato semplice. Fin troppo semplice.
Quando Tom le aveva chiesto di uscire con lui, lo aveva fatto solo per una disperata voglia di normalità. Quando lei aveva accettato, era stato per pura e semplice curiosità verso il fascinoso straniero.
Quello che era successo dopo era uscito da ogni programma che entrambi si erano fatti su quell’incontro, e nessuno dei due aveva saputo – o voluto – rimediare all’imprevisto per tempo.
Ma il problema non era questo.
Il problema era che, nel mezzo di tutta l’imprevedibile sincerità che si erano trovati a condividere, avevano entrambi nascosto un segreto.
Tom si era sentito in colpa, fermamente convinto che non ci potesse essere nulla di paragonabile al proprio. Purtroppo, però, come molte altre volte, aveva appena scoperto di essersi sbagliato. E di grosso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Life & Troubles of a Guitar Hero'
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Nervosismo: una piaga che Tom aveva felicemente dimenticato, da qualche settimana a quella parte, grazie alla balsamica lontananza da obiettivi e riflettori. Peccato solo che, a quanto pareva, un appuntamento con una ragazza fosse una fonte di nervosismo ben peggiore di un palcoscenico con tanto di pubblico di diecimila persone.

Di questo, però, lui non era mai stato avvertito.

A Bill era venuto un collasso quando gli aveva chiesto se con i jeans neri stesse meglio la felpa grigia o quella bianca ed era stato poi piuttosto complicato cercare di divagare di fronte alle sue domande sospettose circa tutto quell’improvviso interessamento verso gli abbinamenti cromatici dei vestiti. Grazie a qualche divinità caritatevole, però, Georg era accorso in suo aiuto ed era riuscito a distrarre Bill abbastanza a lungo perché Tom potesse autonomamente e rapidamente decidere che il bianco era la scelta migliore e defilarsi alla chetichella sillabando un ‘Grazie’ silenzioso all’amico prima di chiudersi la porta alle spalle.
E adesso era lì, fuori dal bar dove lavorava Marta, in attesa della chiusura. Ormai era solo una questione di minuti.

Pensando a Marta, Tom si sentiva formicolare dalla testa ai piedi, come se fosse stato assediato da formiche brulicanti, e non sapeva perché. O meglio, sapeva perché, ma non se lo sapeva ben spiegare. Marta non era quella che si sarebbe convenzionalmente definita una ragazza perfetta, eppure ai suoi occhi era insopportabilmente bella e attraente, con quei suoi atteggiamenti sfacciati, e le fossette disegnate dai sorrisi, e la voce da donna che stonava un po’ con il viso da ragazzina che si riusciva a intravedere sotto al nero del troppo eyeliner.

A lui, che amava capire le cose, soprattutto quando le viveva sulla propria pelle, questa smaccata attrazione risultava vagamente allarmante, proprio perché al di fuori di ogni sua razionale concezione e controllo. Tuttavia, l’inguaribile incoerenza che era in lui lo aveva portato fin lì, e adesso la aspettava, rigirandosi le chiavi dell’auto tra le mani senza ben sapere cosa aspettarsi dalle ore che sarebbero seguite.

Una cosa se non altro la sapeva: aveva davanti una serata da vivere come da tanto – troppo – tempo non faceva.

“Accidenti, sei venuto davvero.”

La familiare voce ruvida risvegliò improvvisamente le mille formiche su tutto il corpo di Tom. Marta era davanti a lui, anche lei in jeans neri, con una maglietta rosa dalla generosa – e molto apprezzata scollatura e una giacchetta di denim buttata sul braccio. E benché fosse ben lungi da essere una modella, né una ragazza di quelle che di solito guardava lui, Tom pensò esattamente la stessa cosa che pensava quando guardava una modella o una ragazza delle sue solite: ‘Dio se è bella’.

Gli occhi castani di Marta lo scrutavano curiosi.

“Be’? Nemmeno mi saluti?”

“Oh.”

Tom si rese orribilmente conto di essersene rimasto lì fermo a fissarla senza spiaccicare una parola. Il che non era necessariamente un male, dato che tutto ciò che gli sovveniva da dire erano apprezzamenti del tutto fuori luogo, con una mezza sconosciuta.

“Ciao.” Riuscì a balbettare dopo un paio di secondi.

Marta sorrise. Magicamente, nelle sue guance comparvero le due fossette che a Tom piacevano tanto, e per un attimo lui ebbe l’impulso di accarezzarla, perché sembrava così liscia e morbida che era proprio un peccato non poterla toccare, ma si costrinse a trattenersi. Ciononostante, non riuscì a non augurarsi che, presto o tardi, avrebbe avuto occasione di poterlo fare.

“Ma che fine ha fatto la tua parlantina, si può sapere?” si lamentò lei con disappunto. “Ti hanno mangiato la lingua? Non ti sarai mica offeso perché ho detto che il tuo inglese fa schifo…”

Tom si passò la lingua sulle labbra.

“No, è che… Sono un po’… Stupito, ecco. Stai – stai molto bene.”

Marta abbassò lo sguardo su sé stessa e si aggiustò la maglietta, come se il complimento fosse stato rivolto ad essa anziché direttamente a lei.

“Mi sono fatta portare qualcosa di carino da mia madre. Non potevo certo uscire con i vestiti che puzzavano di fritto. Credeva che la prendessi in giro quando le ho detto che sarei uscita con un ragazzo.”

“Non ti piace uscire con i ragazzi?” le chiese lui.

Marta scrollò le spalle.

“Diciamo che sono un po’ allergica alle relazioni serie.”

Anch’io, pensò Tom, o almeno è quello che vado dicendo da più o meno una decina d’anni. Chi lo sa più se è vero o no…

Marta stava parlando di sua madre, ma lui la stava a malapena ascoltando. Continuava a ritornare con lo sguardo sulle sue labbra, sentendosi come torturato da una strana arsura in bocca.

“Che ne dici, ce ne andiamo?” lo esortò lei a un tratto, prendendolo sottobraccio. Era calda, delicata. Tom realizzò, non senza stupore, che nessuna ragazza, nemmeno nel momento più intimo, lo aveva mai sfiorato con tanta concreta femminilità.

Grazie a quel gesto, Tom tornò finalmente in sé. Il contatto fisico improvviso aveva risvegliato in lui la voglia di muoversi e divertirsi, nonché la sua prontezza di spirito. Percepiva un’energia immensa, in lei, una voglia di vivere così intensa da sentirsene irrimediabilmente contagiato.

“Da questa parte. Ho lasciato la macchina nel parcheggio qui dietro.”

“La macchina?” Marta rise apertamente. “Non farmi ridere, Strüdel, niente macchina. C’è il mare, di là,” aggiunse, indicando un punto oltre una lunga serie di ville. “Si va a piedi.”

A piedi. Il tragitto più lungo che Tom aveva percorso a piedi negli ultimi mesi era stato il vialetto davanti a casa per portare a spasso il cane. Una passeggiata sul lungomare non era un’idea malvagia.

“Tanto guarda che gambe lunghe hai… Non ti stancherai di certo.”

“Non dovrei essere io a guardare le gambe a te?”

Il sopracciglio di Marta si inarcò.

“Siamo seri: se qui ci sono delle gambe da guardare, non sono sicuramente le mie.”

Per Tom era una piacevole novità parlare con una ragazza che non gli sbattesse in faccia le sue consapevoli grazie come prima cosa. Non era così ipocrita da dire che lo seccava avere sempre intorno delle bellezze provocanti, ma a lungo andare la bellezza fine a sé stessa diventava insipida, come cercare di saziare la fame inghiottendo litri e litri di acqua: dava l’illusione di soddisfazione, ma non durava mai a lungo.

Adesso era curioso di scoprire come potesse apparire, lui, agli occhi di una ragazza che non aveva la più pallida idea di chi lui fosse per il mondo.

 

***

 

Non era come nei film. Non c’erano feste scatenate sulla spiaggia e nemmeno giovani riversati a fiumi sulla promenade che la costeggiava. Era tutto tranquillo e surreale, forse perché si trovavano in una cittadina piccola e isolata che, per quanto ricca, aveva poco da offrire alle esigenti pretese dei giovani americani.

Per un giovane tedesco che ne aveva piene le tasche della vita da jet set, tuttavia, era assolutamente perfetto. Il tramonto era alle porte e c’era ancora molta luce nel cielo terso. Qualche gruppetto di ragazzi indugiava ancora sulla spiaggia, altri passavano in bici o in roller per la via  pedonale, ma non erano che rari passanti, e nessuno di loro aveva minimamente calcolato Tom.

Per strada, Marta gli aveva parlato un po’ della città e del tipo di gente che la abitava, dalle ricche famiglie annoiate alla più interessante gente comune che abitava i quartieri popolari, e qualcosa nel suo modo di esporre tutto questo aveva fatto insorgere in Tom un vago  sospetto.

“Tu non sei americana, vero?”

Marta sorrise con aria affatto sorpresa.

“Perché me lo chiedi?”
“Non sembri un’americana. Nemmeno il tuo nome.”

Marta confermò i suoi sospetti. Gli raccontò che per la maggior parte della sua vita aveva vissuto in Europa, e come fosse stato strano per lei ritrovarsi trapiantata da lì agli States, ma lo aveva detto senza nostalgia, come se lasciare quella che era sempre stata la sua casa per lei non avesse rappresentato niente.

Tom, invece, sentiva spesso nostalgia di casa, quando era lontano, e se non avesse  avuto pezzi di casa veri e propri sempre con sé – Bill, Georg e Gustav, i loro cani – non sarebbe mai stato in grado di sostenere la vita che conduceva.

“Quindi sei una straniera anche tu.”

“Sì.” Annuì lei. “Il mio nome completo sarebbe Marta Vittoria Aurelie Flaurent.”

Tom strabuzzò gli occhi.

“Cazzo, un nome più complicato no? Scommetto che hai imparato ad andare in bicicletta prima di saperlo pronunciare.”

Marta scoppiò a ridere, accarezzata da un gradevole venticello fresco.

“Sei tu che hai qualche difficoltà tecnica sulle R.”

“Ripetimi un attimo il nome, ma più lentamente.”

“Marta Vittoria Aurelie Flaurent.”

Sebbene non fosse del tutto certo di aver compreso correttamente ciascuno dei nomi, Tom era abbastanza sicuro di aver riconosciuto il tipico suono di ciascuno di essi.

“Questo martirio vocale indica forse che sei italo-francese?”

Marta annuì di nuovo. Un elastico blu le teneva legati i capelli scuri, ma parecchi ciuffi le ricadevano disordinati intorno al viso.

“Mais oui. Trapiantata in California da mia madre, dopo il divorzio da mio padre. Lui vive ancora a Firenze.”

“Ne parli con molta incuranza…” si meravigliò lui. I divorzi erano un argomento che gli era fin troppo familiare che bruciava sempre un po’.

“Non mi vergogno di avere i genitori divorziati.” Sottolineò lei, un po’ sulla difensiva.

Tom capì di essersi espresso male.

Maledetta barriera linguistica.

“No, non intendevo… Lasciamo stare.” Continuarono a camminare. “Anche i miei sono divorziati, comunque. Da quando avevo sette anni. Sono cresciuto con mia madre e il mio patrigno.”

Si accorse che Marta lo stava osservando attentamente solo quando, terminata la frase, si girò verso di lei per vedere la sua reazione. Due occhi da riflessi arancioni lo indagavano senza falsi pudori.

“Sei una persona caratterialmente molto chiusa, vero?”

I peli di Tom si rizzarono sulle sue braccia come gli aculei di un porcospino in allerta.

“Cosa te lo fa pensare?” chiese con falsa disinvoltura. Non gli piaceva che degli estranei leggessero certe sue pagine delicate con tanta facilità. Accadeva di rado, per fortuna, ma comunque lo faceva sentire nudo.

“Abbassi spesso lo sguardo, quando parli,” gli spiegò Marta, in un tono calmo che lo rassicurò. “E non mostri i palmi delle mani. E ti muovi di continuo per distrarre l’attenzione di chi ti parla dal tuo viso. Il che è un peccato, perché hai un viso davvero bello.”

Non aveva peli sulla lingua, né usava servirsi di giri di parole per esprimere un concetto. L’esatto contrario di lui.

“Dov’è il trucco?”

“Cosa?” fece lei, confusa.

“Ci deve essere un trucco, da qualche parte, o una fregatura.” Insisté Tom. “Sei carina, sei intelligente, schietta, spiritosa, single… Ci deve per forza essere qualcosa sotto.”

Marta, a quanto pareva, non era una che si faceva conquistare dalle lusinghe. Non che quelle di Tom fossero mere lusinghe, poi: pensava davvero tutto ciò che aveva appena detto, solo che lei non sembrava essere d’accordo.

“Credo che tu abbia qualche disfunzione a livello percettivo. O visivo, almeno.”

“Io ci vedo benissimo.”

“Allora hai solo dei gusti discutibili.”

“E perché?” si difese Tom, compunto. “Solo perché non sei pelle e ossa non posso trovarti bella?”

Rimase sconvolto dalle sue stesse parole. Sembrava una di quelle cose che si dicono in TV per dovere più che per sincero parere, solo per fare un po’ finta di avere una qualche profondità emotiva e non solo superficiali appetiti sessuali. Non aveva mai saputo di pensarla così, prima di sentirselo dire a voce alta. O forse non la aveva mai pensata così, affatto, prima di incontrare lei.

“Scusami se sono un po’ impacciato,” proseguì subito, imbarazzato. “Non mi capita spesso di uscire con una ragazza. Anzi, diciamo pure che non mi capita mai.”

Marta era palesemente scettica.

“Avrei detto che tu fossi uno che deve usare la frusta per tenerle lontane.”

“Oh, quello sì. In modo più letterale di quel che immagini.” Sorrise lui.

Lei si ammorbidì.

“Non te la stai cavando poi tanto male.” Gli concesse.

Che gli credesse o no, Tom le fu riconoscente per gli sforzi che stava facendo per metterlo a suo agio. Ne aveva un serio bisogno.

“Grazie della compassione.”

Marta ammiccò e lo riprese a braccetto, trascinandolo a camminare giù sulla spiaggia.

“L’incoraggiamento è fondamentale per i principianti.”

Proseguirono a pochi passi dal bagnasciuga, accompagnati dalle onde che lambivano la sabbia lasciandosi dietro lingue di schiuma profumata di sale. Marta si era tolta i sandali e ogni tanto si divertiva a lasciare che l’acqua le solleticasse i piedi nudi. Tom, invece, aveva preferito tenersi le scarpe.

“Sei qui da molti anni?” le domandò, mentre oltrepassavano una coppietta di adolescenti che si scambiavano effusioni stesi su un telo colorato.

“Tre, credo.” rispose Marta, calciando via un’alga secca.

“Credi?”

“Ho un po’ perso il conto,” ammise. “Sai, vita noiosa.”

“Noiosa? A me sembra che gli spunti per divertirsi qui non manchino. Al massimo avrai degli amici noiosi.”

“Non mi sono fatta molti amici, ad essere sincera.”

Tom inchiodò su sé stesso, tale fu lo shock che lo colse. Non era umanamente credibile che una persona estroversa e frizzante come lei non avesse intorno una moltitudine di amici adoranti.

“Scherzi?!”

No, Marta non scherzava. Le spalle ricurve, le mani che andavano a nascondersi nelle tasche, e lo sguardo che precipitava a terra la dicevano lunga su come si sentisse verso la questione.

“È che… Quando sono arrivata qui non sapevo esattamente quanto mi sarei fermata. Tuttora non so quanto resterò. Non volevo affezionarmi ad altre persone a cui poi avrei dovuto dire addio.”

“A questo punto perché non ti chiudi in casa? Potrebbe pioverti in testa un mattone dal cielo.”

Marta rise.

“Devo seriamente pensarci.” Poi lo guardò negli occhi. “E tu?”

“Io cosa?”

“Io ti ho raccontato un sacco di cose su di me, e io di te so solo che sei un tedesco di nome Tom.”

‘Un tedesco di nome Tom.’

Era solo un bambino quando aveva perso per sempre la meravigliosa libertà di essere solo quello, solo una persona qualsiasi con un nome qualsiasi, quasi senza volto agli occhi degli altri. Adesso, dieci anni dopo, assaporava nuovamente il piacere di poter essere personalmente conosciuto, e non semplicemente riconosciuto. La ragazza che aveva davanti vedeva in lui un foglio quasi del tutto bianco, tutto da scrivere; non sapeva a memoria la sua biografia, i suoi gusti, le sue abitudini, i suoi vizi…

Non sarebbe stata lei a dirgli chi lui fosse, stavolta. Per una volta, Tom poteva farsi scoprire per quello che era o sentiva di essere, senza preoccuparsi di collimare con la versione ufficiale.

Peccato solo che ci fosse poco di lieto da raccontare della versione privata.

“Non c’è niente di interessante da dire sul mio conto.” Borbottò, anche se la sua testa era già sovraffollata di risposte che anelavano ad essere confessate. E Marta venne in loro soccorso.

“Allora dimmi qualcosa di noioso.”

A Tom venne il dubbio che le importasse ben poco di lui in quanto essere umano di sesso maschile, che avesse accettato di uscire con lui solo perché curiosa di conoscere un personaggio così misterioso. Non aveva mai nemmeno accennato, finora, a giochi di seduzione o almeno dato segno di essere attratta da lui. Chiacchierava con lui con la stessa naturalezza con cui avrebbe potuto parlare alla sua migliore amica.

Forse fu proprio quello a convincerlo che, dopotutto, poteva anche raccontarle qualcosa di sé.

“Be’, io…” Cercò le parole giuste, in modo che la sincerità non tradisse la sua volontà di restare solamente un tedesco di nome Tom. “In un certo senso sono un privilegiato. Così dicono, almeno. Faccio un lavoro che amo molto e che mi appaga tantissimo, però… Non so, a volte ho la sensazione di farlo più per gli altri che per me stesso.”

“Per questo sei qui, adesso? Per una sorta di disintossicazione lavorativa?”

Un debole sorriso amaro piegò la bocca di Tom.

“Direi che è l’espressione giusta. È che sono arrivato a un punto in cui tutto mi sembra… Inutile. Faccio un sacco di cose perché devo, e quando mi chiedo il perché io le faccia, non trovo nessuna valida risposta. La mia vita si è ridotta a uno spettacolo.”

Marta inclinò la testa, le braccia conserte, occhieggiandolo obliquamente.

“Qualcuno è in crisi esistenziale, vedo.”

Non dire stronzate!, venne da ribattere a lui, ma si trattenne, perché in fondo era proprio quello che era, anche se lui si era sempre rifiutato – per orgoglio o per timore – di chiamarla con in nome giusto.

“Mi piace il mio lavoro,” specificò in fretta. “Ho faticato tanto per arrivare dove sono e credevo che una volta raggiunta la meta tutto sarebbe stato più facile. Invece ho l’impressione che mi costi sempre di più.”

Avevano raggiunto un piccolo molo che per pochi metri si addentrava sull’acqua. Marta si sedette sul tratto di legno che si insediava nella sabbia e guardò in su verso di lui, seria e impassibile.

“Molla tutto.”

Il contraccolpo che quell’imperativo causò al cuore di Tom fu doloroso e terribile.
“Cosa?”
“Molla tutto e cercati un lavoro che ti lasci più libertà, che ti soddisfi di più.” Ribadì lei, affatto toccata dal suo sgomento.

“Non posso.” Mormorò Tom, arrendevole, sedendole accanto con una stanchezza che riassumeva tutta quella che negli anni aveva accumulato. “E comunque non dipende solo da me. Devo pensare anche a… Ai miei colleghi. Loro contano su di me.”

“Non mi sembra una valida ragione per costringere te stesso in una vita che ti va stretta.”

Aveva così ragione che era quasi assordante starla a sentire. Ma Tom non era così egoista da andare a rompere le uova nel paniere anche agli altri, solo perché lui era stanco. Non ne aveva nessun diritto.

“È complicato. Molto più di quel che sembra.”

“Le persone che liquidano tutto con ‘È complicato’ le prenderei a schiaffi.” Si arrabbiò lei. “Che ne vuoi sapere tu di cosa è complicato? Sei giovane, sei sano, sei bello… Hai solo l’imbarazzo della scelta su cosa fare della tua esistenza, Tom.”

“Mi sono preso un impegno serio, anni fa, e ho tutta l’intenzione di rispettarlo. Non voglio deludere nessuno.”

“Hai appena deluso me.” Lo sguardo severo di Marta lo trafisse da parte a parte e lo ferì come solo una caro  amico di vecchia data avrebbe saputo fare.

“Cosa c’entri tu?” riuscì a sussurrare lui, con la pelle d’oca che gli correva lungo tutta la schiena.

Il calore di Marta accanto a lui era rasserenante, nonostante tutto. Tom avrebbe voluto che lei aprisse le braccia per permettergli di nascondersi in un suo abbraccio e, per un momento, essere nient’altro che qualcuno meritevole di un gesto umano. Ma nulla di tutto questo accadde.

Marta era lì, le braccia incrociate, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e lo guardava con qualcosa che somigliava fin troppo alla pietà.

“Niente, suppongo. In fondo sono solo una mezza sconosciuta, non pretendo che ti importi di deludermi o meno, ma è così. Ti facevo un tipo più…”

“Intraprendente?”

“Forte.”

Forte. Tom non lo era mai stato. Nemmeno quando, ai tempi della scuola, aveva difeso Bill da tutti i bulli che gli avevano dato addosso con tanta ammirevole dedizione. Checché ne pensassero gli stupidi superficiali, Tom era tutto fuorché forte. Fosse stato per lui, se ne sarebbe stato tutto il tempo in un angolo a farsi i cazzi suoi, come faceva Gustav, ma lui era il gemello di Bill Kaulitz e, come voleva Bill, il pubblico voleva anche lui. Era una banale questione di riflessi: del suo riflesso che era così uguale a quello del fratello, del riflesso di popolarità che gli derivava dal magnetismo innato che Bill sprizzava da tutti i pori, dal riflesso che la sua reputazione costruita aveva sulla realtà dei fatti, che poi così reale non era, fondandosi su emerite frottole.

“Nemmeno a te piace lavorare al caffè.” Disse a Marta, incapace di difendersi altrimenti.

“E allora?”
“Allora nemmeno tu sei poi così forte da prendere e andartene alla ricerca di qualcosa di meglio.”
“Per me è diverso.” Dichiarò lei, asciutta.
“E perché?”

Marta non rispose.

“Fammi indovinare: è complicato.” Commentò salacemente lui.

Marta tacque ancora; sul suo viso era calata un’ombra scura.

“Quanti anni hai, esattamente?” volle quindi sapere Tom. “So che non si chiede, ma il tuo aspetto mi dice sedici, mentre il tuo cervello ne dimostra trenta.”

“Diciotto, compiuti due mesi fa.” Rispose lei, mordicchiandosi il labbro.

Per Tom fu un piccolo trauma.

“Sei… piccola.”

“Perché, quanti ne hai tu?” ribatté lei, squadrandolo.
“Ventidue tra pochi mesi.”

Lo sguardo di Marta si soffermò sul suo e Tom ebbe l’assurda sensazione che qualche sua difesa fosse improvvisamente venuta a mancare.

“I tuoi occhi ne dimostrano ottanta.”

“Non sfottere le mie occhiaie.”

Lei scosse la testa.
“Non parlo delle tue occhiaie. Parlo proprio dei tuoi occhi. Sono… Stanchi.”

Di nuovo, quella sensazione di nudità che lo metteva a disagio. Per essere una serata cercata come fonte di svago puro e semplice, stavano andando un po’ troppo sull’intimo.

“Ma non eravamo usciti per divertirci?” sbuffò, alzandosi in piedi. “Perché stiamo parlando di queste cose serie e noiose?”

Dal basso, Marta gli chiese una mano per alzarsi a sua volta.
“Perché sembra che tu ne senta il bisogno.”

Fu piacevole prenderle la mano. Era fresca e soffice, con una presa salda ma gentile.

“Ok, perfetto, allora. Adesso che ne abbiamo parlato, andiamo a dare un senso alla serata.”

“E a casa tua cosa si intende per ‘Dare un senso alla serata’?”

Sesso, pensò Tom istintivamente, come se davanti, anziché Marta, avesse avuto qualche giornalista che lo stava intervistando. Ma adesso non c’erano le telecamere, non c’erano milioni di fans a guardarlo e a ficcare il naso nelle sue risposte. Non c’era nessuno. Solo lui. Solo lei. Non c’era bisogno di giocare alla virile rockstar. Non c’era bisogno di mentire.

“C’è un luna park, da queste parti?” si informò, guardandosi intorno. Si stava facendo buio e i lampioni erano già tutti accesi.

“No,” rispose Marta, perplessa. “Ma c’è una giostra per bambini alla fine della baia.”

“Da che parte è?”

Lei additò la punta dell’insenatura al di là di un pontile a un paio di chilometri da lì.

“Di là.”

“Bene.” Senza pensarci, Tom la prese per mano e si incamminò. “Andiamo.”

Sbigottita, Marta gli trotterellò dietro, probabilmente pensando di avere a che fare con uno psicopatico, e magari non aveva nemmeno del tutto torto.

“Strüdel, mi dici che intenzioni hai?”

Tom si limitò a sorriderle ambiguamente.

 

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Note: so che c’è chi aveva ormai l’assoluta certezza che avessi abbandonato questa ff. dopo quattro mesi, ne avevate anche il diritto, penso. ^^ Invece no, eccomi qui con il secondo capitolo! Come potrete notare, il nome della protagonista è stato attentamente e bastardamente studiato perché il nostro amato Tom facesse una fatica mostruosa per pronunciarlo correttamente, con tutte quelle deliziose R. XD Non so voi, ma io lo adoro quando fa fatica a parlare in inglese (cioè sempre).

Come di consueto, non posso non soffermarmi a ringraziare di tutto cuore voi, mie care lettrici, che ci siete sempre e siete sempre così carine da farmi contenta lasciandomi due paroline di commento ogni volta. Un grazie particolare a:

 Eclectic_Doll: penso di aver finito le parole per ringraziarti, o, se  ancora ne ho, ora come ora proprio non mi sovvengono. Anche perché  suppongo di averti ammorbata abbastanza con quanto scritto nelle email. XD Posso solo ribadire quanto mi inorgoglisca essere apprezzata da un’autrice che a mia volta ammiro tanto.

 Conz483: mi fai una domanda difficile, sai? Non ti so dire il perché. Forse (ed è solo una supposizione che faccio, perché davvero non lo so nemmeno io) è perché mi piacerebbe sfatare un po’ l’immagine che Tom ha voluto a tutti costi dare di sé, e cioè del ragazzo superficiale affamato di sesso che guarda solo il lato fisico delle persone, perché personalmente credo non sia affatto così. Esauriente? :)

Asia74m: purtroppo l’aggiornamento non è arrivato poi così presto, ma prometto che il prossimo non si farà attendere molto! ^^”

Irina_89: direi che la tua recensione ha più o meno anticipato e riassunto questo capitolo appena concluso. Questo riconferma il tuo impeccabile acume! Ti chiedo scusa se ancora non sono passata da te, anche se sono già in pari con la lettura, ma sarà presto fatto, promesso!

 EliBeke: sono arrivata! XD Ci ho messo un po’, ma eccomi!

_no sense_: voi due mimancate molto, ragazze, sapete? Le vostre sono tra le recensioni che preferisco, forse ve lo avevo già detto. Sono dettagliate e piene si osservazioni e proprio per questo mi sono sempre piaciute molto. Spero che torniate presto a fare visita alle mie pagine. :)

NuvolaBlu: una nuova arrivata fa sempre piacere! Mi auguro davvero che la tua prima recensione non resti l’unica e che la storia continui a piacerti. ^^

Lady Vibeke: mi devasta sempre venire a sapere che una lettrice si è dedicata con tanta pazienza e passione a una recensione che poi EFP le cancella senza pietà. Avrei davvero voluto leggerla, quella originale, ma pazienza, apprezzo che tu ti sia messa d’impegno a ricominciare da capo. Fatti viva ogni tanto, non solo via mail!

ruka88: io so chi sei! Sei l’amica della Pao! Ti conosco molto bene, so che avete molto parlato di me sulla via della Felicità (vale a dire il vostro fortunatissimo Meet & Greet + Soundcheck di Roma lo scorso aprile!) e mi ha fatto un piacere che non puoi immaginare sapere che c’è stato spazio per le mie storie in una giornata che immagino per voi sia stata un’emozione unica. Grazie mille di cuore!

alien81: eccolo, il seguito! Piaciuto? :)

_lile_: oh, tu sei una di quelle anime pie che mi hanno votata! *__* Devo un grazie immenso anche a te per quel terzo posto che mi ha resa tanto fiera. ^^

 lalinus84: Ale! Non sai che bella sorpresa vedere un tuo commento! Non ci sentiamo da secoli! :( Come stai, tutto bene? Una volta o l’altra ci troveremo su MSN! E fammi sapere ogni tanto cosa ne pensi di quello che leggi, l’ultima volta mi avevi illuminato la giornata con quella mail!

 _KyRa_: come starai notando, non è proprio una “coppietta” quella che formano Tom e Marta, ma sicuramente è vero che la storia si incnetra su loro due. Tom mi ispira, non posso farci nulla. XD fammi sapere se ti è+ piaciuto il capitolo!

_Skipper_: anche tu sei una di quelle che mi mancano da morire. Ho sempre accolto le tue recensioni come oro colato e, come tutte le cose apprezzate di più,la mancanza si sente particolarmente. :( Spero almeno che tu mi stia ancora seguendo. Spero di risentirti presto!

 CowgirlSara: ma cosa ci fa questo Tommone, eh? Potesse leggere le nostre chiacchierate di MSN… (si spaventerebbe XD)

 picchia: anche tu, ma che fine hai fatto? Le migliori me le sto perdendo per strada? :(

 Hillary: ecco, un’altra di quelle che chissà dove sono andate a finire! Anche tu mi manchi molto, eri una di quelle famose fanciulle virtuose che mi lasciavano i commenti più belli. Mi auguro che almeno tu mi legga ancora. :)

 Ladynotorius: tu non commenti forse proprio dalla recensione al capitolo prima di questo, ma ormai men ne sono fatta una ragione. XD grazie di aver dato segni di vita. ;)

 Kaay: oh, be’… grazie! XD

 

Fine della pappardella dei ringraziamenti personali. Vi lascio alla vostra vita. Se mi lasciate un commento, mi pare superfluo dire che ne sarò più che felice! ;)

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

   
 
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