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Autore: Kimmy_90    13/09/2010    2 recensioni
Philosophi, Custodes: guerrieri e sapienti, condottieri cresciuti ed istruiti, usati, stressati, tirati oltre ogni limite. Bambini sottratti ai genitori per divenire macchine da guerra: Utopia o Distopia?
E se il tutto, che a stento si regge in piedi, crollasse a dispetto dell'uno?
E se l'uno fosse dalla parte del tutto?
Dove trovi la ragione, dal sempre fu o dal nuovo che porta terrore come solo questo sa fare?
E se la routine della guerra divenisse l'isto di una catastrofe?
Siamo in un altro mondo, signori, e qui non v'è magia alcuna: soltanto geni...
Geni e Demoni.
[Storia in revisione] [Revisionata sino al capitolo 10]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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44
Calcare la mano su decisioni poco brillanti.
Innalzare i discorsi.
Esagerazione.
Per far scattare quello che era già scattato in molti di loro.

Non era stato lui, concluse l'Ignis Umbra.
E il pensiero andava al nipote.

Era stato tutto.

Lui si era sentito solo di facilitare quel fiume: perchè non ne poteva più.






44. Mors Viri, Mors Mundi



In realtà, poco ricordo di quei giorni.
Ma quella notte è impressa a fuoco nella mia memoria: assieme al suo volto.
Non pensavo di poter soffrire così tanto.
Non pensavo che il cuore potesse fare tanto male.


Here's to you


Lo fissai a lungo.
Mentre i Magistri e i Rectores davano ordine di disperdersi, organizzando gli alloggi, io mi avvicinai a lui.

L'ultima notte.

O forse la prima.

Osservavo il corpo dell'essere che mi era stato narrato come immortale, sollevato ad un metro da terra, stretto da catene troppo grosse per la fragilità che emanava. Nessuno, lui compreso, aveva mai pensato che potesse morire.
Sasuke mi ha detto, un giorno: era la sua maledizione.

Nel buio della notte non c'era altro che un corpo di carne martoriata.
Un corpo giovane e robusto calcato dalle ferite, un volto leggermente squadrato, la testa reclinata sul petto, gli occhi vuoti: e quei tre segni per gota, che in parte lo contradditinguevano, in parte no - perchè nessuno di noi ci aveva mai fatto realmente caso.
Era normale. Tutto era normale: anche l'assurdo.
Lui aveva urlato.
Se n'era andato urlando il suo dolore, parola dopo parola.
E come un coltello nelle mani di chi è poco pratico, aveva scavato, maldestro, nelle anime dei presenti mostrandoci come l'incertezza, il non sapere, potevano essere fatali.
Non credo che a lui interessasse o preoccupasse la sua morte.
Lui gridava e piangeva i morti che aveva causato.



Rest forever




Rimasi lì, forse per ore.
In piedi, immobile, inamovibile.
Ero stanca.
Ero sudata.
Ero distutta.
E mi sentivo fallita, per non aver potuto fare nulla per lui.

Uno dopo l'altro, i miei compagni si allontanarono. Prima i Custodes, poi i Magistri.
Ricordo che Itachi era silente, e sembrava assorto - stretto nella sua camicia di foza, gli occhi bendati.
Non udii altra parola, ne' da lui, ne' da Jiraya stesso.
Ad un certo punto non erano più accanto a me.

La sensazione di incrinatura e di disagio di quei momenti continua a riaffiorare anche adesso, nonostante sia passato molto tempo.
Ad un certo punto, avvicinatami a lui, levai una mano, alzando il braccio per raggiungergli il volto: senza nemmeno rentermente conto, posai una carezza sulle guance livide e fredde.
Ad ogni istante immaginavo potesse tornare.
Dicevano tutti che tornava.
Il morto non morto, il cadavere che cammina.

Avrei voluto parlargli, per dirgli quanto mi dispiacesse.
Per scusarmi di non aver mai fatto nulla per lui, se non quando era troppo tardi.

L'ultima volta che parlai con Naruto avevo dodici anni.
E non mi ricordo cosa gli dissi.
Forse lo insultai.

La voce che avevo sentito far tremare ogni piccolo studente ed anche gli insegnanti più rodati non era quella che ricordavo, per quanto ne rimanesse una velatura lontana.
Non era la voce squillante del bambino che avevo osservato sottecchi durante le lezioni: era la voce di un uomo.
Di un uomo determinato, la cui determinazione si è dimostrata vana ed inutile, ed è sfociata nella più pura afflizione.




last and final



Forse sapevo cosa provava, perchè lo avevo provato anch'io, e continuavo a provarlo: ma non avevo il coraggio di pensare che le sofferenze a cui eravamo andati incontro fossero uguali.
Le mie sembravano ridotte a nulla in confronto alle sue.





moments is yours



La notte scorreva: il mio animo era stato scosso come un tappeto.
Avrei voluto fare qualcosa per lui.
Lo avrei voluto fare più di qualsiasi altra cosa.




agony



Mi ricordo che piansi, come ormai stavo diventando avezza a fare.
Ma non come feci prima, quando davanti a Itachi venni scosssa dai singhiozzi: erano lacrime silenziose che si limtavano a scendere.

Cosa diceva l'Ignis Umbra, quando eravamo piccoli?
La morte è il maggiore degli onori.
Quanto si era contraddetto, quel giorno, donando l'onore massimo a chi doveva essere un nemico nonostante fosse stato un Custos.
E io mi ricordo quanto Naruto credesse in quelle parole.
Cosa avrà provato, quando realizzò il controsenso del rischiare di nuocere a chi gli era più caro?
Non conoscevo la sua storia, allora, se non a sprazzi.

La ricostruimmo col tempo.
E anche adesso ha dei buchi.

Nessuno può conoscere nessun altro abbastanza bene da capire esattamente le cose che fa.
Ed anzi, non si può conoscere nemmeno se stessi a sufficienza da capire.
Lui aveva fatto di tutto per fare in modo che ascoltassimo la sua storia: per quanto, di tempo per narrarla, ne aveva ben poco.

Allora pensai: l'Ignis Umbra è uno sciocco.
Non si è reso conto di cosa ha fatto.
Non si è reso conto di cosa aveva significato per noi tutti quel giorno e quella notte, quelle frustate e quelle parole che lui aveva detto pensando che fossero di monito.




is your triumph


Sbagliavo.

Come feci molto spesso.



***



Quella notte non dormii: svenni a più riprese, svegliandomi sempre una manciata di minuti dopo.
Ad ogni risveglio, mi tastavo il volto, alla ricerca di quelle sei incisioni che mi aveva lasciato Naruto: le ritrovavo lì, brucianti, e intanto il Medicus mi doveva costringere a non toccarle.
C'era poco rimasto con cui far le medicazioni, fra i crolli e il disastro, e l'effluxum non sarebbe tornato a funzionare per almeno una stagione: niente garze per ferite banali come quelle - a patto che non passassi il tempo a tastarmele.
Rischiavo l'infezione.
Sì.
Ma allora non avevo più una percezione del tempo che mi facesse sembrare importante una cosa del genere.
Il mondo mi si era cristallizzato attorno, ed io mi ci muovevo osservando con stupore cosa realmente era.
Ed avevo un baratro, sotto i miei piedi, aperto e spalancato dal dire come profetico di Naruto, che ormai sembrava più che convinto del fatto che anch'io avessi un demone sigillato dentro di me.
Ma era un assurdo: sarebbe stato illegale, oltre che chiaramene pericoloso.
Eppure di menzogne se n'erano dette tante.
Quindi nulla era impossibile.
Forse avrebbero ucciso anche me?

La mia incursione nella mente di Naruto mi si riproponeva, in continuazione: gli occhi del demone, il corpo di Naruto privo di vita sibolo di un animo sciupato ed ormai morente.

Naruto era morto.

Così dicevano.
Così dicevano da anni.

Quando iniziai a vedere il sole, mi alzai.
Assieme alla decisione di rimettermi in piedi, ne giunsero mille altre: dove andare, cosa fare.
Cosa chiedere.
Come chiederlo. Con quanta insistenza.

Convinsi chi era di guarda che stavo bene.
Barcollavo.
Ma stavo bene.

Volevo vedere Naruto.



Trovai Sakura immobile sotto il corpo privo di vita del mio vecchio compagno.
Me ne stupii, allora. Era l'ultima persona che mi aspettavo di trovare piangente a rimirare i resti di un ribelle.
Quando si voltò verso di me, sussultò.

"Cosa ti sei fatto in volto?" mi domandò, in un filo di voce.
Io cercavo di studiare la ragazza che avevo davanti: accennai con il capo a Naruto.
"E' stato lui."
Lei mi fissò, a lungo.
Forse sembravamo uguali.
Forse sembravamo veramente fratelli.

Fissai il cadavere di Naruto a lungo, ricordando gli ululati dei lupi di Kiba e il silenzio del bosco che ci circondava.
Rimanemmo lì, per lunghi minuti, ad osservare taciturni mentre l'alba saliva.
Un po' di vento.
Immobili, l'uno accanto all'altra.

Alla fine accettai.
Questa volta era per sempre.

Non ero riuscito ad ucciderlo di persona, non per problemi tecnici: per un blocco psicologico, per quelle parole, per quelle visioni.
Ma alla fine Naruto era morto.
Allora mi resi conto che avevo affianco a me una persona che avrebbe potuto realmente rispondere alle mie domande. E forse, vista la sua espressione e le sue lacrime, l'unica che lo avrebbe fatto.
"Sakura." iniziai.
Lei sembrava assorta.
Non l'avevo mai vista così.
Non sapevo cosa le fosse accaduto, nel tempo: lo scoprii dopo.
"Naruto era convinto che anch'io avessi un demone."
Lei levò lo sguardo su di me, silenziosa, forse stupita.
"A causa dei miei occhi. Tu eri in ambulatorio, molti giorni fa: tu ci curi, quindi tu sai."
Lei annuì.
Silenzio.
Avevo paura.
Era vero.
Avevo una dannata paura.
"Sono anch'io come Naruto, Sakura?" domandai infine, in un filo di voce strozzata.
Lei parve sorridere, in un sorriso strano.
"No, Sasuke."
La continuai a fissare: poteva esserne certa?
No, in effetti.
Perchè mi guardava così?
"Sasuke, c'è una persona che devi conoscere."



***



L'ultimo legame di sangue che conta per un bambino del Ludus è quello dei genitori, che si spezza nel preciso istante in cui li abbandona per non incontrarli mai più.
E' un motore, è l'ultima fetta di benevolenza: una benedizione, la chiamano, che porta i bambini sulla loro strada.
Poi c'è il nulla.
Ed anche quella cerimonia è solo una farsa. Serve ai bambini, ma per loro, in quanto persone, è inutile - conserveranno un buon ricordo dei genitori, ma questo viene affossato dal mondo in cui entrano: il Ludus fagocita tutto.
Pochi sanno imparare a voler veramente bene, ad amare, ad affezionarsi a qualcuno, a tenere a qualcuno a sufficienza da modellarvi le proprie azioni.
Naruto si era innamorato dei suoi fratelli e della sua regio: del mondo che lo circondava, senza bisogno di genitori, senza bisogno di benedizione. Questa era la sua forza, oltre all'enorme bisogno di vivere che si trasformò nella sua condanna.
Tsunade, invece, dovette passare per lunghi errori, ed infine strinse con me un legame di profonda amicizia.
I legami: furono loro ad intessere la ragnatela che portò dove siamo ora.
Jiraya era stato mio maestro, subito dopo Kakashi: lo scoprii attaccato a Tsunade in un modo che nemmeno lui aveva realizzato. L'aveva osservata dai campi di battaglia trafficare nei suoi esperimenti, e poi, tenendo prima me e poi Naruto sotto la sua ala, aveva finito con l'entrare definitivamente nel suo mondo, per non uscirne più.
Poi c'era Sakura.
E poi c'era Kakashi, che si era preso uno dei miei occhi, in sostituzione di quello che aveva perso nella battaglia che lo aveva reso un Custos relegato a fare il Rector e l'ambasciatore: lo aveva fatto per capire la mia sofferenza. Scoprimmo poi che Kakashi aveva molto più a che fare con Naruto di quasi chiunque altro - senza che quasi nessuno se ne accorgesse.

E poi c'era lui.
L'unico vero motivo per cui avevo iniziato la mia oddissea.
Mi ricordavo un bambino minuscolo, che tenni in braccio quando avevo ancora cinque anni. Mi era sembrata una cosa incredibilmente fragile.
Non lo vidi mai più, perchè non avevo più gli occhi: ne sentii solo la voce, quel giorno.
"Itachi, ti ho portato qualcuno." aveva detto Sakura.
Poi il silenzio, e il respiro di un ragazzo stanco e distrutto.
Mi stava studiando.
"Il mio nome è Sasuke." disse infine.
"Ciao, fratello."



***

Ci raccontammo tutti le nostre storie, in quei giorni.
Storie sussurrate nella desolazione delle macerie, storie raccontate piano per non farsi sentire.
Itachi cercò di spiegarmi perchè aveva ucciso i miei genitori: aveva una voce piatta, che però ogni tanto sembrava incrinarsi.
Più storie raccontavamo, più intrecci nascevano.
Io ero rimasto turbato, da piccolo, nel sapere di quel fratello assassino che non ricordavo: allora feci finta di niente. Mi chiusi in attesa di vedere cosa il Ludus avrebbe fatto di me. Solo quel giorno capii quanto gli eventi erano interconnessi, l'uno con l'altro.
Mi ricordo che mi domandai a lungo perchè mi dissero che avevo un fratello assassino, considerato che in genere nulla veniva detto: ma faceva parte del piano. Serviva per convincere anche me che era un folle, senza mai averlo incontrato - nell'eventualità che ciò accadesse in futuro.
Il Difetto.
Mi stupii nel sentirlo domandare perdono.
Io non lo perdonai.

Non c'era nulla di cui doveva essere perdonato.

Mi ricordo sprazzi di quel periodo brevissimo.
Mi ricordo soprattutto le storie. Quella di Tsunade, quella di mio fratello, quella di Naruto che non conoscevo.
Quella di Sakura, quella di Jiraya.
Poi raccontai le loro storie a Kiba e a Hinata.
Mi ricordo che Hinata pianse.
Poi Neji si avvicinò, e mi chiese di raccontare di nuovo.

Era tutto un racconto, un enorme racconto, che più veniva ripetuto più sembrava prendere consistenza.
Ad ogni parola acquistava un nuovo significato, più denso e profondo.

Nacque tutto in quei giorni, ma nacque come un bambino: per anni, forse decenni o secoli, era andato sviluppandosi nel grembo della Regio.
Non vidi Kakashi per un po' di tempo: quando ricomparve ai miei occhi mi sembrava un uomo diverso.
Si fermò anche lui, a raccontare la sua storia.
E la storia di Naruto che nessun altro, oltre a lui, conosceva: quella che avevo intuito, intravisto, e con gesti stupidi cercato di strappargli.

Erano giorni strani.
Si ricostruiva il Ludus dalle macerie, e intanto noi parlavamo.
Queste storie passavano fra i bambini e i ragazzini come tabù rivelati. E così erano, perchè avrebbero fatto presto a farci tacere se si fosse iniziato a sapere che interi segreti della Regio, come la storia di Naruto e le mutazioni, erano stati svelati. Saremmo stati tutti uccisi: in rigoroso silenzio.
Lo sapevamo.
Più parlavamo, più ci rendavamo conto che secondo la vecchia logica non avremmo dovuto.
E' così che nasce, pensavo, seduto in un isto di pausa mentre continuavo a passare le dita sulle cicatrici che mi aveva lasciato Naruto.
Le sue parole non avevano mai smesso di rimbalzarmi in testa.
Tu ed io, siamo uguali.
Passavo le notti a rielaborare quella frase.
E poi le notti divennero i giorni.
E il suo corpo era ancora lì, appeso, a mostra della vergogna d'un traditore.
Un corpo morto.
Un niente.
Solo un cadavere.

Non era un traditore.
Non se lo meritava.

E così le notti di pensieri divennero notti di incontri.

Scintilla dopo scintilla.

Sino a quella finale.
Che decisi di accendere io.


***


Sasuke cercava da tempo di mettersi in contatto con me, e io non capivo cosa volesse. Non potevo raggiungerlo via radio privatamente, ne' salire per un faccia a faccia: ero alle complete dipendenze dei due Sommi.
Una vera seccatura.
Quello che mi lasciava perplesso era il suo insistere reiterato: erano successe cose grosse, lassù - ma sino a quali livelli?
Avevo le mani legate.
Ma decisi di stare in ascolto.

E feci bene.


***


Sei giorni e sei notti passarono.

Ci muovemmo così.
Senza rendercene conto.
Ci muovemmo e basta.

Guardavo il mio riflesso in un vetro ed osservavo le mie cicatrici.
Quella mattina, sotto la luce dell'alba, sillabai: tu ed io siamo uguali.


Tu ed io siamo uguali.


Siamo tutti uguali.


"Sasuke."
Kakashi mi porgeva un oggetto che stava già diventando sacro.
"E' la sua."
Espirai.
Poi la presi fra le mani, e la accarezzai, come avevo visto Naruto fare nella SubSphaera, il primo giorno del sesto anno.
La sua calibro 45 fra le mie mani. Kakashi l'aveva tenuta da quell'incontro, ai magini della giungla e della terra di nessuno.
Non era un'arma che mi era totalmente propria.
Ma era indubbiamente la più consona.

Mi passai per l'ennesima volta la mano sul volto, osservando Kakashi.
Restammo in silenzio.

E ci muovemmo così, senza sapere se era giusto o sbagliato, senza sapere cosa sarebbe accaduto dopo.
Ma consci che qualunque cosa seguitasse, sarebbe stata unicamente opera nostra.



Tu ed io siamo uguali.

Siamo tutti uguali.

Siamo tutti mostri.
Siamo tutti armi.
In una guerra che non ci appartiene.
 



Naruto si era solo svegliato.
Destato dalle scosse della sua situazione.

Naruto.

Era diventato il nostro martire.






Here's to you
Nicola and Bart

Rest forever
here, in our hearts

Last and final
moments is yours

Agony
is your triumph.

[Here's to you - Ennio Morricone, Joan Baez, Lisbeth Scott]







_________________________________________


pronti per il gran finale?

e vi consiglio di ascoltare anche la canzone di questo capitolo, dal film 'Sacco e Vanzetti', che se aprezzate la mia fic vi consiglio di vedere. Trattasi di storia vera.
La versione è quella delle OST di mgs4, cantata da Lisbeth Scott - che preferisco perchè più melodica.

ps: il narratore ho deciso di farlo morire assieme a Naruto, per fare un finale più, spero, sentito nella narrazione in prima persona.

@Vix: ... sorry!

@LaGren: ^^ ehvabhè XD mi spiace xD grazie per gli aprezzamenti impliciti xD sì, un cap al giorno... crisi!

@Reki: :) felice che aprezzi, adesso cerco di imbastire un buon gran finale, onde evitare di rovinar tutto o.ò terrore T_T
   
 
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