CAPITOLO 23 – DICIANNOVE
ANNI DOPO
- parte prima -
“PIX,
DANNATO POLTERGEIST! ASPETTA SOLO CHE TI METTA LE MANI
ADDOSSO!” la voce di
Mastro Goyle, custode di Hogwarts, rimbombò tra le antiche
mura, facendo
sussultare la donna che stava riducendo in polvere dei lapislazzuli.
Oleander
si alzò con un sospiro, premendosi una mano alla base della
schiena che protestò
vivacemente per essere rimasta ferma tanto a lungo nella stessa
posizione. Si
tolse gli occhiali da presbiopia e cercò quelli da vista,
che individuò dal
rumore di vetri infranti sotto al tacco della sua scarpa destra.
“Accio.
Reparo.” ripeté meccanicamente, a rimarcare la
consuetudine di quei due gesti.
Alle
urla del custode seguì un rumore preoccupante di cose
sbattute e la donna
accelerò il passo “Mastro Goyle, cosa
succede?”
“Venga
a vedere!” esclamò l’uomo furibondo.
Approfittando
dell’assenza della bibliotecaria Pix si era scatenato,
facendo volare i libri
come strane farfalle attorno al soffitto e mettendo a soqquadro
l’emeroteca, i
cui giornali ora vorticavano impazziti come una tempesta di foglie
secche.
Molte figure ritratte nelle fotografie magiche si aggrappavano a pali o
alberi
per restare in piedi, gridando indignate.
“Te
lo dirò una volta sola Pix. Metti subito a posto questo
disastro.” ordinò
Oleander con voce ferma e le mani piantate sui fianchi. Per tutta
risposta il
secondo tomo di “Grandi maghi del passato” le
sfrecciò sulla testa. “Ti avevo
avvisato, piccoletto – la donna sfoderò la
bacchetta e gridò – Fulmine ictus!”
Un lampo scaturì dalla punta, sfiorando il poltergeist, che
abbandonò
precipitosamente la sala imprecando, mentre tutti i volumi cadevano a
terra. Il
custode si occupò dei libri, mentre Oleander rimise a posto
i giornali nel loro
schedario. Uno era rimasto incastrato sotto una sedia e non riusciva a
liberarsi, così la donna lo raccolse e lesse il titolo sulla
copertina con un
sorriso nostalgico: il giornale risaliva ad un paio di anni prima e
recitava in
prima pagina: “Tutto esaurito questa sera per la partita che assegnerà la Coppa del Regno Unito di Quidditch”.
Nella foto a centro pagina, due
giocatori
sfrecciavano nel cielo a bordo l’uno della MagicArrow
2016 e l’altro di una Firebolt
che,
a detta di molti, restava il miglior manico di scopa da gara.
Dopo
la definitiva conclusione della seconda e, almeno per il momento,
ultima guerra
magica, Harry aveva deciso che aveva passato fin troppi guai e ne aveva
decisamente abbastanza di frammenti di anima oscura, Avada Kedavra e
pericolose
fatture, quindi, a differenza del suo amico Ron, Auror presso il
Ministero, si
era dedicato alla carriera di giocatore professionista di Quidditch.
Così il
suo nome era continuato a restare nelle cronache, ma non più
come "il salvatore
del mondo magico" o "il-bambino-che-è-sopravvissuto",
bensì come
capitano dei Chudley Cannon. E poichè Draco Malfoy non gli
avrebbe mai e poi
mai lasciato le luci della ribalta senza combattere, seguì
le orme del rivale
di sempre, diventando cercatore per i Falmouth Falcons: i due avevano
dati vita
ad alcuni dei più entusiasmanti duelli della storia del
Quidditch, tanto che il
campionato inglese era stato ribattezzato in quegli anni “il
più bello del
mondo”. Mollò il giornale che si agitava tra le
sue mani e lasciò che tornasse
nel suo schedario.
Uscì
dalla biblioteca, mentre Goyle, dietro di lei, continuava ad inveire
contro
Pix, quasi che Mastro Gazza gli avesse lasciato istruzioni in merito
quando era
andato in pensione. Mentre attraversavano l'atrio, Oleander vide
scendere dallo
scalone principale un trafelato Neville Paciock, professore di
Erbologia. Tra
le mani sudaticce reggeva una Ricordella, nella quale vorticava un bel
fumo
rosso acceso. Il direttore di Grifondoro sembrava estremamente
preoccupato e
continuava a borbottare tra sé:
“Dov’è? Dove l’ho
messa?” Inciampò nell’ultimo
gradino,
“No,
per niente! Non trovo più la lista dei nuovi studenti per lo
Smistamento. Il
preside mi uccide, oh, è la volta che mi uccide.”
Il mago era pallido come un
fantasma.
“Non
dire sciocchezze! – sbottò Oleander – E
prova a controllare in una delle serre
di Erbologia, sicuramente sarà lì.”
“Mi
ha dato due ore e se non la trovo sono un mago morto, me lo
sento.” gemette
Neville, allontanandosi lungo il corridoio.
“Non
ha tutti i torti.” disse tra i denti Goyle, ma fulminato da
un’occhiataccia
della professoressa di Cristallogia, decise di tacere: con gli anni
aveva
almeno imparato ad avere un briciolo di buonsenso.
Nel
frattempo si materializzò anche un’elfa domestica
dallo sguardo stralunato e sconvolto,
come se qualcuno le avesse appena regalato dei vestiti
“Professoressa
Silvestre, SIGNORA!”
“Cosa
c’è ancora?” sospirò la donna
rassegnata, passandosi una mano nei capelli corti,
ora non più viola scuro come un tempo, ma sbiaditi col
passare degli anni in
una tonalità meno intensa.
“Clippy
va dal preside, fa vedere menù per banchetto di domani sera
– reggeva tra le
mani un foglio di pergamena zuppo di lacrime elfiche –
però preside si
arrabbia, dice che non interessa, che Clippy può anche
avvelenare la cena! Ma
Clippy non vuole ammazzare studenti!” ululò la
creatura, nascondendo il viso
nel grembiule a fiori che indossava.
“No,
Clippy, no: era solo un modo di dire. – Oleander
alzò gli occhi al cielo,
mormorando colorite imprecazioni – D’accordo, ora
vado io a parlare con il
preside, tu torna pure in cucina e fa preparare il banchetto
d’inaugurazione
come gli altri anni. E per l’amor del cielo, datevi tutti
quanti una calmata,
pare sia la prima volta che si inaugura un anno scolastico!”
concluse gridando,
rivolta un po’ a tutto il castello.
“Mia
cara, sei proprio sicura che vada tutto bene?” le chiese
Angela ansiosa
dall’ultimo quadro in cima alle scale, mentre sferruzzava la
manica di un
maglione rosa maialino.
“Sì,
Angela, va tutto bene. Ti scongiuro, non ti ci mettere anche
tu.” la pregò la
maga, che sentiva un sinistro mal di testa iniziare a martellarle le
tempie.
Per nulla rassicurata, la donna del dipinto la seguì lungo
tutto il corridoio,
facendosi largo tra le altre figure dipinte, con il marito al seguito
che, al
solito, si profondeva in scuse per l’irruenza della consorte.
“Cara,
dimmi, i preparativi sono ultimati?"
"Certo,
come tutti gli altri anni." Oleander si sforzò di tenere un
tono calmo,
nonostante avesse voglia di urlare.
"E
il nuovo professore di pozioni è stato trovato?”
“Sì,
giusto stamattina.”
“Sai,
dopo il decimo iniziavo a disperare, mia cara.”
“Beh,
lui ci tiene particolarmente a quella cattedra e quindi è
molto esigente.” A dire
il vero nemmeno l’ultimo lo soddisfaceva, ma quella mattina
aveva detto che,
purtroppo, rispedirlo legato ad una scopa da dove era venuto avrebbe
richiesto
un eccessivo dispendio di energie e quindi lo avrebbe tenuto, in fondo
faceva
un po’ meno schifo degli altri quattordici. Ma questo
Oleander decise di
tenerlo per sé: c'era fin troppa tensione nell'aria a
Hogwarts, quel giorno.
Giunta davanti al gargoyle che custodiva l’accesso
all’ufficio del preside,
pronunciò la parola d’ordine,
“Aegre.” e salì.
“Mah,
io continuo ad essere molto preoccupata, mi chiedo cosa avesse in mente
Minerva
McGranitt quando ha designato proprio lui come sostituto. Non ho
ragione,
Arthur?” chiese la donna, continuando a lavorare la lana
alacremente, in modo
quasi meccanico.
“Mmh.”
biascicò l’uomo in tono neutro, del tutto deciso
ad evitare una discussione.
“Su,
vieni qua, che devo controllare la lunghezza della manica.”
Prese un braccio
del marito e lo confrontò con la manica che aveva
sferruzzato a maglia fino a
quel momento: era lunga quasi il doppio. “Oh, Arthur, a volte
mi chiedo se tu
lo faccia apposta!” proruppe il ritratto con disappunto.
Dopo
aver occupato la poltrona di preside di Hogwarts per
vent’anni, il giugno
precedente Minerva McGranitt aveva annunciato che si sarebbe ritirata e
aveva
designato come suo successore l’uomo che fino a quell'anno
era stato insegnante
di Pozioni (Harry Potter non era stato il solo ad averne avuto
abbastanza di
Arti Oscure) e che ora dava le spalle ad Oleander, guardando fuori
dalla finestra
dello studio con le mani incrociate dietro la schiena. Vestiva
completamente di
nero, i capelli erano lunghi fino alle spalle e trasandati come al
solito, non più
nerissimi come un tempo, ma inframmezzati da fili argentati.
Irritazione
e nervosismo emanavano dalla sua persona e parevano far crepitare
l'aria tutto
attorno.
La
scrivania, di solito impeccabilmente ordinata, era coperta di pergamene
mezze
scritte e cancellate da righe tracciate con rabbia e violenza, tanto
che in più
punti i fogli erano laceri e strappati. Un’altra buona
quantità di fogli ardeva
nel camino.
“Qualche
problema a preparare il discorso, Severus?” chiese lei, senza
curarsi di
nascondere la nota divertita nella sua voce.
“Affatto
– ribattè l’uomo, asciutto –
ma ho qualche problema con i consigli non
richiesti.”
Una
cacofonia di voci esplose dai ritratti degli ex-presidi appesi alle
pareti:
“Quello non è un discorso di benvenuto,
è una minaccia!” “Sono bambini, per
l’amor del cielo, non galeotti di Azkaban.”
“A me pare fin troppo tenero.” questo
era Phineas Nigellus Black; “Severus, ragazzo mio, non tutti
comprendono il tuo
senso dell’umorismo, così farai scappare i nuovi
arrivati.” disse il quadro di
Silente. Severus si voltò appena, rivelando un ghigno
malevolo che raccontava
che la cosa non gli sarebbe dispiaciuta più di tanto.
Oleander gesticolò in
direzione dei ritratti, imponendo il silenzio, poi si rivolse al nuovo
preside
di Hogwarts “Severus – disse adagio – io
capisco che tu sia nervoso, è la tua
prima volta da preside, ma cerca di controllarti: fuori da questo
ufficio c’è
una situazione di isteria collettiva.”
“Io
non sono affatto nervoso.” sbottò Piton. Si
girò verso di lei, facendo
ondeggiare l’ampio mantello e rivelando una lieve zoppia alla
gamba destra: la
ferita inferta da Nagini non era mai guarita del tutto.
Oleander
ridacchiò “Lo sei, lo sei eccome.” E gli
circondò il collo con le braccia, per
attirarlo a sé e baciarlo, ma l’uomo le
posò le mani sui gomiti, sciogliendosi
dall’abbraccio.
“No, non qui.” disse, platealmente seccato.
Oleander
alzò lo sguardo: ora tutti i ritratti facevano finta di
dormire, per lo più con
la testa appoggiata sul braccio, ma era chiaro che spiavano i due
attraverso le
dita della mano, solo Phineas era sparito dalla cornice disgustato,
borbottando
che ai suoi tempi certe azioni svergognate non sarebbero mai state
tollerate,
mentre Silente li guardava apertamente "Prego, prego, continuate pure
come
se noi non ci fossimo." ebbe anche il coraggio di dire.
Piton
mormorò qualcosa a denti stretti sul fatto di trasferire i
ritratti in un
magazzino vuoto dei sotterranei, provocando un altro scoppio di accese
proteste. Oleander ne approfittò per alzarsi in punta di
piedi e mormorargli ad
un orecchio "Senti, che ne dici se proseguiamo questo discorso in
camera
nostra? Conosco due o tre tecniche di rilassamento che potrebbero
interessarti."
Il
compagno la guardò con i suoi occhi nerissimi, quelli
sì immutati negli anni:
un attimo prima pozzi profondi ed imperscrutabili, l'attimo dopo
brucianti di
passione. E il suo sguardo aveva sempre il potere di farla rabbrividire
come la
prima volta.
Lui
percepì chiaro il suo brivido con la mano che le teneva
premuta sulla schiena e
soppresse appena un sorriso di trionfo "Se proprio non riesci a farne a
meno..."
In
quel momento qualcuno bussò alla porta, rovinando
l'atmosfera. Oleander sospirò
contro la sua spalla e poi si staccò da lui: evidentemente
non era giornata.
"Avanti."
sibilò Piton.
Entrò
un giovane di quasi diciotto anni, molto alto, pallido e dinoccolato,
dai
capelli neri e corti ed un grande naso aquilino: sarebbe stata
l'identica copia
del padre se non avesse preso gli occhi nocciola di sua mamma, che in
qualche
modo contribuivano ad addolcirne il volto "Per fortuna siete entrambi
qui." disse Severus Piton Jr.
"Che
succede, caro?" domandò Oleander.
"Lo
ha fatto di nuovo! Oltretutto si è abbarbicata al mio baule,
io ho la
passaporta fra tre ore e ancora non ho finito i bagagli!"
esclamò
stizzito. Del padre aveva anche le stesse movenze nervose.
"Oh,
in nome di Morgana!" gemette la donna e si mosse verso l'uscita, ma il
compagno la trattenne "Lascia, lascia, vado io."
Quando
il padre fu uscito il ragazzo riprese a lamentarsi "Quante volte glielo
avete detto che è pericoloso?"
"Cerca
di capire: ti è affezionata ed è così
dispiaciuta che parti. Beh, mai quanto lo
sono io - fissò un attimo il figlio, poi gli corse incontro,
incapace di
trattenersi - vieni qua, fatti abbracciare." La donna robusta quasi
stritolò il suo primogenito, che era arrossito imbarazzato.
"Mamma...
controllati."
"Mi
mancherai da morire, te l'ho già detto?"
"Da
due mesi a questa parte almeno un paio di volte al giorno,
sì."
"Ti
spedirò gufi ogni giorno. - proseguì lei,
imperterrita - Mi raccomando, mangia
regolarmente, che sei già un grissino."
"Vista
la distanza da coprire - osservò il ragazzo, sciogliendosi
dalla stretta
soffocante - consiglierei un albatross, più che un gufo."
"Sei
tale e quale tuo padre, Severus. Se non puntualizzi su tutto, non sei
contento.
I miei uomini: mi farete impazzire."
"La
precisione è tutto nel mio lavoro." disse il ragazzo serio.
Anche
Severus Jr, una volta conclusi gli studi ad Hogwarts, aveva deciso di
intraprendere
la carriera di pozionista e aveva vinto un prestigioso master di studio
di un
anno in Antartide assieme ad altri maghi provenienti da tutto il mondo.
"Tu
lo sai, vero, che se avessi chiesto il posto qui ad Hogwarts, tuo padre
te lo
avrebbe dato immediatamente? Ti stima cento volte più di
tutti i candidati che
hanno varcato quel portone."
Il
figlio scosse la testa "Non se ne parla! Non sono ancora all'altezza di
papà. Accetterò quella cattedra solo quando
riterrò di averne i
requisiti."
La
mamma fece fatica a pizzicargli una guancia magra "Il mio ragazzo fin
troppo diligente." e poi ci stampò un bel bacio.
Severus
Jr ringraziò Merlino che sua mamma limitasse quei plateali
moti di affetto a
quando non erano in pubblico.
Piton
entrò in camera del figlio: i suoi occhi si posarono su una
pianta di dracena,
che qualcuno pareva aver strettamente avviluppato attorno ad un baule.
"Orchis." la disapprovazione nella sua voce era più che
evidente. La
pianta prese a contorcersi e tremare tutta e con un debole *pfft* si
trasformò
in una bambina di undici anni, paffuta e con il naso a patatina, sul
cui viso
spiccavano due profondi occhi neri, in quel momento con l'espressione
tipica di
chi sa di aver appena combinato un guaio, e di quelli grossi. Il
visetto
avrebbe dovuto essere sormontato da lunghi capelli lilla legati in due
treccine, se la ritrasformazione da vegetale ad essere umano avesse
funzionato
a dovere. Invece era rimasta incompleta, cosicché dalla
testa della piccola
maga spuntava ora una selva di foglie lunghe, rigide ed appuntite che
le
conferivano un aspetto buffissimo: sembrava si fosse travestita da
ananas per
la festa di Halloween.
Il
padre dovette ricordarsi di non ridere, né di sorridere con
indulgenza, anche
se in quel momento era piuttosto difficile; oltretutto Orchis,
accortasi che
qualcosa non aveva funzionato, si tastava la testa con cautela,
mormorando
“Oh-oh.”
“Oh-oh
un bel niente, signorina. Io e tua madre siamo stati più che
chiari: non sei
ancora in grado di controllare la trasformazione in Florimagus,
pensavamo fossi
grande abbastanza da capirlo, ma evidentemente ci
sbagliavamo.”
La
bambina abbassò lo sguardo, mortificata. Avrebbe voluto
spiegare il perché del
suo gesto, ma sapeva, nonostante la giovane età, che
interrompere una ramanzina
del padre era una pessima idea.
“O
forse desideri far parte permanentemente del parco di
Hogwarts.”
La
piccola deglutì, spaventata dalla prospettiva.
“Bene
– il padre le porse una mano – se hai capito,
andiamo da tua mamma, sperando
che riesca a farti tornare normale prima di domani sera.”
Docile,
la bambina lo seguì lungo i corridoi.
“Scusa,
papà.” mormorò dopo un po’.
“La
trasformazione è pericolosa, se non viene sciolta in tempo
rischia di essere
permanente, è per questo che non vogliamo che tu lo
faccia.” Il tono di voce
era più tranquillo ora, quasi dolce. Quasi.
“Non
voglio che Sevvy parta. Pensavo che se non fosse riuscito a finire i
bagagli
sarebbe rimasto per forza.” si giustificò Orchis.
“Che
scemenza. Non starà via per sempre.”
“Però
il mio fratellone mi mancherà tantissimissimo.
Mancherà un sacco anche alla
mamma, me l’ha detto lei. E a te mancherà,
papà?”
L’uomo
rallentò appena il passo e mormorò un
‘sì’ talmente debole che nessuno lo
udì.
La figlia continuava a trotterellare, per tenere il passo del genitore,
gettandogli di quando in quando occhiate preoccupate, che lui non
mancò di
cogliere “Cosa c’è ancora,
Orchis?”
La
bambina si fermò di botto in mezzo al corridoio, prese fiato
e poi scaricò d'un
fiato le sue preoccupazioni infantili “Ecco… Sevvy
non se ne va per colpa mia,
vero? Non se ne va perché gli sto sempre tra i piedi,
perché lo costringo a
giocare con me, gli nascondo i libri, perché non lo lascio
mai in pace quando
lavora alle sue pozioni e gli chiedo sempre di insegnarmi gli
incantesimi?
Sevvy non va via per questo, papà?”
Ora
Severus trovò proprio impossibile non sorridere.
“No – la tranquillizzò – tuo
fratello ti adora, credimi. Prova ne è che permette solo a
te di chiamarlo con
quell’orrido nomignolo. Se non è una prova
d’amore, questa…”
Orchis
spalancò la bocca in un grande sorriso e raggiunse il padre.