002. Gunshot
Colpo di Pistola
“You never know what's hit you. A gunshot is the perfect way.”, John Fitzgerald Kennedy.
Era un’afosa serata estiva. Il sole basso
all’orizzonte rendeva il paesaggio circostante come ricoperto da una patina di
lucido rame.
Riza e Roy, dopo la cena, alla ricerca di un po’
di refrigerio, si erano recati presso il piccolo corso d’acqua, dietro giuste
poche centinaia di metri da casa Hawkeye.
Già solo lo scroscio dell’acqua riusciva a dare un
po’ di sollievo a Riza dal calore, che l’aveva oppressa tutto il giorno.
Appena arrivati Riza si andò a sedere sotto un
salice, dall’ombra distesa fino ad immergersi nel fiumiciattolo, mentre Roy,
abbandonate le scarpe e tirati su i pantaloni alla bene e meglio, si sedette
sull’argine ed infilò i piedi nell’acqua fredda.
«Ah, Riza. Non immagini che sollievo!».
Il giovane apprendista, nel dire queste parole,
reclinò il capo all’indietro, giusto per notare sul volto di Riza, la dolce,
silenziosa, discreta Riza, il formarsi di un sorriso appena increspato.
Trascorsero alcuni minuti in silenzio, ognuno
impegnato a godersi un po’ quella pace e serenità (oltre al relativo
refrigerio) che il luogo trasmetteva; Roy con i piedi che sguazzavano e di
tanto in tanto gli schizzavano i pantaloni, mentre Riza appoggiata con la
schiena al tronco dell’albero e le mani tra i fili d’erba.
«Perché non vieni anche
tu a mettere i piedi in acqua?» la invitò Roy.
«Sto bene qui…».
«Andiamo! Non sai cosa
ti perdi».
«Preferisco di no,
grazie. Poi mi rimangono i piedi bagnati e non posso mettere le scarpe». Ecco
venire fuori il suo lato pratico, dalla logica inattaccabile.
«Torniamo a casa
scalzi, che problema c’è? Non farti pregare, Riza».
«No, grazie» cominciava
a spazientirsi.
«Non costringermi a
venirti a prendere di peso…» la minacciò Roy sfoggiando il suo miglior sorriso
malandrino, a cui nessuna ragazza sapeva resistere, e purtroppo, neanche la
giovane Riza, ancora troppo inesperta della vita.
«Che persona insistente
e prepotente!» sibilò tra i denti la ragazzina, mentre di malavoglia si alzava
con grazia dal suo cantuccio all’ombra per raggiungere il compagno di
scampagnata.
Si sedette accanto a
lui sull’argine, senza però togliere le scarpe, assolutamente intenzionata a
non sfiorare nemmeno il pelo dell’acqua per nessuna ragione al mondo. Raccolse
una manciata di sassolini, piatti e levigati, che cominciò a tirare in acqua,
scegliendo come bersaglio un gruppo di sparuti giunchi a un paio di metri alla
sua destra.
«Pensi mai al futuro?»
le domandò Roy, interrompendo momentaneamente quel suo giocherellare nervoso.
«In che senso?».
«Nel senso di cosa
succederà domani».
«Beh, domani devo fare
il bucato e andare all’ufficio postale per spedire delle lettere a nome di mio
padre…». Fu interrotta nel suo elenco di mansioni da svolgere.
«Io non intendevo
questo».
«Avevo capito
perfettamente il senso» replicò quasi lapidaria.
«Allora?» la incalzò,
veramente curioso di sapere quali fossero le aspettative di quella ragazzina,
con cui conviveva da quasi due anni.
«Sinceramente? Non lo
so. Non ci ho mai pensato veramente. Mi piace sentire le mie amiche che per
esempio dicono: “Da grande diventerò una ballerina di successo”, oppure “Voglio
diventare la moglie di un ricco dottore di Central”, ma lo trovo anche
piuttosto inutile. Abbiamo quattordici anni. Quante possibilità ci sono che tra
cinque o dieci anni i nostri sogni e le nostre aspettative si siano realizzati.
La vita è imprevedibile e fare progetti troppo pretenziosi per il domani è da
illusi. Meglio concentrarsi sul presente, almeno adesso».
Roy aveva ascoltato
attentamente quel lungo discorso, provando anche un lieve senso di vergogna di
fronte a pensieri così profondi e decisi.
Era vero. Riza aveva
quattordici anni, ma in quel momento sembrava tutto tranne che un’adolescente.
Un sorriso amaro si
dipinse sul volto del giovane. Aveva colto il lato pratico, ma anche triste in
tutto quel discorso. Sicuramente lei pensava quello che gli aveva appena detto,
ma era anche certo che avesse i suoi sogni, i suoi desideri, ma era talmente
spaventata dall’idea che non potessero realizzarsi, che probabilmente faceva
fatica lei stessa ad ammetterne l’esistenza.
Intanto lei aveva
ricominciato il suo gioco, cambiando però bersaglio: un bastoncino che
galleggiava proprio davanti a Roy.
«Lei, invece? Pensa mai
al futuro?» domandò concentrata sul legnetto.
Nonostante le avesse
ripetuto più e più volte che non serviva dargli del lei, Riza non aveva mai
dato ascolto alla sua richiesta, continuando secondo ciò che per lei era segno
di buona educazione e rispetto.
«Io? Ogni giorno sempre
più» ammise.
Per un attimo Riza
distolse lo sguardo dal corso d’acqua per fissare interrogativa il suo
interlocutore.
«Ho quasi finito
l’apprendistato con il maestro. Tuttavia non ho intenzione di ritornare a casa
dalla mia matrigna. Non voglio essere un peso per lei. Voglio essere
indipendente. Quindi sto prendendo in considerazione l’idea di entrare
all’accademia militare» spiegò lui, con lo sguardo puntato sulle lievi
increspature dell’acqua.
«Entrare nell’esercito?
Ma si tratta di una possibilità, vero?». Era rimasta stupita. L’idea la
terrorizzava. Sapevano tutti che fine fanno i soldati.
Angosciata distolse lo
sguardo da Roy, rivolgendosi anche lei all’acqua. Una libellula, dal corpo
azzurro metallizzato, svolazzava davanti a lei, pochi metri più avanti.
«Non proprio». Il
giovane fece una pausa per prendere un respiro profondo. «Ho fatto domanda
all’accademia e mi hanno accettato. La settimana prossima, quando finirò
definitivamente l’apprendistato, partirò per entrarci». Aveva confessato ogni
cosa. Lo doveva a Riza, che era sempre stata così gentile con lui.
Pluff.
Aveva lanciato l’ultimo
sasso che le era rimasto in mano.
La libellula stava
affondando rapidamente sotto il peso improvviso della pietra.
«Accidenti che mira
strepitosa, Riza!».
***
Più di dieci anni dopo,
Riza Hawkeye aveva fatto un’”accettabile” esperienza della vita. Era entrata
nell’esercito, a dispetto di tutti i suoi sogni e le sue aspirazioni, ed era
diventata un tiratore scelto. Un ottimo tiratore scelto, tanto che, ancora
giovanissima,aveva partecipato ad una guerra.
Ora, Tenente e donna
sempre in competizione con se stessa, si recava una volta alla settimana al
poligono di tiro per allenarsi, per migliorarsi.
Quella mattina il sole
splendeva ad East City e lei, poco dopo esser arrivata in ufficio ed essersi
assicurata che il suo superiore avesse tutti i documenti da firmare impilati
ordinatamente sulla scrivania, raggiunse la sua postazione al poligono ed imbracciò
il fucile.
Bang.
Un colpo in pieno
petto.
Con movimento
meccanico, rapido e perfetto ricaricò il fucile, mentre una persona si
avvicinava alle sue spalle.
«Come va, Riza?» domandò cordiale. «Vedo
che te la cavi sempre, eh?» continuò osservando il bersaglio su cui il cecchino
era concentrata.
«No, devo fare ancora
più pratica» ripose ferma, senza battere ciglio, mentre prendeva la mira.
«Il Colonnello vuole
vederti. Sarà trasferito a Central City».
Un flash improvviso.
Una libellula.
Bang.
Un colpo al capo. In
mezzo agli occhi.
«Ho capito».
Note finali:
Ero piuttosto spaventata da questo theme,
perché sembra abbastanza scontato cosa verrà fuori.
Pensa e ripensa, alla fine è venuto fuori
questo. Avevo praticamente deciso subito di prendere come riferimento
la scena
quando viene comunicato a Riza del trasferimento di Roy, che, appunto
ho
inserito alla fine, ma ci voleva qualcosa di più. Così mi
è venuto in mente di
descrivere il primo momento in cui il tenete ha dimostrato di avere
ottime
potenzialità come cecchino. Il momento in questione si svolge
durante
l'apprendistato di Roy, proprio poco prima della sua partenza e del suo
arruolarsi nell'esercito. Volevo creare un parallelo tra questi due
momenti.
Spero di esserci riuscita. Inoltre la scelta della libellula non
è casuale. In Giappone è simbolo di forza e coraggio, due
caratteristiche tipiche di Riza; ma anche di felicità. Risulta
ovvio che sia Roy la sua fonte di felicità, che viene meno nel
momento della sua partenza.
Shatzy: Ops! Grazie per avermi fatto notare la svista. Ho rimediato subito. Comunque grazie per i complimenti, mi ha fatto piacere che ti sia piaciuto.
Castiel: Intanto: Crepi! E grazie per gli apprezzamenti. Ti seguirò ben volentieri in questa avventura. E comuqnue non trovo che la tua storia sia grande solo per numero di capitoli. Ritengo sia ben scritta e alcuni capitoloi trasmettono davvero tanto!
Shukumei Taisa: Grazie grazie, per i complimenti! Spero che tu non abbia trovato banale anche questa storiella. E puoi starne certa: Fedele per tutta la vita!