La
guardo. E ne resto come ipnotizzata. Che mai avevo fatto io, creatura solitaria
ed entrata troppo presto in un giro così
sbagliato, per meritarmi Lei?
Quella
Lei così irascibile, così tenerona e così Città. Si
città. Lei è la mia città. Non dorme mai, è sempre sveglia, sempre lì. E’ come
Parigi. Romantica e Poeta come Parigi. Il nome però suona meglio in francese.
Sì, Lei è la mia Paris. Mi corre in contro come
posseduta. Con le sue gambe magre che vanno qua e là, come se non rispondessero
a un ordine preciso. Mi è mancata, solo Dio sa quanto.
La
guardo di nuovo, e solo lì , da vicino, la vidi veramente. Abbraccio la mia
Città. Abbraccio la mia Paris. Il suo odore di
pulito, di perfetto mi solletica le narici. Un abbraccio che dura un istante,
ma che nel tempo resta infinito. La guardo ancora meglio. E’ cresciuta, di
molto. Ora mi supera di cinque centimetri abbondanti. Tutta orgogliosa mi dice
che è ingrassata. Sì, perché lei è felice quando ingrassa, tanto non si
vedrebbe comunque. Scherzando a volte le dico che se si mette di profilo
potrebbe scomparire. Mi piace quando fa l’offesa. Arriccia le labbra come una
bambina troppo viziata o capricciosa.
Indossa
una di quelle maglie così menefreghiste, non sono maglie che urlano “che cavolo guardami!” come la maggior parte
delle maglie delle quindicenni. Sono maglie che urlano la sua indipendenza vero
un sistema troppo conformato. I suoi vestiti un po’ cadenti, morbidi. A volte
Lei mi prende in giro per essere anticonformista. Sono un’anima nera. In un
mondo di colori troppo accesi per degli occhi abituati a un’oscurità irreale.
I
suoi capelli sono più chiari di quanto mi ricordassi, è un duro colpo. Sì lo
so, sono dei semplici capelli, ma sono i SUOI capelli per la miseria. Vuol dire
che il tempo è passato, che qualcosa è cambiato. Diminuisce il tempo che
staremo insieme questi anni. Pensarci i fa venire la nausea. Non voglio che il
pensiero sfiori il mio cervello e lo scanso con una scrollata.
Continuo
a fissarla imperterrita. Lei crede che l’ascolto. In effetti la sto
distrattamente ascoltando, ma mi perdo di
nuovo nei miei pensieri. La vita. Ecco cosa mi ha colpito di Lei la
prima volta. La sua vita. La sua voglia di vita. Di non abbattersi mai. Quando
è triste o giù di corda mi influenza molto. E’ come se il mio umore dipendesse
dal suo. E poi è un libro aperto. Però solo un buon lettore riesce a leggerlo.
A leggere fra le sue splendide e complesse righe.
La
nostra amicizia forse è cominciata in modo bizzarro. Su un sito troppo comune e
continuata in una chat troppo affollata. Per ,finalmente, arrivare ad un
pullman urlante e a un’aula troppo piccola. Lei, la figlia del MezzoCapo, è diventata amica mia,Ragazza della terra di
nessuno. Due anime profondamente diverse ma che camminano all’unisono.
Cerco
di ascoltarla. E’ un po’ irritata, si è accorta che non l’ascolto. Si accorge
sempre di tutto. Proprio come una città, con mille occhi. Mi domanda cosa c’è
di più importante nella mia testa che non ascoltare Lei. Si forse è un poco
egocentrica, ma a me va bene così. Ora è davvero scocciata perché nota il mio
sorrisetto sulle labbra , sa cos’è quel sorriso. Sto internamente ridendo di
Lei, ma non per prenderla in giro. Ma perché Lei mi fa sorridere, mi fa venir
voglia di sorridere. Mi passa quella voglia di Vita che io raramente ho. E’
così fragile la mia città. Resisterebbe a un tornado, a uno tsunami. Perché Lei
lo Tsunami. Ma non resisterebbe a una perdita, lo so. E’ così abbattuta di
QUELLA perdita . Il suo Ric. Il suo “finto Irlandese”. Il suo tutto. Ma no, Noi
siamo il nostro TUTTO.
La guardo divertita. Ora si sta sbracciando,
piuttosto alterata del fatto che una ragazza con l’aria perennemente imbambolata
non la sta ascoltando, e la ignora deliberatamente. Ora alza la voce di
un’ottava. Che Lei è dovuta abbandonare la sua cuginetta per stare con una
persona che è persa nei suoi pensieri. Sì. Arriccia le labbra. Si offende.
Scimmiotta qualcosa. E agita le braccia lunghe e magre. D’istinto l’abbraccio.
Sì,
Solo Dio sa quanto mi sia mancata la Mia Città.