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Autore: Valery_Ivanov    16/09/2010    0 recensioni
«Gli altri ti stanno cercando»
Sbuffò, gettando la sigaretta a terra e accendendosene un’altra.
«Gli altri possono cercare quanto vogliono. Mica mi sto nascondendo»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scese dal palco…

Nicotina

 

Scese dal palco asciugandosi il sudore sulla fronte e ignorando i fan che urlavano esaltati il nome del gruppo. Entrò nel camerino e si gettò sulla sedia, lasciando che l’adrenalina gli scivolasse di dosso, godendo del silenzio che avvolgeva la stanza. Afferrò un asciugamano e iniziò a frizionarsi i capelli senza pensare a nulla. O meglio, ci provava a non pensare a nulla. Inevitabilmente la sua mente lo portava a quel ricordo, sempre presente, fisso, fresco. Una ferita di quelle che non si rimarginano mai. Da quanto tempo non la vedeva? Tre anni? Due? Non lo ricordava più. Non voleva ricordarla.

Si alzò sbuffando, schiaffeggiandosi leggermente le guance per svegliarsi. Non aveva voglia di raggiungere i suoi compagni alla festa dopo-concerto, né di andare a dormire, né di sbattersi una delle tante troie – no, scusa, come gli ricordava sempre il suo bassista, groupie – che giravano intorno al gruppo. Prese la giacca e il pacchetto di sigarette, lasciando il cellulare sul tavolo, e uscì lentamente dal camerino, salendo poi le scale che portavano alla terrazza.

Deserta, come aveva sperato.

Si avvicinò alla ringhiera, accendendosi una sigaretta e aspirando avidamente quella nicotina maledetta che lo stava sicuramente portando verso la morte. Ma cosa gliene importava, in fin dei conti?

Il paesaggio davanti a lui era spoglio e grigio; alti palazzi neri, strade coperte di asfalto scuro, qualche pallida luce che tentava vanamente di illuminare tutta quella desolazione. Aspirò un’altra boccata, soffiando fuori il fumo con lentezza, assaporando la sensazione di quella sostanza così sfuggevole che fluiva dal suo corpo, spandendosi nell’aria circostante. La sua maledizione e il suo unico piacere. Si sarebbe mai riuscito a liberare da quella droga?

Si fermò un attimo a fissare la sottile striscia tra le sue dita. Ma perché gli venivano in mente certi pensieri, poi? Quando mai aveva pensato di smettere? Forse quando tutto il catrame che si stava accumulando nei polmoni aveva deciso di riversarsi fuori in attacchi incontrollabili di tosse convulsa e conati di vomito? No, nemmeno allora aveva davvero pensato di smettere.

Perché cosa rimaneva di lui, senza il fumo? Che altro gli restava?

La chitarra.

Sorrise ironicamente. Di nuovo la nicotina gli scese giù nei polmoni, strato dopo strato. Non gli importava davvero dal fatto che si stava uccidendo lentamente, non gli importava di nulla, a conti fatti. L’unico piccolo spiraglio di disappunto era che la sua morte sarebbe passata sui giornali senza che nessuno ne soffrisse davvero. I fan sono affezionati fino ad un certo punto. A parte i fanatici. Ma quella era tutta un’altra storia.

Anche la musica, la sua adorata musica, per cui aveva sacrificato tutta la vita, iniziava a stufarlo. Aveva scoperto con amarezza che la vita di un musicista non consisteva solo nel suonare: c’erano le interviste, la promozione dei nuovi cd, la casa discografica che ogni mese aveva qualche nuova scusa per rompergli le palle, i fanatici – quelli di prima, appunto – che si appostavano fuori dalla sua casa per assalirlo appena metteva un piede sulla strada, le groupie che gli si strusciavano addosso ogni santo concerto – neanche gliel’avesse chiesto -, i compagni di gruppo sempre esauriti, sempre nervosi, sempre opprimenti e fastidiosi – sì, fastidiosi.

A quanto pareva suonare e basta non era possibile. Perché? Perché no, non si poteva fare. Punto.

Sempre a lottare per restare a galla, per non essere schiacciati dagli altri. E lui era stufo di lottare.

Sentì la porta da cui era entrato cigolare appena e poi richiudersi.

«Allora eri qui»

Una voce di donna, non cristallina, non soave. Una voce forte, piena di passione di potenza, una voce morbida e avvolgente, calda – un po’ ruvida, a volte. Un profumo leggero colpì le sue narici mentre i suoi sensi percepivano la vicinanza della ragazza prima ancora di vederla.

«Gli altri ti stanno cercando»

Sbuffò, gettando la sigaretta a terra e accendendosene un’altra.

«Gli altri possono cercare quanto vogliono. Mica mi sto nascondendo»

Sentì gli occhi della ragazza puntati sulla sua nuca; conosceva quello sguardo, pur senza vederlo, un tacito rimprovero che cadeva fra loro e si dissolveva come il fumo della sigaretta accesa nella sua mano.

«Stai attento a non prendere freddo» mormorò lei con un sospiro, allontanandosi lentamente.

«Fammi compagnia»

La ragazza si fermò. Si voltò appena e lo trovò girato verso di lei, immobile a fissarla. Aveva sentito un senso di abbandono prepotente, un’improvvisa paura di restare solo. Anche se non gliel’avrebbe mai confessato.

Lei tornò indietro, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui. Rimasero in silenzio, sfiorandosi appena. Il fumo si spandeva regolarmente nell’aria e nei suoi polmoni, avvolgendoli in una pesante nube chiara, quasi invisibile, ma che celava in sé un mare di parole non dette.

«Come va?»

«Cosa?» boccata. «Il lavoro? Uno schifo, lo vedi anche tu senza bisogno che te lo dica io. Gli amici? Peggio ancora. L’amore? Non riesco a dimenticarla, come sempre. La vita? Sta finendo, per fortuna»

La ragazza lo fissò con uno dei suoi sguardi fissi e imperscrutabili, che dicevano tutto e niente al tempo stesso. Lui si passò una mano fra i capelli, nervoso. Non gli piaceva sfogarsi con lei, ma non aveva più nessun altro, ormai. Lei era l’unica che gli restava ancora attaccata – per qualche motivo a lui ignoto – rifiutandosi di abbandonarlo. Probabilmente le faceva solo pena.

«Ricordi come ci siamo conosciuti?»

Si voltò a guardarla, sorpreso dalla domanda, dalla mancanza di una risposta al suo sfogo di poco prima e dall’ombra di un sorriso che le si disegnava sulle labbra. Lo sguardo era lontano, perso nei ricordi. Annuì.

«Fumavi già allora... ma non con la stessa… “insistenza”, devo dire» si voltò verso di lui sorridendo appena, fissando il viso giovane e stanco dell’altro. «Sono passati tre anni…»

«Due e mezzo» la corresse, gettando a terra il mozzicone della sigaretta.

«Sembra un’eternità»

L’uomo si guardò intorno con le mani in tasca cercando qualcosa, qualcosa che potesse trasportare la sua mente lontano da lì, lontano da quel mondo e dai suoi ricordi.

«Stai pensando a lei, vero?»

Sussultò. Era così evidente?

Si voltò verso l’esterno, posando nuovamente lo sguardo sui palazzi. Sembravano quasi artigli pronti ad afferrarlo e a squarciargli l’animo se solo avesse abbassato la guardia per un secondo.

«E’ bellissimo, vero?»

Corrugò la fronte, non trovando nulla di “bellissimo” nello squallore davanti a lui.

«No»

La ragazza sembrò sorpresa – anzi, quasi scandalizzata.

«Come no??!! Guarda!! Non vedi il contrasto stupendo creato dai palazzi neri e le luci della strada? Non vedi lo splendore delle finestre illuminate, come occhi che ti fissano nella notte? Tutte quelle luci, tutto questo silenzio, quest’aria fresca e pura… le stelle!!! Come può non essere bellissimo tutto ciò?»

Rimase in silenzio alcuni secondi, osservando il paesaggio spoglio.

«E’ squallido. Sa di disperazione, di solitudine. Mette angoscia» e si voltò di nuovo. Lei sembrò rattristarsi.

«Mi dispiace…»

«Di che? Mica l’hai creato tu»

La ragazza esitò un attimo, poi si avvicinò lentamente a lui e gli cinse il torace con le braccia sottili, affondando la testa fra le sue scapole.

«Non essere triste, ti prego… intristisci anche me!»

Sbuffò.

«Non dire cazzate… non sono triste. Sono solo pensieroso»

«Pensieroso, eh… tu sei sempre pensieroso. Il problema è quello che pensi. A cosa stai pensando adesso?»

Non rispose subito. Giocherellò un pochino con i lacci del giubbotto, indeciso.

“Sto pensando che non ho più permesso a nessuno di avvicinarsi così tanto a me dopo lei, ma tu ci sei riuscita lo stesso. Sto pensando se potrebbe essere la cosa giusta. Sto pensando che non te lo dirò mai tutto ciò. E continuerà a galleggiare nella mia testa come l’unica speranza a cui posso ancora aggrapparmi per restare in vita”

«Ehi… ci sei ancora?»

«Sì»

Il silenzio colmò nuovamente quell’intimità che si era creata fra loro, insinuandosi ovunque tranne che sotto le mani di lei, il cui tocco – senza che lei lo sapesse – gli stava ridando vita. Poi la sentì rabbrividire.

«Ohi, io torno dentro… inizio ad avere freddo. Raggiungici quando ti va»

Sciolse l’abbraccio e lui sentì il calore abbandonarlo all’improvviso. Gettò un rapido sguardo al pacchetto di sigarette nella sua tasca, e poi uno ancora più rapido alla figura della ragazza che si allontanava lentamente.

«Stavo pensando» alzò un po’ più la voce, altrimenti lei non l’avrebbe sentito. «Che in effetti è ora di rientrare»

Diglielo diglielo diglielo.

Lei si voltò con uno sguardo sorpreso, poi sorrise nel vederlo staccarsi dalla ringhiera e venirle incontro con il suo passo strascicato.

Diglielo.

«Andiamo, sennò quei due musicisti da strapazzo mi rimprovereranno per tutta la settimana»

Non glielo dirai mai, vero?

Ma sì, tanto la tua vita è quasi finita. E vi aleggiano così tante cose non dette che una in più non farà differenza.

«Sai, volevo parlarti di un progetto che mi ronza in testa da qualche giorno… qualcosa a proposito di un duo acustico. Ci hai mai pensato?»

«Mmm, no… racconta un po’»

«Beh, ecco, stavo pensando…»

Ah, sì, ecco quando aveva pensato di smettere. Era stato un giorno piovoso di un anno e mezzo prima, in cui la nuova cantante del suo gruppo – con una voce forte, piena di passione e di potenza, morbida e avvolgente, calda, un po’ ruvida a volte – si era seduta accanto a lui, lui che stava rischiando di collassare per la ferita inflittagli dall’unica donna che si era permesso di amare in tutta la vita; si era seduta e l’aveva avvolto nelle sue braccia esili, cullandolo dolcemente per – ore? Giorni? Anni? – e cantandogli – no, forse aveva solo parlato – una morbida melodia nell’orecchio, finchè lui non si era addormentato di un sonno profondo e senza sogni.

  
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