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Autore: ENS    17/09/2010    7 recensioni
Un medioevo fantastico ove ladri, assassini e guerra sono all'ordine del giorno. Questa è una storia di misteri, amicizia, coraggio, amore, valore, onore, alleanze. Ma anche di viltà, codardia, sconfitta. Come è giusto che sia.
Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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 Avete mai letto “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di George Rychard Rymond Martin? Ogni capitolo è strutturato secondo la tecnica dei POV. Ovvero: Point Of Visuality. Tradotto, Punti Di Vista. Parte dei capitoli di questa storia saranno strutturati secondo questo metodo scrittorio, se non tutti. Vi auguro buona lettura, e non date peso alle frasi canzonatorie. Grazie. Un’ultima cosa: parecchi personaggi parleranno male, sbagliando tempi verbali, articoli ed altro. E’ assolutamente normale e realistico.

 L'OMBRA

 

 

L

a cittadella era calma. A quell’ora, poi! Mancavano poche ore all’alba, e la gente dormiva al sicuro nei loro letti. Ma, quante persone potevano dire di possedere un letto? Un giaciglio, per i poveri. Ed un letto per i ricchi. E già. Così va’ la vita. Ma c’era chi non possedeva neppure un giaciglio bitorzoluto sul quale coricarsi dopo un’intera giornata di fatica nei campi. C’era chi dormiva in strada, alla mercé degli agenti atmosferici. Straccioni, mendicanti, feccia varia. Inutili parassiti, capaci solo di consumare risorse. Ma torniamo a noi. La cittadella era immersa nel surreale silenzio notturno, disturbato dall’abbaiare dei cani e dalla frenetica attività delle taverne, ancora gremite da uomini desiderosi di annegare i dispiaceri in un boccale. Inutile. I problemi non avrebbero smesso di tormentarli, poco ma sicuro. Avrebbero dovuto affrontarli. Altri sporadici avventori andavano in cerca di puttane, per soddisfare i loro desideri carnali. Ma se vi devo anche spiegare a cosa serve una puttana, ve lo consiglio, cambiate lettura. Le mura della cittadella erano alte e grigie, capaci di resistere ad ondate di nemici.

          Guardie assonnate passavano di pattuglia per le strade, stanche ed annoiate, ben consce del fatto che nulla sarebbe accaduto. Neppure una rissa tra ubriachi fetenti da sedare, giusto per animare la ronda. Il loro equipaggiamento era semplice, privo di inutili fregi od ornamenti, ma ben scelto: ogni guardia portava una corta lancia d’assalto, onde evitare che disturbasse i movimenti a causa delle strette stradine. La punta era larga, fatta per lacerare le carni, il  largo manico in legno di Quercia, maneggevole e resistente. Portavano un mezzo elmo, con una protezione sul naso. Sopra gli strati di cuoio indurito, la cotta di maglia lunga appena fin sopra i gomiti  ed un’armatura leggera portavano una casacca esageratamente larga, filata appositamente per essere indossata sopra l’armatura. Sul petto avevano ricamato un blasone raffigurante una serpe gialla su sfondo nero. Una gorgiera leggera proteggeva la morbida gola ed una parte del petto. Ai fianchi le guardie che se lo potevano permettere indossavano una falda da battaglia, in cuoio o cotta di maglia. Calzavano semplici stivali in cuoio, discretamente protettivi. Alle mani, pesanti guanti di lana. Un buon equipaggiamento, non c’è che dire. ‘Basterebbe un affondo preciso sulla bocca. I mezz’elmi rallentano i movimenti senza fornire una vera protezione: se non ci si può proteggere come si deve l’armatura rallenta solamente. Ed anche in questo caso, rallentando ancor di più, è discutibile il suo utilizzo. Sembrano tante scatolette di ferro, come quelle in cui il vecchio Armune tiene i suoi veleni.’

          Una figura solitaria, avvolta in un mantello nero come la notte, era appostata sul tetto di un bordello. Cappuccio calato, flessibile e leggero arco lungo da caccia appoggiato dietro il cornicione dell’edificio, a portata di mano, la faretra agganciata al fianco sinistro della cintura dell’idividuo. ‘C’è la luna piena. Troppa luce, troppa gente, troppo tutto.’ Alcune favole e leggende che Armune gli raccontava quando era piccolo dicevano che nelle notti di luna piena gli assassini acquisissero straordinarie capacità atletiche, e che le loro vittime designate perdessero qualsiasi lucidità, rendendo l’assassinio estremamente semplice. ‘Falso, nelle notti di luna piena c’è troppa luce per poter occultarsi nel buio della notte, gli assassini non acquisiscono alcuna particolare capacità. Ma la mia vittima non sarà lucida, probabilmente dovranno trascinarlo di peso quando deciderà di tornare alla sua magione, ma non a causa di sovrannaturali poteri, bensì per mano di un potere ben comune: alcol e sesso.’ Ser Terrence Reddeck non si poteva certo definire una vittima difficile. “Formidabile guerriero. Con una spada corta ed uno scudo in pugno potrebbe uccidere molti validi uomini in un duello all’ultimo sangue.” L’enorme cavaliere era un uomo molto forte, ed estremamente rapido per un guerriero della sua stazza. Il suo stile di combattimento era puramente offensivo: coperto da capo a piedi da un’armatura pesante d’acciaio, il grande scudo di ferro, non acciaio, poiché era solito dire: ‘Preferisco che lo scudo si spezzi, piuttosto che pieghi’, che regolarmente guizzava a parare uno dei radi colpi avversari che riuscivano a trovare spazio fra quella gragnola di colpi, lo proteggevano superbamente da qualsiasi azione offensiva nemica. Mentre la spada colpiva selvaggiamente con una forza posseduta da ben pochi uomini. Ma quest’uomo formidabile aveva una debolezza: ogni sera, quotidianamente, andava ad ubriacarsi e a puttane nella famosa taverna Il butterato ubriaco. Nonostante il nome, era una delle più decorose e pulite della città, con prezzi curiosamente bassi per un servizio di quel livello. Cibo ottimo, vino discreto, birra eccellente. Inoltre, le puttane del bordello vicino, che si affacciava proprio dall’altro lato della strada, erano le migliori della città. ‘Finalmente le persone stanno diminuendo.’ Era vero. La taverna era su una delle strade principali, ma alle ventuno oramai il passaggio di persone diminuiva: chi tornava nelle proprie case per concedersi un sonno ristoratore, chi invece per paura dei criminali, altri che semplicemente andavano in una delle locande, chi sceglieva di andare direttamente nel bordello, La putta felice, questo era il nome, o chi prima beveva e mangiava in allegria al Butterato ubriaco, si ubriacava, e, se ne era ancora in grado e non annebbiato dai fumi dell’alcol, poi andava al bordello. ‘Cosa che ser Terrence fa’ regolarmente, quando può.’ L’assassino scrutava attentamente la strada. Si era posizionato proprio sopra il bordello, così da avere una buona visuale quando ser Reddeck fosse arrivato a prendere posto con i suoi compari al solito tavolo della taverna, che il taverniere gli riservava abitualmente, tanta era la sua assidua frequentazione. E ad un tratto, il pazientare della figura incappucciata fu premiato: la sua vittima camminava nel bel mezzo della strada, il piglio fiero, orgoglioso. I suoi gregari e compagni lo seguivano orgogliosi e sprezzanti. Sei, contando ser Terrence. Un vecchio aveva posizionato il suo piccolo banchetto di mele, mature e succose, in rientranza verso il centro della strada, invece di addossarlo alla parete di un edificio, come si faceva di solito. Il cavaliere oltrepassò il venditore e la sua merce senza degnarli di uno sguardo, non così uno dei suoi gregari, un individuo piccolo, esile, magro e dai lineamenti ordinari: occhi nocciola e cresposi capelli castano spento. Si fermò a gambe larghe davanti al banchetto di frutta, adocchiando divertito il vecchio che rispose con un’occhiata spaventata. L’assassino era sufficientemente vicino da poter ascoltare e vedere chiaramente l’intera vicenda.

          “Cosa abbiamo qua?” Il ghigno compiaciuto del gregario non prometteva nulla di buono per quel vecchio “Non sai che è vietato piazzare banchetti qua in mezzo?” Oramai anche gli altri cinque si erano avvicinati ghignanti, avendo capito lo scopo del loro compare “Passa gente e carri di qui, non ci puoi stare qua, intralci quegli che ci camminano.” Un ghigno feroce si dipinse sul viso dell’uomo. Il vecchio venditore di mele fece l’unica cosa sicura: fuggì urlando, chiedendo aiuto a gran voce, ma le persone che assistevano erano troppo spaventate da quei despoti per intervenire.

          L’assassino fu apparentemente glaciale, ma nell’animo fremette. ‘La pagherete. Per tutto.’ Il gruppo scoppiò in una risata generale, ed uno, corporatura robusta e torace ampio, anche se di altezza media, diede un violento  calcio ad un’esile gamba del banchetto di mele. Quella si spezzò, e l’altra gamba sullo stesso lato, incapace di sostenere il peso anche per l’altra, cedette, riversando le mele mature sull’acciottolato della strada, il succo dolce a colare fra sassi e polvere. Ser Terrence Reddeck, non volendo essere da meno, afferrò centralmente il piano del banchetto e lo rovesciò violentemente, rovinando le mele salvatesi dal primo devastatore e finendo quelle coinvolte ma ancora mangiabili. Infine, un altro gregario estrasse dalla cinghia di cuoio che portava agganciata al cinturone un’ascia corta pesante. Afferratala a due mani, la calò sul centro del banchetto rovesciato, spezzandolo di netto in due parti, schegge che schizzavano in ogni direzione. Tutto questo sotto gli occhi degli altri tre, compreso l’uomo esile e dai lineamenti ordinari, che ridevano di gusto assieme ai devastatori. La piccola folla radunatasi a distanza di sicurezza per vedere l’ennesima prepotenza di quel gruppo iniziò a sfollare, ormai perduto l’interesse per l’accaduto. Il vecchio venditore, seduto sul terreno davanti alla porta chiusa di una bottega, si disperava, piangendo ed inveendo contro quei despoti che “lo avevano rovinato”. Uno dei gregari che non aveva preso parte alla distruzione del banchetto se ne accorse, e si accostò a ser Reddeck per dirgli qualcosa all’orecchio. Il cavaliere smise di ridere sguaiatamente e le sue guance si colorarono del rosso causato dalla furia.

          A passo deciso si piazzò di fronte al vecchio, gli occhi che mandavano lampi “Vecchio!” Ruggì. Il vecchio in questione si accorse del cavaliere, si alzò di scatto e con un espressione di puro terrore sul volto, tentò di fuggire verso la parte di strada libera dal gruppo. Ma l’uomo che aveva usato l’ascia, debitamente rinfoderata, lo bloccò per le braccia, immobilizzandolo.

          “Che volete da me?” Chiese spalancando gli occhi attoniti, il volto cereo “Vi siete presi tutto! Nulla mi avete lasciato. Solo una di vita ci ho, lasciatemela!” Cos’era il terrore?, si chiese l’assassino: era il volto di quel venditore disgraziato, incappato nella sua fine per un semplice capriccio del fato.

          Ser Reddeck lo offese duramente: “Senti, sacco di merda senza palle, neppure abbastanza uomo da reagire, non mi piace che qualcuno mi offenda! Cazzo! Cosa hai detto di mia madre?”

          Il vecchio, se possibile, rimase ancor più attonito. Ma aveva capito che non ne sarebbe uscito vivo. Raccolto tutto il coraggio che non lo aveva abbandonato colando lungo la gamba tramite piscio, ribatté aspramente: “Che era una puttana!” Condì la frase con altre offese “Tu, pezzo di-!” Non si seppe mai che pezzo fosse ser Terrence, perché estrasse rapidamente la spada dal fodero agganciato al cinturone, e l’uomo dell’ascia, resosi conto di cosa volesse fare, scaraventò contro il muro della bottega il vecchio, appena prima che il cavaliere gli tranciasse di netto il collo con un fendente rapido e brutale. Da qualche parte, una donna urlò. Sangue schizzò sulla parete, sul terreno, sullo stesso corpo della vittima, impregnandone la povera casacca sudicia, sull’uccisore. Sangue macchiò l’ottimo acciaio della lama, mandando sinistri bagliori rossastri. La poca folla che era rimasta o che aveva ripreso interesse notando il feroce dialogo tra il cavaliere e lo sfortunato cadavere sfollò rapidamente, chi andando nel bordello, chi nella taverna, chi negli altri edifici in generale. L’uomo esile, alla vista di quell’assassinio perpetrato dal suo compare scoppiò in un violento accesso di riso, l’uomo dell’ascia ghignò, ser Reddeck rise, anche altri due gregari risero. Solo uno, il più giovane, non poteva avere più di sedici anni, i capelli rossi che gli ricadevano sul viso, rimase attonito dall’estrema facilità, ferocia e brutalità con cui egli aveva ucciso, e dal piacere che ne aveva tratto.

          “Ma, non dovremmo portare ordine in città?” Chiese, ripresosi dallo sconcerto.

          L’uomo esile rispose per il cavaliere: “Ce n’è di feccia che è meglio ammazzarla, Todd, non fa’ che rompere.”

          Todd annuì, ancora leggermente cereo in volto. Ser Terrence Reddeck tolse, in un ultimo, maligno spregio del vecchio, le braghe al cadavere, rivelandone le nudità. Ripulì con cura la lama, poi la rinfoderò. Gettò lo straccio insanguinato che erano state le braghe del venditore lontano dal cadavere. E si avviò verso Il butterato ubriaco con gli altri, lasciando ai residenti della zona l’ingrato compito di ripulire la strada dal cadavere.

 

 

Angolo dell’Autore.

 

Che inizio burrascoso. Ringrazio chi recensirà, leggerà, ed apprezzerà. Commenti negativi e costruttivi sono ben accetti.

  
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