.
Phoenix
The Last Song I'm Wasting On
You - Evanescence
.
.
.
[Will.]
Le ore diventano lentamente giorni,
e i giorni diventano settimane.
Spariscono quasi senza lasciare
traccia, queste giornate; l’unica ombra che rimane è quella nel cuore, negli occhi,
che oramai è diventata una compagna costante della vita di tutti i giorni.
Angel è sempre qui, quando non è
all’università. Si porta dietro i libri, studia, cerca di tenere insieme un
minimo di ottimismo e di speranza per tutti e tre. Penso che se non fosse per
lei Ben non mangerebbe nemmeno, per dirne una: e penso che non riuscirei a
sorridere, ogni tanto, se non ci fosse lei.
Ben lascia questa stanza soltanto la
sera. Ho recuperato alcuni dei suoi libri dal loro appartamento, e glieli ho
portati; lui non vuole nemmeno entrarci, dice che non gli riesce, che fa troppo
male. Parla poco, Ben, è diventato taciturno; è dimagrito, e lo so, Ray mi
ucciderà quando lo vedrà così sciupato.
E io?
Io cerco di aggrapparmi alla
speranza. Quella speranza che sento scivolare via un po’ tutti i giorni, che
cerco di trattenere con le unghie e con i denti, per non crollare.
Oggi sono solo, con Ray. Angel ha
trascinato Ben a mangiare qualcosa in un ristorante qua vicino: è forte la mia
Angie, è molto più forte di Ben…ed è anche molto più forte di me.
Credo che lo abbia visto, il mio
sguardo spaventato. Quando è andata via, penso che abbia notato la nota
atterrita che ha preso la mia voce, all’idea di restare qui, da solo. Con Ray.
Fa male, guardarla.
Sono seduto accanto a lei, accanto a
questo letto che la ospita da ormai due settimane e mezzo.
Non ho mai notato tante cose.
È pallida la mia sorellina, è
pallida come la neve; le fratture degli zigomi e del naso sono in via di
guarigione, ieri le hanno tolto i punti. Sta tornando ad assomigliare alla Ray
che conosco, il viso è meno livido, riesco a distinguere i suoi lineamenti
sotto le suture ancora troppo visibili.
Non l’ho mai guardata così, da
quando è qua.
Ho sempre cercato di evitarlo; ho
sempre cercato di non farlo, di lasciar scivolare lo sguardo su di lei, di non
soffermarmi per vedere tutto quello che le è successo.
È quasi insopportabile, il male che
fa.
Ha le ciglia lunghe, lunghe e nere.
Non me n’ero mai accorto…eppure adesso, fissando con insistenza quegli occhi sperando
che si schiudano, me ne rendo conto.
Sospiro, distogliendo a forza lo
sguardo dalle sue palpebre inesorabilmente chiuse.
Sono due settimane che pavento
questo momento.
Gli occhi mi cadono sulla sua mano,
quella libera da flebo e farfalle; è affusolata, bianca come il lenzuolo dov’è
posata. Ha le unghie tutte mangiucchiate, le pellicine strappate e la pelle
appena più rossa, intorno alle cuticole. È sempre stata una sua mania, questa.
È piena di cicatrici.
Ne seguo appena il contorno con la
punta dell’indice, senza sfiorarla; ho paura a toccarla, ho paura di sentirla
fredda – quando lei è sempre stata calda, caldissima. Una fornace, ecco cos’è
sempre stata Ray. Inestinguibile.
Ne ha passate tante, io lo so bene.
Ma soltanto ora, guardando quelle linee bianche ed indelebili che spiccano
sulla sua pelle, capisco realmente quanto il peso che si è sempre portata
dentro possa essere diventato gravoso, quando ha scoperto della Egerton.
Ma non potevi chiamarmi, Ray?
Quando hai visto, quando ti sei
sentita crollare il mondo addosso…non potevi chiamare me? Sarei corso, lo sai,
avremmo risolto tutto…potevi mandarlo a puttane quell’orgoglio. Dovevi
chiamarmi, dannazione. Avremmo evitato tutto questo, tu saresti sveglia, sana,
in piedi…
E invece adesso sono qui, di fianco
ad un letto di ospedale che sto odiando fino alla nausea.
Ora lo capisco, cosa significa avere
paura per qualcuno che si ama.
Ora lo capisco quello che mi dicevi,
sorellina.
Il dolore ti scava dentro, Will. Ti
mangia da dentro, ti riduce a un fottuto involucro vuoto, ti frantuma l’anima e
lascia di te solo cenere.
Io non sarò più felice, sai? Ormai
l’ho dentro, è come un cancro. T’impedisce di vedere la luce, e arriva persino
a fartela odiare.
Mentiva. Lo so che mentiva, lo so,
ne sono certo.
Lo so, perché non aveva ancora
conosciuto Ben, ai tempi di quel discorso.
Adesso lo capisco, quello che
intendeva; ma non mi sono mai lasciato sconfiggere dalle paure, e questa non
sarà la prima volta.
Per questo, con delicatezza, vinco
il mio terrore e racchiudo quella manina bianca fra le mie.
Quasi crollo dal sollievo, quando mi
rendo conto che la pelle di Ray non è fredda; è calda, è calda e viva, è ancora
qui. Qui.
È più facile guardare di nuovo il
suo viso, adesso. Dorme, ma forse può sentirmi, forse può capire. Anzi, senza
forse: può.
-Vedi di svegliarti presto, okay?-
mormoro, piano, stringendo appena più saldamente le sue dita fra le mie.
-Vedi di tornare indietro. Abbiamo
bisogno di te, qui.-
[Ray.]
Se c’è una cosa che ho imparato a
sfruttare, è la pazienza.
Non sono mai stata una persona
calma, pacata, tranquilla; ma crescendo, ho appreso l’arte di attendere, di
aspettare respirando con calma che qualcosa cambi nel tumulto della vita.
Ho imparato che qualcosa, prima o
poi, cambia.
Oggi hanno tolto il respiratore. Non
riesco ancora a sentire niente, non riesco ancora ad avvertire le sensazioni
del mio corpo; sono ancora in trappola, in un guscio che non pare avere la
minima intenzione di muoversi.
Ma penso sia una buona cosa, questa:
hanno detto che respiro da sola, che le funzioni vitali sono regolari. È una
buona cosa, vero?
E allora perché non mi sveglio?
Ho imparato ad essere paziente, ma
così si comincia ad esagerare.
Sono tre settimane che non apro gli
occhi.
Sono passate tre settimane
dall’incidente, da quando sono finita in questo posto che odio con tutta me
stessa.
Tre settimane.
Sono stanca.
Sono stanca di sentire Angel che
piange, quando è sola, quando nessuno la può vedere. Io però sono qui, io la
sento, ed è un colpo al cuore ogni volta che mi rendo conto che la colpa è
soltanto mia.
Sono stanca di sentire Will sempre
più affaticato, la voce sempre più cupa. Fa troppo male, capire quanto il
dolore di William riesca ad arrivarmi dentro, quanto riesca a ferire.
Sono stanca di sentire Ben così
distrutto.
Mi devo svegliare.
Me lo ripeto incessantemente, è
diventato il mio mantra. Mi devo svegliare. Devo aprire gli occhi, devo
tornare indietro, devo rivedere la luce.
Voglio tornare da Ben.
Voglio guardarlo, e voglio
chiedergli scusa.
Scusa, per non essermi fidata.
Scusa, per aver combinato tutto
questo.
Scusa, per non aver avuto la
sicurezza di non credere a quelle immagini.
Per non essermi fidata di lui.
È qui, oggi.
Angel è all’università, Will è con
lei – sostegno morale per un esame, credo.
E Ben è qui. È vicino a me, seduto
accanto a me, con me.
È sempre qui, se ne va solo quando
Angel lo costringe, quando non declina gli inviti a mangiare, quando si
addormenta ed è Will a trovarlo appisolato, a svegliarlo.
È l’unica ancora che mi trattiene
dallo sprofondare nel buio.
Fa così male saperlo così vicino, e
non poterlo nemmeno sfiorare.
Ho tanto bisogno di
abbracciarlo…sembrerà infantile, non sembrerà da Ray. Non m’importa.
Ho solo un’immensa voglia di
stringermi a lui, di sentire il suo calore riempirmi fino all’orlo. Perché mi
sto svuotando ogni giorno di più, qui, in questa trappola che è il mio stesso,
stanco corpo.
Non lasciarmi andare via.
Ho paura.
Non lasciarmi scivolare via.
Continuo a pendere su un vuoto che
minaccia in ogni istante di risucchiarmi, di trascinarmi lontano dalla vita e
dalla luce che non ho mai anelato così tanto. Conosco quel baratro, conosco
quella voragine: mi ha quasi portata via, una volta.
Non posso permetterglielo ancora. Non
voglio.
Io ho delle persone da cui tornare,
io voglio tornare da Ben! Devo dirgli che mi dispiace, che sono stata una
stupida, devo dirgli che non deve più piangere, devo dirgli che lo amo!
Voglio tornare a casa…e voglio
piangere, piangere fino a non poterne più, fino a consumare il cuscino e
liberarmi di tutto ciò che si aggroviglia dentro e attorno al mio cuore,
stringendolo in una morsa che m’impedisce persino di respirare.
Voglio tornare a casa. Per la prima
volta nella mia vita, voglio.
Voglio tornare da Ben.
Voglio la sua risata, voglio il suo
sorriso.
Voglio il sapore dei suoi baci,
voglio quelle nottate passate a parlare nella penombra della nostra camera fino
a che gli occhi si chiudono, esausti.
Voglio sentirlo tornare a casa,
voglio sentire il cuore partire in quinta ogni volta che la porta si chiude e
io corro da lui, fra le braccia che mi aspettano sempre.
Voglio ascoltarlo mentre mi racconta
del suo lavoro, voglio vedere quella luce appassionata che si accende nei suoi
occhi quando recita.
Voglio indietro la mia vita.
Voglio indietro il mio Ben.
-Ehi.-
Sento di non meritarla appieno, la
dolcezza che c’è nella sua voce.
Ben non parla tanto con Will e
Angie. Con loro è taciturno, è cupo, è distante almeno quanto lo sono io.
Ma parla con me.
Tutto ciò che non dice ai ragazzi,
lo dice a me.
Torna un poco se stesso, quando è
qui, da solo. Riesco quasi a vederlo, seduto qui accanto a me, le dita che
scivolano fra i capelli morbidi, gli occhi scuri e lontani sempre così lucidi.
È Ben, quando parla con me.
È il mio Ben.
È dolce. È sempre stato così, con
me: mi ha sempre fatta sentire come…come se ci fossi io, io soltanto.
Come se tutto ciò che gli importasse
fossi io, e tutto il resto passasse in secondo piano.
È una sensazione strana, per me. È
una sensazione meravigliosa.
-Sai, stai guarendo. Non c’è più
quasi nessun segno…sei bellissima. Come sempre.- e tu, come sempre, mi
guardi con occhi che non vedono la realtà.
Ma forse è meglio così, no? Quando
si ama qualcuno, si vede sempre splendido, sempre perfetto…
Cristo, come posso averti fatto
questo, Ben? Come posso essere stata così stupida?
-Forse non dovrei stare qui…forse
non vuoi, e hai anche ragione…- no, no, non pensare nemmeno di andare via!
Non osare nemmeno pensarlo, stupido!
Quando sei qui riesco a dimenticare
di essere in un letto d’ospedale, riesco a dimenticare di essere in trappola
dentro me stessa…
Tanto fa male sapere quanto soffre,
tanto la sua presenza mi riempie, mi completa…mi fa ricordare chi sono.
Non andare via, Ben.
Non lasciarmi sola.
-Mi manchi, principessa.-
Principessa.
Sento il cuore gonfiarsi di lacrime,
quando quell’unica parola rimbomba con forza dentro di me.
Principessa.
Ben mi chiama poche volte, così. Sa
che m’imbarazzo, sa che divento rossa, e sa che amo terribilmente il modo in
cui lo dice.
Mi sento bene, quando lo
dice.
Mi sento importante, mi sento
speciale…mi sento amata, amata come solo lui riesce a fare.
Non so come spiegare il significato
di quel nomignolo, che in tanti usano e abusano. Non so come definire
l’importanza che ha per me.
Ma Ben sì, Ben lo sa.
Ben sa sempre tutto di me, non sono
mai riuscita ad ingannarlo: è l’unico, al mondo, che riesca a vedere oltre
tutte le maschere che indosso, in quella tragedia teatrale che è la vita.
È l’unico, che riesce a scorgere
quel cuore che ora batte con una forza quasi dolorosa, e quella creatura tanto
candida ben celata dentro di me.
Ho sempre vissuto di maschere.
La mia stessa vita è stata un teatro
di ruoli su ruoli, di miriadi di persone diverse che si avvicendavano sul
palcoscenico della mia tragedia.
Soltanto Ben è riuscito a sfilarle
tutte, quelle maschere. Una per volta.
E quello che ha trovato là sotto è
stato qualcosa che non l’ha deluso, che non l’ha allontanato…lui per primo,
prim’ancora di me stessa, ha amato quella creatura fragile e paurosa che
si nascondeva dietro tutti quegli strati di dolore calcificato.
E ha trovato quel cuore.
Quel cuore che aveva ricominciato a
battere nello stesso istante in cui aveva incrociato quegli occhi.
Quel cuore che ho cercato di
proteggere fino all’ultimo, di reprimere sotto la dura scorza di freddo cinismo
con cui mi proteggevo dal mondo…
Scorza che è andata in frantumi
nello stesso attimo in cui mi ha sfiorata per la prima volta; quando, per la
prima volta, le sue labbra hanno toccato le mie.
Non lasciarmi.
Non lasciarmi andare…
-Ti prego Ray…ti prego,
perdonami…-
Quante volte lo hai ripetuto, Ben?
Quante volte ancora sarò costretta a
sentirtelo dire, senza riuscire a tirarti un cazzotto e a dirti che tu, di
colpe, non ne hai nemmeno una?
Non voglio andarmene.
Non voglio morire.
Non prima di aver detto a questo
cretino che deve smetterla, che le pare mentali non gli riescono bene quanto a
me. Non prima di aver implorato il suo perdono.
Non prima di avergli detto che lo
amo.
-…torna da me.-
[Will.]
Oggi sono tre settimane; tre
settimane, due giorni, sette ore.
E non credo di essermi mai sentito
tanto male quanto ora.
Sono tornato in ospedale il più in
fretta possibile; Angel ha mandato me e Ben a casa, a cambiarci e a fare una
doccia. È sera, una delle sere più fredde degli ultimi tempi, mentre ottobre
sta lasciando il posto ad un rigido e piovoso novembre.
È la stagione preferita di Ray,
questa.
Non mi è piaciuta la sensazione che
ha preso vita appena sotto la mia pelle, appena messo piede fuori
dall’ospedale.
Sapete, quell’istinto che vi
sussurra che qualcosa di brutto sta per succedere? Quella vocina dispettosa che
vi trapana lentamente il cranio, ricordandovi incessantemente che in mezzo a
tutto questo dolore può esserci sempre qualcosa di più brutto?
Ecco.
Ho cercato di non darci retta; cerco
di ignorare l’ansia e il dolore che mi attanagliano il petto, sempre più
spesso.
Ma adesso, adesso capisco che avrei
fatto meglio a darvi retta.
Sono qui, sulla soglia della stanza
di Ray. Sento lo stipite di plastica piegarsi appena, sotto la stretta quasi
convulsa delle mie dita, gli occhi che non riescono a schiodarsi da qualcosa
che non dovrei nemmeno vedere.
Angel.
Il libro che le ho visto sfogliare
stamattina è scivolato per terra, aperto; con la coda dell’occhio scorgo i
segni dell’evidenziatore, il colore acceso che riverbera per un istante in
questa fredda camera d’ospedale.
C’è una poltroncina, qui. È soffice,
in pelle brunita, Angel si siede sempre lì e vi si appallottola, come un micio.
Anche adesso.
Solo, che stavolta non sta più
fingendo.
Sento qualcosa agitarsi furiosamente
nel mio stomaco, nel guardarla.
È paura. È terrore.
Angel è rannicchiata sul morbido
cuscino della poltrona, le ginocchia piegate contro il petto e le braccia che
le stringono, come una bambina. Il suo viso è nascosto, è velato dai capelli scuri
che le ricadono lisci sulle spalle, sulle gambe, sulla schiena; non credo di
averla mai vista così fragile, così piccola.
Ad un’occhiata distratta, si
potrebbe pensare che non stia succedendo nulla. Chi non la conosce potrebbe
guardarla, e vedere solo una ragazza addormentata.
Ma io riesco a distinguere anche
troppo bene il lieve tremito della sua schiena, le mani che si serrano sugli
avambracci.
Riesco a vedere fin troppo
chiaramente il singhiozzo silenzioso che scuote, nel profondo, anche me.
Sta piangendo.
La mia piccola Angel…sta
piangendo.
Da sola, qui, accanto all’amica che
– me lo sento – sta soffrendo quanto me, nel sentirla crollare in questo modo.
Il suono delle sue lacrime
trattenute mi assorda, mi riempie e mi svuota allo stesso tempo. Tutto ha perso
importanza, ora; tutto converge lì, su quella poltroncina, in quella ragazza
che amo con tutto me stesso e che adesso sta soffrendo – soffrendo di un dolore
che mi ha sempre nascosto, in queste settimane. Un dolore che si è tenuta per
sé.
-Sai…- la sento singhiozzare, e
sussulto pensando che si stia rivolgendo a me; ma i suoi occhi non si alzano,
il suo viso non compare da dietro il lieve velo dei capelli. -…ho preso
ventotto all’ultimo esame…era più facile di quanto pensassi…-
È una pugnalata nel cuore, capire
che sta parlando con Ray.
-Ben non vuole tornare a casa…parla
così poco, non lo riconosco più…- un altro singhiozzo, altre lacrime invisibili
ai miei occhi scendono calde sulle sue guance.
-Per favore Ray, non arrenderti…non
ti sei mai arresa, non farlo adesso, non smettere di lottare proprio ora…- ad
ogni pausa, ad ogni respiro, un sussulto più prepotente la scuote fin nel
profondo.
E poi un gemito. Un singulto di
dolore che affonda come un coltello nel mio stesso petto.
E qualcosa si rompe.
Quel pianto che prima era
silenzioso, soffocato, trattenuto anche, adesso non riesce più a restare chiuso
fra quelle ginocchia; i singhiozzi la scuotono con più violenza, riesco a
sentirle quelle lacrime, a sentirle come se stessero rigando il mio di volto.
E non ce la faccio, non ce la faccio
più a restare qui a guardare.
-Angel.- mormoro, e in un istante
soltanto sono accanto a lei, la stringo con forza fra le braccia, quel pianto
denso di dolore che si ripercuote anche dentro di me.
La stretta intorno alle sue
ginocchia si scioglie nello stesso istante in cui la sfioro. Non so se mi ha
visto già da prima, non so se è talmente sconvolta da non comprendere davvero
quel che succede: ma so che sono le sue braccia a serrarsi con forza intorno
alle mie spalle, è il suo viso che affonda sul mio petto, stringendosi con
tutta la forza che possiede contro di me.
La abbraccio, la prendo in braccio e
mi siedo su quella poltrona che chissà quante lacrime deve aver visto,
sentendola rannicchiarsi contro di me, le lacrime che non accennano a fermarsi,
il dolore che la travolge come un fiume in piena.
Non dico niente, sarebbe inutile
anche solo provare a pensare a qualcosa; sarebbe sciocco dirle andrà tutto
bene, si rimetterà tutto a posto, quando nemmeno io so che cosa
succederà domani.
Continua a piangere, i tremiti
convulsi che scuotono anche il mio petto. Perché sei arrivata a questo senza
dirmi nulla, angelo?
La cullo con dolcezza, cercando di
bloccare le lacrime, la sofferenza che mi procura vederla in queste condizioni,
accanto alla mia amica che, ne sono ancora certo, sta sentendo tutto.
La sua stretta si fa ancora più
salda, quando le lascio un bacio tra i capelli scuri e profumati, il corpo
morbido che si racchiude ancora di più contro di me; come un riccio.
-Angel…- sussurro al suo orecchio,
cercando di infonderle un po' di calma e sicurezza.
-Angie.-
Alzo di scatto lo sguardo, quando
un’altra voce – più bassa, più rauca, più stanca della mia – pronuncia il nome
della mia ragazza, con una dolcezza che, mi sono reso conto, uso sempre io
quando mi rivolgo a Ray.
Ben è seduto sul bracciolo della
poltrona, gli occhi neri più spenti che mai fissi su Angel. La sta guardando
con un’espressione strana, risoluta, quasi…rassegnata, ecco. È l’espressione di
chi si sta arrendendo al dolore, di chi ci sta facendo l’abitudine: è
l’espressione che ho visto troppe volte sul viso di Ray.
Anche Angie si accorge della sua
presenza, alza appena gli occhi dal mio petto per guardarlo in volto.
Improvvisamente mi sento di troppo, quando gli occhioni lucidi di Angel
s’incrociano con quelli tanto vuoti di Ben: è qualcosa che posso comprendere, è
qualcosa di cui non sarò mai geloso.
È lo stesso sguardo che lega me e
Ray.
È lo stesso amore forte,
indistruttibile, che intreccia le vite di due fratelli.
Ma se fra me e Ray è un continuo
battibeccare, è un continuo scontro di due testacce una più dura dell’altra,
Angie e Ben hanno un rapporto diverso, più pacato, più sereno. Non me la sento
di dire più profondo; non posso, non…non dopo aver capito quanto Ray sia
importante per me.
Le accarezza appena i capelli, con
delicatezza, sfiorandola appena con i polpastrelli; e Angel torna a posare il
viso sul mio petto, alzando però una manina per intrecciare le dita alle sue.
Guardo Ben nello stesso istante in
cui lui si rivolge a me, ed ancora una volta mi spaventa il baratro che ha
dentro quelle iridi scure.
Hai passato troppo tempo con Ray,
amico mio. Lasciatelo dire.
[Ray.]
Un mese.
Cristo, è passato un mese.
Oggi sono tutti qui. C’è Will, c’è
Angel che ripassa sui suoi libri, c’è Ben accanto a me. Fuori, riesco a sentire
il rumore di un temporale in piena regola che sferza i vetri della mia
finestra, di quella che ormai è la mia camera.
È arrivato l’autunno, e non posso
non esserne felice.
Amo questa stagione: mi somiglia,
con quei colori, quell’atmosfera, quel terribile bisogno di calore e la
dolcezza che si prova quando finalmente ci si rifugia fra le coperte.
Per la prima volta da troppe
settimane, comincio a sentire qualcosa. Avverto il calore della coperta,
avverto la morbidezza del cuscino, la sensazione dei capelli sparsi sul cotone.
Avverto il tocco leggero delle dita
di Ben, intrecciate con delicatezza alle mie.
È come il calore d’autunno, Ben.
È la stessa, meravigliosa
sensazione.
Ogni tanto Will aiuta Angie a
ripetere, li sento parlare di qualcosa che non capirò sicuramente mai: Angie è
davvero portata per la biologia, io invece sono più per le materie umanistiche.
Mi rincuora sentirli qui tutti e
tre, è…è bello saperli qui.
È difficile ammetterlo, per questo
cuore chiuso a riccio, ma è bello sapere che sono qui per me.
Da quello che ho capito, è
pomeriggio inoltrato: sono qui da un paio d’ore, credo, la cognizione del tempo
non è la mia priorità. L’atmosfera è calma, tranquilla: per la prima volta,
riesco ad avvertire più dei semplici suoni, attorno a me.
È come se i miei sensi si stessero
lentamente risvegliando, stessero a fatica tornando a riprendere le loro
funzioni primarie: è ancora poco per me, per me che sono un soldato e pretendo
il massimo sempre e comunque da me stessa, ma…si stanno svegliando.
Mi sto svegliando.
E sentire l’aria fredda che entra
dalla porta, quando improvvisamente viene aperta, non ne è che una conferma.
Ma c’è qualcosa che non va.
Sento Angel interrompersi di botto,
quando lo scricchiolio lieve dei cardini risuona nella camera.
Sento Will smettere improvvisamente
di respirare, ed un lieve fruscio mi fa capire che si è alzato in piedi.
Sento Ben serrare improvvisamente le
dita fra le mie, con una forza quasi aggressiva che mi sorprende non poco.
…
E adesso, che diamine succede?
-Tamsin.-
Un fiotto d'odio m'inonda lo
stomaco, nel sentire Will ringhiare quel nome.
Tamsin.
Tamsin Egerton.
Improvvisamente, nella mia mente,
appaiono di nuovo quei fotogrammi. Lei, addosso a Ben, al mio Ben.
È colpa sua se mi trovo in questo
letto. È colpa sua, se Will e Angie sono devastati.
È colpa sua, se Ben sta soffrendo
come un cane.
Datemi la forza di alzarmi da questo
letto.
COME OSA!?
Come osa venire qui, dove
sono io a causa sua!?
Adesso mi alzo. Adesso mi alzo e la
smonto.
Come OSA, avvicinarsi di nuovo a
Ben?
Non hai ancora capito una cosa,
cocca. Ben è mio.
-Che cosa vuoi?-
Niente, può rendermi più felice di
sentire la voce di Ben piena di rabbia, piena di odio, piena di disgusto. In
questo caso, in questo momento, è il balsamo più dolce per le mie ferite ancora
aperte, è lo scotch che rimette insieme un altro pezzettino del mio cuore.
-Io...volevo solamente...vedere
come stavi.-
Suona falsa anche a me, che non
posso vedere il suo viso da topo contrarsi in una disgustosa maschera di
penitenza.
-Vattene. Non osare nemmeno
avvicinarti a lei, o a me.-
Come ho fatto a dubitare di te,
amore mio?
-Ma guardati, Ben...sei distrutto,
e per cosa? Sai che non si sveglierà.-
…
Si vede che non mi conosci,
sgualdrina. Oh, quanto si vede.
-Ma brutta…- Angel? Oh Cristo, Will
fermala prima che scateni una rissa in ospedale!
Quasi non ci credo, quando avverto
lo scatto del mio biondo, il grattare rapido della sedia sul pavimento. Ecco,
bravo.
Will ha fermato Angel.
La mano di Ben è ancora intrecciata
alle mie dita, per un istante penso davvero di riuscire a ricambiare questa
stretta: sento la rabbia pulsare nelle vene, ma il bisogno di sentirlo è sempre
più forte.
Maledetta.
Maledetta.
-Questo lo…dici tu. Troia.-
Quasi non riconosco la voce della
persona che ha parlato. Quasi non riesco a comprenderla, in quel tono rauco,
affaticato, stanco, che in un istante ha ammutolito tutti quanti.
Quasi non riesco a capacitarmene,
quando con uno sforzo terribile le mie palpebre si aprono.
Ah...
La luce è terribilmente forte, dopo
settimane di buio.
Mi costringo a tenere gli occhi
aperti, faccio forza sulla mia stessa volontà per impedirmi di richiuderli. Il
mondo intorno a me è sfocato, e sembra che qualcuno abbia abbassato di botto il
volume, riducendo tutto ad un ronzio soffuso, il rumore del silenzio.
Poco a poco, riesco a concentrare lo
sguardo su qualcosa. Una mattonella del soffitto, che poco a poco prende forma,
consistenza, nitidezza.
Pian piano, riesco a mettere a fuoco
tutto.
La stanza asettica in cui mi trovo,
un peluche che conosco sul comodino. Gli occhi azzurri di William, che per un
istante vedono il mio sguardo, un sorriso incredulo che si sta aprendo sul suo
viso.
Will.
La prima persona che vedo, è Will.
Sento il cuore scoppiarmi nel petto,
quando la sua figura stanca, smagrita, sciupata, entra nel mio campo visivo. È
Will, è mio fratello, è Will...
Se potessi, mi alzerei ora per
correre da lui, per abbracciarlo forte.
Non me ne sono andata. Hai visto,
fratellone? Sono qui, non sono andata via, sono rimasta qui. Non me ne sono andata. Te l’avevo
promesso.
Mi concedo solo qualche attimo, e
una silenziosa lacrima che sparisce fra i miei capelli, per guardarlo. Avrò
tutto il tempo, dopo.
Prima, devo fare una cosa.
Con uno sforzo immenso, sposto gli
occhi già terribilmente pesanti sulla ragazza sulla soglia. Ha gli occhi
sbarrati, l'espressione terrificata: dev'essere questo, che si prova, a veder
parlare un morto.
-Vattene.-
Stavolta la mia voce la riconosco.
Sento le labbra sfregare, la lingua intorpidita impastare le lettere, ma la
voce è la mia, lo sento.
Sento l'odio, riempire ogni singola
sillaba che pronuncio.
Tamsin mi guarda sbigottita,
allibita, terrificata. Giuro, se non si leva dai piedi entro i prossimi cinque
secondi, mi alzo e la stampo contro lo stipite della porta.
-Direi che l’invito a sparire sia
stato abbastanza chiaro.-
…
Okay, Angel sul piede di guerra è
qualcosa che non capita di vedere tutti i giorni. Non è qualcosa che ci si
aspetterebbe, dopo un mese di coma.
Angel è una persona per nulla
incline alla violenza, al contrario di me.
Angel non finirebbe mai in una
rissa, al contrario di me.
Angel è sempre disposta al dialogo,
al contrario di me.
O almeno, così la pensavo fino a
dieci secondi fa.
Perché vedere uno scricciolo che di
solito ispira più coccole che timore, infagottata in una felpa che quasi
sicuramente è di Will, liberarsi bruscamente della stretta del suo
non-troppo-esile fidanzato e arrivare addosso a Tamsin, spingendola fuori con
una rabbia che non pensavo potesse covare…beh, questo manda all’aria tutte le
mie convinzioni.
Will rimane un istante immobile, e
Ben uguale. Penso che in questo momento, tutti e tre stiamo pensando la stessa,
identica cosa.
-E datti una mossa…scemo.-
La soddisfazione di dare dello scemo
a Will, dopo un mese, è qualcosa di immenso.
Will si volta di scatto a guardarmi,
una smorfia incomprensibile sul viso che potrebbe, se riuscissi, strapparmi una
risata; è incredulo, esasperato, allibito, felice, tutto quanto insieme. Le
emozioni si rincorrono sul suo volto sovrapponendosi le une alle altre, quando
i suoi occhioni azzurri incrociano per qualche attimo i miei.
E poi mi sorride. Un sorriso sincero
che non penso dimenticherò mai.
Un istante più tardi è già fuori di
qui, all’inseguimento di Angel nel tentativo di scongiurare un omicidio in
luogo pubblico.
È quando la porta si chiude, dietro
di lui, che sento improvvisamente le energie venir meno.
Troppe cose…
Troppe emozioni tutte insieme, mi
costringono ad abbandonarmi di nuovo su questo cuscino, fra queste lenzuola che
mi ospitano da tanto ma che vedo soltanto ora.
E poi mi rendo conto che fra le mie
dita sono ancora strette quelle di Ben.
È un contatto talmente familiare che
quasi non me ne sono accorta, i sensi affaticati bombardati da una miriade di
sensazioni diverse. Tutto mi appare più rumoroso, più vivido, più pesante;
persino l’aria che respiro.
Ma Ben, Ben è qui vicino a me.
Il mio respiro è flebile, ma non ho
bisogno di macchinari, almeno. Tengo gli occhi socchiusi, non ho la forza di
schiuderli ancora una volta: mi sento consumata, ogni più piccolo barlume di
energia è scomparso, bruciato nell’odio e nel dolore.
Ma continuo a sentire le dita di
Ben, che stringono forte le mie.
E le sfioro, le sfioro con i
polpastrelli che formicolano, ancora intorpiditi. Sono morbide le sue mani,
sono eleganti, le sue dita sono lunghe e affusolate come quelle di un pianista.
Ho sempre amato le sue mani, da sempre.
-Nove a uno…che scatena una rissa in
ospedale.- riesco a mormorare, e un accenno di sorriso stira per un attimo le
mie labbra. Ce la vedo, la solitamente piccola, dolce, equilibrata Angel. Ce la
vedo eccome.
E la stretta si fa più forte. E le
mie energie svaniscono ogni secondo di più.
Il volto sciupato di Will.
Gli occhi vacui di Ben. I suoi
occhi. Quegli occhi che amo, scomparsi…
Qualcosa s’incrina nel mio cuore, in
un istante.
Angel, solo io l’ho sentita
piangere, in quelle lunghe ore che ha passato qui. Sola.
Perché ha sempre cercato di tenere
in piedi tutti e tre…
Will. “Vedi di tornare indietro,
okay?”
Quanto ti ho fatto soffrire,
fratellone?
Qualcosa s’incrina, dentro di me,
quando mi rendo conto di tutta la sofferenza che ho causato alle persone che
amo…di quanto è grande il male che gli ho fatto.
Angel. Will.
Ben.
La stanchezza vince la sua
battaglia, quando le mie palpebre si chiudono di nuovo. Ma stavolta la
sensazione è diversa; il buio non riesce più a penetrare la mia carne,
atrofizzandola e rendendola insensibile persino alla mia stessa mente. Stavolta
sono cosciente, stavolta riesco ad avvertire ogni più piccola sensazione sulla
pelle, stavolta riesco a muovermi.
E riesco a sciogliere la stretta di
Ben, mentre un solo pensiero mi rimbomba nella mente.
Che cosa ho fatto?
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
Questo capitolo mi ricorda quello
che significa sfogliare un album dei ricordi. Li vedi scorrere piano piano fra
le tue dita, pagina dopo pagina: qui c'è il biglietto del treno che hai preso
per andare da una tua amica, qui c'è la foto che hai fatto viaggiando con lei,
qui ancora c'è il biglietto del primo cinema con il tuo ragazzo. C'è il
braccialetto dell'ospedale, c'è una visita medica importante, c'è il primo
dentino della sorellina: c'è una foto a cui sei particolarmente affezionata,
c'è un disegno che hanno fatto per te, per te soltanto. Ci sono i tuoi disegni,
i tuoi sogni, le tue paure. E' un diario, un diario dei ricordi.
Questo capitolo è così: come tante foglie secche fra le pagine di un libro, si
sussieguono momenti diversi, persone diverse, emozioni diverse. Tutti uniti da
un filo, il filo del nodo che arriva al suo culmine nell'ultima frase.
Perché ovviamente io non posso fare le cose facili, no? Non è certo finita,
questa storia. Manca l'ultimo capitolo: il più importante, probabilmente.
Sto esorcizzando una cosa, attraverso questa storia. Sto esorcizzando ciò che
probabilmente ha cambiato per sempre la sottoscritta, un brutto evento che sto
rivivendo, piano piano, attraverso le parole di Ray. E' per questo che dico che
il prossimo e ultimo capitolo sarà il più importante: è il più vero, è il più
sentito. E' il più mio.
Oggi è una giornata strana, molto. Per la prima volta fa davvero freddo, qui,
le nubi si addensano e si rincorrono, il vento è tagliente come una lama. E'
arrivato l'autunno, finalmente.
Questa è l'attrice che la Fla ha scelto per Angel: ovviamente, come Shaylee
nella mia Rebirth, i credits su Angel vanno tutti a lei. A proposito della mia
fic: a breve dovrebbe arrivare l'aggiornamento, se tutto va bene.
Ve l'eravate dimenticata la Egerton, eh?
Io no. xD
Questo è tanto per sottolineare che questa storia non è una fiaba: non è
l'amicizia, non è il grande amore, non è il cuore che permette a Ray di
svegliarsi. E' qualcosa di molto più concreto: è la rabbia, è il dolore che
quella *inserire insulto a caso* ha provocato a tutti loro, a spingerla a
svegliarsi e a mandarla cordialmente a prenderla in quel posto xD
E' la caratteristica principale di Ray, questa: Ray non è condottiero, Ray non
ha più quegli ideali che io stessa avevo una volta.
Ray ha le persone che ama. E quando ha davanti la causa di tanto dolore, tira
fuori le unghie.
*RULE*
|
|||||
|
|||||
|
|||||
|
|||||
|
|||||
|