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Autore: livia    21/09/2010    2 recensioni

Questo è un racconto che può essere definito autobiografico-fantastico, poiché mescola elementi della mia vita reale con altri inventati di sana pianta, e conditi con alcune delle ricette di cucina che amo di più. Non è una fan-fiction, ma si può dire che alcuni personaggi sono una vera "citazione" di altri ben noti, che sono sicura riconoscerete benissimo....
Ciao,
Livia
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per cinque giorni di fila io e il commissaire rastrelliamo, diserbiamo, sfoltiamo, scegliamo le nuove pianticelle per sistemarle nelle loro aiuole, estirpiamo le erbacce dai cespugli di ribes, disponiamo le piante di patate nelle loro file, raccogliamo le fragole e i lamponi dalle loro culle verdi e ci arrampichiamo per staccare le pesche e le albicocche dagli alberi, cosa che a lui piace in particolar modo: “non c'è niente di meglio che raccogliere la frutta del tuo giardino”, puntualizza sempre, con i denti che morsicano la cicca di una delle sue Gauloises.
La frutta è così abbondante che potrebbe venderla se solo lo volesse, ma non ne è assolutamente interessato e preferisce regalarla agli amici, soprattutto alla nonna che in cambio lo riempe di vasetti di marmellata.
E' l'uva, più di tutto, che necessita di attenzione. In questa fase ha bisogno di luce solare, specialmente l'uva della vendemmia tardiva, quella destinata ai vini nobili che deve asciugare come zibibbo. La nebbia che si alza ogni mattina verso ottobre e novembre le conferisce la sua dolcezza e il suo gusto.
Mentre mi spiega tutte queste cose, Alain si lascia cadere sul terreno con i gomiti sulle ginocchia. La vigna è piccola, dice, produce solo ottomila bottiglie all'anno, e io rido con una punta di stupore perché a me sembrano comunque tante.
Per pranzo mangiamo pane alle noci con foie gras e formaggio, con le spalle appoggiate al pozzo; poi cii spostiamo nell'orto della nonna dove ricominciamo a dissotterrare le patate, picchettare i porri e curare le indivie, e ogni tanto ci ripuliamo a vicenda gli schizzi di terra e fango dalla faccia.
La nonna è improvvisamente pressata da una vasta gamma di impegni mondani, l'allestimento della fiera di beneficenza, il pomeriggio di scala quaranta e sembra fare di tutto per non trascorrere nenache un pomeriggio in casa; in compenso torna in tempo per preparare delle ricette fantastiche, per niente infastidita di avere il commissaire a cena tutte le sere.
Questa sera ha superato sé stessa preparando il pollo ai peperoni, ma, cosa più unica che rara, ha chiesto gentilmente il nostro aiuto, che noi ovviamente non ci siamo sentiti di rifiutarle. E così, mentre lei spezzettava il pollo e lo faceva dorare nell'olio, il commissaire è stato spedito a tagliare i peperoni rossi a cubetti, mentre a me è stato affibbiato l'ingrato compito di tritare la cipolla.
Ovviamente gli occhi mi si sono gonfiati come quelli di un rospo e ho pianto tutte le mie lacrime mentre maledicevo la simpatica nonnina che ancora una volta non aveva perso l'occasione per mettermi in ridicolo. Ma quando Alain si è avvicinato silenziosamente per asciugarmi una guancia con il tovagliolo, be', ho capito di avere la nonna migliore del mondo: cara Cappuccetto Rosso, mi dispiace per te...
Terminato di affettare e di piangere, ho messo la cipolla e i peperoni nella casseruola del pollo, e la nonna vi ha versato un bel bicchiere di vino rosso assieme a sale e pepe. Si è poi diretta allo stipo delle meraviglie e ha preso un barattolo di timo.
- La tradizione -, ha detto rivolta ad Alain, con il migliore dei suoi sorrisi ruffiani, - vuole che sia l'ospite a stabilire la manciata di timo necessaria a insaporire il piatto..quindi tocca a te...
Lui ha riso e ha annuito diverse volte come uno scolaro diligente prima di infilare la mano nel barattolo, e io l'ho guardato di sottecchi mentre ero intenta a tagliare i pomodori a cubetti e ad aggiungerli al pollo assieme a una bella dose di olive nere.
- Bene-, ha detto la nonna alzando la fiamma sotto la casseruola, rivolgendoci un'occhiata che al tempo stesso era ingenua e maliziosa, – Adesso dobbiamo solo sperare che accada qualcosa di buono...
Dopo cena ci alziamo a fatica, strapieni, e ci trasciniamo fino alla veranda per goderci l'aria che finalmente si è fatta più fresca.
Non perché appartiene a mia nonna, ma questo giardino ha davvero la migliore collezione di erbe del paese: la lavanda è profumatissima, e poi ci sono il timo, la menta, l'erba limoncina e grandi ciuffi di basilico. E, senza falsa modestia, è ancora più bello da quando ci lavoriamo anche noi: ha il gusto soffice delle cose fatte con amore...Sciaf! Altro schiaffo mentale alla mia guancia destra. Dove vuoi arrivare con questi pensieri, eh, Livia? Finiscila subito, non ci provare nemmeno!!!
Mi sistemo il pc sulle ginocchia, come faccio già da cinque sere consecutive. La traduzione sta andando a gonfie vele, Debras mi ha oramai catturato e batto velocemente con le dita che vibrano colpi decisi sulla tastiera, le parole ruzzolano quasi troppo rapidamente perché io tenga il ritmo. Faccio una pausa di tanto in tanto, consapevole della presenza del commissaire di fianco a me, anche se lui non dice niente mentre io lavoro e si limita a starsene semisdraiato sulla poltrona di legno con le gambe appoggiate contro il muro. Questa sera mi sembra particolarmente pensieroso mentre fissa il giardino con occhi pigri e al tempo stesso vivaci.
- Stanco? -, gli chiedo. Intanto ho abbassato la finestra di Debras e ho aperto quella di un raccontino che sto scrivendo, che manco a dirlo si svolge in Provenza e ha per protagonista una ragazza che trascorre le vacanze estive da sua nonna; non ho ancora deciso il titolo e per adesso l'ho chiamato “Racconto provenzale”, poi si vedrà. A un certo punto della storia fa la sua apparizione anche un bel tipo con gli occhi nocciola...
- Mmh-mmh -, annuisce lui mentre tira fuori il pacchetto di Gauloises, - E sull'orlo di un'indigestione. Facciamo quattro passi, o hai da fare?
Per tutta risposta io spengo il pc e mi alzo in piedi.
La notte adesso è fresca e calma, e mentre usciamo dal giardino della nonna mi accorgo con un certo stupore di quanto sia davvero buio. L'ultimo lampione è piazzato appena fuori del cancello della nonna, e il resto della strada è sprofondato in un'ombra così fitta da rasentare la cecità.
Dopo qualche metro, però, gli occhi ci si abituano alla notte e troviamo con facilità la strada verso i campi, il cui limite è segnato da un viale di alberi che si stagliano neri contro il cielo viola.
Sento rumori tutt'intorno a me, creature notturne, un gufo lontano, e soprattutto il fruscìo del fogliamo che si agita leggero con la brezza notturna. Istintivamente incrocio le braccia sul petto e mi stringo nelle spalle, ed è allora che lui mi appoggia una mano al centro della schiena, tanto delicatamente che quasi mi sfiora invece di toccarmi.
- Diverso dalla città, no? -, mi dice piano, e neanche mi sembra quello che sono abituata a veder sudare in mezzo alle erbacce.
- Già -, annuisco io, - Un bel cambiamento...come hai fatto?
- Ci si abitua -, risponde lui sorridendo.
Continuiamo a seguire la strada per qualche metro, con la sua mano che sfiora la mia schiena, senza dire niente. Alla fine prendo coraggio, in fondo è tanto che ci penso e stasera mi sembra la serata giusta per chiederglielo.
- Senti, Alain... - comincio, un po' titubante.
- Mmhh? -, fa lui. Intanto ha acceso una sigaretta e io penso che è la terza stasera, gliele ho contate.
- Mi dici com'è questa storia....insomma, perché saresti in pensione?
Non ottengo nessuna risposta per un tempo sufficiente a farmi pentire di averglielo chiesto. La solita impicciona, mi dico, ma cosa te ne frega, eh? In modo raffazzonato cerco di concedermi una via d'uscita onorevole.
- Se ti va di dirmelo, s'intende..-, aggiungo, con espressione imbarazzata.
Lui si ferma e sorride, e improvvisamente mi guarda. Mi guarda dritto dritto negli occhi, non mi dà un'occhiata d'insieme, si concentra esclusivamente sul mio sguardo e di nuovo mi sento dire a me stessa oddio, oddio Livia, oddio, ma dove ti perdi...
- E' una storia lunga – mi spiega, con quel sorriso da schiaffi che prima o poi, lo sento, prima o poi me ne farà scappare uno solo per il gusto di sentire la sua guancia contro la mia mano. - Sei sicura di volerla ascoltare?
- Sì..sì, sì..sì- rispondo prontamente, avvampando mentre mi accorgo che in questa risposta ci sono un po' troppi “sì”.
Lui scuote la testa prima di gettare la cicca assicurandosi che sia spenta.
- Non questa sera -, risponde, - Magari un'altra volta, magari domani...
- Magari -, gli faccio eco io.
-Domani ti invito a cena, che ne pensi?
Sono le due del mattino quando mi lascia sulla porta di casa e ci salutiamo con un bacio sulla guancia come due vecchi amici. Ovviamente non riesco a dormire, e ovviamente non è il caso di prendere in mano Debras. Ho un peso sullo stomaco, ma a pensarci bene non è proprio un peso. E' come se avessi un'intera famiglia di farfalle, papà mamma e tanti bambini, che si divertono a svolazzarmi qui, proprio sotto il petto....deve essere stato il pollo, i peperoni sono pesanti di sera. Decido di ricorrere allo stipo magico e ne estraggo due foglie di alloro che faccio bollire finché l'acqua non assume il colore della pianta, poi ci aggiungo mezzo limone e due cucchiaini di zucchero e bevo questa pozione trasparente e verdastra che ha lo stesso profumo della notte: acuto, terrestre e nostalgico. Come un giorno d'estate a tagliare erbacce e cogliere ribes. Come una passeggiata notturna in compagnia del buio e del fruscìo degli alberi, con una mano che ti sfiora leggera la schiena...
  
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