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Autore: Elly    21/09/2010    12 recensioni
Una sera Ichigo, disperata a causa della partenza di Mark per Londra, accetta il conforto offertole da Kisshu senza pensare alle conseguenze, che si manifestano nove mesi dopo con la nascita di Sea. Disperata all'idea che Mark venga a scoprirlo e possa lasciarla, Ichigo costringe Kisshu a portare la bambina sul suo pianeta, pregandolo di uscire definitivamente dalla sua vita. Il destino, però, sembra avere in serbo altri progetti...
Genere: Romantico, Dark, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Senza Titolo

A tutti voi, perchè mi avete chiesto talmente tante volte di continuarla che lasciarvi a bocca asciutta mi dispiaceva troppo. 


And what if I never told you I'm afraid to cry? (E cosa sarebbe successo se non ti avessi detto che ho paura di piangere?)
(I wanna cry) (Voglio piangere)
What if I never let you down inside? (Cosa sarebbe successo se non ti avessi lasciato entrare nel mio cuore?)
I'm sorry for the nights I don't remember (Scusami per le notti che non posso ricordare)
What if I never said to you I would try? (Cosa sarebbe successo se non ti avessi detto che volevo davvero provare?)

                                                             (For the nights i can't remember- Hedley) 


***

Se qualcuno gli avesse mai raccontato il suo futuro, Kisshu gli avrebbe come minimo riso in faccia; Lui sapeva che nel suo futuro ci sarebbe stata Sea, e una pace duratura. Forse, dopo che fosse passato sufficiente tempo, il suo cuore avrebbe trovato la forza di amare nuovamente un’altra donna, condividendo con lei la vecchiaia. Ora invece, mentre le sue dita esploravano caute le incisioni sulla pietra fredda della grotta, Kisshu sentì distintamente il suono dei suoi progetti per il futuro che si si crepavano per poi andare in pezzi come frammenti di un vecchio specchio.

-Cosa diavolo...-

Mormorò, soffermandosi nuovamente sull’immagine della figlia, per avere conferma di non essersi sbagliato.

-Probabilmente sto sognando-

Si disse, allontanandosi dalla parete per avere una visione globale della parete con i graffiti.

-Non stai sognando, giovane alieno; O almeno, non nei termini che intendi tu-

Mormorò una voce alle spalle di Kisshu, gutturale come le fusa di un gatto. L’alieno si voltò di soprassalto, portando istintivamente le mani alla cintura, in cerca dei suoi tridenti. Osservò attentamente la ragazza che aveva davanti, studiandola; per essere una donna aveva i lineamenti molto marcati, che stonavano con la corporatura esile. I capelli erano corti e di un intenso color lilla, intrecciati con perline ed ornamenti, gli stessi che adornavano la cima del suo nodoso bastone, appoggiato alla parete alle spalle di lei. Ciò che più colpì Kisshu fu il complesso tatuaggio che occupava tutta la parte sinistra del viso, perdendosi poi tra le pieghe del grezzo mantello che indossava; Erano gli stessi simboli incisi sulla parete della grotta.

-Se continuerai a stare sulla difensiva non potrò mai rispondere a tutte quelle domande che ti agitano lo spirito-

Disse distrattamente la ragazza, sedendosi con grazia su un piccolo tappeto costituito da rami e foglie intrecciati; Non sembrava turbata dall’irrequietezza di Kisshu, nè sembrava sfiorarla l’idea che lui potesse farle del male. Spinto da una forza a cui non seppe mai dare un nome, Kisshu imitò l’esempio dell’aliena e si sedette di fronte a lei, a gambe incrociate.
Senza guardarlo, la ragazza prese alcune bacchette di incenso e, dopo averle fissate in un grezzo sostegno d’argilla, le accese; Tutti i suoi gesti erano calcolati e sicuri, attraversati da una grazia che Kisshu non aveva mai visto in nessun altra donna, nè umana nè aliena. Rimase incantato ad osservarle le mani, chiedendosi che effetto facesse sentirle scorrere sulla pelle del proprio corpo. A quel pensiero l’alieno scosse violentemente la testa, cercando di scacciare quei pensieri inopportuni.

-Tu sei una persona molto importante-

Disse ad un tratto l’aliena, alzando finalmente lo sguardo su di lui. Kisshu fissò quegli occhi di un viola profondo e si accorse che erano privi di pupilla.

-Tu sei...cieca?-

Domandò, pentendosi immediatamente di averlo fatto. L’aliena ignorò la domanda e continuò a parlare come se Kisshu non l’avesse mai interrotta.

-Tu sei l’incarnazione del re Quiche, colui che, molte dinastie fa, salvò il nostro pianeta dalla prima grande guerra-

Kisshu battè le palpebre, confuso.

-Chi...? Di cosa stai parlando?-

Ancora una volta, la ragazza fece finta di non sentirlo.

-I popoli che abitano il nostro pianeta sono sempre stati bellicosi e, in tempi remoti,  le continue guerriglie finirono per sfociare in una guerra colossale; Non esistevano più nemici ed amici, erano tutti schierati contro tutti. Il nostro pianeta andò veramente molto vicino alla distruzione quella volta; se non fosse intervenuto re Quiche, non saremmo neanche qui a parlarne-

Fece una pausa, prendendo due bicchieri di terracotta e colmandoli di un liquido ambrato, contenuto nella borraccia che portava appesa alla cintura.
Ne spinse uno verso KIsshu, che lo guardò con aria diffidente.

-E’ un infuso molto utile per far rimarginare le ferite; Come puoi vedere dal tuo fianco, ti è già servito molto-

Kisshu spalancò gli occhi, mentre una domanda si faceva strada nella sua mente.

-Da quant’è che sono svenuto?!-

Esclamò, rovesciando un poco del liquido contenuto nel bicchiere. L’aliena non cambiò espressione.

-Quattro giorni con oggi-

Mormorò, sedendosi più comodamente ed apprestandosi a riprendere il racconto.

-Quattro giorni?!-

Kisshu balzò in piedi, preso improvvisamente dal panico.

-Devo andarmene da qui! Devo raggiungere i miei compagni, è già passato troppo tempo e...- 

-E ne passerà ancora. Sarai molto più utile se resterai qui e mi lascerai finire di parlare-

Disse l’aliena, alzandosi in piedi.

-Ascolta-

Sibilò Kisshu, in preda all’irritazione.

-Ti ringrazio per avermi salvato. Davvero. Ma il mio posto non è qui-

Disse infine, avviandosi verso l’uscita della grotta; La ragazza lo seguì con lo sguardo.

-Quella rappresentata nelle sacre iscrizioni è tua figlia, non è vero?-

Domandò ad un tratto, con tono leggero. Kisshu si immobilizzò all’istante, voltandosi lentamente con gli occhi ridotti a due fessure irate.

-Cosa ne sai tu di mia figlia?-

Sibilò, mentre, in una mossa istintiva, scopriva i canini. L’aliena non diede peso alla reazione dell’ospite e, dopo avergli nuovamente indicato dove sedersi, riprese il suo racconto da dove lo aveva interrotto.

-Io so molte cose Kisshu, molte di più di voi sciocchi che vi ostinate a tapparvi le orecchie davanti al suono del mondo!-

Lo fissò intensamente per un attimo, prima di alzarsi per prendere alcuni ciocchi di legno e disporli al centro della grotta. Kisshu la osservò con curiosità, nonostante dentro di sè sentisse ancora forte la necessità di alzarsi e fuggire. I suoi compagni erano morti, lui stesso ci era andato molto vicino e i nemici, intanto, avanzavano e si facevano ogni giorno più forti. Che senso aveva perdere tempo con questa ragazza? Si riscosse dai suoi pensieri non appena la vide chinarsi sui ceppi e dar loro fuoco.

-Sei impazzita?!-

Esclamò Kisshu, alzandosi velocemente in piedi e cercando con lo sguardo qualcosa  con cui soffocare le fiamme; Ancora una volta, fu la voce dell’aliena, perfettamente calma , a convincerlo a sedersi e ad osservare il fumo che, in lente volute, cominciava a riempire l’intera grotta.

-Mostrarti ciò che successe, indomabile fratello, sarà più efficace. Questo fumo non ci farà alcun male e ci aiuterà a varcare i confini del tempo-

Prima che Kisshu potesse elaborare qualsiasi pensiero, le palpebre gli diventarono pesanti e lui scivolò in un silenzio ovattato. 



Quiche lasciò  che gli scudieri si occupassero della sua armatura e trasse un lungo sospiro; L’attacco di quel pomeriggio era stato solo un diversivo e lui c’era cascato come un novellino. L’esercito era stato trucidato inutilmente, mentre la popolazione veniva depredata e uccisa. Quiche strinse convulsamente i pugni e sputò sul terreno una boccata di sangue, maledicendosi. Quale re era mai stato così stupido?

-Quiche!-

L’alieno si voltò, trovandosi davanti una delle poche persone in grado di restituirgli il sorriso. La donna indossava una lunga veste color avorio, che faceva risaltare il rosso intenso dei capelli. Aveva uno sguardo preoccupato. Quiche allargò le braccia e la strinse forte a sè, incurante del dolore che affliggeva ogni fibra del suo corpo.

-Ero così preoccupata!-

Mormorò la moglie contro il suo petto, cercando di controllare i singhiozzi.
Il re le accarezzò dolcemente la schiena, aspettando che lei si calmasse prima di parlare.

-Mi spiace Fraise...-

Disse, scostandola un poco da se per poterla guardare negli occhi.

-Questa maledetta guerra non accenna a finire, i soldati sono stremati, sia nel corpo che nello spirito e io...-

…sono un maledetto idiota.

-...io non sono stato capace di fare le scelte giuste-

La moglie, a quelle parole, scosse energicamente la testa, frustando l’aria con i lunghi capelli color delle fiamme.

-Non dire così! Sei un mortale anche tu! Commetti i tuoi sbagli, non puoi pretendere di essere infallibile!-

Esclamò infervorata. Quiche le sorrise indulgente, desiderando con tutto sè stesso che le parole appena pronunciate da Fraise fossero vere o, perlomeno, condivise da tutti i suoi sudditi. La moglie lo guardò in silenzio, sciogliendosi dall’abbraccio.

-Sarai stanco; Spogliati dei tuoi incarichi per qualche ora e...-

Quiche scosse la testa, sorridendo mestamente alla moglie.

-Non posso; Dobbiamo riorganizzare le difese, perdere tempo sarebbe un’inutile quanto dannosa sciocchezza-

L’alieno diede un bacio alla moglie, allontanandosi poi nel cortile.

"Devo trovare il capitano Parai, insieme riorganizzeremo le difese dei villaggi circostanti. Mi auguro solo di fare in tempo, prima che la popolazione subisca altri attacchi"

Quiche attraversò il cortile che portava verso le scuderie in tutta fretta, accompagnato solo dai tonfi dei suoi passi sul selciato; rallentò soltanto quando il suo sguardo si posò su una figura fin troppo conosciuta, l'unica, insieme alla moglie, capace di alleggerirlo un po' dalle sue pene. 

Mope era seduta sul muretto che delimitava la grande fontana di pietra, le mani immerse nell’acqua fredda e lo sguardo assente. Aveva saputo dell’insuccesso del padre e ne era stata molto turbata: da quanti anni non sentiva altro che discorsi carichi di disgrazia?

“Il popolo ha fame”

“Un altro villaggio è stato messo a ferro e fuoco”

“perchè il re non fa nulla?”

La ragazza scosse la testa, cercando di allontanare i cattivi pensieri.


-Ti è entrata una mosca nel naso?-

Domandò una voce alle sue spalle, con tono divertito. Mope, nella fretta di voltarsi, perse l’equilibrio e immerse le braccia fino al gomito nella fontana, inzaccherandosi il vestito e provocando le risate di suo padre.

-Ah...oh...buongiorno, padre-

Biascicò, alzandosi in piedi e cercando di darsi un contegno, nonostante l'abito bagnato. Quiche osservò le guance della figlia imporporarsi e non si sforzò di nascondere un sorriso.

-Ti sembra questo il modo di fare di una principessa?-

Domandò divertito. Mope guardò in tutte le direzioni, per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi bisbigliò parole che suo padre non comprese. Improvvisamente si alzò un forte vento che avvolse la giovane aliena e si placò soltanto quando i vestiti di Mope furono perfettamente asciutti.

-Così va meglio, padre?-

Domandò la ragazza, esibendo il sorrisetto sghembo che suo padre adorava.

-Non ti sei ancora stancata di praticare questi trucchetti?-

Chiese Quiche, con un’ombra di nervosismo nella voce. Nel regno la magia non era mai stata vista di buon occhio, poichè molte leggende e credenze popolari la additavano come qualcosa di non naturale e, conseguentemente, malvagio. Le dicerie si erano rafforzate da quando alcuni villaggi erano stati rasi al suolo da quello che i villici chiamavano "il diavolo nero": un'ombra scura che, al suo passaggio, faceva avvizzire le piante, morire il bestiame e impazzire chi aveva la stoltezza di osservarla troppo a lungo. Quiche stesso aveva avuto la sfortuna di vederla all'opera; era successo tutto in pochi minuti: il bosco in cui marciava l'esercito si era zittito e un'ombra nera aveva oscurato il sole, inghiottendoli. I sepurnè avevano avuto un tremito che aveva scosso ogni loro muscolo, prima di crollare pesantemente a terra, gli occhi rivoltati e una bava schiumosa che colava dalle bocche spalancate. 

-Mantenete la calma!-

Aveva esclamato Quiche, rialzandosi in piedi dopo essersi liberato dal cadavere del suo destriero, che, morendo, lo aveva trascinato a terra sotto di sè. Il silenzio era inquietante. Ciò che successe da quel momento in poi, Quiche non lo ricordava: immagini confuse, un dolore acuto alla testa e poi la sensazione delle foglie e dei rami del sottobosco appiccicati alla guancia, in un impasto di fango e sangue che aveva dato al re una profonda nausea. Si era rialzato in piedi, confuso, e si era ritrovato davanti il suo esercito brutalmente sterminato. 
La voce della figlia riportò Quiche al presente.

-Non c’era nessuno che potesse vedermi-

Disse Mope, tra l'irritato e il vergognoso.

-Lo so, figlia, come so che il tuo dono non è qualcosa di malvagio di cui vergognarsi. La situazione attuale, però, richiede prudenza-

Le spiegò Quiche stancamente, passandosi una mano sulla fronte; La testa aveva cominciato a dolergli terribilmente. Dopo l'ultimo attacco in cui aveva visto con i suoi occhi il "diavolo nero" era stato costantemente assalito da malesseri a cui, comunque, non aveva mai dato molto peso: li attribuiva alle continue battaglie, alla sensazione di impotenza, ai sensi di colpa per non essere riuscito a proteggere il suo popolo. 
Spossato, si sedette accanto alla figlia e la guardò: era la sintesi perfetta di lui e di Fraise; lunghi capelli rossi e due occhi grandi, color del miele. Ricordò il momento in cui il guaritore aveva sollevato il fagottino urlante e glielo aveva mostrato, annunciandogli con tono deluso che era una femmina e non l'erede tanto atteso. Quiche l'aveva presa in braccio e, quando il suo sguardo aveva incontrato quello dorato della figlia, il mondo si era dissolto intorno a loro come la nebbia mattutina; non aveva mai provato un'emozione così intensa verso un altro essere vivente, un amore così disarmante da fargli temere che il cuore si fermasse perché troppo piccolo per contenere una simile emozione. 

-E' bellissima-

Non era riuscito a dire nient'altro mentre la porgeva a Fraise che accolse la bambina porgendole il seno, al quale la piccola si attaccò avidamente. 
Quiche si asciugò il velo di sudore che gli si era formato sulla fronte e si sforzò di prestare attenzione a ciò che Mope stava dicendo, ma la voce gli arrivava confusa e il dolore alle tempie si faceva via via più insistente. Sollevò lo sguardo dall'acqua della fontana e cercò gli occhi dorati della figlia, così simili ai suoi, e li vide carichi di preoccupazione.

-Padre, state bene…?-

Nel momento stesso in cui la voce della figlia lo raggiunse, Quiche avvertì le proprie forze scivolargli via come l’acqua da un secchio bucato; mentre sentiva se stesso cadere come una bambola di stracci e la testa gli esplodeva in un’unica vampata di dolore, si domandò com'era possibile amare così intensamente un altro essere vivente da non desiderare nient'altro che la sua felicità, anche a discapito della propria. Il mondo si dissolse in una miriade di spruzzi ghiacciati, che si tesero verso il cielo per un momento, catturando la luce del sole e creando uno strano contrasto con l'oscurità in cui il re stava precipitando; poi fu solo buio e silenzio. Quiche cadde riverso nella fontana, dove giacque immobile, i lineamenti pallidi e resi confusi dall'acqua increspata nella quale stava affondando. Mope osservò la scena terrorizzata prima di balzare in piedi ed afferrare il corpo del padre per le spalle, nel tentativo di tirarlo fuori dalla fontana; essendo Quiche eccessivamente pesante per lei, la ragazza riuscì solamente a sollevarlo quel tanto che bastava per permettergli di respirare, nonostante si fosse immersa completamente nella fontana e stesse puntando i piedi sul fondale limaccioso con tutte le sue forze. Mope chiamò il padre più volte, con voce sempre più angosciata; gli scostò i capelli bagnati dalla fronte e si chinò per sentire se respirava, ma il vestito ingombrante che le si era gonfiato intorno e la posizione scomoda che aveva assunto per aiutare il padre non le permisero di assicurarsene con certezza. Disperata, cominciò ad urlare ed immediatamente accorse un manipolo di guardie.

-Principessa! Principessa, cos’è successo?-

Domandò un soldato, ma un’occhiata alla scena fu più che sufficiente per far capire ai nuovi venuti cosa stesse succedendo; Immediatamente allontanarono la ragazza dal corpo del padre, che fu poi trascinato fuori dalla fontana e portato via dal cortile, verso le stanze reali. Mope restò immobile ad osservare la scena, i battiti furiosi del suo cuore a coprire il tumulto di voci, gli abiti bagnati a gocciolare sul selciato polveroso. 



Il pianto disperato di sua madre era l’unico suono che penetrasse la nebbia che aveva avvolto Mope dal momento in cui suo padre era svenuto. Gli attimi che avevano seguito le sue grida erano un’accozzaglia di colori e suoni, che si susseguivano senza un’apparente logica. Qualcuno parlava, diceva che sì, sì era grave, ma con un po’ di fortuna...

...fortuna?

La vita di suo padre era legata alla buona sorte? La vita di quel padre che le era stato sempre accanto, anche e soprattutto quando commetteva un errore, quando non era fiera di sè stessa, quando la sensazione di diversità prevaricava l’orgoglio dell’essere speciale?  Mope si avvicinò al capezzale di Quiche, osservandone i lineamenti stanchi, le labbra viola e la pelle diafana; Fraise era inginocchiata accanto al letto e teneva stretta la mano del marito tra le sue, lasciando che le lacrime le solcassero le guance. 
La medicina non poteva fare nulla per lui; i guaritori migliori erano stati richiamati dagli angoli più sperduti del paese e tutti avevano dato la stessa risposta:

“Non è una questione di salute, Signora. Fisicamente il re non ha nulla che non vada, oltre la spossatezza più che comprensibile, portata dai tumulti delle battaglie”

Mope ripensò alle parole del guaritore, mentre un’idea si faceva strada in lei sempre più prepotentemente: se la medicina non poteva guarire suo padre allora, forse...

-Madre-

Mope posò la mano sulla spalla tremante di Fraise, per richiamare la sua attenzione. La donna alzò gli occhi gonfi e rossi e tentò di sorridere alla figlia, ma il sorriso tremò quasi subito, trasformandosi in una smorfia di dolore.

-Oh, Mope, se tuo padre non dovesse farcela io davvero non so…-

Fraise si interruppe e si portò una mano al viso, cercando di nascondere l'angoscia straziante alla figlia. Mope battè velocemente le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che le pizzicavano gli occhi e, traendo un profondo respiro, parlò a voce alta per sovrastare i singhiozzi della donna. 

-Madre, vorrei chiederti del tempo per stare da sola con mio padre-

Disse, cercando di mantenere saldo il tono di voce. Fraise la guardò confusa ma Mope sostenne il suo sguardo con determinazione; la madre aveva il viso chiazzato e profonde occhiaie blu sotto gli occhi lucidi. Per un momento, la ragazza desiderò che la madre fosse più forte di così; desiderò che la prendesse tra le braccia e le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che suo padre ce l'avrebbe fatta, che aveva fiducia in lui. Ma sua madre non era mai stata una donna forte: era fragile come una bambola di porcellana e si era sempre appoggiata a suo padre per affrontare le avversità. Non era in grado di gestire una simile situazione.

-Io…-

Mormorò Fraise, ma Mope la interruppe.

-Te lo chiedo per favore, è...è importante-

Disse, quasi in supplica. L’aliena sospirò ed annuì, alzandosi faticosamente dal capezzale del marito, restia a lasciargli la mano. Mope la ringraziò con un sorriso, seguendola con lo sguardo finchè non fu uscita dalla porta e la ebbe richiusa alle sue spalle.
Nel silenzio della stanza, Mope si domandò se non fosse una follia: cercare di curare suo padre con la magia era quanto mai sciocco e azzardato; non sapeva ancora bene quali fossero le sue reali capacità e questo non faceva che renderle ancora più difficile il compito.
Incerta sul da farsi, si sedette sul bordo del letto, cercando di ignorare il proprio dolore nel vedere il padre ridotto in quello stato e concentrandosi. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, cercando dentro di sè quell'angolino nascosto e rassicurante dove sapeva esserci la fonte delle sue capacità. Quando lo ebbe trovato sentì il familiare calore alle mani causato dall'energia magica che entrava in circolo e presto tutto il suo corpo venne animato da nuova forza. Non aveva mai tentato di trasferire questa forza nel corpo di un altro essere vivente, anche se una volta, da piccola, era riuscita a curare un piccolo sepurnè ferito solo con la forza del suo desiderio. Appoggiò le mani sulle tempie del padre, con delicatezza, chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò la sua energia, la vide scorrere nelle sue vene insieme al sangue, e immaginò le sue mani come dei ponti verso il corpo di Quiche, ponti che la sua energia percorreva per iniziare a scorrere nel corpo del padre, donandogli forza.  

All’inizio Mope non riuscì a percepire altro che il debole battito del cuore di Quiche, che pulsava lento nelle vene...poi un’immagine le attraversò la mente, veloce come il lampo nella tempesta, e un rumore sordo, indistinto, le riempì  le orecchie, mentre un gelo innaturale le percorreva le membra. Nonostante questo, la scintilla della soddisfazione brillava in lei come la fiammella di una candela: ci era riuscita. Ora vedeva cos’era che non andava in suo padre,cosa impediva alla medicina di trovare un rimedio per il suo male. 



Quando Kisshu aprì gli occhi, si ritrovò a fissare una distesa di velluto blu scuro, puntinata di stelle; una leggera brezza gli accarezzava la pelle, asciugandogli il sudore e facendolo rabbrividire. L’alieno si mise seduto, frizionandosi le braccia e guardandosi intorno, stordito; l’ultima cosa che ricordava era  il fumo che saliva in lente volute nella grotta, facendogli perdere i sensi, soffocandolo...

-L’universo ti ha parlato?-

Kisshu si voltò verso Elyn, seduta accanto a lui, lo sguardo perso nella volta celeste. 

-L’universo...?-

Ripetè l’alieno, cercando di fare mente locale.

-Tutto quello che hai visto nel sogno, non sono stata io a raccontartelo...io ho potuto solo facilitarti l’ascolto-

Gli spiegò la sciamana, rispondendo alla sua tacita domanda. 

-Mi sento un po’...stordito-

Ammise KIsshu, massaggiandosi le tempie e socchiudendo gli occhi, in cerca di sollievo. Elyn, per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, gli sorrise.

-E’ normale, non devi preoccuparti di ciò. Cos’hai visto?-

-Una ragazza-

Mormorò Kisshu, lottando per trattenere i ricordi del sogno, che già gli scivolavano via dalle dita come sabbia.

-E la sua famiglia. Il padre era molto malato e lei, per salvarlo... ha fatto qualcosa-

Elyn lo ascoltò in silenzio e, quando si accorse che Kisshu non ricordava altro, parlò.

-Non hai visto cos’ha fatto?-

Kisshu scosse mestamente la testa. 

-Non hai visto la fine?-

L’alieno guardò Elyn con occhi stanchi.

-Dove vuoi arrivare?-

Domandò; lei scosse le spalle e non rispose. 

-E’ ora di andare-

Disse dopo un po’, alzandosi in piedi e raccogliendo il suo bastone, che tintinnò piano.

-Dove?-

Domandò Kisshu sorpreso.

-A quest’ora dovrebbero essere già arrivati-

E, senza aggiungere altro, Elyn si allontanò. 

***


Ichigo si guardò intorno, frizionandosi il braccio destro, come faceva sempre quando era nervosa. La base di comando di Kisshu pullulava di alieni con indosso tutti la stessa uniforme e le stesse espressioni seccate; Nessuno pareva accorgersi delle tre ragazze appena scese dalla navicella che, disorientate, osservavano la brulicante massa di soldati.
Ad un certo punto, un alieno conosciuto venne verso di loro, mentre un sorrisetto gli illuminava il volto ancora molto giovane. 

-E’ un piacere rivedervi-

Mormorò non appena furono abbastanza vicini. Ichigo sorrise di rimando, sollevata di vedere almeno un volto conosciuto; Tart era davvero cresciuto molto in quegli anni di lontananza: aveva perso i lineamenti paffuti da bambino e la sua statura era notevolmente aumentata; ora poteva guardare Ichigo dritta negli occhi.  Purin osservò l’alieno in silenzio, cercando l’ombra del suo vecchio amico in quei lineamenti ormai adolescenti; per la prima volta si vergognò del suo aspetto, ancora così simile alla bambina che Tart conosceva, e tentò di raddrizzare il più possibile le spalle, per apparire più alta. 

-Seguitemi, vi porto da Pie!-

Disse Tart, osservando tutte le presenti e soffermandosi su Purin un po’ più a lungo.  Le tre ragazze seguirono l’alieno per gli stretti corridoi della base, fermandosi poico alveare. Diversi alieni erano chini su quelli che, notò Ichigo, dovevano essere lontani cugini dei computer terrestri, tecnologicamente più evoluti. Al centro della stanza c’era Pie, impegnato a supervisionare il lavoro dei sottoposti, tanto da non accorgersi nemmeno della loro presenza; Fu la voce di Tart a riscuoterlo.

-Sono arrivate-

Mormorò semplicemente l’alieno, con un piccolo inchino. Pie si voltò verso le ragazze, inarcando le sopracciglia, senza sorridere.

-Finalmente siete arrivate. La situazione sta diventando più critica ogni momento che passa-

Disse, osservando le mew mew con occhi glaciali e soffermandosi soprattutto su Ichigo, che si sottrasse allo sguardo, imbarazzata.

-Datemi il tempo di organizzare il lavoro di questi soldati e poi vi spiegherò ciò che abbiamo bisogno che voi facciate. Tart, accompagnale nelle stanze superiori-

Senza aggiungere altro, l’alieno si voltò nuovamente verso i macchinari e le ragazze si ritrovarono a seguire nuovamente Tart lungo intricati corridoi, finchè non furono fatte accomodare in un grande salone circolare, con al centro un tavolo metallico su cui era stata abbandonata una cartina di quel mondo. 

-Pie non ci dovrebbe mettere molto-

Mormorò Tart, sedendosi su un bordo del tavolo ed osservando le ragazze. 
Purin si guardò intorno, esplorando la stanza con gli occhi, finchè non incontrò lo sguardo limpido di Tart. Restarono alcuni momenti ad osservarsi, mentre i battiti del cuore di Purin aumentavano vertiginosamente. Perchè si sentiva così inadeguata? Perchè non poteva semplicemente andare lì e dirgli quanto gli era mancato? Quante sere aveva passato ad osservare le stelle, nella speranza di scorgerlo?
L’alieno le sorrise gentilmente, cercando coraggiosamente di ignorare il rossore che, ne era certo, gli era salito alle guance.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano visti? 
Improvvisamente la porta si spalancò e Pie entrò nella stanza, l'espressione irata come non mai; senza degnare di uno sguardo gli altri presenti camminò a passo marziale verso Ichigo, squadrandola dalla sua altezza imponente. 

-Spero che tu voglia spiegarmi-

Sibilò con rabbia.

-Cosa diavolo significa questo-

Disse, scostandosi ed indicando la soglia della porta dove, vestita con gli abiti del giorno precedente e i capelli spettinati, stava Sea. Aveva uno sguardo colpevole ma il sollievo di essere tornata a casa e di rivedere i volti di coloro che l'avevano cresciuta era evidente.  Il primo pensiero che attraversò la mente di Ichigo fu la rabbia verso l'irresponsabilità di Mark: gli aveva chiesto, prima di partire, se potesse occuparsi di Sea per il tempo in cui sarebbe stata via; sapeva che era una richiesta ingiusta ed egoista, ma non aveva nessun altro a cui appoggiarsi. Makoto era un brav'uomo, ma aveva appena avuto una bambina e, nonostante si fosse affezionato a Sea, non poteva chiedergli di tenerla per un tempo indefinito…forse per sempre, se le cose fossero andate male. Si era vista con Mark al momento della partenza, prima che le mew mew salissero sull'astronave che le avrebbe portate sul pianeta natale di Kisshu, e Ichigo aveva spiegato a Sea che sarebbe dovuta restare con il ragazzo per un po'. Lei si era opposta e aveva cominciato ad urlare e scalciare, ma la madre era stata irremovibile. Aveva guardato Mark negli occhi e aveva visto, dietro tutto il dolore per la loro separazione, la disponibilità ad aiutarla ancora una volta; in quel momento aveva giurato a sè stessa che avrebbe aggiustato le cose, in un modo o nell'altro. Ora, però, la prima, impulsiva tentazione a cui Ichigo cercò di non dare retta, fu quella di contattare Mark ed urlargli addosso la sua frustrazione; come aveva fatto a non accorgersi che Sea era salita sull'astronave? Che l'avesse fatto apposta?  Come leggendole nel pensiero, Sea parlò con una vocina piccola piccola. 

-Mammina, non è colpa del signore. Volevo tanto vedere papà…e quindi sono arrivata sull'astronave-

Ichigo le si inginocchiò davanti, appoggiandole le mani sulle spalle, confusa.

-Come sarebbe…sei salita sull'astronave senza che ce ne accorgessimo?-

Sea scosse la testa, frustando l'aria con i capelli spettinati.

-No, ero dentro l'astronave e basta-

-Ora-

Disse Pie con voce glaciale.

-Sapere come Sea sia giunta fin qui è assolutamente irrilevante, come è irrilevante decidere se tu sia o meno una madre affidabile-

Camminò verso la bambina e il suo sguardo non si ammorbidì quando i suoi occhi incontrarono quelli grandi e dorati di Sea.

-Hai disobbedito a tuo padre, che ti voleva al sicuro. Mi hai molto deluso, Sea-

Disse, prima di rivolgersi alle altre persone presenti nella stanza. 

-Ora vi aggiornerò sulla situazione di questo pianeta e cosa è necessario fare per salvarlo. Ascoltatemi con attenzione, perché il tempo è poco-

Si avvicinò al tavolo di metallo, ignorando lo sguardo di Tart; sapeva di essere stato duro con Sea, ma riaverla a casa costituiva un problema: preoccuparsi di proteggerla succhiava a tutti loro energie e lucidità, cose di cui avevano bisogno se volevano vincere quella dannata guerra. Iniziò a parlare meccanicamente, ripetendo ciò che aveva già detto ai suoi soldati centinaia di volte, ma la sua mente era lontana, persa nei ricordi di qual era la loro vita prima di ricominciare a combattere. Non gli sembrava neanche di averla mai vissuta. 

-Non sappiamo molto di questo nemico-

Disse, lanciando una cartellina marrone sul tavolo e aspettando che i presenti prendessero i fogli che ne erano scivolati fuori. 

-Queste sono tutte le informazioni che siamo riusciti a raccogliere e, come vedete, purtroppo non sono molte. Per ora gli obiettivi del nemico non sono chiari, così come non lo sono i suoi spostamenti: pare, comunque, che sia alla ricerca di qualcosa presente su questo pianeta. Abbiamo trovato un solo alieno sopravvissuto ad un interrogatorio nemico, un funzionario del nostro governo al corrente di segreti internazionali riguardati tecnologie avanzate e nuovi sistemi di energia. Ci ha raccontato, prima di spirare, che le forze a cui ci opponiamo non sono interessate a tutti quei segreti che noi consideriamo importanti, ma cercano "la scintilla pura dell'energia". Stiamo avanzando per ipotesi, ma non possiamo escludere che si riferiscano all'acqua cristallo, che già una volta ci ha permesso di salvare il nostro pianeta. Ecco l'aiuto che vi chiediamo: cercare l'acqua cristallo presente su questo pianeta e portarcela; provvederemo a metterla al sicuro dai nemici oppure utilizzarla come elemento di scambio se le cose dovessero mettersi male per davvero-

-E se non stanno cercando l'acqua cristallo?-

Domandò Minto, tagliente.

-Non ho voglia di rischiare la vita per un'ipotesi-

Pie la osservò a lungo ma la ragazza sostenne tranquillamente il suo sguardo. 

-E' l'ipotesi più probabile al momento-

-O piuttosto l'unica che avete?-

Tart si scambiò un'occhiata preoccupata con Purin, entrambi incerti sul da farsi; quella discussione era una sterile presa di posizioni e non avrebbe portato da nessuna parte. Prima che Pie potesse rispondere a Minto, Ichigo lo interruppe.

-Va bene. E' comunque un inizio e, a sentire da come hai spiegato le cose, è effettivamente un'ipotesi valida. Ti darò una mano-

Ichigo guardò prima Purin, che si limitò ad annuire, e poi Minto, che aveva la stessa espressione rabbiosa di quando la ragazza si era presentata a casa sua senza preavviso, dopo anni che non si vedevano. Nonostante questo, a Ichigo parve di scorgere una scintilla del vecchio rispetto dietro lo sguardo astioso dell'amica e si sentì rincuorata: forse, dopotutto, qualcosa si poteva davvero recuperare. 

-Minto?-

Le domandò con voce posata, alla quale la ragazza rispose con un'indifferente alzata di spalle.

-Ormai siamo arrivate fin qui…-

Disse, ignorando l'occhiata che Pie le lanciò. 

-Vi forniremo di tutto il supporto tecnologico che disponiamo, oltre che di soldati addestrati che vi aiuteranno nella ricerca. Alla fine di tutta questa storia sarete ricompensate adeguatamente per l'aiuto che ci fornite. Ora un soldato vi accompagnerà nelle vostre stanze, dove attenderete altre istruzioni. Per qualsiasi cosa necessitiate, Tart sarà a vostra disposizione-

I presenti si accinsero a lasciare la stanza, quando un soldato apparve sulla porta; aveva un'aria trafelata e la divisa in disordine. 

-Generale!-

Esclamò, senza riuscire a nascondere il tono di voce emozionato. 

-Il generale Kisshu, signore…è tornato!-

***

L'infermeria non gli era mai piaciuta; le pareti bianche e l'odore di medicinali che vi aleggiava gli davano un senso di nausea che non riusciva a gestire. Kisshu si mosse nervosamente sul lettino, a disagio, mentre l'infermiera finiva di controllare la ferita al fianco, ormai cicatrizzata quasi del tutto. Non poteva ancora credere di essere tornato; Elyn lo aveva condotto attraverso il deserto con facilità, percorrendo sentieri che i suoi piedi dovevano conoscere alla perfezione. Nonostante fosse cieca non aveva mai avuto un attimo di dubbio o incertezza, come non gli aveva mai chiesto aiuto quando si erano ritrovati a scendere da rocce impervie o percorrere sentieri selvaggi. Una volta giunti nei pressi della base, Elyn si era congedata da lui, facendogli promettere di ritrovarsi da lì a due giorni nei pressi del monte Deadscar insieme "alle altre schegge del destino che troverai una volta giunto a casa". Kisshu non aveva avuto il tempo di chiederle spiegazioni perché lei, fatto un lungo fischio, era saltata in groppa al sepurnè che era arrivato al galoppo, senza bisogno che l'animale rallentasse per farla salire, e si era allontanata nella notte. L'alieno avrebbe voluto chiederle come faceva ad essere così sicura che lui si sarebbe presentato all'appuntamento, ma era certo che sarebbe stato inutile; in qualche modo era certo che l'estranea che lo aveva salvato non era solo un'aliena eccentrica, ma sapeva davvero come risollevare le sorti del loro pianeta. O forse era il fumo che gli aveva fatto respirare a dargli questa sicurezza.

"In ogni caso"

pensò Kisshu.

"Non abbiamo davvero nulla da perdere"

-Può rivestirsi, generale. La ferita, seppur profonda, è guarita quasi alla perfezione; le rimarrà la cicatrice, però-

Kisshu annuì distrattamente; non sarebbe certo stata una cicatrice in più a preoccuparlo. 

-Ha davvero delle doti mediche eccezionali-

Lo lodò l'infermiera, compilando un modulo che teneva su una cartellina rigida.

-Non tutti sarebbero riusciti a curarsi da soli una simile ferita-

-E' stato l'istinto di sopravvivenza ad avere la meglio-

Spiegò Kisshu, accennando un sorriso.

-Devo fare rapporto-

Aggiunse, alzandosi dal lettino e dirigendosi verso la porta. L'infermiera annuì e lo seguì con lo sguardo finchè non fu sulla porta, prima di compilare l'ultima casella del modulo e ritornare al suo lavoro. 
Appena uscito dall'infermeria, Kisshu non fece in tempo a fare due passi che venne fermato da due persone a lui fin troppo familiari; il primo di cui incontrò lo sguardo fu Pie che, nonostante la solita espressione indifferente, aveva gli occhi leggermente lucidi. 

-Sei riuscito a tornare-

Constatò, appoggiandogli una mano sulla spalla. 

Dio, quanto erano ridicoli. Kisshu trascinò a sè il fratello e lo abbracciò frettolosamente, felice di rivederlo. Pie ricambiò quel gesto improvviso senza irrigidirsi nè chiedersi se fosse il caso di lasciarsi andare a simili dimostrazioni d'affetto. 

-Aspetto il tuo rapporto al più presto-

Disse non appena si separarono, con l'accenno di un sorriso. Kisshu annuì, prima di rivolgere le sue attenzioni a Tart che, a differenza del fratello maggiore, faticava molto di più a trattenere le sue emozioni. Nonostante fosse cresciuto in altezza il suo spirito aveva ancora quel tratto infantile che la guerra non era riuscita a cancellare e Kisshu ringraziò tutti gli Dei a lui conosciuti per questo. 

-Non sai che razza di spavento mi hai fatto prendere…-

Mormorò con voce incerta, osservandolo intensamente per paura che potesse scomparire da un momento all'altro. 

-Mi dispiace, Tart-

Disse Kisshu, appoggiandogli le mani sulle spalle e sorridendo stancamente.

-Si vede che gli incapaci vivono più a lungo degli altri-

Aggiunse amaro, tornando a rivolgere la sua attenzione su Pie. 

-La missione è stata un fallimento completo. Tutti i miei soldati sono morti-

Se la notizia avesse o meno colpito Pie, Kisshu non riuscì a capirlo, ma si rese conto che ricordare quell'episodio gli provocava un dolore cocente al petto e gli annebbiava la mente; non era riuscito a salvarli. L'alieno scosse violentemente la testa per liberarsi da quei pensieri opprimenti, obbligandosi a concentrare tutte le sue energie sul presente: doveva fare rapporto, dire ciò che aveva scoperto senza tralasciare il benché minimo particolare, per fare in modo che il sacrificio dei suoi compagni non fosse stato vano. 

-Avvertiremo le famiglie ed organizzeremo un funerale degno-

Disse Pie e Kisshu immaginò sè stesso sulla porta mentre un soldato dal volto e dal vestito anonimo gli annunciava, con voce meccanica, che sua figlia era morta per una giusta causa e che avrebbe avuto un funerale degno e una medaglia. Un inutile pezzo di metallo come risarcimento per la figlia che avevo perso. Gli salì alle labbra una risata isterica che tentò di contenere, ma che sfociò prepotente rimbombando nel corridoio. Rise fino alle lacrime, sotto lo sguardo ansioso di Tart e quello impassibile di Pie, che rimase ad aspettare la fine dello sfogo, intimando con un gesto Tart a fare lo stesso. 

-Un funerale…degno?-

Mormorò Kisshu, alzando gli occhi dorati ancora bagnati di lacrime verso Pie e trafiggendolo con uno sguardo talmente addolorato da costringerlo a fare un passo indietro. 

-Sai quanto gliene può fottere ad una madre, ad una moglie, di un funerale degno? E della medaglia di circostanza?-

Pie risopose a quella domanda retorica cercando di mantenere un tono saldo.

-E' la procedura. Tu cosa pensavi di fare?-

Non aveva mai visto Kisshu con una simile espressione sul volto, nè lo aveva sentito parlare con una voce così carica di rancore, impotenza e…senso di colpa?

-Andrò io a parlare con le famiglie. E mi scuserò per la mia incapacità-

Disse Kisshu con voce dura, voltando le spalle al fratello ed incamminandosi verso la sala di comando.

-Seguimi. Ti farò il resoconto di quanto successo-


Quando aveva sentito che Kisshu era vivo, Ichigo aveva sentito un'ondata di sollievo attraversarle il corpo, lasciandola senza fiato e facendole tremare le gambe. Il nodo che le stringeva la gola da quando tutta quella storia era cominciata si era fatto un po' più largo e alla ragazza pareva di aver finalmente riacquistato la capacità di respirare e di pensare in maniera lucida. Ora, seduta su una poltrona dall'aspetto anonimo in una stanzetta per i civili uguale a molte altre, cercava di decifrare le emozioni che le si agitavano nel petto. Si era imbarcata in un'impresa probabilmente suicida e vi aveva trascinato dentro anche due delle sue più care amiche, sua figlia non era al sicuro tra le braccia di Mark ma in quella stanzetta con lei, distesa sul letto a dormire, e il ragazzo che amava era ad anni luce di distanza; eppure, nonostante tutto, si sentiva più sollevata in quel momento critico piuttosto di quando era ancora al sicuro sulla terra. E quella sensazione era legata alla notizia che Kisshu fosse ancora vivo. Per la prima volta da quando aveva fatto l'amore con l'alieno, quella lontana notte di quasi sei anni prima, in Ichigo si fece strada la convinzione che la scelta di quel singolo momento non fosse stata casuale ma dettata da un sentimento che, nonostante il suo opporsi, aveva piantato radici profonde dentro di lei. Si alzò piano e frugò nella borsa che si era portata per il viaggio, tra gli oggetti che vi aveva buttato dentro alla rinfusa, e ne estrasse una vecchia foto consunta, che ritraeva lei e Mark abbracciati. 
Lo aveva amato davvero; amava i suoi occhi nocciola e la sua pelle sempre abbronzata, amava il suo modo di fare dolce e disponibile, i suoi piccoli difetti, i suoi capelli scompigliati. Ricordava ogni singolo abbraccio, ogni singolo bacio, perché li aveva assaporati a fondo, beandosi di quella felicità che pareva indistruttibile e la proteggeva dal mondo. Con lui era cresciuta, aveva condiviso progetti e speranze, credeva davvero in un futuro passato l'uno al fianco dell'altra. Eppure lo aveva tradito, ingannato e fatto soffrire, perché, che lo volesse o meno, Kisshu l'aveva colpita. Ricordava la sua ossessione nei suoi confronti, la disperata rassegnazione davanti al fatto che non lo amava… e non lo amava davvero, all'inizio. I sentimenti, però, avevano cominciato a mutare nel momento in cui l'alieno aveva lasciato da parte la maschera da sbruffone e aveva tirato fuori la sua vera essenza, mostrandosi coraggioso e sensibile. L'amava davvero ed Ichigo non aveva potuto restarne indifferente.  Il giorno in cui Mark era partito aveva lasciato dentro Ichigo una sofferenza profonda che aveva indebolito le difese della ragione e l'aveva lasciata in balia dei sentimenti, quelli veri, quelli che avevano aspettato il momento giusto per sbocciare. Quando, tra le lacrime, aveva visto Kisshu appollaiato sulla sua finestra, rintanarsi tra le sue braccia le era sembrato naturale come respirare, così come le era sembrato naturale lasciarlo esplorare il suo corpo e chiamare il suo nome durante il culmine della passione.
Kisshu, non Mark. 
Era stata profondamente egoista nei confronti sia del ragazzo che diceva di amare che di Kisshu, perché per paura non aveva accettato i suoi veri desideri e aveva passato sei anni a fingere di essere felice. Aveva recitato così a lungo che, alla fine, se ne era convinta anche lei, nonostante la tristezza e la frustrazione la sgretolassero dentro poco alla volta. Ritornando sulla terra, Kisshu l'aveva messa in condizione di analizzare ed affrontare i suoi veri sentimenti, liberandola finalmente dalla maschera che si ostinava a portare da sei anni. Era arrivato il momento di smettere di fingere. 
Ichigo guardò la foto che teneva tra le mani ancora per qualche momento, prima di riporla con cura dentro la valigia ed avviarsi verso la porta il più silenziosamente possibile.
La luce elettrica illuminava il corridoio di un sinistro bagliore arancione e coppie di soldati in uniforme camminavano avanti ed indietro con le pistole tenute saldamente ai fianchi. Ichigo si avvicinò a due di loro, che interruppero la loro ronda e la osservarono senza mutare espressione.

-Scusate…avrei bisogno di conferire con il generale Kisshu-

Domandò, chiedendosi se i soldati conoscessero il nome del loro generale o lo chiamassero con un altro appellativo a lei sconosciuto. 

-Ci è stato ordinato di non disturbare i tre generali. Dovrà aspettare-

Disse un soldato con voce seccata, intimandole con un gesto piuttosto eloquente di liberare il corridoio e permettere loro di riprendere la ronda.

-Si tratta di sua figlia-

Insistette Ichigo, senza darsi per vinta. I soldati si scambiarono un'occhiata.

-Ci è stato ordinato…-

Ripeterono, ma una voce dietro di loro li interruppe.

-Riprendete pure a fare il vostro dovere. Mi occupo io della ragazza-

Mettendosi sull'attenti ed ignorando completamente Ichigo, i due soldati risposero:

-Signorsì signor Generale!-

E si allontanarono lungo il corridoio, gli stivali che toccavano terra nello stesso momento, come se fossero stati un sol uomo. Ichigo si ritrovò sola ad osservare Kisshu, il volto stanco e più segnato di quando lo aveva visto sulla terra alcune settimane prima. I suoi occhi avevano una strana sfumatura arancione alla luce artificiale e Ichigo si domandò se fossero sempre stati così tristi e feriti. 

-Ti avevo pregata di proteggerla-

Disse Kisshu con voce stanca, osservandola a lungo. Dio, quanto era bella. Aveva così bisogno di abbracciarla, affogare i pensieri tra i suoi capelli, sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che alla fine di quella storia avrebbe davvero trovato quella felicità che andava cercando di donna in donna da quella notte in cui l'aveva fatta sua. Invece rimase lì, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni sgualciti, ad osservarla in silenzio. 

-Mi dispiace-

Mormorò Ichigo, abbassando lo sguardo e tormentandosi le mani. 

-Mi dispiace per…per tutto. Davvero-

Avrebbe voluto scusarsi per la sua stupidità, per tutte le volte che l'aveva fatto soffrire, dirgli quanto amava Sea e quanto le sarebbe piaciuto aver aperto prima gli occhi. 
Rimasero in silenzio ad osservarsi, chiedendosi perché fosse così difficile accettare i cambiamenti che erano avvenuti nelle loro vite e fosse più facile stare lontani ad osservarsi piuttosto che percorrere quei pochi metri che li separavano ed unirsi finalmente in quell'abbraccio che li avrebbe allontanati dal mondo e dal dolore almeno per qualche momento. 

-Tu non mi ami-

Disse ad un tratto Kisshu, con voce incerta. Ancora sperava che non fosse vero, quanto era sciocco!

-Io invece ho la sensazione che se non ti bacio adesso, potrei morire. Ti prego, riprenditi Sea e tornate sulla Terra. Pie è convinto che tu e le Mew Mew potreste essere decisive nella vittoria contro il nemico, io invece desidero solo sapere mia figlia al sicuro e te il più lontano possibile dai miei occhi; riusciremo a vincere anche senza di voi-

Concluse, cercando di assumere il tono più indifferente che gli riusciva. Ichigo lo osservò a lungo, mentre il cuore le batteva furiosamente nel petto e le mani le tremavano impercettibilmente. 

-Perchè dici questo?-

Domandò con voce tremante, mentre sentiva gli occhi inumidirsi.

-Perchè mi ami ancora dopo tutto quello che ti ho fatto?-

Kisshu rimase spiazzato da quella domanda: non era certo questa la reazione che si aspettava. Si era domandato tante volte il perché non riuscisse a dimenticare Ichigo, ma non aveva mai trovato una risposta soddisfacente, quindi a poco a poco aveva smesso di porsela e aveva accettato quella sua personale ossessione, cercando di mascherarla il più possibile per poter vivere normalmente e sperando di riuscire a trovare, tra le tante donne che aveva frequentato, quella che gli avrebbe donato la felicità che cercava.   
Eppure, sentendosi porre da Ichigo l'interrogativo che lo aveva a lungo tormentato, Kisshu riuscì finalmente a trovare l'unica risposta tanto sensata quanto vera, benché difficile da accettare.

-Per lo stesso motivo per cui ero disposto a morire per te nella lotta contro Mark, anche se tu mi avevi sempre trattato a pesci in faccia; perchè con te mi sento a casa-

Le parole galleggiarono tra di loro per un momento, prima che Kisshu annullasse con due falcate la distanza tra loro e prendesse Ichigo tra le braccia, baciandola con un bisogno tale da essere quasi doloroso. Nel momento stesso in cui le loro labbra si toccarono l'aria parve farsi elettrica e il mondo attorno a loro scomparve in una nebbia indefinita; esistevano solo loro due, i loro corpi stretti in un abbraccio urgente, le loro mani che scorrevano ovunque senza pudore e le loro labbra sempre alla ricerca le une delle altre. Ichigo venne investita da un'emozione talmente forte che la lasciò stordita per un momento, mentre sentiva le gambe farsi di gelatina e il cuore aumentare paurosamente i battiti, tanto da farle credere che le sarebbe scoppiato in petto.  Ecco dov'era quella felicità che si era illusa di trovare nei baci di Mark, era così a portata di mano che si sentì estremamente stupida ad essersela negata per tutto quel tempo. Capiva perfettamente le parole di Kisshu, quel suo "con te mi sento a casa"…avvolta in quell'abbraccio talmente stretto da farle quasi male, Ichigo si sentì protetta e al sicuro proprio come se fosse stata tra le pareti della casa in cui era cresciuta. Sentì Kisshu mormorarle qualcosa labbra contro labbra ma non riuscì ad afferrare il senso di ciò che le stava dicendo, troppo stordita dal mare di sensazioni che stava provando. 

-Ti amo, dannazione a te, ti amo come non ho amato mai nessuna…-

Continuava a ripetere Kisshu, stringendola maggiormente a sè nel bagliore arancione del corridoio. Ichigo sentì le lacrime salirle agli occhi e non fece nulla per fermarle quando le colarono lungo le guance ed il collo. 

-Perdonami, ti prego, perdonami, sono stata una stupida-

Mormorò la ragazza, passando le mani tra i capelli di Kisshu ed avvicinando ancora di più il viso al suo. Stava sognando? Kisshu non era mai stato meno interessato ad una risposta; Ichigo era lì, stretta nel suo abbraccio, come aveva sognato negli ultimi sei anni, e lo pregava di perdonarla. Come poteva fargli una simile richiesta, a lui che, dietro tutto il rancore e la sofferenza, non aveva desiderato altro che riaverla tra le braccia, per un desiderio vero più che per uno stupido momento di debolezza? La baciò come un naufrago che finalmente ritorna sulla terra, dimenticandosi per un momento di tutto il dolore e la sofferenza provati, del fatto che avesse addosso gli stessi vestiti di quando era stato catturato e fosse tutt'altro che presentabile e che il suo viaggio verso la terra era stato inutile, perché Sea era di nuovo in un posto pericoloso. Per un momento il suo mondo si ridusse ad Ichigo, alle sue piccole mani che lo stringevano a sè, al profumo dei suoi capelli e al sapore delle lacrime che ancora non avevano smesso di scenderle. Senza esitazione Kisshu aprì la porta della stanza alle spalle della ragazza, senza smettere di baciarla, e la spinse dentro chiudendosi la porta alle spalle con un calcio. Nonostante la sua mente fosse ubriaca di sensazioni, ricordava distintamente le parole di Pie:

"Abbiamo sistemato Ichigo, Sea e le sue amiche nel padiglione civile più piccolo ed ancora vuoto, perché è il più vicino alla sala di comando e possiamo contattarle più in fretta"

Quel padiglione era ancora vuoto perché l'evacuazione dei civili non era ancora terminata, essendo moltissimi quelli che non avevano voluto lasciare il pianeta. Se tutto fosse andato secondo i piani, nel giro di pochi giorni tutte le stanze sarebbero state occupate e dotate dei sistemi di sicurezza già presenti in quelle in utilizzo, ma per il momento erano ancora spoglie e disabitate, ad esclusione dei pochi mobili necessari, come il letto e il bagno. Senza preoccuparsi di accendere la luce, Kisshu depositò Ichigo sul materasso senza lenzuola e leggermente polveroso, stendendosi poi sopra di lei e puntellandosi con le ginocchia per non schiacciarla con il suo peso. Continuò a baciarla con sempre maggiore desiderio, aiutandola a liberarsi della maglietta e del reggiseno, che caddero dimenticati in un angolo della stanza. L'odore della sua pelle lo stava facendo impazzire. Aveva desiderato quel momento da talmente tanto tempo che non voleva perdersi un singolo istante nè particolare di Ichigo, perciò affondò la testa nell'incavo del suo collo e respirò profondamente, inebriandosi del suo profumo e cercando, contemporaneamente, di sfilarle i pantaloni. La ragazza lo lasciò fare, stringendolo a sè e percorrendo il suo torace con le mani, indugiando per un attimo su quella  che al tatto sembrava una grande cicatrice e poi ricominciando ad esplorare la sua pelle senza il minimo pudore. Presto la divisa di Kisshu seguì gli indumenti di Ichigo sul pavimento ed entrambi si trovarono nudi ed accaldati, sicuri di voler andare fino in fondo come non lo erano mai stati per nient'altro durante le loro vite. L'alieno affondò in Ichigo con la violenza spinta dal desiderio e la ragazza gli piantò le unghie nella carne della schiena fino a fargli male, ma, invece di infastidirlo, quel gesto eccitò Kisshu ancora di più. Con poche spinte l'alieno riversò la sua vita dentro la ragazza, che urlò il suo nome pregandolo di muoversi ancora, in preda ad un orgasmo così intenso che la lasciò senza fiato. Quando Kisshu uscì da lei e le si distese accanto, Ichigo gli si raggomitolò il più vicino possibile, appoggiando la testa sul suo torace. Il giorno successivo sarebbe stato il momento delle parole e delle decisioni. A Kisshu, però, il domani non era mai sembrato così distante.

***

And I do wanna love you (E voglio amarti)
If you see me runnin' back (Se mi vedi rincorrere il passato)
And I do wanna try (E voglio provare)
Because if falling for you girl is crazy (Perchè è una pazzia se mi innamoro di te, ragazza) 
Then I'm going out of my mind (Dunque sto impazzendo)
So hold back your tears this time (Trattieni le tue lacrime questa volta)

   
 
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