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Autore: Demdem    21/09/2010    1 recensioni
L'aquila ha spiegato le ali... Una terrificante discesa nell'oblio che trae origine da un'era dannata e ormai lontana. Al tempo in cui ogni fenomeno inspiegabile era attribuito a divinità onnipotenti. Dei giusti e buoni, e altri crudeli e spietati. Dopo 5000 anni due semplici adolescenti vedranno scomparire la propria vita da giovani, essi saranno costretti dal destino ad irrompere in una battaglia tra gli esseri umani e le loro stesse colpe. Inimicizia dettata dalle circostanze sarà eliminata, per lasciare spazio ad un' alleanza forzata che permetterà la sopravvivenza e la salvezza di ogni essere vivente dell'universo. La lotta sembra persa in partenza, ma è uno sbaglio riporre la propria fiducia nella forza, quando si possiede un forte cuore...
Genere: Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4° Capitolo, Olè!

Godetevelo ^^

 


Capitolo 4: Nemici

 

La notte era cupa quella sera a Los Angeles. Un buio manto senza stelle ricopriva la metropoli.

Non che ne avesse bisogno. Le luci dei quartieri alti illuminavano il centro come una miriade di stelle artificiali.

Ma ci sono luoghi, a Los Angeles, dove la luce dei palazzi non basta a illuminarti la strada.

Puoi correre e puoi scappare, ma il buio ti starà sempre alle calcagna.

E quella notte, Buck Brass temeva davvero di non rivedere mai più la luce.

Buck correva, agitando le braccia freneticamente, scappando.

Indossava un vecchio jeans logoro, una maglietta a maniche corte e un logoro giubbotto. Sul capo portava un cappello di lana nera, nonostante la calda stagione.

La sua corsa sembrava insensata, ma la realtà e che qualcuno lo seguiva.

Una figura buia, avvolta da un’ombra quasi innaturale, saltava di palazzo in palazzo, inseguendo Buck dall’alto.

Era nettamente più veloce e rapido. Ogni salto sembrava quasi innaturale, si aggrappava ad antenne della TV, saltava oltre i camini con un agilità impressionante.

Brass, optò per una strada che avrebbe permesso di seminarlo più facilmente, dimostrando lucidità nonostante il terrore allo stato puro.

Scese in un cunicolo della metropolitana, riuscendo a mantenere la velocità spedita anche sulle scale.

Corse per alcuni minuti, senza fermarsi, anche se non sentiva più alcun rumore alle sue spalle e non aveva la sensazione di essere osservato come in precedenza.

Si fermò ansimante vicino ad un passaggio dei tram, mettendo le mani sulle proprie ginocchia esausto.

L’aria fredda gli penetrava in gola come una spada di ghiaccio, doveva riprendere fiato.

Sentì il rumore della metro nelle orecchie, ed osservò un treno passare a tutta velocità a pochi metri da lui.

Si fermò a guardare il treno che passava convinto che il suo inseguitore fosse ormai seminato.

Ma appena il treno passò del tutto, dall’altra parte del passaggio c’era lui.

Una figura alta sul metro e ottanta, magra ma molto prestante. Con un Jeans blu scuro con delle effigie infuocate sotto il ginocchio, una canotta aderente azzurra, ed una bandana arancio fuoco sul volto, con due vetri che lasciavano lo spazio per la vista.

Buck sobbalzò dal terrore, urlando e scappando verso uno dei cunicoli della galleria.

Intanto, la figura mascherata, saltava il passaggio del treno con abilità ma allo stesso tempo con estrema naturalezza, e con uno sguardo ieratico sul volto, continuando l’inseguimento.

Buck corse ancora per qualche minuto, prima di voltarsi e guardarsi le spalle.

Non c’era nessuno.

Forse stavolta se lo era davvero lasciato alle spalle.

Riprese a guardare di fronte a lui, e…

 

«AAAAAH!»

 

La figura mascherata era a pochi centimetri da lui, in preda al panico, Brass si gettò a terra, strisciando all’indietro.

 

«N-non mi uccidere, ti prego! I-io non ti ho fatto nulla!» disse tremante, l’uomo.

 

L’individuo in maschera lo afferrò per il colletto della giacca e lo sbattè con forza contro il muro di piastrelle della metro, sfondandone alcune.

 

«No, forse a me non hai fatto nulla…» replicò la figura. Buck ora poteva sentire la sua voce, era leggermente più delicata di quella di un adulto, poteva avere massimo 18 anni.

 

«Però… pochi giorni fa hai fatto del male ad una ragazza» continuò lui, sempre tenendolo sollevato contro il muro. «Bassina, capelli castani, occhi azzurri, 16 anni circa… hai presente?»

 

Buck cominciò a tremare, di più. «Io n-non so d-di cosa pa-parli…».

Il ragazzo mascherato lo buttò con forza sul pavimento, con il volto sfigurato dalla rabbia.

Poi si riavvicinò e afferrandolo leggermente per la giacca, gli disse fingendo tranquillità:

 

«Ti dò alcune opzioni, amico.

Opzione A: Tu lo ammetti, io ti pesto per un’oretta, ti porto alla polizia e finisce li.

Opzione B: Tu non parli, io ti strappo i pollici… ti farà male.

Opzione C: Tu scappi, io ti inseguo e ti uccido.

Opzione D:…»

 

Rimase in silenzio per un paio di secondi.

 

«…Posso variare un po’ i dettagli, ma il succo è: che tu muori».

 

Buck rimase in silenzio, terrorizzato.

Al contrario, Leo sorrideva con un ghigno leggermente maligno, che non gli si addiceva.

 

«Allora… quale scegli?»

 

*

 

Circa 3 ore dopo…

Periferia di Los Angeles. In una casa, c’era una grande stanza, all’interno della quale vi era una ragazza…

Guardava la TV, con occhi spenti.

Nanzy era stesa sul letto senza alcuna espressione, il telecomando sul comodino alla sua destra, sotto la finestra.

Improvvisamente, la TV cambiò canale senza che Nancy toccasse nulla.

Era al canale del notiziario della sera.

Una donna d’aspetto elegante con i capelli neri informava gli spettatori delle notizie.

 

«…paio di ore fa è stato trovato all’interno della metropolitana della periferia di Los Angeles un individuo di circa 40 anni, a quanto risulta dalle ultime notizie, l’uomo sarebbe stato picchiato quasi a morte, conta tre costole rotte, svariati lividi e la mandibola fratturata.

L’uomo si Chiamava Buck Brass, e secondo alcuni referti della scientifica, è stato incriminato come il colpevole dell’abuso avvenuto in Evergreen Terrace…»

 

Nancy si alzò dalla sua posizione stesa, e si mise a sedere guardando meglio la TV, con aria assorta.

 

«…inoltre, alcuni testimoni affermano di averlo visto scappare verso la metro inseguito da un individuo mascherato il cui identikit è stato completato poche ore fa.»

 

A metà dello schermo comparve un disegno a matita, di un ragazzo a mezzo busto.

Nancy guardò il disegno per qualche secondo, poi scomparve dallo schermo.

 

«Ciononostante, le autorità hanno dichiarato che qualunque siano le intenzioni di questo individuo, esso sarà fermato e processato, avendo dimostrato di essere un trasgressore della legge.»

 

La ragazza, spense la TV con il telecomando preso dal davanzale della finestra.

Solo in quel momento si rese conto che non lo aveva lasciato lì, ma sul comodino.

Si voltò verso la finestra, si sentiva osservata.

Dall’altra parte della strada, sulla cima di un tetto, c’era qualcuno. Nancy lo riconobbe come l’individuo dell’Identikit del telegiornale.

Era lì, in piedi, con i lacci della benda che fluttuavano nell’aria fresca. Improvvisamente, si voltò alla sua destra e cominciò a correre.

Per continuare a osservarlo, Nancy dovette affacciarsi alla finestra, riuscendo a vedere la figura in maschera che saltava giù da un palazzo, e, lanciata una corda d’acciaio alla punta di un cornicione, voltava l’angolo rapido e veloce.

La ragazza continuava a guardare il punto in cui era sparito dalla sua vista per parecchi minuti.

 

*

 

Erano passati due giorni da quella notte, e Leo stava lavorando al bancone dell’emporio di sua madre.

Erano circa le 3 di pomeriggio, a quell’orario non veniva quasi mai nessuno, troppo caldo.

Il giovane ancora non capiva perché si ostinassero a tenere il negozio aperto, mentre leggeva un libro sulla sedia dietro il bancone.

Aveva qualche difficoltà a reggere il volume, una ferita da taglio al braccio destro gli impediva di sforzarlo molto, ma riusciva comunque a leggere senza alcun problema.

Ripensava alla lotta con quell’uomo in metropolitana, non si sarebbe mai aspettato una reazione, ricordando il suo volto preso dal terrore, e invece aveva trovato la forza di ricordarsi che in tasca portava un coltellino svizzero.

Non che questo avesse fermato il biondo dal continuare, ma ne era rimasto sorpreso.

Improvvisamente, il campanello della porta annunciò l’arrivo di un cliente.

Leo si alzò di scatto, poggiando il libro sul bordo destro del bancone, osservando chi era appena entrato.

Era una donna, alta, snella ed elegante, dai lunghi capelli castano scuro. Portava vestiti quasi completamente neri: un paio di tacchi a spillo di circa 10 cm, una gonna che arrivava sopra il ginocchio, molto stretta ma con un leggero spacco. Portava inoltre, un elegante tallieur con bottoni d’oro, un paio di grandi occhiali da sole e un grande cappello dalla visiera molto grande e ondulata.

 

«Buongiorno» disse Leo annoiato.

 

«Buon giorno a te, ragazzo» disse lei, la sua voce era molto sottile e piacevole all’udito. «Avrei bisogno di uno shampoo per capelli lisci.»

 

Leo alzò un sopracciglio. Di solito la gente entrava tranquilla, prendeva quello che gli serviva dagli scaffali e andava alla cassa solo per pagare.

Ma il ragazzo non disse nulla. Dopo tutto, il cliente ha sempre ragione.

Si avviò verso uno degli scaffali, e tornò pochi secondi dopo con uno shampoo dalla confezione verde brillante.

Lo poggiò sul bancone.

 

«Fanno 3 dollari e 9.» disse il biondo, dirigendosi già verso la cassa, ma un’esclamazione della donna gli fece alzare di nuovo lo sguardo.

 

«Oh cielo! Ma cosa ti sei fatto lì?» aveva indicato con le lunghe dita affusolate la ferita che Leo aveva sul braccio.

Leo avrebbe potuto rispondere che non erano cose che la riguardavano, sempre gentilmente, invece sentì che doveva dare una spiegazione.

 

«Oh, ehm… passavo vicino ad un cantiere ed un chiodo sporgente mi ha graffiato, fortunatamente l’ho subito disinfettato».

 

La donna non sembrava molto convinta.

 

«Sai, è strano. La ferita sembra che sia partita in direzione delle tue spalle e si sia fermata dalla parte opposta, se è come dici avrebbe dovuto essere il contrario».

 

Leo iniziò seriamente ad infastidirsi, ma la tentazione di rispondere per giustificarsi era decisamente più forte.

 

«S-stavo camminando all’indietro, per salutare un amico passato in motorino».

 

«Ho capito…» disse la donna, sempre con un tono dubbioso.

 

Improvvisamente cambiò totalmente discorso.

 

«Hai sentito di quel tizio che ha picchiato un uomo nella metro? Certo che è un po’ strano, non ti pare…?»

 

Leo sbarrò leggermente gli occhi, iniziò a sentirsi davvero a disagio.

Possibile che quella donna…?

Ormai era entrato nell’ottica del mentire, quindi fu più facile.

 

«Cosa vuole farci? Ce ne sono di pazzoidi in giro oggigiorno. A mio avviso sarà stato qualcuno che si crede una specie di giustiziere mascherato».

 

La donna però aveva l’espressione di chi vuole continuare assolutamente il discorso.

 

«Però… ho sentito dire che l’hanno visto saltare da un palazzo all’altro, a distanze di decine di metri di distanza, non ti sembra strano?»

 

Leo sorrise, abbassando leggermente lo sguardo.

 

«Mi perdoni, ma non è una novità. Quando succedono cose strane molta gente tende a gonfiarle per renderle ancora più avvincenti, l’essere umano è fatto così».

 

«Ma davvero…? Grazie per avermelo detto».

 

Leo alzò di nuovo la testa, ma la donna stava già andando via, elegantemente come al suo arrivo.

Il biondo continuò a guardare fuori, la figura femminile entrò in una Mercedes nera come la pece, al posto di guida c’era un uomo con i capelli corvini, vestito in giacca e cravatta nera e con occhiali da sole a goccia, sembrava quasi una guardia del corpo.

La macchina partì e Leo non riuscì più a vederla.

 

*

 

Pochi minuti dopo, la Donna entrò in una stanza fatta completamente in pietra, con un trono d’oro al centro di esso, mezza avvolta dall’ombra.

Dietro di l’ei l’individuo in giacca e cravatta sembrava abbastanza irritato.

 

«Dannati abiti umani! Mi sento come se mi avessero mummificato prima del tempo!»

 

Si tolse velocemente giacca e camicia e li gettò in un angolo, restando a torso nudo e mostrando un fisico ampiamente sviluppato.

Si tolse gli occhiali da sole, mostrando degli occhi rossi come il fuoco e due pupille molto piccole.

 

«A me invece non dispiace… si vede che la razza umana attuale non ha cattivi gusti nel vestirsi» disse la donna, sedendosi sul trono in oro, e togliendosi il cappello e gli occhiali.

I suoi occhi erano invece gialli ambrati, con le pupille verticali.

 

«Non capisco, perché non li uccidiamo tutti subito senza perdere altro tempo con questa buffonata?!» esclamò irritato l’uomo.

 

Lei, al contrario, rimaneva calma, accavallò le gambe con eleganza e disse: «Perché ci sono esseri umani che non meritano la morte, Han… Preferisco aspettare ancora qualche tempo».

 

Improvvisamente, dal lato buio della stanza si udì un rantolo, una specie di possente ringhio animalesco. Qualcosa di enorme si mosse nell’ombra dietro il trono, con movimenti d’impazienza.

 

«Non preoccuparti, piccolo mio…» disse la Donna, sorridendo «Il momento del tuo pasto arriverà».

 

Improvvisamente, due enormi occhi cominciarono brillare nel buio, due grandi occhi bianco latte.

 

*

 

Dust spense la TV, pensieroso…

Era seduto sulla sua sedia da studio, che ancora fissava assorto lo schermo nero della televisione.

Pensava a tutte le cose strane che gli stavano capitando ultimamente.

Certo, era vero: ultimamente si stava dando da fare con gli allenamenti fisici, ma risultati del genere erano davvero eccessivi.

Quando era uscito di casa pochi giorni prima, si era letteralmente trascinato la porta di casa, o ancora quando aveva letteralmente distrutto l’armadio della sua stanza tirando un cassetto con troppa energia.

Persino una delle ragazze che si era trascinato nel letto aveva avuto da ridire per “troppa foga”.

Qualcosa gli stava accadendo, e non solo riguardante la sua nuova forza.

Quella si sarebbe potuta spiegare dicendo che, per esempio, qualcuno gli metteva steroidi nel cibo di nascosto (eppure non sarebbe comunque stato possibile arrivare a certi livelli).

Ma ciò che riusciva a fare negli ultimi giorni era straordinario. La notte sentiva i Peterson darsi da fare nella loro camera da letto, e la loro stanza era dall’altra parte del quartiere.

O ancora, quando, per esempio, il negoziante gli diceva che il nuovo videogame non era ancora uscito, o quando sua madre gli diceva che gli avrebbe preparato la bistecca per cena, lui lo sentiva, lo percepiva attraverso l’olfatto… l’insopportabile odore di menzogna.

Non aveva la più pallida idea di cosa odorassero le bugia, ma gli bastava odorarlo per sapere che era quello l’odore, e immediatamente dopo ne dimenticava la sensazione.

Non credeva che una cosa del genere fosse possibile.

Cercando di non pensarci, prese la sua rivista di moto e la sfogliò leggermente.

Si fermò ad osservare un’immagine che lo interessava molto. Una yamaha R1 bianca come la neve.

Accidenti se era bella… a Dust sarebbe piaciuto un sacco averne una.

Ma, osservando il prezzo, trasalì.

“105.000 $”

Ottenere quella somma era pura utopia, tanto valeva continuare ad arrangiarsi con la vecchia moto scassata di suo padre.

Però, improvvisamente, gli venne un’idea, un’idea che lo spaventò un po’, ma a quanto pareva non eccessivamente.

Lasciò la rivista voltandosi velocemente verso la scrivania, diretto verso il suo PC portatile.

Entrò in Google, digitò qualche parola e gli comparvero qualche milione di risultati.

Ciccò uno dei primi, aprendo un sito di notizie,

Parlava di un individuo in maschera, che aveva picchiato un uomo nella metropolitana.

Dust osservò i vari Identikit e disegni, guardando il modo in cui era vestito.

Il ragazzo sorrise leggermente.

Carino, ma qualche modifica si poteva apportare…

 

Passarono un paio di giorni.

Leo camminava in strada, con una sacca appesa a tracolla.

La sacca conteneva il suo abito che aveva utilizzato un paio di sere prima.

Aveva deciso di sbarazzarsene, per evitare di cadere in tentazione per farsi un giretto, e di creare altro trambusto.

Mentre camminava per trovare un posto dove gettarlo senza che nessuno vi curiosasse, decise di salire una grande scalinata che si dilungava alla sua sinistra.

Si sedette su uno dei gradini, con la sacca affianco, soprappensiero.

Dove avrebbe potuto nasconderlo…?

Senza cavare un ragno dal buco, dopo qualche minuto si rialzò e riscese gli scalini di quella che aveva scoperto essere la banca della zona.

Mentre scendeva, una figura con un’impermeabile e cappello alla Humprey Bogart gli passò affianco, sbattendogli la spalla.

 

«Oh, mi scusi signore». Disse Leo educatamente.

 

L’individuo si fermò un secondo e disse: «Non si preoccupi, mi scusi lei» ed entrò nella banca.

 

Il biondo pensò che era un individuo decisamente strano.

Intanto, la figura imbacuccata, era entrata nella banca.

Si dirigeva silenziosa come un ombra, invisibile, apparendo come uno dei tanti individui tra la folla.

L’uomo si avvicinò oltre la cassa, dove c’era una cassaforte la cui anta era alta circa due metri, osservandola attentamente.

Improvvisamente, sentì una presa gentile al braccio sinistro.

 

«Mi scusi signore, ma non può sostare qui, la prego di indietreggiare di qualche metro». Era una guardia della banca, vestita come un semplice poliziotto.

 

La guardia fece appena in tempo a completare la frase, che fu scaraventato con una botta potentissima a una decina di metri dalla figura, che si era limitato a colpirlo con un braccio.

In quel momento, molti si allarmarono urlando, e buttandosi a terra, spaventati.

L’uomo si tolse il cappello e con un gesto teatrale si sfilò l’impermeabile.

Era un giovane uomo con meno di vent’anni. Aveva una bandana nera come la pece che gli copriva il volto, ma che lasciava spazio a due pezzi di vetro plastificato che gli consentivano la visuale e una canottiera grigia con alle spalle un’effigie bianca di un muso di lupo. Aveva i guanti e degli stivali dello stesso colore della bandana, e dei pantaloni di pelle color grigio scuro.

Attorno al bacino portava delle catene attorcigliate, che gli circondavano tutto il bacino e la gamba sinistra quasi fino al ginocchio.

 

«Signore e Signori!» cominciò l’individuo mascherato, voltandosi verso la folla con un gesto teatrale «Questa è una rapina! Vi potrà sembrare che io sia disarmato, ma la buona guardia che ha appena fatto un volo da Guinnes dei primati è una decente dimostrazione del fatto che, se volessi, potrei uccidervi tutti a mani nude. Perciò vi consiglio di non irritarmi!»

 

Titti gli individui nella banca erano terrorizzati, si erano tutti gettati per terra. Qualche guardia tentò di colpirlo con le pistole a distanza ravvicinata, ma l’individuo mascherato schivò tutti i colpi con agilità innaturale, per poi afferrare i due vigilanti e mandarli a cozzare vicino al loro collega.

 

«Tu!» Esclamò l’individuo mascherato alla cassiera «Aprimi la cassaforte, dolcezza. Devo fare un “Prelievo”».

 

Una donna di meno di 30 anni lo guardò terrorizzata dicendo: «N-non p-posso, La serratura è a tempo…»

 

L’individuo mascherato si voltò verso la cassaforte, avvicinandovisi.

 

«Ah si? Beh…» Afferrò le maniglie della grande serratura, stringendo i pugni con forza. «IL TEMPO E’ SCADUTO!»

 

I suoi muscoli si gonfiarono molto più di quanto un uomo normale avrebbe mai potuto fare. Mettendo un piede sulla parete, l’individuo mascherato cominciò a tirare con forza, ringhiando dallo sforzo.

Dopo qualche secondo, dalla cassaforte cominciarono a provenire rumori metallici, come il ferro che si piegava, e poi, con un rumore come il un colpo di pistola, il giovane stacco il portellone della cassaforte, e la lanciò alle sue spalle. Tutte le persone nella banca si spostarono di corsa, riuscendo a evitare il portellone.

 

Intanto, fuori dalla banca, Leo era rimasto immobile sui gradini.

Aveva sentito degli spari… cosa stava succedendo là dentro?

Passò qualche secondo, e un enorme portellone che sembrava provenire da una cassaforte, sfondò le vetrate dell’entrata della banca con un rumore assordante.

Il portellone, rimbalzò una volta sugli scalini, e si diresse con una violenza allucinante verso di Leo.

Il giovane si esibì in un movimento quasi istintivo, saltò eseguendo alla perfezione una capriola aerea, schivando il portellone che andò a riversarsi nella strada e piantarsi contro un palazzo di fronte.

Il giovane atterrò nuovamente sul terreno, abilmente.

Si accorse che dalla strada due bambini lo stavano fissando a bocca aperta. Uno di loro reggeva un gelato alla fragola in mano.

 

«Ehm…» cominciò Leo «Scommetto che voi non credevate alla storia degli spinaci, vero?»

 

La palla di gelato si schiantò per terra con un “plopp” ma i due bambino continuarono a non battere ciglio.

Ma ora Leo aveva altro a cui pensare…

 

L’individuo mascherato usciva dalla cassaforte con diversi sacchi colpi di denaro sulle spalle. Potevano essere oltre 300 kg di carta, che lui portava tranquillamente.

 

«Grazie mille per il prestito! Certo che in questa banca sapete proprio cogliere al volo le esigenze del cliente» disse dirigendosi verso l’uscita.

 

In quel momento, da una finestra piombò un altro ragazzo, rotolando sul terreno e riportandosi in piedi con agilità.

Era vestito esattamente come l’individuo in nero, ma la sua bandana era di un rosso fuoco, la canotta azzurra mostrava l’effige di un falco tribale, e portava un paio di semplici Jeans che mostravano una fantasia di lingue di fuoco sotto il ginocchio, più un paio di semplici Converse nere.

 

«Fermo!» disse Leo.

 

Dust si fermò, improvvisamente. Poi si voltò con tutta tranquillità.

 

«Ah… tu devi essere il tizio di cui si parla tanto in televisione».

 

Leo non accettò il cambiamento di discorso.

 

«Restituisci immediatamente il denaro!» esclamò.

 

Il moro, lasciò cadere i soldi per terra, con aria estremamente seria.

 

«Perché non mi fermi…?»

 

Leo non se lo fece ripetere due volte.

Si gettò all’attacco con un rapido e fulmineo attacco, sferrando pugni micidiali contro l’avversario.

Dust parava i colpi con difficoltà, ma comunque riusciva ad evitarli, appena un secondo dopo cominciò ad attaccare lui.

Seguì una veloce raffica di attacchi, parate e schivate con pugni e calci che una persona normale non poteva riuscire a seguire.

Rapidi come saette e potenti come martelli, i due ragazzi non destavano alcun segno di fatica.

Improvvisamente, Dust si lanciò all’indietro, per poi lanciare dal guanto quella che sembrava una sfera d’acciaio uncinata collegata ad un cavo d’acciaio.

Leo la parò agilmente.

 

«Non mi piacciono gli imitatori! Soprattutto quelli che utilizzano le mie tecniche contro di me!»

 

Dust riprese la sfera che ritornò con uno scatto nel suo guanto. «Oh, “Imitare” è una brutta parola. Diciamo che stò: “vigliaccamente abusando della tua immagine”»

 

Il moro afferrò alcuni dei sacchi di denaro, e, saltando verso l’avversario, glieli lanciò contro con violenza.

Leo continuò a schivarli, ascoltando il fruscio violento della carta contro il pavimento che si sfondava leggermente sotto la potenza dei sacchi.

Intanto, Dust aveva indietreggiato verso la finestra, e sorridendo disse: «Ciao!»

 

Saltò fuori dalla finestra, Leo si gettò ad affacciarsi, ma fu inutile, era sparito.

 

*

 

I giorni che seguirono furono pesanti e stressanti sia per Leo che per Dust.

O Meglio dire, per Adler e Jackal. Questi erano i due nomi che la stampa aveva affibbiato ai due. “Adler” ovvero “Aquila” in tedesco. E “Jackal”, ossia “Sciacallo” in inglese.

Adler e Jackal continuavano ad inseguirsi senza esclusione di colpi. Dust elaborava sempre grandi colpi come Banche, Musei e altri edifici grandi e vistosi. Leo gli dava la caccia, riusciva spesso a evitare il furto, ma altre volte non fu decisamente possibile.

La cosa curiosa della faccenda, era che nessuno dei due sapeva chi in realtà fosse l’altro, questo li rendeva amici per la pelle negli orari scolastici, e nemici acerrimi nel resto del giorno, più frequentemente la notte.

La situazione si stava facendo insostenibile, ma nessuno dei due voleva cedere.

La stampa, al contrario, era in completa escandescenza. Ormai da giorni ogni prima pagina era sempre dedicata ai due giovani guerrieri. I giornali si vendevano letteralmente come il pane, tutti volevano sapere il più possibile su quei due fantomatici individui.

Sul Web non si parlava d’altro, Facebook, Forum vari, Siti web, ormai erano completamente afferrati dalla moda dei due.

Gruppi di fan sia di Adler che di Jackal ormai erano sparsi ovunque su Internet, senza che nessuno sapesse chi erano realmente i loro due idoli.

Due settimane dopo la loro prima lotta, Leo stava entrando a scuola, sfinito.

La sera prima aveva inseguito Jackal per tutta la città, alla fine lo aveva perso completamente di vista.

Ogni volta che quel tizio gliela faceva sotto il naso rimaneva irritato per almeno due giorni.

Prima che arrivasse il portone, Leo sentì un potente rombo di motore alle sue spalle.

Si voltò.

Alle sue spalle c’era Dust, a bordo di una bellissima Yamaha R1 bianchissima, con il casco in mano.

 

«Wow! Come cavolo l’hai avuta, Dust!?» esclamò Leo a occhi sbarrati.

 

Dust sorrise soddisfatto. «Non avrei mai pensato di poterlo dire. Ma finalmente comprare quelle cioccolate con i premi in palio è servito a qualcosa!»

 

«Accidenti, che colpo di fortuna! E io pensavo che con quella roba saresti ingrassato come una balena».

 

«A quanto pare no!» Dust ridacchiò leggermente.

 

La giornata di scuola passò noiosa e lenta, come al solito. Dust ripensava a come era riuscito a prendere la moto, rimuginando sul fatto che a Leo non aveva mentito, quelle ciocolate gli erano servite d’avvero.

Dopo aver comprato la moto (che poteva prendere facilmente, essendo maggiorenne) Aveva comprato una di quelle cioccolate, trovando la scritta “provaci ancora!” in lettere adesive.

Era riuscito a staccare le lettere e ha ricombinarne i pezzi per formare la scritta “Hai vinto!” e dopo averla fatta vedere hai suoi, aveva insistito per prendere da solo la moto per “godersela tutto solo” ed era tornato mostrandola in tutta allegria.

Ma i soldi non erano mica finiti tutti, c’e n’erano ancora parecchi da poter comprare altre 5 moto. Ma per il momento non voleva usarli per niente, non avendo altre giustificazioni convincenti verso i due genitori.

Dopo la scuola, Dust montò di nuovo la sua moto, partendo a tutta velocità verso casa.

Ripensandoci, non sapeva se era meglio utilizzare la moto, o saltare sui tetti come faceva di notte. Entrambe le cose lo divertivano un mondo.

Tornato a casa si mise al computer, scrisse “Jackal” sul motore di ricerca e curiosò sui siti dedicati a lui.

Ormai le sue immagini erano famose, foto soprattutto. Ma Dust trovò anche alcuni disegni davvero belli, si sentiva quasi onorato a sapere che molte persone lo consideravano il loro idolo.

Dopo aver chiuso le pagine di internet, ne aprì un’altra su un sito della “Federal Reserve Bank” in cui descriveva la struttura in generale, e qualche accenno al numero di guardie, senza naturalmente specificare i sistemi d’allarme o passaggi secondari ecc…

Non capì perché si stesse interessando di queste cose. Fare un colpo all’”Arsenio Lupin” non era decisamente il suo stile.

Quella sera, Jackal era accucciato sul tetto di un palazzo.

A poca distanza da lui, la Federal Reserve Bank era ancora aperta.

Dust si tuffò.

In volo, lanciò il suo cavo d’acciaio contro un palazzo, che si andò ad agganciare ad un cornicione. Oscillò velocemente verso un palazzo più basso, vi atterrò e non si fermò neppure, continuo a correre.

La banca era sempre più vicina, e Jackal pregò di aver calcolato bene le distanze.

Saltò, come si salta un tuffatore professionista, ma con una spinta innaturalmente orizzontale. Sfondò una finestra della banca, irrompendovi con una veloce capriola.

Terrore generale. Ormai aveva una certa fama.

 

«Devo anche dirvi cosa dovete fare?» disse Dust rivolto alla cassiera.

 

Lei, terrorizzata andò a chiamare il direttore, e il giovane cominciò ad appoggiarsi al bancone con aria annoiata, come se fosse un semplice cliente che attende di essere servito.

Non passarono neanche 10 minuti, che il giovane se ne stava già andando con un paio di borse piene di soldi legate al torace.

Dall’uscio della banca, eseguì un potente salto, dandosi la spinta da un lampione raggiunse un palazzo.

Stava per lanciarsi su un tetto vicino, quando avvertì un colpo su tutta la parte destra del suo corpo, come se qualcuno l’avesse spinto violentemente.

Dust fece un salto di 5 metri, accasciandosi a terra, quando si rialzò, vide a pochi metri da lui Adler, genuflesso.

Il moro sorrise.

 

«Finalmente Adly! Non ti aspettavo più».

 

Il biondo si unì al suo sorriso «Sai com’è… Anche io ho una vita sociale, non passo tutto il mio tempo a farti da balia».

 

Jackal rise di gusto. «Fidati, ne farei volentieri a meno!»

 

Leo non aspettò di certo altri scherni, si gettò sul nemico caricando un potente destro.

Dust parò il colpo incrociando gli avambracci, ed effettuando un rapido sgambetto verso il nemico, che saltò agilmente sopra la sua testa tentando di sferrare un calcio alla nuca.

Il biondo sentì il colpo mancare il bersaglio, e, mentre era ancora in aria, ricevere un violento colpo sullo stomaco, che lo scaraventò ai bordi del palazzo.

Adler si rialzò dolorante.

 

«Però, ti ricordavo più veloce!» esclamò Dust, ridacchiando.

 

Leo non voleva sentire altro.

Si rigettò in carica, sferrando una raffica di pugni micidiali e veloci.

Jackal riusciva comunque a pararli o schivarli senza troppi problemi, ma l’eccessiva concentrazione sugli arti superiori lo distrasse da quelli inferiori.

Sentì una ginocchiata qualche centimetro sotto l’ascella, sulle costole.

Adler, dopo aver immobilizzato il nemico, si esibì in un rapido e potente calcio circolare sul volto del nemico, mandandolo a cozzare per terra.

Il moro si rialzò con un colpo di reni, pulendosi il sangue che aveva alla bocca.

Non disse nulla, preferì aspettare il secondo attacco del biondo.

Detto fatto, Leo si rigettò all’attacco, afferrandolo con forza dal torace, scaraventandolo giù dal palazzo insieme a lui.

Per qualche secondo lottarono sorretti dal nulla, ma a pochi metri dal suolo, entrambi lanciarono i propri cavi su i palazzi opposti.

Si aggrapparono alle finestre, osservandosi a vicenda con odio.

Come guidati da uno stesso pensiero, saltarono l’uno verso l’altro, incontrandosi in volo a metà strada.

Leo sentì un forte colpo di tallone sulla guancia destra, nello stesso punto Dust sentì un pungo scuotergli il cervello nel cranio.

I due caddero sull’asfalto, provocando una leggera deformazione della strada.

Jackal fu il primo a rialzarsi. Degnando il suo nemico di un solo sguardo, si diresse verso un tombino, ne tolse il coperchio, lanciandolo contro Leo.

Il biondo riuscì ad evitare il colpo, sentendo la lastra di ferro che piegava un lampione con un frastuono assordante.

Il moro saltò nel tombino, addentrandosi nelle fogne.

Ma questa volta Adler non lo avrebbe fatto fuggire.

Seguì il suo avversario, entrando in un canale e seguendo i suoi passi in un cunicolo che sembro non essere adatto per essere attraversato da un uomo. Era un largo passaggio attraversato da un unico tubo di ferro, che scendeva in basso come uno scivolo.

 

«Fermati Jackal!» esclamò il moro che, dal profondo del cunicolo, ebbe come risposta: «Mettimi il sale sulla coda!»

 

Il biondo non sopportò oltre, si tuffò nel canale, scivolando con i piedi sul tubo di ferro.

Dopo svariate curve e ritorsioni, il canale terminava con una lunga discesa, alla fine della quale riusciva a vedere una grande sala quadrata, dove Jackal correva raggiungendo un secondo cunicolo.

Arrivato alla fine del tubo, Leo si diede un potente slancio, atterrando sopra il nemico.

Rotolarono per qualche metro, il biondo sentì la maschera che si sfilava…

Quando tutto si fermò, il biondo si pose a gattoni sul terreno.

Alzando la testa, la prima cosa che vide furono due occhi castani dalle sfumature rossastre.

 

«LEO?!»

 

«DUST!?»

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Voglio terminare questo capitolo sperando che vi sia piaciuto, semplicemente U.U

  
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