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Autore: Tartafante    30/10/2005    9 recensioni
Doveva essere il giorno più bello della sua vita, fu l’ultimo giorno.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era una tiepida mattina d’agosto e quel giorno doveva essere il giorno più bello di tutta la sua vita. Valentina, appena quattordicenne, attese quel giorno con impazienza, perché finalmente avrebbe conosciuto il suo amore. Si erano conosciuti alcuni mesi fa grazie ad una Chat, non passò molto tempo dal loro primo incontro virtuale che subito si innamorarono l’una dell’altro. Finalmente quel giorno avrebbe conosciuto di persona il ragazzo che tanto ha amato e che ancora ama. Valentina era sola in casa, i suoi genitori erano in viaggio all’estero e mai avrebbero immaginato ciò che stava per accadere.

D’un tratto suonarono alla porta. Era lui, il ragazzo che Valentina aveva tanto desiderato incontrare. Il cuore le batteva forte nel petto, l’emozione era così forte da impedirle di camminare senza barcollare. Arrivò alla porta a piccoli passi. Aprì. Lui era lì, finalmente era davanti a lei, la guardava negli occhi.

- Ciao, non mi fai entrare? – disse lui sorridendo – Ah, sì ciao! Scusa entra pure... – rispose lei arrossendo in viso. – Vieni, accomodati in sala – disse lei sempre più rossa – Allora, tutto ok? Com’è stato il viaggio? – chiese lei – Tutto bene, grazie. Anche il viaggio è andato bene. – rispose lui – e tu come stai? Ti senti bene? Sei un po’ rossa, non avrai la febbre? – aggiunse, sorridendo. – Chi io? Sì tutto bene, sto bene, non ti preoccupare, sono solo emozionata. – rispose lei con un filo di voce che tradiva tutta la sua timidezza.

- Hai sete? Vuoi bere qualcosa? – chiese lei – Sì grazie, ho proprio sete! – rispose lui, entusiasta. – Non avresti per caso una birra? – aggiunse. – Uhm... birra? – sussurrò lei arricciando il naso – Sì nel frigo c’è la birra di mio papà. Vado a prendertela. – disse lei – Ok, grazie! – rispose lui.

La giornata proseguì così, tra una birra e un’aranciata, tra una chiacchiera e l’altra, tra mille emozioni e momenti teneri.

Giunse il pomeriggio e al pomeriggio seguì la sera. Sul tavolo, tra patatine e salatini, erano rimaste le bottiglie di birra vuote. Troppe forse, ma a questo Valentina non fece caso. L’unica cosa che contava ora per lei era di essere lì, abbracciata stretta all’amore della sua vita.

- Senti – disse lui girandosi verso Valentina – Perché non mi mostri la tua cameretta. – aggiunse con aria eccitata – la... la mia cameretta? – rispose lei con tono preoccupato – Perché vuoi che ti mostro la mia cameretta? – si affrettò a chiedere lei. – Così, volevo vedere dove dormi... – rispose indifferente lui. A quella risposta seguì un forte odore di birra. Solo ora Valentina si accorse che il ragazzo aveva bevuto troppo.

- Ho sete! – tuonò lui – mi porti un’altra birra? – chiese con fare autoritario. – Ehm... mi dispiace sono finite – si affrettò a rispondere lei sperando che ci credesse. – Finite? Sicura? Vai a vedere in frigo, magari c’è n’è ancora una. – ribatte seccato lui – No, sono finite, ho visto prima – rispose preoccupata lei – allora baciami – chiese lui come se fosse un ordine – ma... ma... – balbetto lei, leggermente spaventata.

Un brivido freddo le percorse la schiena. Cominciava a realizzare che forse aveva commesso un grave errore a non dire nulla ai suoi genitori. Forse l’amore della sua vita non era il ragazzo tenero, gentile e romantico che aveva conosciuto in Chat. Forse non lo conosceva abbastanza bene.

- Ho sete!!! – disse quasi urlando lui – Ok, ok vado a prenderti qualcosa – rispose tremando lei. Si alzò dal divano e si diresse verso la cucina. Nello stesso istante si senti afferrare violentemente da dietro. - Ma che f.... –

Non riuscì a finire la frase. Il ragazzo la strinse con violenza e con la mano le chiuse la bocca per evitare che urlasse. Valentina, in preda al panico, cominciò ad agitarsi, a divincolarsi per tentare di liberarsi da quella presa. Più lei si agitava, più lui stringeva e più stringeva più le faceva male.

- Brava, agitati, sì così – disse lui con tono sarcastico – dove pensi di andare, siamo soli, tu e io. -

Quelle parole pesarono come un macigno nel cuore e nella mente di Valentina. Aveva commesso un grave errore a fidarsi di uno sconosciuto. Il ragazzo la strinse così forte da provocarle una fitta di dolore allo stomaco. Lei provo a urlare ma le uscì solo un mugugno. La mano che le impediva di parlare, lentamente si spostò verso il suo piccolo nasino. Non fece in tempo ad accorgersene che già, con il pollice e l’indice, il ragazzo le aveva chiuso il naso, impedendole di respirare.

Valentina spalancò gli occhi. Nei suoi occhi, azzurri come l’oceano, si poteva leggere il terrore puro. Cominciò ad agitarsi, sempre più forte, sbatté i piedi nudi sul pavimento, senti il freddo delle piastrelle in cotto, sotto il palmo dei suoi piedi, salirle lungo il corpo e le forze cominciarono a mancarle. Non poteva respirare e agitandosi così violentemente il suo corpo aveva bruciato in pochi secondi l’ossigeno che aveva nei polmoni. La vista cominciò ad appannarsi, le forze a mancare sempre più, il freddo aumentava, non riusciva più a reggersi in piedi. D’un tratto il buio. Perse i sensi.

Si risvegliò con la stessa sensazione di freddo. Non aveva idea di quanto rimase priva di conoscenza. Provò a muoversi. Appena accennò ad alzarsi senti una forte fitta di dolore provenire dai polsi e dalle caviglie. Urlò ma non ci riuscì. Non si accorse di essere stata legata ad una sedia, mani dietro la schiena e piedi nudi a terra, e di essere stata imbavagliata con del nastro adesivo.

- Buon risveglio, troietta – disse il ragazzo con aria di scherno – questo è quello che accade quando inviti uno sconosciuto a casa - aggiunse ridendo. – Bene... bene... bene... mia cara puttanella – continuò – ti ho chiesto se mi mostravi la tua cameretta, se non ricordo male – disse fissandola negli occhi – ma tu hai rifiutato. Di cosa avevi paura? Pensavi forse che avrei fatto l’amore con te? – chiese certo di non ricevere risposta.

La ragazza, imbavagliata, mugugnava come un povero cagnolino ferito. Tentava in tutti i modi di liberarsi i polsi e le caviglie dalle corde ma ogni tentativo finiva inesorabilmente con una terribile fitta di dolore. Le corde erano state strette di proposito così violentemente, con l’intenzione di provocarle dolore. Ciò nonostante Valentina continuava con i suoi vani tentativi.

- Pensi di poterti liberare? – disse lui – Povera scema, continua a farti del male! – concluse con aria spavalda.

Valentina era terrorizzata, dolorante, temeva di non farcela, temeva di morire. Ogni volta che quel pensiero le attraversava la mente, un brivido freddo le percorreva il corpo. Cominciò a piangere. I suoi dolci occhi si riempirono di lacrime, che scorrevano lungo le sue guance, per poi riunirsi in un'unica grossa goccia sotto il suo piccolo mento, per poi cadere a terra.

- Sì brava la mia puttanella, piangi, si fai bene a piangere, piangi! – urlò lui – pensavi forse che ti amavo? Credevi forse che io potessi amarti? Io amare una puttanella di quattordici anni come te? – continuò – Sei solo una povera illusa!!! – urlò lui a pochi centimetri dal suo viso bagnato dal pianto.

A queste dure parole smise di agitarsi. Non tentò più di liberarsi, quelle parole le avevano tolto tutte le sue forze. Pianse. Pianse singhiozzando col naso per quanto potesse riuscire. Pianse così tanto che rischiò di soffocare. - Oh senti!!! Mi hai rotto il cazzo!!! Piantala di piangere o te ne pentirai!!!! – urlò seccato lui. Valentina, ormai in preda al panico assoluto, pianse ancora più forte. – Fottiti troia!!! Ora te lo do io un motivo per piangere!!! – urlò con rabbia il ragazzo.

L’afferrò dalla sedia e la gettò a terra. Le strappo i vestiti. Rimase nuda. Sentì nuovamente quella sensazione di freddo, la stessa che senti sotto i suoi piedi un attimo prima di svenire, la stessa che sentì appena riprese conoscenza, la stessa che sentiva ora ma estesa a tutto il corpo. Un attimo dopo anche lui era completamente nudo. Si mise a cavalcioni sopra quel piccolo corpo indifeso e cominciò il suo rito. La penetrò violentemente, con una tale forza da provocarle un urlo di dolore che andava ben oltre il solito gemito. Continuò a violare quel corpo innocente, puro, appena quattordicenne.

Valentina si agitava, si dibatteva, sbatteva i piedi sul pavimento gelido, tentava di liberare le mani, sommava al dolore della violenza il dolore che le provocavano le corde che le stringevano polsi e caviglie. Quella violenza assurda e gratuita durò fino a notte, finche ebbe la forza di penetrarla. Le sembrò un tempo eterno, i minuti ore, le ore giorni.

Il ragazzo si fermò, sfinito ma compiaciuto dell’atto che aveva appena compiuto. Finalmente quello strazio era terminato. Lei aveva smesso di piangere, non aveva più lacrime da versare, non aveva più energia per farlo.

- Visto puttanella! Te l’avevo detto che ti avrei fatto smettere di piangere - disse ridendo mentre si asciugava con il braccio il sudore dalla fronte. Si diresse verso i suoi vestiti e se li rimise. Si voltò, guardando il corpo immobile e sanguinante della povera ragazza.

- Ah, scusami non sapevo fossi ancora vergine. – disse fingendo rammarico – beh dai, prima o poi, se non io, ci avrebbe pensato qualcun’altro a sverginarti, cara la mia troietta - aggiunse sorridendo.

Negli occhi spenti della ragazza, alla paura aveva preso posto la vergogna, la tristezza, il rammarico di essersi innamorata di un perfetto sconosciuto. Pensava fosse tutto finito, ma il destino le stava per riservare l’ultima amara sorpresa della sua breve vita.

Il ragazzo sparì dalla sua vista per ricomparire subito dopo. In mano portava il rotolo di nastro adesivo che aveva usato per imbavagliarla. Cosa voleva fare con quel rotolo, pensò Valentina, forse voleva solo sostituire il nastro ormai logoro che le impediva di aprire la bocca.

Si avvicino, le sollevo con una strana delicatezza la testa e cominciò a girarle attorno al viso il rotolo di nastro su quello vecchio. Ad ogni nuovo giro la striscia di nastro saliva, saliva verso il suo naso. Fu in quel istante, quel maledetto istante, che realizzò con lucidità, la stessa lucidità di chi è in punto di morte, che tutto stava per finire solo ora. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro col naso. Un attimo dopo quel nastro le avvolgeva il viso fin sotto agli occhi, stretto con violenza per impedirle di respirare.

- Beh che dire... è stato un vero piacere conoscerti puttanella. Mi dispiace per come sia finita ma credo che mi capirai, non posso lasciarti vivere, mi hai visto in faccia. Addio cara puttanella, addio. – concluse il ragazzo.

Valentina, tentò disperatamente di liberarsi un’ultima volta. Si agitò, si divincolò, non fece più caso alle fitte di dolore lancinante, sbatte più forte che poté i piedi per liberare le caviglie, sfregò violentemente i polsi per liberarsi le mani finche ebbe forza, finche ebbe aria nei polmoni. Fu questione di pochi minuti e l’aria cominciò a finire, le forze le mancarono nuovamente, la vista si annebbio, smise di agitarsi. Doveva assolutamente respirare, aveva bisogno di ossigeno, stava soffocando. In preda alle convulsioni diede due ultimi, forti, colpi sul pavimento con i piedi. Buio. Perse i sensi. Non riprese più conoscenza.

Doveva essere il giorno più bello della sua vita, fu l’ultimo giorno.

  
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