Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: livia    23/09/2010    3 recensioni

Questo è un racconto che può essere definito autobiografico-fantastico, poiché mescola elementi della mia vita reale con altri inventati di sana pianta, e conditi con alcune delle ricette di cucina che amo di più. Non è una fan-fiction, ma si può dire che alcuni personaggi sono una vera "citazione" di altri ben noti, che sono sicura riconoscerete benissimo....
Ciao,
Livia
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

- Ma allora cosa ti metti?
I suoi occhi sono ancora più luccicanti con il sole che le si riflette nelle lenti.
- Ma bastaaaa!!! -, esclamo io spazientita. Accidenti a me e a quando mi sono sentita in vena di confidenze, dovrei aver imparato a conoscerla oramai...
sia andata a letto alle due e mezza passate, mi sono svegliata prestissimo con una fame da lupi e una gran voglia di caffé. La nonna era già in cucina, seduta davanti alla sua tazza fumante ad ascoltare le notizie alla radio. E' un' abitudine che si porta dietro da quando lei e il nonno erano giovani e si alzavano presto perchè lui doveva andare a lavorare nei campi: si sedevano insieme a bere il caffè e ad ascoltare le notizie, e quello era il loro modo per iniziare la giornata insieme, il loro momento di tranquillità prima di venire assorbiti dalle occupazioni della giornata. Anche io me li ricordo così, seduti uno di fronte all'altra al grande tavolo di cucina, con il fumo delle tazze che saliva tra loro: crescendo quell'immagine mi si è cristallizzata nel cuore e nella mente come l'essenza stessa della stabilità, della vita a due.
Al mio ingresso in cucina la nonna ha alzato gli occhi e ho subito notato che aveva le lenti un po' appannate, anche questo un tratto che nella mia personale mitopoiesi affettiva di lei la caratterizza da sempre.
- Le farfalle non ti fanno dormire? -, mi ha chiesto con un sorrisetto malizioso.
In effetti la scorsa notte c'è stato un gran movimento dalle parti del mio stomaco, e non si trattava di farfalle ma di falene, falene di tutti i tipi. Piccole falene che si affacciavano di soppiatto, grandi falene spavalde che si muovevano in gruppi, falene mamme con ali accoglienti come braccia che tenevano falene cucciole con il ciuccio in bocca...
- Be', i peperoni sono pesantucci di sera – ho sorriso, letteralmente gettandomi sulla ciambella al cioccolato.
- Hai un bell'appetito per essere una che ha avuto problemi di digestione -, ha osservato la nonna con sguardo birichino, - O è stata la passeggiata notturna a farteli passare?
- Può darsi -, ho risposto io, rimanendo sul vago, - Ad ogni modo per questa sera cambio ristorante: ho avuto un invito a cena...
Maledetta me e quando gliel'ho detto! Non parla d'altro da allora, tanto che alla fine, esasperata, l'ho caricata sulla mia Michelina e l'ho portata fino a Brignoles a vedere il mercato. La Michelina, al secolo Twingo, si chiama così perché quando l'ho comprata, rigorosamente di seconda mano, aveva un adesivo dell'omino Michelin sullo specchietto del cruscotto e l'ho preso come un segno del destino. Ha un improbabile colore rosso di quelli che non si vedono più tanto in giro, e per questo la mia amica Cecilia mi ha regalato una scritta adesiva che ho subito esibito accanto al suddetto omino: “Da grande diventerò una Ferrari”.
Adesso la cara vecchietta è in contemplazione davanti alla vetrina di un negozio tutto viola che, oltre a centinaia di gadgets tutti rigorosamente alla lavanda – saponi, profumi, creme da bagno – offre anche un notevole assortimento di abitini provenzali, tutti tanto fioriti da sembrare una distesa di prati in primavera.
- Quello, Livià! -, esclama eccitata come una bambina davanti a un'esposizione di giocattoli, mentre con l'indice punta verso un vestitino azzurro costellato di minuscoli fiorellini bianchi, - Guarda come ti starebbe quello!
Come risposta mi limito a grugnire, cercando con lo sguardo un internet point.
- Ti riprende il colore degli occhi...E che dire di quello, Livià? -, continua lei in estasi, - Guarda, guarda il modello....
Io la prendo per un braccio e la trascino per qualche metro, come se fossi la mamma di un bambino che fa i capricci.
- Insomma! -sbotto, - Sembra che tu debba comprarmi l'abito da sposa! Piuttosto muoviamoci, che devo spedire il lavoro a Giampaolo....e per chiarirsi una volta per tutte, i fiorellini mi intristiscono, per non parlare di quello stile impero o come cavolo si chiama: una sembra sempre incinta...
La nonna ride di gusto, poi mi guarda con gli occhi che sono due fessurine sopra alle guance.
- Be', confesso che non mi dispiacerebbe affatto avere tanti nipotini con gli occhi color...
- Sì, certo! -, la interrompo io secca, prima che possa avere il tempo di dire il colore, - E magari il padre con la pancetta, eh?!
- Mon Dieu, no, che orrore! - esclama lei, con un'espressione che rasenta lo schifo, - Quello non te lo auguro davvero. Nonno Armand ha sempre avuto un fisico longilineo e...
- Nonno Armand non mangiava quanto mangia lui -, osservo io.
- Ma di chi stai parlando, bébé?
La voce della nonna è tutta un programma.
- Di nessuno, di nessuno –, taglio corto io, - Era così per dire....gli uomini di oggi mangiano di più e fanno meno movimento, e allora mettono su la pancetta...
- Ah, mi pareva... -, commenta lei con la voce che stuzzica, - Piuttosto, Livià, dopo pranzo dovresti dormire un po': hai due calamari neri sotto gli occhi che fanno spavento...e poi, mica vorrai crollare sul divano del commissaire, eh?!
Molto simpatico davvero, penso. Comunque la nonna ha ragione: crollo dal sonno per via della nottata quasi bianca, e mi riesce difficile persino la guida della Michelina sulla strada del ritorno. In più, la nonnina non la smette un momento di parlare e questo mi impedisce ulteriormente la concentrazione. Per sfuggire alla sua logorrea, appena arrivate decido di arraffare due pesche e di rifugiarmi in camera con il pretesto di dover assolutamente terminare un capitolo da spedire a Giampaolo, e trascorro quasi tutto il pomeriggio davanti al pc senza scrivere neanche una parola. Ogni mezz'ora mi alzo per prendere il cellulare, decisa a comporre il numero del commissaire per sfissare l'appuntamento, ma alla fine, dopo mille ripensamenti, mi ritrovo davanti alla sua porta all'ora stabilita, con addosso i miei jeans migliori, gli unici non comprati a saldo, e una maglietta bianca di Zara.
In mano ho un cestino di vimini con cinque vasetti di marmellata che la nonna ha insistito per affibbiarmi e che mi fa sentire una vera e propria deficiente: davvero non mi manca che la mantellina rossa...
Prima di suonare decido di dare un'occhiata in giro per esplorare la tana, cioè la casa, del commissaire senza di lui. Accanto alla porta, sotto la tettoia, c'è una poltrona di legno piuttosto male in arnese con i cuscini polverosi e alquanto sfilacciati, e ai piedi di questa fa bella mostra di sé una grossa tazza da caffellatte piena zeppa di cicche e cenere. Se questa fosse casa mia, mi ritrovo a pensare, sai che volo che farebbe tutta questa roba...decido di suonare per evitare di dovermi dare un altro schiaffo mentale alla guancia destra.
Da quando sono piccola sento mia madre dire che gli uomini hanno bisogno di un angolo dove farsi la propria cuccia, un luogo della casa un po' sporco e disordinato che possano sentire soltanto loro...be', questa poltrona mi sembra la riprova perfetta. Dietro c'è anche una massiccia collezione di quotidiani impilati uno sull'altro, e sono sicura che se andassi a leggere le date ne troverei alcuni risalenti a De Gaulle se non addirittura alla presa della Bastiglia, tanto sono vecchi e polverosi. E, naturalmente, a completare il delizioso quadretto domestico non mancano due lattine e tre bottiglie vuote, nonché un bicchiere appiccicoso.
Meraviglioso, penso, e abbandono il ridicolo cestino sulla sedia per piegarmi in avanti e contare le cicche. In quel preciso istante la porta si apre e il commissaire può usufruire della vista del mio sedere. Balzo in piedi come un soldato sull'attenti.
- Ciao... -, balbetto, - Io stavo....
- Ciao, Livia -, mi saluta, e noto che si sta sforzando di trattenere una risata, - Entri?
Si fa da parte per lasciarmi passare e mi accorgo che ha la camicia abbottonata solo per metà.
- Scusami se ti ho fatto aspettare, ma ero appena uscito dalla doccia e ci ho messo un bel po' a trovare una camicia, oramai mi sono abituato alle T-shirt....Comunque, è già pronto.
- Guarda che avresti potuto tranquillamente rimanere in maglietta -, gli dico in tono incoraggiante, indicando la mia. O anche senza, penso, a giudicare da quello che riesco a sbirciare dai bottoni non ancora allacciati.
Mi fa strada nella cucina apparecchiata con tovagliette all'americana.
Nessuna formalità, siamo d'accordo? - mi dice sorridendo.
- Nessuna formalità – gli ripeto io ridendo, e faccio per sedermi. Lui, però, mi anticipa di un passo e mi sposta la sedia.....Mi sposta la sedia???? Filippo entrava sempre nei locali prima di me, e poco ci mancava che non mi lasciasse sbattere in faccia le porte basculanti!!
-Vino? -, mi chiede con voce gentile, dopo essersi seduto di fronte a me. Io annuisco, ancora arrossata per il lieve imbarazzo che mi ha causato la sua accortezza di un attimo fa, e lui mi riempie il bicchiere con un gesto elegante. E io che lo avevo definito un bifolco, un buzzurro, uno zotico...!
- Chateau de Berne -, spiega, prima di avvicinare il suo bicchiere al mio, - Santé...
Il primo sorso mi arriva subito alla testa, ciononostante vuoto il bicchiere vedendo che lui fa lo stesso con molta disinvoltura, e immediatamente mi sento lo stomaco in subbuglio. Per forza, imbecille, mi dico: hai pranzato con due pesche, sarà bene che ti sbrighi a mangiare qualcosa!
- Il profumo è delizioso – osservo simulando una certa agilità, nel tentativo di accelerare i tempi. Lui però mi riempie nuovamente il bicchiere, e allora decido di prendere tempo prima di bere mentre lui attacca tranquillamente anche la sua seconda dose.
- Non è di questa vigna, vero? -, esordisco indicando la bottiglia. Cretina: mi ha appena spiegato di che vino si tratta.
- No -, ride lui scuotendo la testa con espressione desolata, e io per sfuggire all'imbarazzo vuoto il bicchiere. Fine del tentativo di conversazione, e forse anche della mia lucidità. Per fortuna lui si alza e mette in tavola un grande piatto di porcellana bianca, anche questo un po' rabberciato come la teiera che ho visto la prime volta che ci siamo incontrati.
- Filetto -, osservo.
- Filetto con le spezie–, mi corregge lui mentre mi serve una porzione piuttosto abbondante
E' piuttosto facile -, mi spiega ,- L'importante è lasciare il filetto per una notte intera con l'olio, l'aceto e una marea di spezie: la noce moscata, i grani di pepe, il timo, le foglie di alloro e persino la cipolla steccata con i chiodi di garofano....
Io lo ascolto senza interrompere, annuendo in silenzio e approfittando per mangiare e risistemarmi lo stomaco.
- Il giorno dopo lo passi sul fornello, ma deve rimanere al sangue – continua, - poi lo togli dal fuoco e aggiungi la panna al sugo di cottura, sali e fai addensare un po'...tutto qua.
- E' buonissimo – dico io, che intanto ho divorato l'intero piatto e mi sento decisamente meglio, - Dove hai imparato a cucinare?
Lui scoppia a ridere. - In realtà questa è l'unica cosa che so fare! -, esclama, e intanto allunga una mano per aprire il frigorifero dove fanno bella mostra di sé una serie massiccia di cibi preconfezionati, - Per il resto campo di schifezze, tranne quando mi invita a cena la mia vicina...
Ride di nuovo, guardandomi di sbieco, e io mi sento arrossire fino alla radice dei capelli.
- Be'...questo comunque è buono – abbozzo, indicando il piatto al centro della tavola.
Lui mi rivolge un'occhiata devastante e mi afferra la mano, stringendola con forza. Oddio, mi dico. Oddio, Livia.
- Già...- , mormora con la voce arrochita, - Un gran bel pezzo di filetto, vero, tesoro??
- Eeeeehhh?! - quasi grido io, improvvisamente pallida, poi viola, poi sudata, con la mia mano che si fa appiccicosa e al tempo stesso gelida dentro la morsa della sua.
Lui si versa un bicchiere di vino con la mano libera, e beve senza staccarmi gli occhi di dosso; sulla sua faccia si fa strada una reazione sospesa tra lo stupore e il riso, e lo vedo trattenere il fiato per qualche secondo, finché esplode in una risata e il vino gli esce di bocca in una specie di frenetica cascata che investe ogni cosa, piatti, bicchieri, tovagliette e la sottoscritta con la maglietta bianca di Zara.
- Oddio, mi dispiace... -, si scusa mentre ride, e ride ancora mentre si pulisce la faccia con il tovagliolo; poi si ferma un attimo a guardarmi, trattiene il fiato per un istante e finisce per scoppiare di nuovo a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
E' che....- a malapena gli escono le parole da quanto ride - Insomma, l'avrai capito anche tu che questo è ciò che si sta immaginando la tua nonnina, no?!
Che stronzo. Non solo mi ha completamente inzuppata e puzzo di vino più di un vecchio barbone alcolizzato, ma ride a crepapelle e non accenna a smettere. E' così divertente avermi sputato addosso un quartino di Chateau de Berne?
- Davvero, non sono riuscito a trattenermi-, quasi singhiozza, mentre allunga la mano per asciugarmi la faccia con un angolo del suo tovagliolo e fa cadere tutte le posate e un bicchiere che si frantuma a terra senza che lui riesca a contenersi. E a questo punto scoppio a ridere anch'io, perchè ha una risata sana e contagiosa, e perché scopro che con lui rido volentieri, è liberatorio, è...appagante.
Rido così tanto che sento i polmoni che mi fanno male, rido come se fosse la prima volta in tutta la mia vita che lo faccio.
Ridiamo finché non ce la facciamo più, e allora piano piano ritorniamo presenti a noi stessi e ci calmiamo. Il commissaire estrae dalla tasca le Gauloises e fa per accedersene una, ma io lo fermo con una mano, forte della nuova complicità che si è creata tra noi.
- Dai ,- incalzo, - fuori è pieno di cenere....
Prima di rispondermi lui mi guarda per qualche istante con la sigaretta spenta a mezz'aria, e io comprendo che la conversazione potrebbe cambiare radicalmente di tono.
- Smetterò di sicuro -, mi dice, - ma mi ci vuole ancora un pochino...
Fa un'altra pausa, durante la quale si accende la sigaretta e io lo lascio fare.
- Mi sono beccato un proiettile in pancia, un paio di anni fa. Siamo stati colti di sorpresa e non eravamo preparati.
Lo dice d'un fiato, ma al tempo stesso con una naturalezza estrema, come se fosse una cosa che può accadere tutti i giorni come non rispettare una precedenza o essere tamponati.
- Quando mi sono svegliato, ho saputo che i miei due amici più cari erano rimasti uccisi: lei era il mio superiore, e lui...definirlo amico è troppo poco. Non ne ho voluto più sapere di Parigi e mi sono fatto trasferire: sono stato un anno a Marsiglia, ma ho fatto più danni della grandine...
Sorride, e intanto si porta l'indice e il medio alla fronte.
-La testa, sai....semplicemente arriva un momento in cui si rifiuta di fare certe cose. E così eccomi qua...chissà cosa ti eri immaginata, eh?!
Mi strizza l'occhio, e io mi chiedo come possa parlare di tutto questo e continuare a sorridere. Osservandolo bene, però, vedo che una piega amara all'angolo della bocca e intuisco che quella calma che ostenta è il risultato di un grosso lavoro interiore.
Ora va piuttosto bene -, continua, e quell' “ora” mi dice molte cose su un “prima” che deve essere stato tutt'altro che piuttosto bene, - Certo, fumo ancora un po' troppo, e non sempre mi riesce dormire...
Sorride ancora, come se stesse raccontando di essere uscito da una brutta influenza e di avere ancora il raffreddore.
- Il vantaggio è che in certi periodi dell'anno posso vedere la nebbia che si alza sui vigneti all'alba, e ti assicuro che è uno spettacolo...magari una mattina ti ci porto se riesci a buttarti giù dal letto, eh?
A questo punto avrei voglia di abbracciarlo, e di abbracciarlo forte. Ma mi viene in mente che potrebbe suonare troppo sdolcinato, o troppo scontato e quindi non del tutto sincero, e allora decido di fare un'altra cosa: mi sollevo un po' e lo bacio sulla fronte. Niente di erotico o provocante, solo un bacio amichevole, rassicurante, incoraggiante.
Lui rimane immobile per qualche istante...è una mia impressione o quel bacio se l'è gustato?
- Vieni, Cappuccetto Rosso -, mi sorride poi alzandosi in piedi e prendendomi per mano, - Ti riporto dalla nonna....
Ma prima di dirlo mi sfiora le labbra con le sue, e il sapore che sento, un misto di Chateau de Berne, noce moscata e un soffio di malinconia, mi piace: mi piace davvero.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: livia