Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: JoJo    23/09/2010    5 recensioni
Non c'è niente di peggio che vedere la propria vita rubata, pezzo dopo pezzo. Sapere che qualcuno osserva tutto ciò che fai, che punta costantemente i suoi occhi malati osservando ogni minimo particolare. La sua ossessione si trasmette anche alla sua vittima, e gli agenti del BAU questo non possono permetterlo.
Genere: Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
provv

Se vuoi liberarti da ogni preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi e, qualunque sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta attentamente la tua paura: sicuramente ti renderai conto che il male temuto o non è grave o non durerà a lungo.

- Seneca


Casa di Spencer Reid. Washington, DC.

Aaron Hotcher lanciò un'occhiata veloce al proprio orologio da polso.
Di solito a quell'ora si trovava già in ufficio, perciò gli sembrava strano essere lì, in quel momento. Senza contare, poi, il fatto che si trovava fuori dall'appartamento di uno dei suoi sottoposti che era rimasto inevitabilmente coinvolto da quel nuovo ed inaspettato caso. In effetti, in tutta quella situazione che vedeva la ragazza di Reid, Alaska, invischiata con uno stalker particolarmente impegnato ad attentare alla sua vita c'era poco di chiaro o di normale.
Sentì spalancare la porta di scatto e si ritrovò davanti Alaska in persona, che gli sorrideva gentilmente.
“Ciao Aaron!” lo salutò allegra. Era già vestita e pettinata, pronta per uscire, e la cosa lo stupì leggermente. Non aveva mai pensato che fosse una persona mattiniera.
Entrò in casa velocemente e non potè impedirsi di lanciarle uno sguardo severo.
“Avresti dovuto lasciare venire Reid ad aprire.- la ammonì richiudendosi la porta alle spalle- E, inoltre, devi verificare l'identità di chi suona, prima.”
“Ho guardato dallo spioncino.” disse velocemente la ragazza, dopo essersi mordicchiata il labbro inferiore.
Aaron alzò le sopracciglia, lanciandogli un'occhiata significativa “Questa è una bugia.”
“Come hai fatto a scoprirlo?” domandò Alaska, sbuffando divertita.
“Primo, faccio questo lavoro da un sacco di tempo, secondo, sono stato un avvocato e terzo, ho un bambino che ha appena iniziato le elementari. Direi che non avevi chances di non essere scoperta.-elencò l'uomo, alzando un dito ad ogni punto dell'elenco- Reid dov'è?”
Ross le fece cenno di seguirla in salotto e poi lanciò uno sguardo al corridoio “Sarà qui fra un attimo. Si stava ancora preparando.”
Come richiamato da quell'affermazione, Spencer uscì di corsa da una stanza, una mano ancora alzata sulla propria cravatta stretta che stava sistemando all'interno del gilet di maglia. Quando riconobbe la figura di Hotch nel proprio salotto si fermò, lanciando lo stesso sguardo di disapprovazione alla propria ragazza.
“Al!- la richiamò- Ti avevo detto di aspettare e lasciar andare me ad aprire.”
Alaska fece roteare gli occhi chiari “Lo so, lo so. Ma non credete di stare esagerando?C'è una pattuglia qua sotto e sono certa che non farebbero entrare nessuno di sospetto.”
Reid borbottò un “Sì, certo.” e tornò a fissare intensamente il proprio capo che non sembrava intenzionato a parlare. La ragazza guardò prima uno poi l'altro, aspettando che qualcuno dei due iniziasse a parlare, ma nessuno lo fece e nel salotto calò uno strano e pesante silenzio.
Era un silenzio particolare, carico d'aspettativa, e sembrava chiaro che i due profiler avessero voglia di interromperlo il prima possibile. Anzi, continuavano a lanciarsi delle occhiate allusive e sembrava davvero che avessero bisogno di parlare, da soli possibilmente.
“Al, credi di potere...” iniziò a chiedere Spencer, ma lei parlò nello stesso istante.
“Io credo che andrò un po' in cucina a fare colazione e guardare l'ultima puntata di Spongebob.” annunciò, saltellando nella stanza attigua dopo aver fatto sventolare la mano a mo' di saluto.
Hotch la seguì con lo sguardo finchè non sparì nella porta che dava alla cucina e poi posò i propri occhi scuri su Spencer.
“Immagino che ieri avrai notato la peculiarità della foto che è stata ritrovata nel cadavere avvelenato.- iniziò a dire, sedendosi sul divano su invito di Reid- I ricalchi e le scritte sono più che dei semplici avvertimenti o i pensieri di uno stalker qualsiasi. L'SI sembra conoscere Alaska.”
Il ragazzo annuì debolmente, lasciandosi scivolare sulla poltrona “Lo so.”
“E sembra che ci sia qualcosa nel suo passato che è per lui il fattore scatenante dell'ossessione nei suoi confronti.” continuò Hotch, serio.
Reid fece dondolare di nuovo la testa, in segno affermativo.
“Quello che voglio sapere ora, Reid- disse di nuovo Aaron, guardandolo intensamente- è se posso contare sulla tua presenza nella squadra.”
Il giovane genio alzò la testa di scatto, stupito da quell'affermazione “Certo che puoi.”
“Reid, questo caso ti tocca molto da vicino. Scaveremo nel passato di Alaska, dovremo comportarci come se fosse una vittima qualsiasi, indagare come faremmo con qualsiasi altra sconosciuta. So che questo potrebbe non risultarti facile...”
Spencer deglutì, la gola improvvisamente secca “Io posso farcela. Voglio fare tutto quello che posso per far finire questa storia al più presto.”
Hotch annuì “So che lo farai. Ma devi ricordarti che per aiutarla devi essere un profiler soprattutto, e non il suo ragazzo.”
Il giovane genio si mosse agitato sulla poltrona “Alaska ha già vissuto una situazione del genere.- gli ricordò, dopo essersi passato stancamente una mano sugli occhi- Io...io voglio soltanto che lei non soffra più del dovuto. Sai, che...che non gli torni in mente quello che ha già passato.”
“Nessuno di noi lo vuole, Reid- lo rassicurò Hotch, capendo le sue preoccupazioni- Ma l'uomo che la perseguita è già riuscito ad avvicinarsi troppo al suo obiettivo. Dobbiamo trovarlo in fretta e per farlo non possiamo trascurare nessun elemento.”
“Certo, capisco.” borbottò Spencer, torturandosi le mani.
Aaron gli rivolse un mezzo sorriso “Andrà bene, vedrai.”
Il suono dei tacchi di Ross sul parquet fece voltare i due uomini nella direzione da cui stava arrivando, sorridente e tranquilla.
“Avete deciso che cosa posso sapere o devo guardare anche la pubblicità della batteria di pentole?” domandò la ragazza con tono frizzante, avvicinandosi per porgere a ognuno dei due una tazza piena di caffè fumante.
Hotch le rivolse un mezzo sorriso mentre la ringraziava e poi iniziò a parlare “Siediti, Alaska.- la invitò, additando la poltrona che Spencer aveva liberato per andarsi a sedere di fianco a lui- Vorremmo farti qualche domanda.”
L'antropologa rivolse ad entrambi un'occhiata intensa, uno sprizzo di curiosità in fondo ai suoi occhi color cielo, ma fece quanto le era stato detto.
“Ma certo.- concordò, accavallando le gambe e appoggiando i gomiti ai braccioli imbottiti- A che proposito?”
Reid si schiarì la voce prima di parlare “Dalla prima analisi che abbiamo potuto effettuare sulla foto che è stata ritrovata nel cadavere scheletrizzato abbiamo estratto alcuni elementi che...”
Si interruppe per qualche secondo, cercando di focalizzarsi su qualcosa che non fosse lo sguardo interessato e carico d'aspettativa della ragazza che aveva di fronte.
“...che ci farebbero pensare che l'SI sia qualcuno che ti conosce, probabilmente una persona del tuo passato che ti ritiene responsabile di qualcosa che gli ha cambiato e peggiorato la vita.”
Alaska ripensò alla foto incriminata e nella sua mente comparve, ingombrante e minacciosa, la parola assassina, scritta a chiare lettere di fianco alla propria immagine.
“Io non ho mai ucciso nessuno.” dichiarò, cercando di scagionarsi da quell'accusa guardando i due uomini che aveva di fronte con sguardo sincero.
“Questo lo sappiamo, Alaska.- la rassicurò Aaron- Quello che Reid voleva dire è che l'SI ti vede come un transfert su cui far ricadere tutte le sue esperienze negative del passato e...”
Ross agitò i palmi, interrompendolo “Un momento, per favore. Non fate i profiler con me, io mi occupo di ossa e tessuti e eventi causa/effetto scientificamente dimostrabili; ho passato l'esame di psicologia per un soffio quindi se poteste parlarmi senza usare termini troppo freudiani vi sarei estremamente grata.”
Spencer le sorrise, come al solito vinto dalla sua sincerità, e si affrettò a riformulare la frase appena pronunciata dal suo capo “Il soggetto che stiamo cercando sta dando a te la colpa di quello che non va nella sua vita. Si ricorda di te per un particolare evento del passato, che lui considera la causa di tutto ciò che di male gli è capitato in seguito.”
“Ti ha chiamato assassina perchè, probabilmente, ti ritiene responsabile indirettamente della morte di qualcuno che gli era caro.” concluse Hotch, scrutandola intensamente per indagarne le reazioni.
Alaska si mordicchiò il labbro inferiore, lo sguardo basso “Beh, mi dispiace, io non volevo...”
“Al, ti prego!Nessuno ti sta accusando o dando ragione a quel tizio.” sbottò Spencer, sporgendosi in avanti da dove era seduto per avvicinarsi di più a lei.
L'antropologa annuì “Lo so, solo che mi dispiace. Voglio dire, se davvero è rimasto così negativamente colpito da qualcosa che posso avere fatto...Io ho sempre cercato di non fare nulla che...”
Hotch la interruppe immediatamente, cercando di farle perdere il filo di quel ragionamento che la stava portando a un senso di colpa non necessario “Probabilmente si tratta di una cosa di poco conto, che la maggior parte delle persone avrebbe considerato quasi normale.”
“Quindi cosa...” iniziò a domandare, le sopracciglia aggrottate.
“Devi darci i nomi delle persone che possono essere arrabbiate con te per qualsiasi motivo, anche poco importante.” le spiegò Reid, allungandosi verso di lei per strizzarle leggermente la mano in un gesto incoraggiante.
Lo sguardo limpido di Alaska incontrò gli occhi scuri di Hotch, che annuì come per spronarla, e poi si spostarono su un angolo imprecisato all'incrocio della parete del soffitto. In realtà non stava guardando il colore scialbo e desideroso di essere tinteggiato a fresco, ma un punto indefinito nella propria mente alla ricerca, nel proprio passato, di qualsiasi elemento che potesse essere utile ai profiler.
“Beh...- cominciò a parlare titubante, dopo diversi minuti di riflessione- ad esempio io sono stata ammessa al tirocinio al laboratorio di antropologia forense di Stein grazie a una borsa di studio.”
“Unica?” domandò Hotch interessato, raddrizzandosi sul divano.
“Già.- confermò Alaska annuendo- Davon accettava solo chi riusciva ad ottenerla: selezionava personalmente gli studenti e creava un concorso per la borsa di studio fra quelli che riteneva più preparati nelle materie scientifiche.”
Reid strinse le labbra: poteva essere quello che stavano cercando “Quanti erano quelli che non sono stati ammessi?”
“Cinque.- rispose immediatamente la ragazza- Ma credo che a voi interessi un solo nome. Carl Scott era solo un punto sotto di me nella classifica e ha impiegato davvero molto nel progetto di ricerca per l'ammissione...”
“Direi che chiederemo a Garcia di far partire un controllo su questo Scott, quindi.- la interruppe Hotch- Vorremmo sapere anche delle tue relazioni passate. Persone che ti erano particolarmente vicine ma con cui hai tagliato i ponti.”
Alaska inclinò la testa, confusa “Io mi sono trasferita spesso, prima d'ora, e alcune amicizie non sono più come erano prima...Devo dirvi tutti i loro nomi?”
Spencer si schiarì la voce, imbarazzato “Credo che Hotch intendesse le persone con cui avevi un legame più forte. Intimo, diciamo.”
“Con chi ho avuto degli intercorsi sessuali, quindi?” chiarificò Ross, per niente imbarazzata dall'argomento.
Reid iniziò a tossire convulsamente, dopo essersi ingozzato con la propria stessa saliva, e Hotch si limitò ad annuire.
“Ho avuto due sole relazioni prima di quella con Spencer.- spiegò stringendosi nelle spalle- Una durante il liceo, con un ragazzo della mia scuola di un anno più grande, si chiama Walt Morrison e ci siamo lasciati dopo qualche mese che mi ero trasferita in California per frequentare il college e poi sono stata per tre anni con Gael O'Neil, poi mi sono trasferita di nuovo e abbiamo preso strade diverse e...”
“Sono state separazioni consensuali oppure sei stata tu a lasciare loro?” si informò Hotchner.
“Sono stata io.” rispose, confusa dalla domanda.
L'uomo scambiò uno sguardo con Reid “Faremo un controllo anche su di loro.”
“Nessuno di loro due farebbe mai una cosa simile.- protestò immediatamente l'antropologa, incredula- Siamo rimasti amici, ci scriviamo ogni Natale e ai compleanni!”
“Alaska è solo una verifica.” sospirò Spencer, che aveva capito dove stava portando quel discorso.
“Walt...Walt è un pompiere!- rincarò la dose, iniziando a gesticolare animatamente- E Gael è troppo impegnato a salvare le tartarughe d'acqua per poter anche solo avere il tempo di immaginare una cosa del genere.”
“Perfetto.- disse Hotch dopo che la ragazza ebbe concluso- Allora non sarà un problema se facciamo un piccolo controllo, no?”
“D'accordo.-sbottò, esausta, lasciandosi sprofondare in poltrona- Vado a prendervi un'altra tazza di caffè.”
Non fece in tempo di finire a pronunciare quella frase che era già schizzata in piedi, pronta a sparire nella porta che dava alla cucina.
Reid fece l'atto di alzarsi, per seguirla e calmarla, ma Hotch scosse la testa nella sua direzione.
“Aspetta. Forse è meglio che le parli io.”
Il ragazzo si fece ricadere seduto sul divano, mentre il suo capo camminava con passo fermo fino alla stanza attigua. Non era certo di come sarebbe andata la conversazione fra i due.
Aaron entrò in cucina di soli pochi passi, trovando la giovane antropologa a riempire di caffè le loro tazze, proprio come aveva detto.
“Va tutto bene, Alaska?- domandò, attirando la sua attenzione su di sè- Non era nostra intenzione turbarti, prima. Stiamo solo cercando di fare il nostro lavoro.”
“No, non fa niente, non sono arrabbiata.- assicurò Ross voltandosi verso di lui, agitando una mano come per scacciare quel pensiero- È solo che...io li conosco da così tanto tempo e sono miei amici e...Insomma, questo non è il mio mondo, Aaron. Io non riesco a credere, nemmeno a immaginare, che possiate pensare che loro potrebbero essere implicati in questa storia.”
Sul volto di Hotchner spuntò un mezzo sorriso “E' per questo che tu sei un'antropologa e non una profiler.”
Alaska sorrise ampiamente “Giusto.”
“Senti, Alaska, so che tu vuoi fidarti delle persone e vedi solo il loro lato buono, ma noi dobbiamo controllare.- continuò a parlare l'uomo, incrociando le braccia- Questo non è uno scherzo, lo sai, vero?”
Lei fece roteare gli occhi, ma alla fine annuì “Credo di essermene accorta quando mi sono ritrovata in un letto di ospedale.”
“Non ti accadrà più niente del genere- le assicurò immediatamente il profiler, che aveva sentito tremare leggermente la voce di lei, già sottile di per sè- ma devi avere pazienza, collaborare pienamente con noi e fidarti.”
Alaska lo fissò intensamente, per poi portare lo sguardo verso l'uscio, dove Spencer aspettava la fine della conversazione. Lo guardò passarsi una mano fra i capelli, che aveva tagliato leggermente, e non potè impedire a un sorriso lieve di salirle alle labbra.
“Fiducia accordata.- sentenziò, puntando i suoi vivaci occhi cerulei su Hotch- In rotta per Quantico?”

Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Durante il viaggio per Quantico Hotch e Reid avevano parlato poco e avevano lasciato che Alaska ciarlasse con loro del più e del meno, per assicurarsi che fosse più rilassata una volta arrivati alla sede dell'FBI. Aveva anche chiamato suo padre per rimandare la visita che aveva in programma per quei giorni ad un'altra data da destinarsi, e sembrava davvero che non ci fosse più nulla a turbarla dopo che aveva chiuso la conversazione con il genitore.
Eppure, mentre seguivano Hotch fuori dall'ascensore verso l'open space del BAU, Spencer non potè impedirsi di scrutare la propria ragazza, che camminava in fianco a lui, alla ricerca di qualsiasi segno di cedimento. Non gli parve di trovarne alcuno ma, quando stavano per entrare nella sala conferenze dove tutti gli altri li stavano aspettando, si sentì trattenere a qualche passo dalla porta.
Alaska avvolse le proprie dita attorno a quelle di Reid, che sobbalzò a causa di quel contatto improvviso e inaspettato. Quando si voltò verso di lei, la trovò con la testa leggermente inclinata, come se stesse per sussurrargli un segreto.
“Mi sento strana a...uhm...- fece una pausa, per cercare meglio le parole per spiegarsi- stare dalla parte opposta. Non che io sia mai stata dalla vostra, ma...”
Sul volto di Spencer comparve un sorriso, mentre lasciava un bacio leggero e veloce sui capelli scuri della ragazza. “Andrà tutto bene.” le assicurò, cercando di entrare nel ruolo di protettore. Gli sembrava strano doverlo fare, in quel momento: sapeva di aver passato gran parte della propria infanzia e adolescenza ad occuparsi della madre malata e, quindi, di essere in grado di prendersi cura e proteggere una persona cara. Con lei lo aveva fatto, inconsciamente, dopo pochissimi giorni dal loro primo incontro, eppure in quel momento gli sembrava decisamente impossibile. Alaska non avrebbe mai dovuto avere bisogno della sua protezione, non in quel modo.
“Lo so. Solo che, mi domandavo: è davvero necessario tutto questo?” fece un ampio gesto della mano, per indicare la stanza di fronte a loro.
Sul tavolo c'erano già i fascicoli di Carl Scott, Walt, Gael e di quello studente di cui aveva parlato a Morgan e Reid. Alla parete era già appesa una cartina della città, in attesa che venisse predisposto un profilo geografico. Alaska contò mentalmente il team dei profiler, cui aggiunse poi Garcia, Nate, Gordon e quei quattro agenti che si davano il cambio per farle da scorta ventiquattr'ore al giorno. Erano quasi una dozzina di agenti speciali dell'FBI, qualificati, competenti e molto richiesti che si stavano occupando in massa del suo caso. La cosa la faceva sentire decisamente più sicura, ma le creava anche parecchie domande.
Reid le rivolse un'occhiata inquisitoria “Che cosa intendi?”
“Il benessere di molti è più importante di quello di pochi, ricordi?E' una frase di Star Wars.” gli ricordò
“Star Trek.” la corresse immediatamente il giovane profiler.
“Il concetto resta lo stesso, Spencer.- sospirò Ross, puntandogli addosso i suoi grandi occhi chiari- Ho visto l'ufficio di JJ: ci sono pile di casi che aspettano di essere presi in considerazione da voi e ora vi state occupando di questo caso in sei tralasciando altre persone che avrebbero più bisogno di voi. Persone che sono là fuori, senza una scorta, in balia di pazzi a cui la polizia da sola non riesce a stare dietro e...”
“Alaska, smettila immediatamente, per favore.- la bloccò Spencer, voltandosi verso il resto del team che continuava a lavorare nella stanza, ignaro di quella conversazione- Ci occuperemo del tuo caso. Punto.”
L'antropologa gli posò una mano sulla spalla, cercando delicatamente di farlo voltare di nuovo verso di sé “Perchè?- domandò di nuovo-Non vi dico di lasciarmi al mio destino, c'è già Nate che ha sotto controllo la situazione, e Gordon e gli altri ragazzi della loro squadra. Sono gente in gamba, lo sai anche tu.”
Reid si passò stancamente una mano sul viso, sfregandosi gli occhi “Al, davvero non capisci?Io devo fare qualcosa. E anche gli altri la pensano così. Come credi che ci sentiremmo sapendo che possiamo essere la squadra migliore per aiutarti e non poter farlo?”
Alaska si mordicchiò il labbro, soppesando bene le parole che aveva appena sentito “Immagino non poi così bene.- ammise- Probabilmente come mi sento io adesso sapendo che non potrò occuparmi dei miei casi in sospeso per un po'.”
Spencer non potè impedirsi di sorridere al sentire quel tono leggermente imbronciato “Esatto. Quindi, discorso chiuso?”
La ragazza annuì “Discorso chiuso.” promise, facendosi una croce sul cuore come per sancire un giuramento.
Reid prese un bel respiro e le aprì la porta per darle accesso alla ormai caotica sala conferenze. Anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, sapere che era Alaska al centro delle loro indagini gli faceva andare le gambe in gelatina.
“Alla buon ora, Ross.- la accolse la voce profonda di Crowford- Sai che ore sono?”
Prentiss aggrottò le sopracciglia, incredula di aver davvero sentito una nota bonaria nel rimprovero dell'agente più burbero nella storia del Bureau.
Alaska sorrise apertamente “L'ora che io mi compri un orologio?” ribattè, ripetendo l'accusa che gli muoveva sempre il collega quando si presentava in ritardo ad un appuntamento.
Nate le rivolse un ghigno strafottente e grazie a quel gesto lei notò immediatamente una leggera escoriazione che deturpava lo zigomo dell'uomo. Allungò un braccio e strinse leggermente fra le dita il mento del riluttante agente, per voltarlo di lato leggermente e ispezionare quella ferita insignificante.
“Nate...”iniziò a parlare Ross, con tono preoccupato.
Crowford si divincolò piano da quella stretta, fingendosi infastidito “Una cosa di lavoro.” tagliò corto, ben sapendo che la giovane antropologa non sarebbe stata contenta di sapere che aveva torchiato un interrogato talmente tanto, e usando il peggio del proprio repertorio di pessime maniere, che quello gli si era rivoltato contro, colpendolo con un pugno improvviso. Certo, quello che gli aveva ritornato lui era stato decisamente più forte e mirato, considerando il fatto che gli aveva rotto il naso.
“Garcia ha già fatto partire i controlli sui nominativi che ci hai mandato.” spiegò Morgan, rivolgendosi a Hotch, la fronte aggrottata per lo stupore che gli aveva causato vedere l'atteggiamento della ragazza verso Crowford.
“Ha trovato qualcosa di utile?” si informò l'uomo, prendendo fra le mani uno dei fascicoli.
“O'Neil è rintracciabile solo per i suoi arresti per reati minori: è un ambientalista piuttosto attivo e pare partecipi a ogni manifestazione del continente.- si affrettò a riferire Prentiss, che aveva analizzato la sua fedina penale- A parte questo non abbiamo i movimenti di carte di credito né altro che possa confermarci la sua posizione attuale. Garcia sta approfondendo la ricerca.”
Alaska borbottò qualcosa riguardo al fatto che probabilmente si trovava in Florida ad occuparsi degli strascichi ambientali causati dalla perdita di petrolio avvenuta recentemente, ma nessuno parve notare il suo commento.
“Morrison non si muove da Denver da mesi.- aggiunse Rossi, lanciando la cartelletta sul tavolo- Direi che possiamo metterlo da parte.”
Ross esultò, lanciando un'occhiata soddisfatta ad Hotch, che però sembrava decisamente più impegnato ad ascoltare il riepilogo fornito dalla squadra.
“Quindi l'unico sospettato che abbiamo fin ora è l'ex fidanzato abbraccia alberi di Ross?- sbottò Nate: tutto quello gli sembrava una perdita di tempo, il suo approccio era decisamente più terra a terra e prevedeva interrogatori snervanti per chiunque fosse coinvolto nelle sue indagini, raccolta di informazioni sul campo grazie a mezzi di ogni tipo e le buone e vecchie minacce federali- Non mi sembra molto promettente.”
Crowford passò accanto a Reid per andarsi a sedere, rischiando di urtarlo nell'atto. Spencer non era del tutto certo che non l'avesse fatto apposta per farlo spostare più lontano da Alaska.
“Trovo strano il fatto che tu ti trovi qui.- ammise squadrando l'uomo- Avevi detto di voler condurre le indagini da solo.”
Lui incrociò le braccia al petto, annoiato “Precisamente. Anzi, di solito mi trovo molto meglio a lavorare in quel modo.”
“Certo.- ribattè Morgan, alzando un sopracciglio- Immagino che sai anche fare un profilo dell'uomo che stai cercando giusto?”
“Avete già qualcosa in mano?” si informò Ross, interessata. Sembrava che l'atmosfera pesante all'interno di quella stanza non la scalfisse minimamente.
Emily annuì nella sua direzione “Abbiamo lavorato a un profilo.”
“Oh, certo, un profilo.- sbuffò Nate, che non aveva mai creduto all'utilità della psicologia in campo criminale- Fatemi indovinare: uomo, bianco, fra i trenta e quarant'anni, da piccolo si divertiva a torturare gli animali e probabilmente aveva problemi coi genitori.”
“Nate, non hai la preparazione adatta per creare un profilo.-gli ricordò Alaska, che sembrava non aver notato il suo tono pesantemente ironico- E' come se io cercassi di fare la detective.”
Hotch rivolse all'agente uno dei suoi sguardi più freddi, che si andò ad unire a quelli colmi di disapprovazione del resto del team “Signor Crowford, la inviterei a tenere il proprio sarcasmo per sé oltre che a ricordare che i profiler, e la mia squadra dunque, contribuiscono a risolvere dei casi ingestibili alla maggior parte delle forze dell'ordine.”
“E tu smettila di pensare ai fascicoli nel mio ufficio: ti posso assicurare che non ci sono casi urgenti, al momento.” aggiunse JJ, come se fosse riuscita a leggere nella mente della giovane in base all'aria incerta che aveva dipinta sul volto da quando era entrata nella sala conferenze. Reid non potè fare a meno di voltarsi verso la collega e mimare la parola grazie a fior di labbra.
L'antropologa annuì, stupita, fidandosi delle parole della bionda, e poi fissò impaziente il gruppo di agenti introno a sé, aspettando che dicessero qualcosa riguardo a quel caso che la toccava in prima persona.
David le si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla mentre iniziava a parlare “Alaska, sarebbe il caso che tu...”
“Lo so, lo so: Nate me lo dice sempre. Io sono solo un topo da laboratorio, quindi quando si parla di indagini devo limitarmi a stare zitta, ascoltare ed annuire. Niente domande fuori luogo e niente che disturbi gli addetti ai lavori.”
Emily sospirò “Alaska, quello che David stava per dire è che non dovresti stare qua a sentire il profilo: di solito le vittime non partecipano alle indagini.”
“Ricevuto, comandante.- trillò la giovane, sfiorandosi la fronte con due dita per mimare un saluto militare- Vado a farmi un giro.”
La voce di Hotch la inseguì mentre si allontanava “Garcia sta lavorando al caso.”
“Oh.- Alaska rallentò il passo, incerta- Allora andrò...non so, ai laboratori?” domandò, come se stesse chiedendo loro il permesso.
“Avevi detto che dovevi finire delle relazioni e controllare le tesine dei tirocinanti dello scorso trimestre.” le ricordò Reid, rammentandole le parole che lei stessa gli aveva detto in ospedale quando aveva giurato che avrebbe utilizzato quei giorni di malattia per rimettersi in pari col lavoro.
L'antropologa fece schioccare le dita “Giusto.”
“C'è un computer nel mio ufficio.- le suggerì Rossi- Puoi lavorare lì.”
“Quindi fino all'altro giorno ero la povera piccola Alaska che è stata avvelenata e deve riposarsi e ora invece la dottoressa Ross che niente può fermare dallo svolgere i suoi compiti?” domandò loro, un sorrisetto furbo e divertito a decorarle il viso.
Derek fece roteare gli occhi “Allora puoi startene tranquilla nell'area relax finchè non avremo finito.” Era più una sfida che un suggerimento, sapeva che non avrebbe resistito mezz'ora da sola a far niente.
“So cosa state facendo: state usando quella cosa...- fece una pausa per cercare le parole giuste- la psicologia sottosopra, giusto?”
“La che?” le fece eco JJ, confusa.
“Massì, voi mi dite di fare una cosa per farmi fare quella opposta.- spiegò annuendo saputa la ragazza- La psicologia sottosopra!”
“Si chiama psicologia inversa, Quarantanove.” rise Morgan, scuotendo la testa.
“Quello che ho detto.- confermò Alaska, prima di sventolare una mano con noncuranza e dirigersi verso l'ufficio di Rossi- Comunque, funziona. Vado nell'ufficio di Dave.”
“Sappiamo dove trovarti in caso avessimo bisogno di te, allora.” la inseguì la voce del profiler più anziano, prima che si chiudesse la porta alle spalle.
Senza Ross nella stanza sembrava che il paciere si fosse appena allontanato dal campo di battaglia, lasciando le due fazioni a guardarsi in cagnesco, in attesa che una scintilla facesse scatenare il peggio.
“Perfetto, allora.- esordì con voce piatta Crowford mentre prendeva un blocchetto degli appunti dalla tasca interna della giacca di pelle- Fatemi sentire questo mirabolante profilo di cui andate tanto fieri.”
“E' un uomo, fra i trentacinque e i cinquant'anni...” iniziò a spiegare Prentiss.
“Ma per favore!” sbottò Nate che, evidentemente, era particolarmente esperto nell'alimentare l'odio che gli altri provavano già istintivamente verso di lui.
“E' un maniaco del controllo.- continuò la mora, ignorandolo- Non ha semplicemente attentato alla vita di Alaska ma prima l'ha seguita per settimane per studiare le sue abitudini.”
“Inoltre le ha lasciato la busta con le foto e il messaggio col teschio in casa sua.- continuò Morgan- Vuole farle sapere che le sta dando la caccia.”
“Non capisco.- commentò Crowford, finalmente deciso ad essere più collaborativo- Se la vuole morta perchè non le ha semplicemente sparato?Dopotutto ne ha avuto l'occasione durante il periodo in cui la seguiva costantemente, giusto?”
“L'SI non vuole semplicemente ucciderla.- spiegò Reid, parlando il più velocemente possibile per evitare di perdere il controllo della propria voce al pensiero di ciò che stava dicendo- È convinto di avere subito un torto da parte sua quindi vuole avere un confronto diretto con lei, cercare di parlarle prima e fargli capire il motivo delle sue azioni.”
Nate alzò un sopracciglio, scettico “E voi credete davvero che Ross abbia potuto fare qualcosa di così grave da attirare su di sé la rabbia di un bastardo qualunque?”
“No.- rispose Rossi- L'SI attribuisce a lei delle colpe che probabilmente non ha in base a un torto che crede di aver subito da parte sua.”
L'agente annuì, scarabocchiando qualcosa sul suo blocchetto “E' già stata fatta un'indagine sul passato di Ross?” domandò.
Hotch alzò un dito per fargli segno di aspettare e poi digitò un numero interno sul telefono posizionato al centro del tavolo.
“Mi sembra strano analizzare così il passato di Alaska.- disse dopo pochi secondi la voce di Penelope dall'amplificatore- Come se fosse una sconosciuta qualsiasi.”
“Garcia, è per il suo bene.” gli ricordò JJ.
Dall'altro capo del filo la donna annuì “D'accordo. Alaska Prudence Ross...
“Prudence?” domandò in un sussurro Emily.
“...nata a Denver, in Colorado, il cinque ottobre di ventisei anni fa. Sua mamma è un'insegnante di disegno, suo padre un veterinario. A parte un'operazione alle tonsille non c'è niente di rilevante su di lei finchè, a otto anni, venne rapita da...”
La voce di Rossi sembrava provenire dall'aldilà mentre precedeva le parole di Garcia “Jason Foller.”
“Esatto. È stata portata in salvo otto giorni dopo la sua scomparsa, due dopo il suicidio in cella del sospettato. È stata in ospedale per una settimana e poi ha avuto delle sedute settimanali con un terapista infantile per i due anni successivi. A parte questo non c'è niente di particolare:una tipica ragazza americana. Ha frequentato il liceo a Wichita, dopo il divorzio dei suoi genitori e il trasferimento dal Colorado, ed era presidentessa del club scientifico delle superiori, ha lasciato il Kansas a diciassette anni per trasferirsi in California per frequentare l'università. È stata ammessa alla Berkeley ma ha cambiato l'iscrizione all'ultimo per andare all'UCLA, probabilmente a causa del trasferimento improvviso del dottor Stein. Ha vinto l'ammissione al suo tirocinio esclusivo grazie a una ricerca su come influisce la chirurgia estetica nelle modificazioni post-mortem...”
“Un certo Carl Scott ha perso per un soffio e se l'è presa, giusto?” azzardò Morgan.
“Già, ho già fatto partire un controllo più approfondito su di lui.- confermò Penelope, gli occhi che vagavano veloci sulle informazioni che trasmettevano gli schermi che aveva di fronte- Comunque dopo la laurea Alaska è diventata l'assistente fissa di Stein: l'ha seguito in un laboratorio di medicina legale a New York prima del trasferimento definitivo a Baltimora e, come sappiamo, alla fine si è ritrovata qua a Washington.”
“Hai notizie di quegli studenti scontenti di cui parlava?” domandò quindi Reid.
Nel suo ufficio Garcia scosse la testa “Sto facendo un controllo anche su di loro, ma sembrano puliti.”
“Nient'altro?” si informò Rossi.
“Sto facendo un confronto incrociato per vedere se ci sono stati recentemente trasferimenti a Washington di persone che hanno vissuto vicino ad Alaska, ma sembra una cosa più lunga del previsto...” si affrettò a spiegare Penelope, impaziente di poter comunicare i risultati di quella ricerca.
Hotch annuì, la mente già concentrata su come avrebbero proceduto “D'accordo: Reid e JJ, lavorate a un profilo geografico. Partite dalle foto e cercate di individuare da dove sono state scattate. Dobbiamo vedere in che zona agisce e fino a che punto seguiva Alaska.”
I due annuirono e il capo dell'unità si voltò verso Rossi “Io e Dave andremo nel quartiere di Alaska e cercheremo di trovare qualcuno che abbia notato qualsiasi cosa e...”
“Io andrò dagli studenti.” mise in chiaro immediatamente Crowford alzandosi di scatto. Da quando aveva sentito la storia della vita della sua collega, soprattutto della parte della sua infanzia di cui era fino a pochi minuti prima all'oscuro, si era sentito ribollire il sangue nelle vene: era certo che spaventare un paio di studentelli universitari per ottenere delle informazioni e sfogare poi il resto della propria rabbia su un sacco da box in casa sua sarebbe stata la miglior cura per quella sensazione.
“Prentiss, vai con lui.” disse Hotch, facendo un cenno ad Emily.
Le spalle di Nate si irrigidirono e sembrò palese la sua irritazione “L'avete sentita Ross, prima: preferisco agire da solo.”
Aaron non sembrava per niente impressionato dal suo atteggiamento da bullo, però “Non questa volta, Crowford.”
L'uomo fece roteare gli occhi, infastidito, mentre usciva dalla stanza con passo svelto.
“Spero solo che tu riesca a starmi dietro.” borbottò, rivolto alla mora che lo stava seguendo.
“Morgan...” chiamò di nuovo Hotch.
All'uomo bastò fare solo un cenno di assenso, prima di affrettarsi a seguire gli altri due agenti.
L'indagine stava per entrare nel vivo.

Casa di Spencer Reid. Washington, DC.

“Questa è stata la giornata più noiosa della mia vita!” sentenziò Alaska, stringendosi intorno al braccio di Spencer non appena ebbero messo piede fuori dalla vettura.
“Dico sul serio- continuò con voce frizzante- è stato peggio di quando all'asilo mi avevano messo in castigo per una giornata intera per aver pitturato un compagno di classe. Sai che sono stata completamente isolata?”
Durante quelle ore dall'apparenza interminabili il team aveva appurato che Ross poteva camminare tranquilla per strada, perchè di certo l'SI non usava armi da fuoco. In effetti, avevano scoperto un sacco di cose che non poteva essere: non era un sadico, probabilmente non aveva mai ucciso prima, non era una persona che si faceva notare, non aveva un carattere aggressivo.
Ad ogni non cui riuscivano ad arrivare con il loro profilo a Reid sembrava che si stessero allontanando sempre più da ciò che cercavano, e non viceversa.
Lui e JJ erano riusciti ad individuare le zone della città in cui l'SI aveva seguito Alaska e avevano già predisposto un sopralluogo per il giorno seguente e quello, in effetti, era l'unico traguardo raggiunto durante la giornata. Hotch e Rossi non avevano concluso niente, così come Morgan e Prentiss. In effetti loro avevano avuto occasione di scoprire che ogni singola voce che circolava su Crowford era vera: era davvero un bastardo violento e poco collaborativo, ne più ne meno.
Reid si rendeva conto di stare sviluppando un'antipatia sempre maggiore verso il collega della propria ragazza e sapeva che non era, nonostante continuasse a ripeterselo, solo a causa dei suoi modi da cavernicolo.
Era ancora perso nei propri pensieri quando senti trillare la voce di Alaska “Nate!”
Sbattè le palpebre confuso mentre si sentiva trascinare verso una macchina parcheggiata poco distante dal portone del suo palazzo.
“Che cosa ci fai qui?” non potè fare a meno di domandare, stupito, quando riconobbe Crowford al posto di guida.
“Aspetto di avvistare un'aquila reale.” ribattè l'uomo, sarcastico.
Alaska proruppe in una risatina “Ma, Nate, in città non è facile vedere degli animali selvatici e...”
“Ross!- sbottò Crowford, esasperato- Sono qua a farti da scorta.”
“Da solo?”si informò la ragazza, allungando il collo all'interno dell'abitacolo.
Nate le rivolse un ghigno “Mai sentito il detto: chi fa da sé, fa per tre?”
“Ma...ti sentirai solo!- protestò lei- E poi non avrai freddo, a passare la notte in auto?”
“Tanto so che passerai domani mattina a portarmi una cioccolata calda come hai fatto con la pattuglia che è rimasta stanotte.” rispose con una scrollata di spalle Crowford.
“Ma tu sei uno dei miei migliori amici!Non posso permettere che ti vada in ipotermia. Dormirai sul divano.”
Spencer rizzò il capo, scioccato “Come?”
“Sul serio?” gli fece eco l'altro agente.
Alaska sorrise “Ma certo, è comodissimo, lo posso assicurare.”
“Sei sicura che il dottor Reid sia d'accordo?” domandò, alzando un sopracciglio. In realtà non gli importava molto della sua opinione.
“Certo.- confermò l'antropologa, strizzando il braccio di Reid e rivolgendogli un sorriso radioso- Vero, Spencer?”
“Sì, certo...” borbottò lui in risposta, con lo stesso tono con cui avrebbe acconsentito alla rimozione di un dente del giudizio senza anestesia.
Seguì Alaska e Crowford fino all'interno del proprio appartamento, trattenuto dallo scappare dalla parte opposta di quell'uomo sgradevole solo grazie alla mano morbida della ragazza stretta intorno alla sua.
Vide l'agente guardarsi intorno indagatore mentre Ross continuava a chiacchierare allegra, senza rendersi conto di essere la sola persona allegra in quella stanza “Fortuna che l'altra sera abbiamo ordinato da mangiare qualcosa in più, altrimenti ora non avremmo niente da offrirti. Hai fame?Abbiamo cibo cinese, thailandese, indiano e qualcosa di qualche altra nazione esotica che non ricordo.”
Crowford poggiò la propria giacca sullo schienale del divano, stringendosi nelle spalle “Va bene qualsiasi cosa, Ross. Voi non mangiate?”
“Abbiamo già mangiato a Quantico.” rispose Spencer, ma nemmeno l'aver preso la parola fece distogliere lo sguardo di Nate da Alaska.
L'antropologa parve ignorare il fatto che il suo collega non degnava il profiler neanche di uno sguardo “Ho saputo che sei andato ad interrogare gli studenti che ho escluso dal tirocinio con Emily e Derek. Non ti ho visto tornare con loro, però.”
Crowford scosse le spalle larghe “Già. Dopo l'esperienza di oggi Gordon ha deciso che deve essere lui il membro di contatto fra le nostre due unità.”
Il commento di Reid gli uscì dalle labbra più secco di quanto volesse “Strano.”
“Davvero!- concordò Alaska- Quindi non verrai più a Quantico?”
“Non ho detto questo.” ribattè Nate con un sorriso obliquo.
Ross fece sventolare una mano, per poi assumere una finta aria imbronciata “Beh, comunque spero che non mi mettiate in castigo anche domani.”
“No, domani io e te non andremo a Quantico.- la contraddisse Spencer- Crediamo che sia meglio che tu resti qui, anche se ci sarà sempre qualcuno con te oltre alla scorta in strada, è meglio. Resterò io con te.”
“Oh, perfetto.” sbottò Nate, facendo roteare teatralmente i suoi occhi grigi.
Reid aggrottò le sopracciglia “Come, scusa?”
“Credo che se la caverebbe meglio senza di te che ti aggiri apprensivo per casa.” chiarificò senza mezzi termini.
Reid serrò la mascella con forza, infastidito da quelle parole mentre Alaska fece roteare gli occhi platealmente “Nate...”
“Voglio dire,- continuò a dire Crowford- non mi sembri certo il genere di agente adatto per essere messo di guardia a qualcuno.”
“Nate.” ribadì Ross, la voce pericolosamente più secca. Spencer intanto non potè fare a meno di riflettere sulle parole dell'uomo. Si mordicchiò il labbro inferiore, mentre l'altro continuava imperterrito, chiedendosi se in fondo non potesse avere ragione.
“Certo, puoi anche essere un cervellone e via dicendo, ma...”
“Nate, adesso basta!”
I due agenti osservarono confusi verso la ragazza, che aveva inaspettatamente alzato la voce. Aveva afferrato il polso di Reid e lo stava trascinando con sé fuori da quella stanza, per dirigersi verso la camera da letto dove contava di barricarsi.
“Andiamo, Al.- la richiamò Crowford- Stavo solo mettendo in evidenza l'ovvio.”
Quando l'antropologa si fermò, lanciandogli un'occhiata che non aveva quasi mai riservato a nessuno nella sua vita, Crowford sentì la gola seccarsi. I grandi occhi di Alaska avevano la stessa espressione di quelli di Bambi dopo che il cacciatore gli aveva ucciso la madre ma, oltre a quello, si poteva intravedere anche una buona dose di delusione ed un accenno di rabbia. Né lui né Spencer potevano dire di aver mai visto quell'espressione sul volto della spensierata giovane e fu per quello che restarono ammutoliti per un po'.
Non passarono che pochi secondi che Alaska si voltò verso Reid, lo sguardo raddolcito come al solito “Credo che andrò a farmi una doccia e poi me ne andrò a letto. Mi aspetti in camera?”

Quando la vide emergere dal corridoio, i capelli ancora umidi per via della doccia, con indosso un paio di pantaloni di felpa dal motivo a quadretti e una semplice canottiera rossa, Crowford non potè impedirsi di sorriderle.
“Devo dedurre che non sei più arrabbiata?” le domandò.
Alaska posò sulla poltrona un fagotto colorato non meglio identificato “Non avresti dovuto dire quelle cose.- sospirò, guardandolo con una forte intensità negli occhi chiari- Io mi fido di Spencer, metterei la mia vita nelle sue mani senza farmi problemi, e tu non dovresti mettere in dubbio questo.”
Crowford fece roteare gli occhi, cercando di scherzare “Quel tizio non saprebbe difenderti da un ragno aggressivo.”
“Nate, smettila, davvero.” pigolò Ross, mordicchiandosi il labbro inferiore.
L'agente la fissò per qualche istante, pensieroso. Alla fine si passò una mano fra i corti capelli scuri e le lanciò un sorriso che doveva essere incoraggiante “Una cosa seria, uh?”
“Sì.- rispose semplicemente Alaska, con un certo sollievo per quella comprensione nella voce sottile- È chiedere troppo che tu finga almeno di capire? Di assecondarmi?”
Crowford scrollò le spalle muscolose “Mmm”
La ragazza gli rivolse un sorriso più rilassato mentre indicava ciò che aveva lasciato sulla poltrona “Ti ho portato una coperta e un cuscino. Se hai fame in cucina c'è qualcosa da mangiare, puoi anche prendere una fetta di torta, l'ho fatta stamattina. Il bagno di servizio è di fianco all'ingresso e ti ho messo là uno spazzolino pulito e un tubetto di dentifricio.”
Nate le fece un cenno di assenso“Ok.”
Alaska si sporse verso di lui e gli lasciò una carezza leggera sul braccio “Buonanotte, Nate.” sussurrò prima di avviarsi verso la stanza di Reid.
“'Notte Al.” sentì dire alle proprie spalle, mentre spariva lungo il corridoio.
Quando entrò in camera trovò Spencer già sotto le coperte, che gli sorrideva dolcemente.
“Avete fatto pace?” domandò interessato.
Alaska si strinse nelle spalle, mentre si infilava a letto e si accoccolava contro di lui “Quasi. Sto cercando di addomesticarlo, sai?”
Reid alzò le sopracciglia “Impresa impossibile.”
“Non credo. Con me si comporta benissimo, è una brava persona...”
Il profiler non commentò quell'affermazione, si limitò a passarle una mano fra i capelli “Sai, mi sono sentito una principessa in pericolo portata in salvo da un cavaliere senza macchia e senza paura all'attacco del drago cattivo.”
Ross rise per quella descrizione “Non mi è piaciuto come ti ha parlato. Nessuno potrebbe difendermi meglio di te: sei la persona migliore che io conosca.”
Spencer annuì distrattamente, prima di iniziare a parlare, balbettando suo malgrado “Volevo...uhm...sì, insomma, so che forse non è un buon momento ma...ecco, volevo chiederti una cosa...”
“Tutto quello che vuoi.” rispose la ragazza, mentre placidamente giocava con le sue dita fra le mani.
“Come...-continuò, prima di schiarirsi la voce che gli era diventata troppo acuta- come ti trovi qui?Voglio dire, lo so che non ti piace essere intrappolata in questa casa, ma mi domandavo come...sì, come ti trovi...”
“Mi piace, ma non so se il sentimento è reciproco.” commentò Alaska, non notando la stranezza di quella domanda.
Reid aggrottò la fronte “Perchè?”
“Suppongo che i lividi che ho sugli stinchi potranno dimostrare quanto la tua cucina mi detesti.” spiegò lei, alzando lo sguardo divertito per incrociare il suo.
Il profiler rise “Potremmo mettere quegli smussa angoli usati per i bambini...”
“E' una buona idea.- concordò Alaska annuendo- Si vede che fra noi due sei tu il genio.”
“Comunque, mi chiedevo...- continuò Spencer, riprendendo le redini del discorso-Ti piacerebbe restare anche dopo che questa situazione si sarà risolta?Insomma, rendere tutto questo definitivo...”
Gli occhi dell'antropologa si spalancarono “Che cosa mi stai chiedendo, Spencer?”
Reid la fissò intensamente “Di venire a vivere qui. Con me.”
“Davvero?” chiese con il sorriso che già le si allargava sul volto.
“Davvero.” confermò il ragazzo.
“Wow!- esclamò Alaska felice- Sei consapevole che sarà come abitare con uno di quei folletti che incasinano tutto, vero?”
“L'avevo considerato.” ammise Spencer, anche se in realtà aveva pensato che sarebbe stato più come vivere insieme a un tornado.
“Ti amo!” trillò lei gioiosa, prima di piegarsi su di lui per dargli un bacio appassionato.
La risata di Reid restò soffocata da quel bacio e, non appena ebbe un momento di tregua, sussurrò contro le labbra morbide dell'amata “Lo prendo per un sì?”
Alaska non rispose, ma continuò a lasciare una scia di baci lungo la linea della sua mascella. Spencer sentì la propria temperatura corporea aumentare vertiginosamente e la testa annebbiata dalle sensazioni che emergevano prepotenti ogni volta che la sua ragazza lo sfiorava in quel modo. Tuttavia non potè fare a meno di pensare che, quella volta, non erano soli in casa.
“Alaska?” la chiamò titubante, cercando di non badare alle scariche elettriche che sentiva sotto la pelle.
“M-mm?” mormorò lei, senza staccare le labbra dal suo collo.
“Crowford...- balbettò, cercando di rimanere lucido- Sai, Crowford è di là, e non vorrei che lui sentisse...”
La risposta dell'antropologa risuonò nel suo orecchio come le fusa di un gatto “Nate dorme.”
Reid si agitò leggermente nella stretta soave della ragazza “Non sarei troppo stupito di scoprire che ha il sonno leggero, e nemmeno che sia in grado di sentire attraverso le pareti...”
“D'accordo.- Alaska si arrese con una risata, dandogli un bacio a stampo sulle labbra e sistemandosi meglio sul letto, con la testa appoggiata alla sua spalla- Mi comporterò bene.”
Spencer sorrise e le posò un bacio fra i capelli, e mentre godevano l'uno del caldo abbraccio dell'altra, il sonno li accolse nel suo mondo tranquillo e senza pensieri.

Da qualche parte nella periferia di Denver, Colorado.

Alaska deglutì piano, mentre fissava il volto rubicondo del dottor Morris. Era indubbiamente invecchiato dall'ultima volta che l'aveva visto: ai lati degli occhi si aprivano a ventaglio una serie di rughe profonde, le palpebre erano più cadenti di come le ricordava e la barba, una volta rossa come i capelli, era spruzzata di peli bianchi. Tuttavia, nei suoi occhi verdi, riusciva a riconoscere la stessa calma e compassione che vi vedeva quando, diversi anni prima, frequentava le sedute di terapia individuale al suo studio di psicologo.
“Allora, Alaska, sei pronta?” le domandò l'uomo, una punta di dolcezza nella voce.
L'antropologa si umettò le labbra, leggermente imbarazzata “Non ricordo che cosa devo fare.”
Il dottor Morris le sorrise comprensivo e lei si voltò quindi verso Spencer che le si era avvicinato a sua volta, facendo scivolare una mano nella sua.
“Niente di speciale, Al- la rassicurò il ragazzo- Vogliamo solo che entri lì dentro e ci dici se ti ricordi qualcosa.”
Alaska annuì piano, seguendoli lungo un sentiero che si era formato su quel prato poco curato, probabilmente in seguito ai continui viaggi di qualcuno. La stradina portava a una specie di capanno, una sorta di rimessa che si trovava dietro al cottage. Era fatta di legno scuro e, a giudicare dalla polvere accumulata sulla maniglia della porta, sembrava che fossero passati anni da quando qualcuno vi aveva messo piede per l'ultima volta.
“E' lì dentro.- indicò lo psicologo con la sua mano paffuta- Ti ricordi di questo posto, piccolina?”
Ross scosse la testa, confusa. Il dottor Morris usava quel soprannome quando aveva iniziato la terapia, a otto anni. Le sembrò strano che lo utilizzasse ancora, ma pensò che probabilmente doveva essere una strategia usata di proposito per metterla a suo agio.
“Va bene lo stesso.- le sussurrò all'orecchio Spencer, con voce soave- Non importa se non ti viene in mente tutto subito.”
“Ma cosa?” domandò incerta Alaska, mentre muoveva qualche passo all'interno della piccola costruzione in legno. Al suo interno poteva sentire odore di chiuso e di muffa, aveva ragione, quindi: nessuno non vi metteva piede da parecchio tempo.
La luce, che entrava a sprazzi dalla porta aperta e occupata dai due uomini che l'accompagnavano, non riusciva a illuminare l'intero ambiente. Riconobbe una sedia, impolverata e rovesciata di fianco a un tavolo altrettanto mal messo e, pendente dal soffitto, c'era una lampadina nuda e ormai fulminata da tempo. L'arredamento sembrava esaurirsi con quei pochi elementi ma, con la coda dell'occhio, Alaska notò qualcosa nell'angolo più lontano del capanno.
Non ne capiva il motivo, ma la cosa la inquietava un po'. Si voltò, alla ricerca degli sguardi confortanti del dottor Morris e di Reid.
“Avanti, piccolina.- la incoraggiò l'uomo più anziano- Devi ricordare.”
La ragazza aggrottò la fronte incerta, ma gli occhi scuri e amorevoli di Spencer la rassicurarono quanto bastava per farle compiere gli ultimi passi verso quello strano oggetto nascosto nell'ombra.
Mosse dei piccoli passi e piano piano i suoi occhi furono in grado di riconoscere quello che stava guardando.
Le sbarre di ferro arrugginito che si arrampicavano fino a non più di cinquanta centimetri dal terreno.
Il fondo protetto dal ferro da una tavola di legno scheggiato.
La catena di fianco alla piccola apertura, insieme alla tenaglia che l'agente speciale David Rossi aveva usato per liberarla.
Si portò la mano alla bocca, incapace di parlare o anche solo di pensare a qualcosa di coerente.
Stava per voltarsi, per correre a trovare rifugio nel caldo abbraccio di Spencer, quando sul fondo di quella gabbia, che molti anni prima era stata la sua prigione, notò qualcosa.
Si avvicinò ancora, spinta da una curiosità strana e morbosa a cui non riusciva a dare il nome, e si trovò di fronte a qualcosa di estremamente famigliare.
La pelle rinsecchita del cadavere scheletrizzato riluceva di una strana luce sinistra. Strinse gli occhi per vedere meglio quella schiena martoriata, su cui la vernice rossa tracciava segni strani e irregolari.
Stava appoggiando una mano su una sbarra di ferro, per evitare di perdere l'equilibrio in seguito a quel sovraccarico di informazioni, quando il cadavere si mosse, facendola sobbalzare.
Poco dopo due orbite vuote la fissavano con insistenza, mentre le dita scheletriche si posavano su quelle che un tempo erano state labbra, come se volessero suggerirle di stare in silenzio.
Un sibilo freddo le risuonò subito dopo nelle orecchie “Sssh!”

Casa di Spencer Reid. Washington, DC.

Alaska aprì gli occhi di scatto.
Non urlava mai alla fine dei propri incubi né, quando si svegliava, si ritrovava piena di sudore freddo o in presenza qualche altro fenomeno che mostrasse che aveva avuto un incubo.
Il suo cuore batteva con la solita regolarità, senza alcuna fretta causata dalle immagini che aveva appena visto.
Sospirò, cercando di scacciare la sensazione di agitazione che però le aveva preso la bocca dello stomaco.
Nei suoi sogni, la casa e il capanno non erano mai le stesse, così come chi cercava di portarcela dentro per ricordare. Una volta ricordò perfino di aver sognato di Rossi che la andava a salvare, ma era certa che non fosse un ricordo. I particolari cambiavano ogni volta, suggerendole che la maggior parte delle cose che popolavano i suoi incubi erano frutto della sua mente e di quanto aveva elaborato in seguito all'esperienza che aveva vissuto.
Si ruotò sul fianco, trovandosi così faccia a faccia con Spencer che, ignaro di tutto, continuava a dormire, il viso sereno e rilassato. Alaska sorrise teneramente nel guardarlo e passò piano una mano sul suo torace che si alzava piano al ritmo del suo respiro.
Dalle tapparelle filtrava una luce leggera e discreta, che suggeriva come la notte avesse già terminato il suo corso e il sole stesse già albeggiando. Provò a chiudere gli occhi, ma sapeva che ormai il sonno l'aveva abbandonata, così si alzò leggermente, facendosi perno con un gomito e rimanendo per diversi minuti ad osservare la figura dormiente di Reid, allungando la mano libera per farla passare delicatamente fra i suoi capelli sottili e morbidi. Le piaceva vederlo dormire: era uno dei pochi momenti in cui era completamente rilassato, senza che miliardi di pensieri gli vorticassero in testa. Inclinò un poco la testa e gli rivolse un'altra occhiata amorevole.
Prima di alzarsi, gli posò un bacio leggero sulla fronte, dopo di che si diresse scalza nello studio di Spencer, che si trovava nella stanza attigua, sperando che il ragazzo potesse dormire tranquillo ancora per un po'.

Crowford scostò la coperta e si alzò dal divano con un colpo di reni. Nonostante fosse mattina presto, la sua mente era completamente lucida: da quando era stato nell'esercito aveva dei piccoli rituali che ripeteva ogni giorno. Appena sveglio eseguiva una serie di flessioni, piegamenti ed addominali a cui di solito aggiungeva anche una serie di colpi al sacco da boxe che troneggiava in camera sua. Quel giorno, ovviamente, aveva dovuto rinunciare a quest'ultima parte del suo allenamento quotidiano e, quando ebbe finito i propri esercizi, lasciò vagare il proprio sguardo attento per la stanza, analizzandone ogni piccolo particolare. Osservò i titoli dei libri raccolti ordinatamente negli scaffali: tomi voluminosi, enciclopedie e saggi scientifici o letterari che destavano poco il suo interesse. Alzò le braccia sopra la testa e stirò i possenti muscoli della schiena, ma girò la testa di scatto non appena sentì dei rumori provenire da una porta lungo il corridoio. Notò allora una luce soffusa e azzurrognola provenire dal suo interno e vi si avvicinò piano. Aveva già sul volto un'espressione ostile, pensando che si sarebbe trovato davanti il petulante dottor Reid impegnato con del lavoro extra con cui mettere alla prova le proprie cellule grige troppo sviluppate, ma cambiò volto immediatamente non appena varcò la soglia della piccola stanza.
Alaska era seduta alla caotica scrivania, e osservava corrucciata e ansiosa lo schermo del computer acceso di fronte a lei. Le gambe, avvolte dal tessuto felpato del pigiama, erano strette contro il suo petto, e aveva il mento appoggiato alle ginocchia. C'era qualcosa che non andava, in quell'immagine, ma non riusciva a cogliere immediatamente cosa.
“Già sveglia?” domandò, la fronte aggrottata, mentre si avvicinava piano ad Alaska.
La ragazza alzò velocemente la testa verso Crowford, chiudendo il computer con uno scatto.
“Non riuscivo a dormire.” spiegò, sorridendogli amabile.
Nate fece dondolare la testa, in segno d'assenso, “Perchè, il ragazzino russa anche?”
Il sorriso sul volto di Ross scemò all'istante “Nate!”
“D'accordo, d'accordo!- capitolò, alzando le mani in segno di resa- Argomento chiuso.”
“Sarebbe meglio, non mi piace arrabbiarmi con te.- disse Alaska, prima di fargli una linguaccia scherzosa- Vuoi la colazione?”
Crowford le rivolse un ghigno “Sicuro, ho una fame da lupi.”
L'antropologa si alzò in un balzo e trotterellò allegra fino alla cucina, seguita dall'agente FBI. Sembrava aver completamente accantonato qualsiasi attrito si era creato fra loro in quelle ultime ore e Crowford ne fu immediatamente felice. Gli era sembrato quasi intollerabile pensare che lei fosse arrabbiata con lui, gli piaceva vederla allegra, solare, e con il suo sorriso largo sul volto.
Assecondò come al solito le sue chiacchiere folli e veloci, che saltavano da un argomento all'altro come le palline di un flipper, e si sedette al bancone della cucina sentendo piano piano allargarsi nell'ambiente il dolcissimo profumo dei pancakes che stava cucinando.
“Sciroppo d'acero?- offrì Alaska gioviale, agitando un tubetto pieno di un liquido denso color miele- Ho anche gli zuccherini colorati.”
“Il dottor Reid non ha certo paura delle calorie, vedo.” commentò alzando un sopracciglio.
La ragazza si strinse nelle spalle “Spesso faccio io la spesa per lui e cerco di rimpilzarlo più che posso: hai visto quanto è magro?”
Crowford annuì soprappensiero, mentre mangiava un boccone del delizioso dolce. Sulla sedia di fianco alla sua, Alaska lo guardava come una mamma orgogliosa guarda mangiare e crescere il figlioletto.
“Sai, i pancakes sono i miei preferiti.” le rivelò, con la bocca mezza piena.
Il sorriso sul volto di Ross si allargò “Lo so.”
“Ah, sì?” ribattè, alzando un sopracciglio.
“Certo.- annuì con convinzione l'antropologa- Come so che il tuo colore preferito è l'arancione, che sei nato il dieci agosto, che hai preso gli occhi da tua madre e la fossetta sul mento da tuo padre. Tu sei molto importante per me, è logico che sappia queste cose.”
Crowford tornò al proprio piatto, piacevolmente stupito. Ma l'immagine che aveva visto poco prima nello studio di Reid gli ritornò in mente, sovrapponendosi a quella che aveva ora di fronte.
“Sei sicura di star bene, Ross?” le domandò a bruciapelo, quando ebbe finito di mangiare.
La giovane sbattè le palpebre diverse volte, spaesata da quella domanda.“Certo...”
Alzò gli occhi al soffitto, facendoli roteare platealmente, mentre si avvicinava a lei con lo sgabello.
Aveva capito quale potesse essere il problema e così cominciò a parlare con tono conciliante “Sai, quando ero piccolo e avevo paura...”
Sul volto di Alaska si aprì un'espressione sinceramente stupita “Tu provi paura?”
“Ho usato il passato.- tagliò corto Crowford, sfilandosi la placchetta militare che penzolava sopra la canottiera bianca che indossava- Comunque, averla al collo mi faceva sempre sentire meglio.”
Ross spalancò gli occhi: sapeva che la catenina che stringeva Nate fra le mani in quel momento gli era stata regalata da suo nonno, un ex-marine, e che da quando questi era morto il suo collega non se ne separava mai. “Non posso accettarla, Nate.- protestò, mentre Crowford gliela porgeva- Era di tuo nonno!Mi conosci, perdo qualsiasi cosa, ma se dovessi perdere una cosa così importante neanche scavare una fossa e buttarmici dentro mi farebbe sentire meno in colpa.”
Nate fece roteare gli occhi mentre le infilava la catenina al collo dalla testa. “A meno che non dimentichi la testa da qualche parte- disse, le labbra solcate da un sorriso obliquo- non credo che riuscirai a perderla.”
Dalla soglia della porta della cucina, Reid osservò quella scena, immobile suo malgrado. Si era svegliato poco prima e aveva trovato il posto accanto a sé vuoto, aveva sentito le voci provenire dalla cucina e si era alzato ancora intorpidito dal sonno, seguendo la scia dello scampanellio della risata di Alaska. E una volta sull'uscio era rimasto pietrificato nel notare lo sguardo che l'agente federale stava lanciando alla sua ragazza.
Quando vide la mano di Crowford indugiare sul collo di Alaska che, ingenuamente, stava rigirandosi fra le dita le due placchette di metallo, sentì una sensazione amara alla bocca dello stomaco e, immediatamente, decise di rivelare la sua presenza, tossicchiando.
La ragazza alzò gli occhi su di lui non appena sentì quel suono, lasciando che sulle sue labbra si schiudesse un sorriso aperto e allegro “Ciao, Spencer!” lo salutò gioviale.
Crowford sostenne lo sguardo del profiler per diversi secondi, prima di far scivolare via le mani da lei e mugugnare qualcosa che non somigliava neanche lontanamente a un buongiorno.
“Ti sei svegliato presto.” commentò Alaska, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulle labbra. Sentire il calore del suo abbraccio intorno alla vita gli aveva fatto scemare leggermente quella spiacevole sensazione che aveva appena provato.
“Non quanto te.” borbottò, lanciando l'occhiataccia peggiore che potesse a Crowford.
“Lo so.-sospirò Alaska, senza rendersi conto della battaglia non dichiarata che stava avvenendo fra i due uomini- È che...credo di dover parlare con Hotch al più presto.”
Una domanda salì alle labbra di entrambi gli agenti FBI “Perchè?”
La ragazza non rispose, ma qualcosa nel suo sguardo faceva trapelare che ciò di cui avrebbero discusso non avrebbe portato a niente di buono.





________________________________________________________________

Una fatica, gente. Una. fatica. In pratica sono stata lì per due giorni, con il capitolo quasi pronto per essere pubblicato, ma con una particina piccina-picciò mancante. La litigata Alaska/Nate. E' che io sono un'istintiva  e nelle litigata sono violenta e senza filtro fra bocca, mani e cervello, quindi non riuscivo ad elaborare bene una lite calma e attutita dal carattere di Alaska. Spero di aver dato l'idea e di non aver incasinato il capitolo. Anyhow...Che pensate del capitolo?Io ho notato che in questa storia non c'è molto team e ho deciso di rimediare: ho già progettato un capitolo in cui ci saranno solo loro, cari, che faranno il loro mestiere seriamente senza che Alaska li distragga troppo!Croce sul cuore!E poi voglio mettere un pò più di JJ visto che le è rimasta solo una puntata (nella sesta stagione già in onda negli USA quella di settimana prox sarà l'ultima del suo pg, sigh e sob!). Detto questo...il solito: leggete, se vi va recensite che rendete happy una povera autrice derelitta, abbiate un buon fine settimana and have fun! Bacini baciotti, JoJo!

Luna Viola : ordunque, tu devi sapere che dirmi che sei in ansia mi crea una certa soddisfazione!Yep!Perchè io ho messo suspance nel genere, ma quando l'ho fatto mi sono detta: bah, tentiamo anche se non credo di essere in grado. Ma se tu mi dici così fai salire di una tacchetta il livello della mia autostima. Grezie davvero :) Uhm...direi che stropicciare le guanciotte di Nate sarebbe azzardato, ma se l'idea di continuare la tua vita senza l'ausilio delle mani non ti da problemi, fai pure!eheheh! Cmq sono contenta che il personaggio ti piaccia! E...ti informo che ho un giubbotto antiproiettile...di seconda, uhm, terza, mano...un pò bucherellato e...Oh, Dei, sono spacciata!Perchè, davvero, non ci sarà sequel, ma io ti giuro, GIURO, che ci sarà un bonus di ben nove capitoli. Non ti basta?Please?Sono troppo giovane per morire e poi vorrei vedere la sesta stagione di CM!Pleasssssssssse!!al prossimo capitolo dear, besos (anche se mi minacci di morte!)

Giunone : Grazie per alimentare la mia autostima, eheheh!Sono contenta che la storia ti piaccia, così come le citazioni e la mia fantasia da psicopatica. Ma sai che stavo davvero pensando a una carriera da SI?Insomma, con la crisi e tutto il resto...E poi c'è bisogno di quote rosa anche in questo campo, no?eheheh!A parte gli scherzi, dai, sono contenta che continui a seguire la storia!Al prossimo capitolo, kisses

Maggie_Lullaby : Tu rischierai di farmi uscire pazza!Davvero!Perchè da quando mi hai detto che stavi cercando un volto per Alaska mi è partita l'ossessione e ho cercato attrici/modelle/cantanti/personaggi pubblici etc...che potessero dare un'idea di come la immagino e alla fine sono arrivata
(qui )
Guardavo calma calma, schiscia schiscia, YES MAN e ho visto lei e mi sono detta: cavolo, potrebbe essere Alaska. Stesso stile pazzo, occhi enormi e azzurri/blu, capelli neri, sembra che stia sulle nuvole...Quindi, aggiudicato in pieno. Che ne dici? Per il resto...uhm...non intendo spoilereggiare la mia storia, nonono!Resti coi dubbi fino alla fine!eheheh(me malefica!)Il sequel non ci sarà, però in coda a questa storia metterò una specie di storia-bonus dai toni più leggeri (saranno circa 9 capitoli) in cui ci saranno tonnellate di Alaska/Reid!Yep yep!Contenta?:) Non sono riuscita ad aggiornare in tempo per l'inizio della 6^a stagione negli USA ma spero di non averti tenuto in ansia per troppo...Che ne dici del capitolo?Fammi sapere!Baci baci
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: JoJo