Se vuoi liberarti da ogni preoccupazione, pensa che avverrà senz'altro quello che temi e, qualunque sia quel male, misuralo con te stesso e poi valuta attentamente la tua paura: sicuramente ti renderai conto che il male temuto o non è grave o non durerà a lungo.
- Seneca
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
Aaron Hotcher
lanciò un'occhiata
veloce al proprio orologio da polso.
Di solito a quell'ora si trovava già
in ufficio, perciò gli sembrava strano essere lì,
in
quel momento. Senza contare, poi, il fatto che si trovava fuori
dall'appartamento di uno dei suoi sottoposti che era rimasto
inevitabilmente coinvolto da quel nuovo ed inaspettato caso. In
effetti, in tutta quella situazione che vedeva la ragazza di Reid,
Alaska, invischiata con uno stalker particolarmente impegnato ad
attentare alla sua vita c'era poco di chiaro o di normale.
Sentì spalancare la porta di
scatto e si ritrovò davanti Alaska in persona, che gli
sorrideva gentilmente.
“Ciao Aaron!” lo salutò
allegra. Era già vestita e pettinata, pronta per uscire, e
la
cosa lo stupì leggermente. Non aveva mai pensato che fosse
una
persona mattiniera.
Entrò in casa velocemente e non
potè impedirsi di lanciarle uno sguardo severo.
“Avresti dovuto lasciare venire Reid
ad aprire.- la ammonì richiudendosi la porta alle spalle- E,
inoltre, devi verificare l'identità di chi suona,
prima.”
“Ho guardato dallo spioncino.”
disse velocemente la ragazza, dopo essersi mordicchiata il labbro
inferiore.
Aaron alzò le sopracciglia, lanciandogli
un'occhiata significativa “Questa è una
bugia.”
“Come
hai fatto a scoprirlo?” domandò Alaska, sbuffando
divertita.
“Primo, faccio questo lavoro da un
sacco di tempo, secondo, sono stato un avvocato e terzo, ho un
bambino che ha appena iniziato le elementari. Direi che non avevi
chances di non essere scoperta.-elencò l'uomo, alzando un
dito
ad ogni punto dell'elenco- Reid dov'è?”
Ross le fece cenno di seguirla in
salotto e poi lanciò uno sguardo al corridoio
“Sarà
qui fra un attimo. Si stava ancora preparando.”
Come richiamato da quell'affermazione,
Spencer uscì di corsa da una stanza, una mano ancora alzata
sulla propria cravatta stretta che stava sistemando all'interno del
gilet di maglia. Quando riconobbe la figura di Hotch nel proprio
salotto si fermò, lanciando lo stesso sguardo di
disapprovazione alla propria ragazza.
“Al!- la richiamò- Ti avevo
detto di aspettare e lasciar andare me ad aprire.”
Alaska fece roteare gli occhi chiari
“Lo so, lo so. Ma non credete di stare
esagerando?C'è una
pattuglia qua sotto e sono certa che non farebbero entrare nessuno di
sospetto.”
Reid borbottò un “Sì,
certo.” e tornò a fissare intensamente il proprio
capo che
non sembrava intenzionato a parlare. La ragazza guardò prima
uno poi l'altro, aspettando che qualcuno dei due iniziasse a parlare,
ma nessuno lo fece e nel salotto calò uno strano e pesante
silenzio.
Era un silenzio particolare, carico
d'aspettativa, e sembrava chiaro che i due profiler avessero voglia
di interromperlo il prima possibile. Anzi, continuavano a lanciarsi
delle occhiate allusive e sembrava davvero che avessero bisogno di
parlare, da soli possibilmente.
“Al, credi di potere...” iniziò
a chiedere Spencer, ma lei parlò nello stesso istante.
“Io credo che andrò un po' in
cucina a fare colazione e guardare l'ultima puntata di
Spongebob.”
annunciò, saltellando nella stanza attigua dopo aver fatto
sventolare la mano a mo' di saluto.
Hotch la seguì con lo sguardo
finchè non sparì nella porta che dava alla cucina
e poi
posò i propri occhi scuri su Spencer.
“Immagino che ieri avrai notato la
peculiarità della foto che è stata ritrovata nel
cadavere avvelenato.- iniziò a dire, sedendosi sul divano su
invito di Reid- I ricalchi e le scritte sono più che dei
semplici avvertimenti o i pensieri di uno stalker qualsiasi. L'SI
sembra conoscere Alaska.”
Il ragazzo annuì debolmente,
lasciandosi scivolare sulla poltrona “Lo so.”
“E sembra che
ci sia qualcosa nel suo passato che è per lui il fattore
scatenante dell'ossessione nei suoi confronti.”
continuò
Hotch, serio.
Reid fece dondolare di nuovo la testa,
in segno affermativo.
“Quello che voglio sapere ora, Reid-
disse di nuovo Aaron, guardandolo intensamente- è se posso
contare sulla tua presenza nella squadra.”
Il giovane genio alzò la testa
di scatto, stupito da quell'affermazione “Certo che
puoi.”
“Reid,
questo caso ti tocca molto da vicino. Scaveremo nel passato di
Alaska, dovremo comportarci come se fosse una vittima qualsiasi,
indagare come faremmo con qualsiasi altra sconosciuta. So che questo
potrebbe non risultarti facile...”
Spencer deglutì, la gola
improvvisamente secca “Io posso farcela. Voglio fare tutto
quello
che posso per far finire questa storia al più
presto.”
Hotch annuì “So che lo farai.
Ma devi ricordarti che per aiutarla devi essere un profiler
soprattutto, e non il suo ragazzo.”
Il giovane genio si mosse agitato sulla
poltrona “Alaska ha già vissuto una situazione del
genere.-
gli ricordò, dopo essersi passato stancamente una mano sugli
occhi- Io...io voglio soltanto che lei non soffra più del
dovuto. Sai, che...che non gli torni in mente quello che ha
già
passato.”
“Nessuno di noi lo vuole, Reid- lo
rassicurò Hotch, capendo le sue preoccupazioni- Ma l'uomo
che
la perseguita è già riuscito ad avvicinarsi
troppo al
suo obiettivo. Dobbiamo trovarlo in fretta e per farlo non possiamo
trascurare nessun elemento.”
“Certo, capisco.” borbottò
Spencer, torturandosi le mani.
Aaron gli rivolse un mezzo sorriso
“Andrà bene, vedrai.”
Il suono dei tacchi di Ross sul parquet
fece voltare i due uomini nella direzione da cui stava arrivando,
sorridente e tranquilla.
“Avete deciso che cosa posso sapere o
devo guardare anche la pubblicità della batteria di
pentole?”
domandò la ragazza con tono frizzante, avvicinandosi per
porgere a ognuno dei due una tazza piena di caffè fumante.
Hotch le rivolse un mezzo sorriso
mentre la ringraziava e poi iniziò a parlare
“Siediti,
Alaska.- la invitò, additando la poltrona che Spencer aveva
liberato per andarsi a sedere di fianco a lui- Vorremmo farti qualche
domanda.”
L'antropologa rivolse ad entrambi
un'occhiata intensa, uno sprizzo di curiosità in fondo ai
suoi
occhi color cielo, ma fece quanto le era stato detto.
“Ma certo.- concordò,
accavallando le gambe e appoggiando i gomiti ai braccioli imbottiti-
A che proposito?”
Reid si schiarì la voce prima di
parlare “Dalla prima analisi che abbiamo potuto effettuare
sulla
foto che è stata ritrovata nel cadavere scheletrizzato
abbiamo
estratto alcuni elementi che...”
Si interruppe per qualche secondo,
cercando di focalizzarsi su qualcosa che non fosse lo sguardo
interessato e carico d'aspettativa della ragazza che aveva di fronte.
“...che ci farebbero pensare che l'SI
sia qualcuno che ti conosce, probabilmente una persona del tuo
passato che ti ritiene responsabile di qualcosa che gli ha cambiato e
peggiorato la vita.”
Alaska ripensò alla foto
incriminata e nella sua mente comparve, ingombrante e minacciosa, la
parola assassina, scritta a chiare lettere di
fianco alla
propria immagine.
“Io non ho mai ucciso nessuno.”
dichiarò, cercando di scagionarsi da quell'accusa guardando
i
due uomini che aveva di fronte con sguardo sincero.
“Questo lo sappiamo, Alaska.- la
rassicurò Aaron- Quello che Reid voleva dire è
che l'SI
ti vede come un transfert su cui far ricadere tutte le sue esperienze
negative del passato e...”
Ross agitò i palmi,
interrompendolo “Un momento, per favore. Non fate i profiler
con
me, io mi occupo di ossa e tessuti e eventi causa/effetto
scientificamente dimostrabili; ho passato l'esame di psicologia per
un soffio quindi se poteste parlarmi senza usare termini troppo
freudiani vi sarei estremamente grata.”
Spencer le sorrise, come al solito
vinto dalla sua sincerità, e si affrettò a
riformulare
la frase appena pronunciata dal suo capo “Il soggetto che
stiamo
cercando sta dando a te la colpa di quello che non va nella sua vita.
Si ricorda di te per un particolare evento del passato, che lui
considera la causa di tutto ciò che di male gli è
capitato in seguito.”
“Ti ha chiamato assassina perchè,
probabilmente, ti ritiene responsabile indirettamente della morte di
qualcuno che gli era caro.” concluse Hotch, scrutandola
intensamente per indagarne le reazioni.
Alaska si mordicchiò il labbro
inferiore, lo sguardo basso “Beh, mi dispiace, io non
volevo...”
“Al, ti prego!Nessuno ti sta accusando o dando
ragione a quel tizio.” sbottò Spencer, sporgendosi
in avanti
da dove era seduto per avvicinarsi di più a lei.
L'antropologa annuì “Lo so,
solo che mi dispiace. Voglio dire, se davvero è rimasto
così
negativamente colpito da qualcosa che posso avere fatto...Io ho
sempre cercato di non fare nulla che...”
Hotch la interruppe immediatamente,
cercando di farle perdere il filo di quel ragionamento che la stava
portando a un senso di colpa non necessario “Probabilmente si
tratta di una cosa di poco conto, che la maggior parte delle persone
avrebbe considerato quasi normale.”
“Quindi cosa...” iniziò a
domandare, le sopracciglia aggrottate.
“Devi darci i nomi delle persone che
possono essere arrabbiate con te per qualsiasi motivo, anche poco
importante.” le spiegò Reid, allungandosi verso di
lei per
strizzarle leggermente la mano in un gesto incoraggiante.
Lo sguardo limpido di Alaska incontrò
gli occhi scuri di Hotch, che annuì come per spronarla, e
poi
si spostarono su un angolo imprecisato all'incrocio della parete del
soffitto. In realtà non stava guardando il colore scialbo e
desideroso di essere tinteggiato a fresco, ma un punto indefinito
nella propria mente alla ricerca, nel proprio passato, di qualsiasi
elemento che potesse essere utile ai profiler.
“Beh...- cominciò a parlare
titubante, dopo diversi minuti di riflessione- ad esempio io sono
stata ammessa al tirocinio al laboratorio di antropologia forense di
Stein grazie a una borsa di studio.”
“Unica?” domandò Hotch
interessato, raddrizzandosi sul divano.
“Già.- confermò Alaska
annuendo- Davon accettava solo chi riusciva ad ottenerla: selezionava
personalmente gli studenti e creava un concorso per la borsa di
studio fra quelli che riteneva più preparati nelle materie
scientifiche.”
Reid strinse le labbra: poteva essere
quello che stavano cercando “Quanti erano quelli che non sono
stati
ammessi?”
“Cinque.- rispose immediatamente la
ragazza- Ma credo che a voi interessi un solo nome. Carl Scott era
solo un punto sotto di me nella classifica e ha impiegato davvero
molto nel progetto di ricerca per l'ammissione...”
“Direi che chiederemo a Garcia di far
partire un controllo su questo Scott, quindi.- la interruppe Hotch-
Vorremmo sapere anche delle tue relazioni passate. Persone che ti
erano particolarmente vicine ma con cui hai tagliato i ponti.”
Alaska inclinò la testa, confusa
“Io mi sono trasferita spesso, prima d'ora, e alcune amicizie
non
sono più come erano prima...Devo dirvi tutti i loro
nomi?”
Spencer si schiarì la voce,
imbarazzato “Credo che Hotch intendesse le persone con cui
avevi un
legame più forte. Intimo, diciamo.”
“Con chi ho avuto
degli intercorsi sessuali, quindi?” chiarificò
Ross, per
niente imbarazzata dall'argomento.
Reid iniziò a tossire
convulsamente, dopo essersi ingozzato con la propria stessa saliva, e
Hotch si limitò ad annuire.
“Ho avuto due sole relazioni prima di
quella con Spencer.- spiegò stringendosi nelle spalle- Una
durante il liceo, con un ragazzo della mia scuola di un anno
più
grande, si chiama Walt Morrison e ci siamo lasciati dopo qualche mese
che mi ero trasferita in California per frequentare il college e poi
sono stata per tre anni con Gael O'Neil, poi mi sono trasferita di
nuovo e abbiamo preso strade diverse e...”
“Sono state separazioni consensuali
oppure sei stata tu a lasciare loro?” si informò
Hotchner.
“Sono stata io.” rispose, confusa
dalla domanda.
L'uomo scambiò uno sguardo con
Reid “Faremo un controllo anche su di loro.”
“Nessuno di loro due farebbe mai una
cosa simile.- protestò immediatamente l'antropologa,
incredula- Siamo rimasti amici, ci scriviamo ogni Natale e ai
compleanni!”
“Alaska è solo una verifica.”
sospirò Spencer, che aveva capito dove stava portando quel
discorso.
“Walt...Walt è un pompiere!-
rincarò la dose, iniziando a gesticolare animatamente- E
Gael
è troppo impegnato a salvare le tartarughe d'acqua per poter
anche solo avere il tempo di immaginare una cosa del genere.”
“Perfetto.- disse Hotch dopo che la
ragazza ebbe concluso- Allora non sarà un problema se
facciamo
un piccolo controllo, no?”
“D'accordo.-sbottò, esausta,
lasciandosi sprofondare in poltrona- Vado a prendervi un'altra tazza
di caffè.”
Non fece in tempo di finire a
pronunciare quella frase che era già schizzata in piedi,
pronta a sparire nella porta che dava alla cucina.
Reid fece l'atto di alzarsi, per
seguirla e calmarla, ma Hotch scosse la testa nella sua direzione.
“Aspetta. Forse è meglio che
le parli io.”
Il ragazzo si fece ricadere seduto sul
divano, mentre il suo capo camminava con passo fermo fino alla stanza
attigua. Non era certo di come sarebbe andata la conversazione fra i
due.
Aaron entrò in cucina di soli
pochi passi, trovando la giovane antropologa a riempire di
caffè
le loro tazze, proprio come aveva detto.
“Va tutto bene, Alaska?- domandò,
attirando la sua attenzione su di sè- Non era nostra
intenzione turbarti, prima. Stiamo solo cercando di fare il nostro
lavoro.”
“No, non fa niente, non sono
arrabbiata.- assicurò Ross voltandosi verso di lui, agitando
una mano come per scacciare quel pensiero- È solo che...io
li
conosco da così tanto tempo e sono miei amici e...Insomma,
questo non è il mio mondo, Aaron. Io non riesco a credere,
nemmeno a immaginare, che possiate pensare che loro potrebbero essere
implicati in questa storia.”
Sul volto di Hotchner spuntò un
mezzo sorriso “E' per questo che tu sei un'antropologa e non
una
profiler.”
Alaska sorrise ampiamente “Giusto.”
“Senti, Alaska, so che tu vuoi
fidarti delle persone e vedi solo il loro lato buono, ma noi dobbiamo
controllare.- continuò a parlare l'uomo, incrociando le
braccia- Questo non è uno scherzo, lo sai, vero?”
Lei fece roteare gli occhi, ma alla
fine annuì “Credo di essermene accorta quando mi
sono
ritrovata in un letto di ospedale.”
“Non ti accadrà più
niente del genere- le assicurò immediatamente il profiler,
che
aveva sentito tremare leggermente la voce di lei, già
sottile
di per sè- ma devi avere pazienza, collaborare pienamente
con
noi e fidarti.”
Alaska lo fissò intensamente,
per poi portare lo sguardo verso l'uscio, dove Spencer aspettava la
fine della conversazione. Lo guardò passarsi una mano fra i
capelli, che aveva tagliato leggermente, e non potè impedire
a
un sorriso lieve di salirle alle labbra.
“Fiducia accordata.- sentenziò,
puntando i suoi vivaci occhi cerulei su Hotch- In rotta per
Quantico?”
Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.
Durante il viaggio per
Quantico Hotch e
Reid avevano parlato poco e avevano lasciato che Alaska ciarlasse con
loro del più e del meno, per assicurarsi che fosse
più
rilassata una volta arrivati alla sede dell'FBI. Aveva anche chiamato
suo padre per rimandare la visita che aveva in programma per quei
giorni ad un'altra data da destinarsi, e sembrava davvero che non ci
fosse più nulla a turbarla dopo che aveva chiuso la
conversazione con il genitore.
Eppure, mentre seguivano Hotch fuori
dall'ascensore verso l'open space del BAU, Spencer non potè
impedirsi di scrutare la propria ragazza, che camminava in fianco a
lui, alla ricerca di qualsiasi segno di cedimento. Non gli parve di
trovarne alcuno ma, quando stavano per entrare nella sala conferenze
dove tutti gli altri li stavano aspettando, si sentì
trattenere a qualche passo dalla porta.
Alaska avvolse le proprie dita attorno
a quelle di Reid, che sobbalzò a causa di quel contatto
improvviso e inaspettato. Quando si voltò verso di lei, la
trovò con la testa leggermente inclinata, come se stesse per
sussurrargli un segreto.
“Mi sento strana a...uhm...- fece una
pausa, per cercare meglio le parole per spiegarsi- stare dalla parte
opposta. Non che io sia mai stata dalla vostra, ma...”
Sul volto di Spencer comparve un
sorriso, mentre lasciava un bacio leggero e veloce sui capelli scuri
della ragazza. “Andrà tutto bene.” le
assicurò,
cercando di entrare nel ruolo di protettore. Gli sembrava strano
doverlo fare, in quel momento: sapeva di aver passato gran parte
della propria infanzia e adolescenza ad occuparsi della madre malata
e, quindi, di essere in grado di prendersi cura e proteggere una
persona cara. Con lei lo aveva fatto, inconsciamente, dopo pochissimi
giorni dal loro primo incontro, eppure in quel momento gli sembrava
decisamente impossibile. Alaska non avrebbe mai dovuto avere bisogno
della sua protezione, non in quel modo.
“Lo so. Solo che, mi domandavo: è
davvero necessario tutto questo?” fece un ampio gesto della
mano,
per indicare la stanza di fronte a loro.
Sul tavolo c'erano già i
fascicoli di Carl Scott, Walt, Gael e di quello studente di cui aveva
parlato a Morgan e Reid. Alla parete era già appesa una
cartina della città, in attesa che venisse predisposto un
profilo geografico. Alaska contò mentalmente il team dei
profiler, cui aggiunse poi Garcia, Nate, Gordon e quei quattro agenti
che si davano il cambio per farle da scorta ventiquattr'ore al
giorno. Erano quasi una dozzina di agenti speciali dell'FBI,
qualificati, competenti e molto richiesti che si stavano occupando in
massa del suo caso. La cosa la faceva sentire decisamente
più
sicura, ma le creava anche parecchie domande.
Reid le rivolse un'occhiata
inquisitoria “Che cosa intendi?”
“Il benessere di molti è più
importante di quello di pochi, ricordi?E' una frase di Star
Wars.”
gli ricordò
“Star Trek.” la corresse
immediatamente il giovane profiler.
“Il concetto resta lo stesso,
Spencer.- sospirò Ross, puntandogli addosso i suoi grandi
occhi chiari- Ho visto l'ufficio di JJ: ci sono pile di casi che
aspettano di essere presi in considerazione da voi e ora vi state
occupando di questo caso in sei tralasciando altre persone che
avrebbero più bisogno di voi. Persone che sono là
fuori, senza una scorta, in balia di pazzi a cui la polizia da sola
non riesce a stare dietro e...”
“Alaska, smettila immediatamente, per
favore.- la bloccò Spencer, voltandosi verso il resto del
team
che continuava a lavorare nella stanza, ignaro di quella
conversazione- Ci occuperemo del tuo caso. Punto.”
L'antropologa gli posò una mano
sulla spalla, cercando delicatamente di farlo voltare di nuovo verso
di sé “Perchè?- domandò di
nuovo-Non vi dico
di lasciarmi al mio destino, c'è già Nate che ha
sotto
controllo la situazione, e Gordon e gli altri ragazzi della loro
squadra. Sono gente in gamba, lo sai anche tu.”
Reid si passò stancamente una
mano sul viso, sfregandosi gli occhi “Al, davvero non
capisci?Io
devo fare qualcosa. E anche gli altri la pensano così. Come
credi che ci sentiremmo sapendo che possiamo essere la squadra
migliore per aiutarti e non poter farlo?”
Alaska si mordicchiò il labbro,
soppesando bene le parole che aveva appena sentito “Immagino
non
poi così bene.- ammise- Probabilmente come mi sento io
adesso
sapendo che non potrò occuparmi dei miei casi in sospeso per
un po'.”
Spencer non potè impedirsi di
sorridere al sentire quel tono leggermente imbronciato
“Esatto.
Quindi, discorso chiuso?”
La ragazza annuì “Discorso
chiuso.” promise, facendosi una croce sul cuore come per
sancire un
giuramento.
Reid prese un bel respiro e le aprì
la porta per darle accesso alla ormai caotica sala conferenze. Anche
se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, sapere che era Alaska al
centro delle loro indagini gli faceva andare le gambe in gelatina.
“Alla buon ora, Ross.- la accolse la
voce profonda di Crowford- Sai che ore sono?”
Prentiss aggrottò le
sopracciglia, incredula di aver davvero sentito una nota bonaria nel
rimprovero dell'agente più burbero nella storia del Bureau.
Alaska sorrise apertamente “L'ora che
io mi compri un orologio?” ribattè, ripetendo
l'accusa che
gli muoveva sempre il collega quando si presentava in ritardo ad un
appuntamento.
Nate le rivolse un ghigno strafottente
e grazie a quel gesto lei notò immediatamente una leggera
escoriazione che deturpava lo zigomo dell'uomo. Allungò un
braccio e strinse leggermente fra le dita il mento del riluttante
agente, per voltarlo di lato leggermente e ispezionare quella ferita
insignificante.
“Nate...”iniziò a parlare
Ross, con tono preoccupato.
Crowford si divincolò piano da
quella stretta, fingendosi infastidito “Una cosa di
lavoro.”
tagliò corto, ben sapendo che la giovane antropologa non
sarebbe stata contenta di sapere che aveva torchiato un interrogato
talmente tanto, e usando il peggio del proprio repertorio di pessime
maniere, che quello gli si era rivoltato contro, colpendolo con un
pugno improvviso. Certo, quello che gli aveva ritornato lui era stato
decisamente più forte e mirato, considerando il fatto che
gli
aveva rotto il naso.
“Garcia ha già fatto partire i
controlli sui nominativi che ci hai mandato.”
spiegò Morgan,
rivolgendosi a Hotch, la fronte aggrottata per lo stupore che gli
aveva causato vedere l'atteggiamento della ragazza verso Crowford.
“Ha trovato qualcosa di utile?” si
informò l'uomo, prendendo fra le mani uno dei fascicoli.
“O'Neil è rintracciabile solo
per i suoi arresti per reati minori: è un ambientalista
piuttosto attivo e pare partecipi a ogni manifestazione del
continente.- si affrettò a riferire Prentiss, che aveva
analizzato la sua fedina penale- A parte questo non abbiamo i
movimenti di carte di credito né altro che possa confermarci
la sua posizione attuale. Garcia sta approfondendo la
ricerca.”
Alaska borbottò qualcosa
riguardo al fatto che probabilmente si trovava in Florida ad
occuparsi degli strascichi ambientali causati dalla perdita di
petrolio avvenuta recentemente, ma nessuno parve notare il suo
commento.
“Morrison non si muove da Denver da
mesi.- aggiunse Rossi, lanciando la cartelletta sul tavolo- Direi che
possiamo metterlo da parte.”
Ross esultò, lanciando
un'occhiata soddisfatta ad Hotch, che però sembrava
decisamente più impegnato ad ascoltare il riepilogo fornito
dalla squadra.
“Quindi l'unico sospettato che
abbiamo fin ora è l'ex fidanzato abbraccia alberi di Ross?-
sbottò Nate: tutto quello gli sembrava una perdita di tempo,
il suo approccio era decisamente più terra a terra e
prevedeva
interrogatori snervanti per chiunque fosse coinvolto nelle sue
indagini, raccolta di informazioni sul campo grazie a mezzi di ogni
tipo e le buone e vecchie minacce federali- Non mi sembra molto
promettente.”
Crowford passò accanto a Reid
per andarsi a sedere, rischiando di urtarlo nell'atto. Spencer non
era del tutto certo che non l'avesse fatto apposta per farlo spostare
più lontano da Alaska.
“Trovo strano il fatto che tu ti
trovi qui.- ammise squadrando l'uomo- Avevi detto di voler condurre
le indagini da solo.”
Lui incrociò le braccia al
petto, annoiato “Precisamente. Anzi, di solito mi trovo molto
meglio a lavorare in quel modo.”
“Certo.- ribattè Morgan,
alzando un sopracciglio- Immagino che sai anche fare un profilo
dell'uomo che stai cercando giusto?”
“Avete già qualcosa in mano?”
si informò Ross, interessata. Sembrava che l'atmosfera
pesante
all'interno di quella stanza non la scalfisse minimamente.
Emily
annuì nella sua direzione “Abbiamo lavorato a un
profilo.”
“Oh, certo, un profilo.- sbuffò
Nate, che non aveva mai creduto all'utilità della psicologia
in campo criminale- Fatemi indovinare: uomo, bianco, fra i trenta e
quarant'anni, da piccolo si divertiva a torturare gli animali e
probabilmente aveva problemi coi genitori.”
“Nate, non hai la preparazione adatta
per creare un profilo.-gli ricordò Alaska, che sembrava non
aver notato il suo tono pesantemente ironico- E' come se io cercassi
di fare la detective.”
Hotch rivolse all'agente uno dei suoi
sguardi più freddi, che si andò ad unire a quelli
colmi
di disapprovazione del resto del team “Signor Crowford, la
inviterei a tenere il proprio sarcasmo per sé oltre che a
ricordare che i profiler, e la mia squadra dunque, contribuiscono a
risolvere dei casi ingestibili alla maggior parte delle forze
dell'ordine.”
“E tu smettila di pensare ai
fascicoli nel mio ufficio: ti posso assicurare che non ci sono casi
urgenti, al momento.” aggiunse JJ, come se fosse riuscita a
leggere
nella mente della giovane in base all'aria incerta che aveva dipinta
sul volto da quando era entrata nella sala conferenze. Reid non
potè
fare a meno di voltarsi verso la collega e mimare la parola grazie
a fior di labbra.
L'antropologa annuì, stupita,
fidandosi delle parole della bionda, e poi fissò impaziente
il
gruppo di agenti introno a sé, aspettando che dicessero
qualcosa riguardo a quel caso che la toccava in prima persona.
David le si avvicinò, posandogli
una mano sulla spalla mentre iniziava a parlare “Alaska,
sarebbe il
caso che tu...”
“Lo so, lo so: Nate me lo dice
sempre. Io sono solo un topo da laboratorio, quindi quando si parla
di indagini devo limitarmi a stare zitta, ascoltare ed annuire.
Niente domande fuori luogo e niente che disturbi gli addetti ai
lavori.”
Emily sospirò “Alaska, quello
che David stava per dire è che non dovresti stare qua a
sentire il profilo: di solito le vittime non partecipano alle
indagini.”
“Ricevuto, comandante.- trillò la giovane,
sfiorandosi la fronte con due dita per mimare un saluto militare-
Vado a farmi un giro.”
La voce di Hotch la inseguì mentre
si allontanava “Garcia sta lavorando al caso.”
“Oh.- Alaska
rallentò il passo, incerta- Allora andrò...non
so, ai
laboratori?” domandò, come se stesse chiedendo
loro il
permesso.
“Avevi detto che dovevi finire delle
relazioni e controllare le tesine dei tirocinanti dello scorso
trimestre.” le ricordò Reid, rammentandole le
parole che lei
stessa gli aveva detto in ospedale quando aveva giurato che avrebbe
utilizzato quei giorni di malattia per rimettersi in pari col lavoro.
L'antropologa fece schioccare le dita
“Giusto.”
“C'è un computer nel mio
ufficio.- le suggerì Rossi- Puoi lavorare
lì.”
“Quindi fino all'altro giorno ero la
povera piccola Alaska che è stata avvelenata e deve
riposarsi
e ora invece la dottoressa Ross che niente può fermare dallo
svolgere i suoi compiti?” domandò loro, un
sorrisetto furbo
e divertito a decorarle il viso.
Derek fece roteare gli occhi
“Allora puoi startene tranquilla nell'area relax
finchè non
avremo finito.” Era più una sfida che un
suggerimento,
sapeva che non avrebbe resistito mezz'ora da sola a far niente.
“So
cosa state facendo: state usando quella cosa...- fece una pausa per
cercare le parole giuste- la psicologia sottosopra, giusto?”
“La che?” le fece eco JJ, confusa.
“Massì, voi mi dite di fare
una cosa per farmi fare quella opposta.- spiegò annuendo
saputa la ragazza- La psicologia sottosopra!”
“Si chiama psicologia inversa,
Quarantanove.” rise Morgan, scuotendo la testa.
“Quello che ho
detto.- confermò Alaska, prima di sventolare una mano con
noncuranza e dirigersi verso l'ufficio di Rossi- Comunque, funziona.
Vado nell'ufficio di Dave.”
“Sappiamo dove trovarti in caso
avessimo bisogno di te, allora.” la inseguì la
voce del
profiler più anziano, prima che si chiudesse la porta alle
spalle.
Senza Ross nella stanza sembrava che il
paciere si fosse appena allontanato dal campo di battaglia, lasciando
le due fazioni a guardarsi in cagnesco, in attesa che una scintilla
facesse scatenare il peggio.
“Perfetto, allora.- esordì con
voce piatta Crowford mentre prendeva un blocchetto degli appunti
dalla tasca interna della giacca di pelle- Fatemi sentire questo
mirabolante profilo di cui andate tanto fieri.”
“E' un uomo, fra i trentacinque e i
cinquant'anni...” iniziò a spiegare Prentiss.
“Ma per
favore!” sbottò Nate che, evidentemente, era
particolarmente
esperto nell'alimentare l'odio che gli altri provavano già
istintivamente verso di lui.
“E' un maniaco del controllo.-
continuò la mora, ignorandolo- Non ha semplicemente
attentato
alla vita di Alaska ma prima l'ha seguita per settimane per studiare
le sue abitudini.”
“Inoltre le ha lasciato la busta con le
foto e il messaggio col teschio in casa sua.- continuò
Morgan-
Vuole farle sapere che le sta dando la caccia.”
“Non capisco.- commentò
Crowford, finalmente deciso ad essere più collaborativo- Se
la
vuole morta perchè non le ha semplicemente sparato?Dopotutto
ne ha avuto l'occasione durante il periodo in cui la seguiva
costantemente, giusto?”
“L'SI non vuole semplicemente
ucciderla.- spiegò Reid, parlando il più
velocemente
possibile per evitare di perdere il controllo della propria voce al
pensiero di ciò che stava dicendo- È convinto di
avere
subito un torto da parte sua quindi vuole avere un confronto diretto
con lei, cercare di parlarle prima e fargli capire il motivo delle
sue azioni.”
Nate alzò un sopracciglio, scettico “E voi
credete davvero che Ross abbia potuto fare qualcosa di così
grave da attirare su di sé la rabbia di un bastardo
qualunque?”
“No.- rispose Rossi- L'SI attribuisce
a lei delle colpe che probabilmente non ha in base a un torto che
crede di aver subito da parte sua.”
L'agente annuì, scarabocchiando
qualcosa sul suo blocchetto “E' già stata fatta
un'indagine
sul passato di Ross?” domandò.
Hotch alzò un dito per fargli
segno di aspettare e poi digitò un numero interno sul
telefono
posizionato al centro del tavolo.
“Mi sembra strano analizzare così
il passato di Alaska.- disse dopo pochi secondi la voce di Penelope
dall'amplificatore- Come se fosse una sconosciuta qualsiasi.”
“Garcia, è per il suo bene.”
gli ricordò JJ.
Dall'altro capo del filo la donna annuì
“D'accordo. Alaska Prudence Ross...
“Prudence?” domandò in un
sussurro Emily.
“...nata a Denver, in Colorado, il
cinque ottobre di ventisei anni fa. Sua mamma è
un'insegnante
di disegno, suo padre un veterinario. A parte un'operazione alle
tonsille non c'è niente di rilevante su di lei
finchè,
a otto anni, venne rapita da...”
La voce di Rossi sembrava provenire
dall'aldilà mentre precedeva le parole di Garcia
“Jason
Foller.”
“Esatto. È stata portata in
salvo otto giorni dopo la sua scomparsa, due dopo il suicidio in
cella del sospettato. È stata in ospedale per una settimana
e
poi ha avuto delle sedute settimanali con un terapista infantile per
i due anni successivi. A parte questo non c'è niente di
particolare:una tipica ragazza americana. Ha frequentato il liceo a
Wichita, dopo il divorzio dei suoi genitori e il trasferimento dal
Colorado, ed era presidentessa del club scientifico delle superiori,
ha lasciato il Kansas a diciassette anni per trasferirsi in
California per frequentare l'università. È stata
ammessa alla Berkeley ma ha cambiato l'iscrizione all'ultimo per
andare all'UCLA, probabilmente a causa del trasferimento improvviso
del dottor Stein. Ha vinto l'ammissione al suo tirocinio esclusivo
grazie a una ricerca su come influisce la chirurgia estetica nelle
modificazioni post-mortem...”
“Un certo Carl Scott ha perso
per un soffio e se l'è presa, giusto?”
azzardò
Morgan.
“Già, ho già fatto partire un controllo
più approfondito su di lui.- confermò Penelope,
gli
occhi che vagavano veloci sulle informazioni che trasmettevano gli
schermi che aveva di fronte- Comunque dopo la laurea Alaska
è
diventata l'assistente fissa di Stein: l'ha seguito in un laboratorio
di medicina legale a New York prima del trasferimento definitivo a
Baltimora e, come sappiamo, alla fine si è ritrovata qua a
Washington.”
“Hai notizie di quegli studenti
scontenti di cui parlava?” domandò quindi Reid.
Nel suo ufficio Garcia scosse la testa
“Sto facendo un controllo anche su di loro, ma sembrano
puliti.”
“Nient'altro?” si informò
Rossi.
“Sto facendo un confronto incrociato
per vedere se ci sono stati recentemente trasferimenti a Washington
di persone che hanno vissuto vicino ad Alaska, ma sembra una cosa
più
lunga del previsto...” si affrettò a spiegare
Penelope,
impaziente di poter comunicare i risultati di quella ricerca.
Hotch annuì, la mente già
concentrata su come avrebbero proceduto “D'accordo: Reid e
JJ,
lavorate a un profilo geografico. Partite dalle foto e cercate di
individuare da dove sono state scattate. Dobbiamo vedere in che zona
agisce e fino a che punto seguiva Alaska.”
I due annuirono e il
capo dell'unità si voltò verso Rossi
“Io e Dave
andremo nel quartiere di Alaska e cercheremo di trovare qualcuno che
abbia notato qualsiasi cosa e...”
“Io andrò dagli studenti.”
mise in chiaro immediatamente Crowford alzandosi di scatto. Da quando
aveva sentito la storia della vita della sua collega, soprattutto
della parte della sua infanzia di cui era fino a pochi minuti prima
all'oscuro, si era sentito ribollire il sangue nelle vene: era certo
che spaventare un paio di studentelli universitari per ottenere delle
informazioni e sfogare poi il resto della propria rabbia su un sacco
da box in casa sua sarebbe stata la miglior cura per quella
sensazione.
“Prentiss, vai con lui.” disse Hotch, facendo un
cenno ad Emily.
Le spalle di Nate si irrigidirono e sembrò
palese la sua irritazione “L'avete sentita Ross, prima:
preferisco
agire da solo.”
Aaron non sembrava per niente impressionato dal
suo atteggiamento da bullo, però “Non questa
volta,
Crowford.”
L'uomo fece roteare gli occhi,
infastidito, mentre usciva dalla stanza con passo svelto.
“Spero solo che tu riesca a starmi
dietro.” borbottò, rivolto alla mora che lo stava
seguendo.
“Morgan...” chiamò di nuovo
Hotch.
All'uomo bastò fare solo un
cenno di assenso, prima di affrettarsi a seguire gli altri due
agenti.
L'indagine stava per entrare nel vivo.
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
“Questa
è stata la giornata
più noiosa della mia vita!” sentenziò
Alaska,
stringendosi intorno al braccio di Spencer non appena ebbero messo
piede fuori dalla vettura.
“Dico sul serio- continuò con
voce frizzante- è stato peggio di quando all'asilo mi
avevano
messo in castigo per una giornata intera per aver pitturato un
compagno di classe. Sai che sono stata completamente isolata?”
Durante quelle ore dall'apparenza
interminabili il team aveva appurato che Ross poteva camminare
tranquilla per strada, perchè di certo l'SI non usava armi
da
fuoco. In effetti, avevano scoperto un sacco di cose che non poteva
essere: non era un sadico, probabilmente non aveva mai ucciso prima,
non era una persona che si faceva notare, non aveva un carattere
aggressivo.
Ad ogni non cui riuscivano ad
arrivare con il loro profilo a Reid sembrava che si stessero
allontanando sempre più da ciò che cercavano, e
non
viceversa.
Lui e JJ erano riusciti ad individuare
le zone della città in cui l'SI aveva seguito Alaska e
avevano
già predisposto un sopralluogo per il giorno seguente e
quello, in effetti, era l'unico traguardo raggiunto durante la
giornata. Hotch e Rossi non avevano concluso niente, così
come
Morgan e Prentiss. In effetti loro avevano avuto occasione di
scoprire che ogni singola voce che circolava su Crowford era vera:
era davvero un bastardo violento e poco collaborativo, ne
più
ne meno.
Reid si rendeva conto di stare
sviluppando un'antipatia sempre maggiore verso il collega della
propria ragazza e sapeva che non era, nonostante continuasse a
ripeterselo, solo a causa dei suoi modi da cavernicolo.
Era ancora perso nei propri pensieri
quando senti trillare la voce di Alaska “Nate!”
Sbattè le palpebre confuso
mentre si sentiva trascinare verso una macchina parcheggiata poco
distante dal portone del suo palazzo.
“Che cosa ci fai qui?” non potè
fare a meno di domandare, stupito, quando riconobbe Crowford al posto
di guida.
“Aspetto di avvistare un'aquila
reale.” ribattè l'uomo, sarcastico.
Alaska proruppe in
una risatina “Ma, Nate, in città non è
facile vedere
degli animali selvatici e...”
“Ross!- sbottò Crowford,
esasperato- Sono qua a farti da scorta.”
“Da solo?”si informò la
ragazza, allungando il collo all'interno dell'abitacolo.
Nate le rivolse un ghigno “Mai
sentito il detto: chi fa da sé, fa per tre?”
“Ma...ti sentirai solo!- protestò
lei- E poi non avrai freddo, a passare la notte in auto?”
“Tanto so che passerai domani mattina
a portarmi una cioccolata calda come hai fatto con la pattuglia che
è
rimasta stanotte.” rispose con una scrollata di spalle
Crowford.
“Ma tu sei uno dei miei migliori amici!Non posso
permettere che ti vada in ipotermia. Dormirai sul divano.”
Spencer rizzò il capo, scioccato
“Come?”
“Sul serio?” gli fece eco l'altro
agente.
Alaska sorrise “Ma certo, è
comodissimo, lo posso assicurare.”
“Sei sicura che il dottor Reid sia
d'accordo?” domandò, alzando un sopracciglio. In
realtà
non gli importava molto della sua opinione.
“Certo.- confermò
l'antropologa, strizzando il braccio di Reid e rivolgendogli un
sorriso radioso- Vero, Spencer?”
“Sì, certo...” borbottò
lui in risposta, con lo stesso tono con cui avrebbe acconsentito alla
rimozione di un dente del giudizio senza anestesia.
Seguì Alaska e Crowford fino
all'interno del proprio appartamento, trattenuto dallo scappare dalla
parte opposta di quell'uomo sgradevole solo grazie alla mano morbida
della ragazza stretta intorno alla sua.
Vide l'agente guardarsi intorno
indagatore mentre Ross continuava a chiacchierare allegra, senza
rendersi conto di essere la sola persona allegra in quella stanza
“Fortuna che l'altra sera abbiamo ordinato da mangiare
qualcosa in
più, altrimenti ora non avremmo niente da offrirti. Hai
fame?Abbiamo cibo cinese, thailandese, indiano e qualcosa di qualche
altra nazione esotica che non ricordo.”
Crowford poggiò la propria
giacca sullo schienale del divano, stringendosi nelle spalle
“Va
bene qualsiasi cosa, Ross. Voi non mangiate?”
“Abbiamo già mangiato a
Quantico.” rispose Spencer, ma nemmeno l'aver preso la parola
fece
distogliere lo sguardo di Nate da Alaska.
L'antropologa parve ignorare il fatto
che il suo collega non degnava il profiler neanche di uno sguardo
“Ho
saputo che sei andato ad interrogare gli studenti che ho escluso dal
tirocinio con Emily e Derek. Non ti ho visto tornare con loro,
però.”
Crowford scosse le spalle larghe “Già.
Dopo l'esperienza di oggi Gordon ha deciso che deve essere lui il
membro di contatto fra le nostre due unità.”
Il commento di Reid gli uscì
dalle labbra più secco di quanto volesse
“Strano.”
“Davvero!-
concordò Alaska- Quindi non verrai più a
Quantico?”
“Non ho detto questo.” ribattè
Nate con un sorriso obliquo.
Ross fece sventolare una mano, per poi
assumere una finta aria imbronciata “Beh, comunque spero che
non mi
mettiate in castigo anche domani.”
“No, domani io e te non andremo a
Quantico.- la contraddisse Spencer- Crediamo che sia meglio che tu
resti qui, anche se ci sarà sempre qualcuno con te oltre
alla
scorta in strada, è meglio. Resterò io con
te.”
“Oh, perfetto.” sbottò Nate,
facendo roteare teatralmente i suoi occhi grigi.
Reid aggrottò le sopracciglia
“Come, scusa?”
“Credo che se la caverebbe meglio
senza di te che ti aggiri apprensivo per casa.”
chiarificò
senza mezzi termini.
Reid serrò la mascella con
forza, infastidito da quelle parole mentre Alaska fece roteare gli
occhi platealmente “Nate...”
“Voglio dire,- continuò a dire
Crowford- non mi sembri certo il genere di agente adatto per essere
messo di guardia a qualcuno.”
“Nate.” ribadì Ross, la voce
pericolosamente più secca. Spencer intanto non
potè
fare a meno di riflettere sulle parole dell'uomo. Si
mordicchiò
il labbro inferiore, mentre l'altro continuava imperterrito,
chiedendosi se in fondo non potesse avere ragione.
“Certo, puoi anche essere un
cervellone e via dicendo, ma...”
“Nate, adesso basta!”
I due agenti osservarono confusi verso
la ragazza, che aveva inaspettatamente alzato la voce. Aveva
afferrato il polso di Reid e lo stava trascinando con sé
fuori
da quella stanza, per dirigersi verso la camera da letto dove contava
di barricarsi.
“Andiamo, Al.- la richiamò
Crowford- Stavo solo mettendo in evidenza l'ovvio.”
Quando
l'antropologa si fermò, lanciandogli un'occhiata che non
aveva
quasi mai riservato a nessuno nella sua vita, Crowford sentì
la gola seccarsi. I grandi occhi di Alaska avevano la stessa
espressione di quelli di Bambi dopo che il cacciatore gli aveva
ucciso la madre ma, oltre a quello, si poteva intravedere anche una
buona dose di delusione ed un accenno di rabbia. Né lui
né
Spencer potevano dire di aver mai visto quell'espressione sul volto
della spensierata giovane e fu per quello che restarono ammutoliti
per un po'.
Non passarono che pochi secondi che
Alaska si voltò verso Reid, lo sguardo raddolcito come al
solito “Credo che andrò a farmi una doccia e poi
me ne andrò
a letto. Mi aspetti in camera?”
Quando la vide emergere dal
corridoio,
i capelli ancora umidi per via della doccia, con indosso un paio di
pantaloni di felpa dal motivo a quadretti e una semplice canottiera
rossa, Crowford non potè impedirsi di sorriderle.
“Devo dedurre che non sei più
arrabbiata?” le domandò.
Alaska posò sulla poltrona un
fagotto colorato non meglio identificato “Non avresti dovuto
dire
quelle cose.- sospirò, guardandolo con una forte
intensità
negli occhi chiari- Io mi fido di Spencer, metterei la mia vita nelle
sue mani senza farmi problemi, e tu non dovresti mettere in dubbio
questo.”
Crowford fece roteare gli occhi,
cercando di scherzare “Quel tizio non saprebbe difenderti da
un
ragno aggressivo.”
“Nate, smettila, davvero.” pigolò
Ross, mordicchiandosi il labbro inferiore.
L'agente la fissò per qualche
istante, pensieroso. Alla fine si passò una mano fra i corti
capelli scuri e le lanciò un sorriso che doveva essere
incoraggiante “Una cosa seria, uh?”
“Sì.- rispose semplicemente
Alaska, con un certo sollievo per quella comprensione nella voce
sottile- È chiedere troppo che tu finga almeno di capire? Di
assecondarmi?”
Crowford scrollò le spalle
muscolose “Mmm”
La ragazza gli rivolse un sorriso più
rilassato mentre indicava ciò che aveva lasciato sulla
poltrona “Ti ho portato una coperta e un cuscino. Se hai fame
in
cucina c'è qualcosa da mangiare, puoi anche prendere una
fetta
di torta, l'ho fatta stamattina. Il bagno di servizio è di
fianco all'ingresso e ti ho messo là uno spazzolino pulito e
un tubetto di dentifricio.”
Nate le fece un cenno di assenso“Ok.”
Alaska si sporse verso di lui e gli
lasciò una carezza leggera sul braccio
“Buonanotte, Nate.”
sussurrò prima di avviarsi verso la stanza di Reid.
“'Notte Al.” sentì dire alle
proprie spalle, mentre spariva lungo il corridoio.
Quando entrò in camera trovò
Spencer già sotto le coperte, che gli sorrideva dolcemente.
“Avete fatto pace?” domandò
interessato.
Alaska si strinse nelle spalle, mentre
si infilava a letto e si accoccolava contro di lui “Quasi.
Sto
cercando di addomesticarlo, sai?”
Reid alzò le sopracciglia
“Impresa impossibile.”
“Non credo. Con me si comporta
benissimo, è una brava persona...”
Il profiler non
commentò quell'affermazione, si limitò a passarle
una
mano fra i capelli “Sai, mi sono sentito una principessa in
pericolo portata in salvo da un cavaliere senza macchia e senza paura
all'attacco del drago cattivo.”
Ross rise per quella descrizione
“Non mi è piaciuto come ti ha parlato. Nessuno
potrebbe
difendermi meglio di te: sei la persona migliore che io
conosca.”
Spencer annuì distrattamente,
prima di iniziare a parlare, balbettando suo malgrado
“Volevo...uhm...sì, insomma, so che forse non
è un
buon momento ma...ecco, volevo chiederti una cosa...”
“Tutto quello che vuoi.” rispose la
ragazza, mentre placidamente giocava con le sue dita fra le mani.
“Come...-continuò, prima di
schiarirsi la voce che gli era diventata troppo acuta- come ti trovi
qui?Voglio dire, lo so che non ti piace essere intrappolata in questa
casa, ma mi domandavo come...sì, come ti trovi...”
“Mi piace, ma non so se il sentimento
è reciproco.” commentò Alaska, non
notando la
stranezza di quella domanda.
Reid aggrottò la fronte
“Perchè?”
“Suppongo che i lividi che ho sugli
stinchi potranno dimostrare quanto la tua cucina mi detesti.”
spiegò lei, alzando lo sguardo divertito per incrociare il
suo.
Il profiler rise “Potremmo mettere
quegli smussa angoli usati per i bambini...”
“E' una buona idea.- concordò
Alaska annuendo- Si vede che fra noi due sei tu il genio.”
“Comunque, mi chiedevo...- continuò
Spencer, riprendendo le redini del discorso-Ti piacerebbe restare
anche dopo che questa situazione si sarà risolta?Insomma,
rendere tutto questo definitivo...”
Gli occhi dell'antropologa si
spalancarono “Che cosa mi stai chiedendo, Spencer?”
Reid la fissò intensamente “Di
venire a vivere qui. Con me.”
“Davvero?” chiese con il sorriso
che già le si allargava sul volto.
“Davvero.” confermò il
ragazzo.
“Wow!- esclamò Alaska felice-
Sei consapevole che sarà come abitare con uno di quei
folletti
che incasinano tutto, vero?”
“L'avevo considerato.” ammise
Spencer, anche se in realtà aveva pensato che sarebbe stato
più come vivere insieme a un tornado.
“Ti amo!” trillò lei
gioiosa, prima di piegarsi su di lui per dargli un bacio
appassionato.
La risata di Reid restò
soffocata da quel bacio e, non appena ebbe un momento di tregua,
sussurrò contro le labbra morbide dell'amata “Lo
prendo per
un sì?”
Alaska non rispose, ma continuò
a lasciare una scia di baci lungo la linea della sua mascella.
Spencer sentì la propria temperatura corporea aumentare
vertiginosamente e la testa annebbiata dalle sensazioni che
emergevano prepotenti ogni volta che la sua ragazza lo sfiorava in
quel modo. Tuttavia non potè fare a meno di pensare che,
quella volta, non erano soli in casa.
“Alaska?” la chiamò
titubante, cercando di non badare alle scariche elettriche che
sentiva sotto la pelle.
“M-mm?” mormorò lei, senza
staccare le labbra dal suo collo.
“Crowford...- balbettò,
cercando di rimanere lucido- Sai, Crowford è di
là, e
non vorrei che lui sentisse...”
La risposta dell'antropologa risuonò
nel suo orecchio come le fusa di un gatto “Nate
dorme.”
Reid si agitò leggermente nella
stretta soave della ragazza “Non sarei troppo stupito di
scoprire
che ha il sonno leggero, e nemmeno che sia in grado di sentire
attraverso le pareti...”
“D'accordo.- Alaska si arrese con una
risata, dandogli un bacio a stampo sulle labbra e sistemandosi meglio
sul letto, con la testa appoggiata alla sua spalla- Mi
comporterò
bene.”
Spencer sorrise e le posò un
bacio fra i capelli, e mentre godevano l'uno del caldo abbraccio
dell'altra, il sonno li accolse nel suo mondo tranquillo e senza
pensieri.
Da qualche parte nella periferia di Denver, Colorado.
Alaska deglutì
piano, mentre
fissava il volto rubicondo del dottor Morris. Era indubbiamente
invecchiato dall'ultima volta che l'aveva visto: ai lati degli occhi
si aprivano a ventaglio una serie di rughe profonde, le palpebre
erano più cadenti di come le ricordava e la barba, una volta
rossa come i capelli, era spruzzata di peli bianchi. Tuttavia, nei
suoi occhi verdi, riusciva a riconoscere la stessa calma e
compassione che vi vedeva quando, diversi anni prima, frequentava le
sedute di terapia individuale al suo studio di psicologo.
“Allora, Alaska, sei pronta?” le
domandò l'uomo, una punta di dolcezza nella voce.
L'antropologa si umettò le
labbra, leggermente imbarazzata “Non ricordo che cosa devo
fare.”
Il dottor Morris le sorrise comprensivo
e lei si voltò quindi verso Spencer che le si era avvicinato
a
sua volta, facendo scivolare una mano nella sua.
“Niente di speciale, Al- la rassicurò
il ragazzo- Vogliamo solo che entri lì dentro e ci dici se
ti
ricordi qualcosa.”
Alaska annuì piano, seguendoli
lungo un sentiero che si era formato su quel prato poco curato,
probabilmente in seguito ai continui viaggi di qualcuno. La stradina
portava a una specie di capanno, una sorta di rimessa che si trovava
dietro al cottage. Era fatta di legno scuro e, a giudicare dalla
polvere accumulata sulla maniglia della porta, sembrava che fossero
passati anni da quando qualcuno vi aveva messo piede per l'ultima
volta.
“E' lì dentro.- indicò
lo psicologo con la sua mano paffuta- Ti ricordi di questo posto,
piccolina?”
Ross scosse la testa, confusa. Il
dottor Morris usava quel soprannome quando aveva iniziato la terapia,
a otto anni. Le sembrò strano che lo utilizzasse ancora, ma
pensò che probabilmente doveva essere una strategia usata di
proposito per metterla a suo agio.
“Va bene lo stesso.- le sussurrò
all'orecchio Spencer, con voce soave- Non importa se non ti viene in
mente tutto subito.”
“Ma cosa?” domandò incerta
Alaska, mentre muoveva qualche passo all'interno della piccola
costruzione in legno. Al suo interno poteva sentire odore di chiuso e
di muffa, aveva ragione, quindi: nessuno non vi metteva piede da
parecchio tempo.
La luce, che entrava a sprazzi dalla
porta aperta e occupata dai due uomini che l'accompagnavano, non
riusciva a illuminare l'intero ambiente. Riconobbe una sedia,
impolverata e rovesciata di fianco a un tavolo altrettanto mal messo
e, pendente dal soffitto, c'era una lampadina nuda e ormai fulminata
da tempo. L'arredamento sembrava esaurirsi con quei pochi elementi
ma, con la coda dell'occhio, Alaska notò qualcosa
nell'angolo
più lontano del capanno.
Non ne capiva il motivo, ma la cosa la
inquietava un po'. Si voltò, alla ricerca degli sguardi
confortanti del dottor Morris e di Reid.
“Avanti, piccolina.- la incoraggiò
l'uomo più anziano- Devi ricordare.”
La ragazza aggrottò la fronte
incerta, ma gli occhi scuri e amorevoli di Spencer la rassicurarono
quanto bastava per farle compiere gli ultimi passi verso quello
strano oggetto nascosto nell'ombra.
Mosse dei piccoli passi e piano piano i
suoi occhi furono in grado di riconoscere quello che stava guardando.
Le sbarre di ferro arrugginito che si
arrampicavano fino a non più di cinquanta centimetri dal
terreno.
Il fondo protetto dal ferro da una
tavola di legno scheggiato.
La catena di fianco alla piccola
apertura, insieme alla tenaglia che l'agente speciale David Rossi
aveva usato per liberarla.
Si portò la mano alla bocca,
incapace di parlare o anche solo di pensare a qualcosa di coerente.
Stava per voltarsi, per correre a
trovare rifugio nel caldo abbraccio di Spencer, quando sul fondo di
quella gabbia, che molti anni prima era stata la sua prigione,
notò
qualcosa.
Si avvicinò ancora, spinta da
una curiosità strana e morbosa a cui non riusciva a dare il
nome, e si trovò di fronte a qualcosa di estremamente
famigliare.
La pelle rinsecchita del cadavere
scheletrizzato riluceva di una strana luce sinistra. Strinse gli
occhi per vedere meglio quella schiena martoriata, su cui la vernice
rossa tracciava segni strani e irregolari.
Stava appoggiando una mano su una
sbarra di ferro, per evitare di perdere l'equilibrio in seguito a
quel sovraccarico di informazioni, quando il cadavere si mosse,
facendola sobbalzare.
Poco dopo due orbite vuote la fissavano
con insistenza, mentre le dita scheletriche si posavano su quelle che
un tempo erano state labbra, come se volessero suggerirle di stare in
silenzio.
Un sibilo freddo le risuonò
subito dopo nelle orecchie “Sssh!”
Casa di Spencer Reid. Washington, DC.
Alaska aprì gli
occhi di scatto.
Non urlava mai alla fine dei propri
incubi né, quando si svegliava, si ritrovava piena di sudore
freddo o in presenza qualche altro fenomeno che mostrasse che aveva
avuto un incubo.
Il suo cuore batteva con la solita
regolarità, senza alcuna fretta causata dalle immagini che
aveva appena visto.
Sospirò, cercando di scacciare
la sensazione di agitazione che però le aveva preso la bocca
dello stomaco.
Nei suoi sogni, la casa e il capanno
non erano mai le stesse, così come chi cercava di portarcela
dentro per ricordare. Una volta ricordò perfino di aver
sognato di Rossi che la andava a salvare, ma era certa che non fosse
un ricordo. I particolari cambiavano ogni volta, suggerendole che la
maggior parte delle cose che popolavano i suoi incubi erano frutto
della sua mente e di quanto aveva elaborato in seguito all'esperienza
che aveva vissuto.
Si ruotò sul fianco, trovandosi
così faccia a faccia con Spencer che, ignaro di tutto,
continuava a dormire, il viso sereno e rilassato. Alaska sorrise
teneramente nel guardarlo e passò piano una mano sul suo
torace che si alzava piano al ritmo del suo respiro.
Dalle tapparelle filtrava una luce
leggera e discreta, che suggeriva come la notte avesse già
terminato il suo corso e il sole stesse già albeggiando.
Provò
a chiudere gli occhi, ma sapeva che ormai il sonno l'aveva
abbandonata, così si alzò leggermente, facendosi
perno
con un gomito e rimanendo per diversi minuti ad osservare la figura
dormiente di Reid, allungando la mano libera per farla passare
delicatamente fra i suoi capelli sottili e morbidi. Le piaceva
vederlo dormire: era uno dei pochi momenti in cui era completamente
rilassato, senza che miliardi di pensieri gli vorticassero in testa.
Inclinò un poco la testa e gli rivolse un'altra occhiata
amorevole.
Prima di alzarsi, gli posò un
bacio leggero sulla fronte, dopo di che si diresse scalza nello
studio di Spencer, che si trovava nella stanza attigua, sperando che
il ragazzo potesse dormire tranquillo ancora per un po'.
Crowford scostò
la coperta e si
alzò dal divano con un colpo di reni. Nonostante fosse
mattina
presto, la sua mente era completamente lucida: da quando era stato
nell'esercito aveva dei piccoli rituali che ripeteva ogni giorno.
Appena sveglio eseguiva una serie di flessioni, piegamenti ed
addominali a cui di solito aggiungeva anche una serie di colpi al
sacco da boxe che troneggiava in camera sua. Quel giorno, ovviamente,
aveva dovuto rinunciare a quest'ultima parte del suo allenamento
quotidiano e, quando ebbe finito i propri esercizi, lasciò
vagare il proprio sguardo attento per la stanza, analizzandone ogni
piccolo particolare. Osservò i titoli dei libri raccolti
ordinatamente negli scaffali: tomi voluminosi, enciclopedie e saggi
scientifici o letterari che destavano poco il suo interesse.
Alzò
le braccia sopra la testa e stirò i possenti muscoli della
schiena, ma girò la testa di scatto non appena
sentì
dei rumori provenire da una porta lungo il corridoio. Notò
allora una luce soffusa e azzurrognola provenire dal suo interno e vi
si avvicinò piano. Aveva già sul volto
un'espressione
ostile, pensando che si sarebbe trovato davanti il petulante dottor
Reid impegnato con del lavoro extra con cui mettere alla prova le
proprie cellule grige troppo sviluppate, ma cambiò volto
immediatamente non appena varcò la soglia della piccola
stanza.
Alaska era seduta alla caotica
scrivania, e osservava corrucciata e ansiosa lo schermo del computer
acceso di fronte a lei. Le gambe, avvolte dal tessuto felpato del
pigiama, erano strette contro il suo petto, e aveva il mento
appoggiato alle ginocchia. C'era qualcosa che non andava, in
quell'immagine, ma non riusciva a cogliere immediatamente cosa.
“Già sveglia?” domandò,
la fronte aggrottata, mentre si avvicinava piano ad Alaska.
La ragazza alzò velocemente la
testa verso Crowford, chiudendo il computer con uno scatto.
“Non riuscivo a dormire.” spiegò,
sorridendogli amabile.
Nate fece dondolare la testa, in segno
d'assenso, “Perchè, il ragazzino russa
anche?”
Il sorriso sul volto di Ross scemò
all'istante “Nate!”
“D'accordo, d'accordo!- capitolò,
alzando le mani in segno di resa- Argomento chiuso.”
“Sarebbe meglio, non mi piace
arrabbiarmi con te.- disse Alaska, prima di fargli una linguaccia
scherzosa- Vuoi la colazione?”
Crowford le rivolse un ghigno “Sicuro,
ho una fame da lupi.”
L'antropologa si alzò in un
balzo e trotterellò allegra fino alla cucina, seguita
dall'agente FBI. Sembrava aver completamente accantonato qualsiasi
attrito si era creato fra loro in quelle ultime ore e Crowford ne fu
immediatamente felice. Gli era sembrato quasi intollerabile pensare
che lei fosse arrabbiata con lui, gli piaceva vederla allegra,
solare, e con il suo sorriso largo sul volto.
Assecondò come al solito le sue
chiacchiere folli e veloci, che saltavano da un argomento all'altro
come le palline di un flipper, e si sedette al bancone della cucina
sentendo piano piano allargarsi nell'ambiente il dolcissimo profumo
dei pancakes che stava cucinando.
“Sciroppo d'acero?- offrì
Alaska gioviale, agitando un tubetto pieno di un liquido denso color
miele- Ho anche gli zuccherini colorati.”
“Il dottor Reid non ha certo paura
delle calorie, vedo.” commentò alzando un
sopracciglio.
La ragazza si strinse nelle spalle
“Spesso faccio io la spesa per lui e cerco di rimpilzarlo
più
che posso: hai visto quanto è magro?”
Crowford annuì soprappensiero,
mentre mangiava un boccone del delizioso dolce. Sulla sedia di fianco
alla sua, Alaska lo guardava come una mamma orgogliosa guarda
mangiare e crescere il figlioletto.
“Sai, i pancakes sono i miei
preferiti.” le rivelò, con la bocca mezza piena.
Il sorriso sul volto di Ross si allargò
“Lo so.”
“Ah, sì?” ribattè,
alzando un sopracciglio.
“Certo.- annuì con convinzione
l'antropologa- Come so che il tuo colore preferito è
l'arancione, che sei nato il dieci agosto, che hai preso gli occhi da
tua madre e la fossetta sul mento da tuo padre. Tu sei molto
importante per me, è logico che sappia queste
cose.”
Crowford tornò al proprio
piatto, piacevolmente stupito. Ma l'immagine che aveva visto poco
prima nello studio di Reid gli ritornò in mente,
sovrapponendosi a quella che aveva ora di fronte.
“Sei sicura di star bene, Ross?” le
domandò a bruciapelo, quando ebbe finito di mangiare.
La giovane sbattè le palpebre
diverse volte, spaesata da quella domanda.“Certo...”
Alzò gli occhi al soffitto,
facendoli roteare platealmente, mentre si avvicinava a lei con lo
sgabello.
Aveva capito quale potesse essere il
problema e così cominciò a parlare con tono
conciliante
“Sai, quando ero piccolo e avevo paura...”
Sul volto di Alaska si aprì
un'espressione sinceramente stupita “Tu provi
paura?”
“Ho usato il passato.- tagliò
corto Crowford, sfilandosi la placchetta militare che penzolava sopra
la canottiera bianca che indossava- Comunque, averla al collo mi
faceva sempre sentire meglio.”
Ross spalancò gli occhi: sapeva
che la catenina che stringeva Nate fra le mani in quel momento gli
era stata regalata da suo nonno, un ex-marine, e che da quando questi
era morto il suo collega non se ne separava mai. “Non posso
accettarla, Nate.- protestò, mentre Crowford gliela porgeva-
Era di tuo nonno!Mi conosci, perdo qualsiasi cosa, ma se dovessi
perdere una cosa così importante neanche scavare una fossa e
buttarmici dentro mi farebbe sentire meno in colpa.”
Nate fece roteare gli occhi mentre le
infilava la catenina al collo dalla testa. “A meno che non
dimentichi la testa da qualche parte- disse, le labbra solcate da un
sorriso obliquo- non credo che riuscirai a perderla.”
Dalla soglia della porta della cucina,
Reid osservò quella scena, immobile suo malgrado. Si era
svegliato poco prima e aveva trovato il posto accanto a sé
vuoto, aveva sentito le voci provenire dalla cucina e si era alzato
ancora intorpidito dal sonno, seguendo la scia dello scampanellio
della risata di Alaska. E una volta sull'uscio era rimasto
pietrificato nel notare lo sguardo che l'agente federale stava
lanciando alla sua ragazza.
Quando vide la mano di Crowford
indugiare sul collo di Alaska che, ingenuamente, stava rigirandosi
fra le dita le due placchette di metallo, sentì una
sensazione
amara alla bocca dello stomaco e, immediatamente, decise di rivelare
la sua presenza, tossicchiando.
La ragazza alzò gli occhi su di
lui non appena sentì quel suono, lasciando che sulle sue
labbra si schiudesse un sorriso aperto e allegro “Ciao,
Spencer!”
lo salutò gioviale.
Crowford sostenne lo sguardo del
profiler per diversi secondi, prima di far scivolare via le mani da
lei e mugugnare qualcosa che non somigliava neanche lontanamente a un
buongiorno.
“Ti sei svegliato presto.” commentò
Alaska, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulle labbra.
Sentire il calore del suo abbraccio intorno alla vita gli aveva fatto
scemare leggermente quella spiacevole sensazione che aveva appena
provato.
“Non quanto te.” borbottò,
lanciando l'occhiataccia peggiore che potesse a Crowford.
“Lo so.-sospirò Alaska, senza
rendersi conto della battaglia non dichiarata che stava avvenendo fra
i due uomini- È che...credo di dover parlare con Hotch al
più
presto.”
Una domanda salì alle labbra di entrambi gli
agenti FBI “Perchè?”
La ragazza non rispose, ma qualcosa nel
suo sguardo faceva trapelare che ciò di cui avrebbero
discusso
non avrebbe portato a niente di buono.
Luna Viola : ordunque, tu devi sapere che dirmi che sei in ansia mi crea una certa soddisfazione!Yep!Perchè io ho messo suspance nel genere, ma quando l'ho fatto mi sono detta: bah, tentiamo anche se non credo di essere in grado. Ma se tu mi dici così fai salire di una tacchetta il livello della mia autostima. Grezie davvero :) Uhm...direi che stropicciare le guanciotte di Nate sarebbe azzardato, ma se l'idea di continuare la tua vita senza l'ausilio delle mani non ti da problemi, fai pure!eheheh! Cmq sono contenta che il personaggio ti piaccia! E...ti informo che ho un giubbotto antiproiettile...di seconda, uhm, terza, mano...un pò bucherellato e...Oh, Dei, sono spacciata!Perchè, davvero, non ci sarà sequel, ma io ti giuro, GIURO, che ci sarà un bonus di ben nove capitoli. Non ti basta?Please?Sono troppo giovane per morire e poi vorrei vedere la sesta stagione di CM!Pleasssssssssse!!al prossimo capitolo dear, besos (anche se mi minacci di morte!)
Giunone : Grazie per alimentare la mia autostima, eheheh!Sono contenta che la storia ti piaccia, così come le citazioni e la mia fantasia da psicopatica. Ma sai che stavo davvero pensando a una carriera da SI?Insomma, con la crisi e tutto il resto...E poi c'è bisogno di quote rosa anche in questo campo, no?eheheh!A parte gli scherzi, dai, sono contenta che continui a seguire la storia!Al prossimo capitolo, kisses
Guardavo calma calma, schiscia schiscia, YES MAN e ho visto lei e mi sono detta: cavolo, potrebbe essere Alaska. Stesso stile pazzo, occhi enormi e azzurri/blu, capelli neri, sembra che stia sulle nuvole...Quindi, aggiudicato in pieno. Che ne dici? Per il resto...uhm...non intendo spoilereggiare la mia storia, nonono!Resti coi dubbi fino alla fine!eheheh(me malefica!)Il sequel non ci sarà, però in coda a questa storia metterò una specie di storia-bonus dai toni più leggeri (saranno circa 9 capitoli) in cui ci saranno tonnellate di Alaska/Reid!Yep yep!Contenta?:) Non sono riuscita ad aggiornare in tempo per l'inizio della 6^a stagione negli USA ma spero di non averti tenuto in ansia per troppo...Che ne dici del capitolo?Fammi sapere!Baci baci