Musica a Ponte Carlo
Siamo ancora a Marzo, ancora solo alle porte della primavera. Quindi
comunemente riterrei comprensibile un po’ di freddo. Fosse un po’; ma si dà il
caso che qui si geli.
Vento, pioggia e, nemmeno a dirlo, pure la neve mi hanno
rovinato più di un’ottima giornata.
È il periodo di bassa stagione, questo, in cui i turisti arrivano a frotte. E ne avrei potuto approfittare per racimolare qualche cosa in più del normale. Maledizione alle bufere! O forse no, proprio di arrivare a maledirle non è il caso. Non oserei mai augurare l’assenza di un bel manto bianco al fior sulla Moldava: è parte di Praga, la rende suggestiva agli occhi dei più romantici stranieri. E gli fa battere sufficientemente i denti da far frequentare molto i posti caldi. Grazie a Dio.
Certo che Ponte Carlo, come punto, è uno dei più ventosi. Non potevo
prendermi quell’angolino nei pressi di San Venceslao prima che il
Bulgaro-Orchestra mi battesse sul tempo? Mah. Così sia. Ormai da trent’anni non
mi muovo da qua (si fa per dire.. comunemente non divento pupazzo di neve, in
inverno).
Mi rintano dietro
uno dei pali, e faccio andar le mani sull’organetto anche col tempo non del
tutto favorevole. Ma il cestello delle offerte si riempie prevalentemente
d’aria, neve o quant’altro il clima ceco sa offrire, in giorni
simili.
Non sono di certo l’unico a risentirne. Prendete
quel gruppo là, sempre al riparo sotto una delle statue da più di vent’anni a
questa parte. Son quattro che di musica masticano ben più di quanto si direbbe a
vederli ora. Tempo fa, avevano un carisma ben diverso. L’unica rogna, è portare
tutti gli strumenti in salvo prima che una sottospecie di Monsone li renda legno
marcio. Mica facile, considerato che bisogna farsi una cinquantina di metri in
corsa.
Io, i carretti e la
ragazza che fa suonare i bicchieri abbiamo più fortuna. Un ombrello per noi e un
telone impermeabile per il resto, teli di quelli che mia moglie – pace all’anima
sua – vendeva in emporio a quattro corone al metro.
Per quanto mi riguarda, rimane sempre un pelo d’apprensione per
l’organetto. Quello non è oggetto da poco. Mi fa vivere e mi procura un’insolita
serenità. Ogni tanto cambio musiche, vado a pescare quelle che a turisti o
immigrati fanno ricordare la loro terra. Ma le mie preferite, quelle della
nostra tradizione, le tengo ben a cuore. Non sia mai che ad un organetto
centenario ceco faccia mancare i suoi cavalli di battaglia.
Da due o tre
anni, alla cricca di Ponte Carlo s’è aggiunto un suonatore, uno di quei ragazzi,
barbuto, dal portamento strano, che suona strumenti etnici di varie sorti,
abbinati quasi sempre ad una specie di corno oblungo. Deve anche avermi detto il
nome in lingua natia. Purtroppo, ho l’insana dote di scordarmelo ogni due per
tre, quando son fortunato. Ma il giovanotto è simpatico. Mi ha portato un paio
di spartiti con musica etnica che davvero son niente male. Riescono perfino ad
adattarsi allo stile dell’organetto e fan bella coppia col suo corno. Anche se,
l’ammetto, di tanto in tanto mi paiono un po’ fuori luogo nella mia bella e
tormentata Praga.
Ogni tanto, mi ritrovo a parlare non solo con lui o gli
altri ambulanti, ma anche con curiosi, soprattutto stranieri, di queste cose.
Voi non avete certo l’aria d’essere del posto, ve ne sarete resi conto. Avrei
ben poco da incespicarmi con italiano, inglese e ceco riadattato per farmi
capire. Non posso far miracoli con la lingua; mai studiato più del dovuto, solo
ascoltato le baraonde di idiomi che mi passavano di fronte ogni giorno. E la
vostra musica. La musica dice molto di un Paese, non trovate? Musica dei suoni,
musica degli strumenti, delle parole..
Ah, almeno voi, rari angeli, volete
sul serio starmi a sentire. C’è chi mi viene a chiedere canzoni, foto, sorrisi.
Senza lasciare un centesimo. Poi ridono e se ne vanno. Qualche buon’anima dei
loro compari, a volte, accorgendosene mi lascia qualcosa.
Io se rimango a
secco non mi lamento. Se vedo sorridere, o anche solo mi accorgo che la mia
musica riesce a catturare l’attenzione di qualcuno, sono appagato. Purché vi sia
rispetto, ecco. Per campare, mi basta poco.
E già sopravvivere alla musica più moderna di
suonatori che capitan attorno ultimamente è un bel traguardo.
In fondo, non posso dire di passare una brutta esistenza. Ho la mia casetta, un paio di figli, istruiti, che mi visitano in settimana e la mia musica. Mi vedo pure una volta al dì il Carillon della torre dell’Orologio.
Non credo sarà il
Monsone fasullo o qualche fiocco a rovinarmi. Tanto, anche se piove sulla mia
postazione e mi tocca coprir l’organetto, riporre scimmietta e cestello,
infilandomi nella mantella, basta sporgermi un poco sopra il muretto di Ponte
Carlo per rasserenarmi. Per osservare i flutti blu della Moldava.