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Autore: Elyador    26/09/2010    0 recensioni
"Siamo ancora a Marzo, ancora solo alle porte della primavera. Quindi comunemente riterrei comprensibile un po’ di freddo. Fosse un po’; ma si dà il caso che qui si geli."
Praga, Ponte Carlo. Primi (nevosi) accenni di primavera. Come conoscere meglio la Città sulla Moldava se non dalle parole spassionate di uno dei suoi musici?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Around the World - Maybe'
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Musica a Ponte Carlo

Siamo ancora a Marzo, ancora solo alle porte della primavera. Quindi comunemente riterrei comprensibile un po’ di freddo. Fosse un po’; ma si dà il caso che qui si geli.
Vento, pioggia e, nemmeno a dirlo, pure la neve mi hanno rovinato più di un’ottima giornata.

È il periodo di bassa stagione, questo, in cui i turisti arrivano a frotte. E ne avrei potuto approfittare per racimolare qualche cosa in più del normale. Maledizione alle bufere! O forse no, proprio di arrivare a maledirle non è il caso. Non oserei mai augurare l’assenza di un bel manto bianco al fior sulla Moldava: è parte di Praga, la rende suggestiva agli occhi dei più romantici stranieri. E gli fa battere sufficientemente i denti da far frequentare molto i posti caldi. Grazie a Dio.

Certo che Ponte Carlo, come punto, è uno dei più ventosi. Non potevo prendermi quell’angolino nei pressi di San Venceslao prima che il Bulgaro-Orchestra mi battesse sul tempo? Mah. Così sia. Ormai da trent’anni non mi muovo da qua (si fa per dire.. comunemente non divento pupazzo di neve, in inverno).
Mi rintano dietro uno dei pali, e faccio andar le mani sull’organetto anche col tempo non del tutto favorevole. Ma il cestello delle offerte si riempie prevalentemente d’aria, neve o quant’altro il clima ceco sa offrire, in giorni simili.

Non sono di certo l’unico a risentirne. Prendete quel gruppo là, sempre al riparo sotto una delle statue da più di vent’anni a questa parte. Son quattro che di musica masticano ben più di quanto si direbbe a vederli ora. Tempo fa, avevano un carisma ben diverso. L’unica rogna, è portare tutti gli strumenti in salvo prima che una sottospecie di Monsone li renda legno marcio. Mica facile, considerato che bisogna farsi una cinquantina di metri in corsa.
Io, i carretti e la ragazza che fa suonare i bicchieri abbiamo più fortuna. Un ombrello per noi e un telone impermeabile per il resto, teli di quelli che mia moglie – pace all’anima sua – vendeva in emporio a quattro corone al metro.

Per quanto mi riguarda, rimane sempre un pelo d’apprensione per l’organetto. Quello non è oggetto da poco. Mi fa vivere e mi procura un’insolita serenità. Ogni tanto cambio musiche, vado a pescare quelle che a turisti o immigrati fanno ricordare la loro terra. Ma le mie preferite, quelle della nostra tradizione, le tengo ben a cuore. Non sia mai che ad un organetto centenario ceco faccia mancare i suoi cavalli di battaglia.
Da due o tre anni, alla cricca di Ponte Carlo s’è aggiunto un suonatore, uno di quei ragazzi, barbuto, dal portamento strano, che suona strumenti etnici di varie sorti, abbinati quasi sempre ad una specie di corno oblungo. Deve anche avermi detto il nome in lingua natia. Purtroppo, ho l’insana dote di scordarmelo ogni due per tre, quando son fortunato. Ma il giovanotto è simpatico. Mi ha portato un paio di spartiti con musica etnica che davvero son niente male. Riescono perfino ad adattarsi allo stile dell’organetto e fan bella coppia col suo corno. Anche se, l’ammetto, di tanto in tanto mi paiono un po’ fuori luogo nella mia bella e tormentata Praga.
Ogni tanto, mi ritrovo a parlare non solo con lui o gli altri ambulanti, ma anche con curiosi, soprattutto stranieri, di queste cose. Voi non avete certo l’aria d’essere del posto, ve ne sarete resi conto. Avrei ben poco da incespicarmi con italiano, inglese e ceco riadattato per farmi capire. Non posso far miracoli con la lingua; mai studiato più del dovuto, solo ascoltato le baraonde di idiomi che mi passavano di fronte ogni giorno. E la vostra musica. La musica dice molto di un Paese, non trovate? Musica dei suoni, musica degli strumenti, delle parole..

Ah, almeno voi, rari angeli, volete sul serio starmi a sentire. C’è chi mi viene a chiedere canzoni, foto, sorrisi. Senza lasciare un centesimo. Poi ridono e se ne vanno. Qualche buon’anima dei loro compari, a volte, accorgendosene mi lascia qualcosa.
Io se rimango a secco non mi lamento. Se vedo sorridere, o anche solo mi accorgo che la mia musica riesce a catturare l’attenzione di qualcuno, sono appagato. Purché vi sia rispetto, ecco. Per campare, mi basta poco.
E già sopravvivere alla musica più moderna di suonatori che capitan attorno ultimamente è un bel traguardo.

In fondo, non posso dire di passare una brutta esistenza. Ho la mia casetta, un paio di figli, istruiti, che mi visitano in settimana e la mia musica. Mi vedo pure una volta al dì il Carillon della torre dell’Orologio.

Non credo sarà il Monsone fasullo o qualche fiocco a rovinarmi. Tanto, anche se piove sulla mia postazione e mi tocca coprir l’organetto, riporre scimmietta e cestello, infilandomi nella mantella, basta sporgermi un poco sopra il muretto di Ponte Carlo per rasserenarmi. Per osservare i flutti blu della Moldava.

  
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