Fictional Dream © 2007 (7 marzo 2007)
Naruto © 1999 by Masashi Kishimoto/SHUEISHA Inc.
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ai succitati copyright si ritiene intesa.
L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright
dell’autrice (Callie Stephanides - http://fictionaldream.iobloggo.com). Non ne è ammessa
altrove la citazione totale né parziale, a meno che non sia stata autorizzata
dalla stessa tramite permesso scritto.
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Quando ho raccontato alla maestra Tsunade di come violai la
regola venticinque, ho ricevuto per tutta risposta una di quelle risate con cui
il Quinto Hokage sa metterti a tacere una volta per tutte, inoculandoti la
triste consapevolezza di aver detto una solenne idiozia. Oppure d’esserti
liberato di un peso che non dovrebbe esistere affatto, perché appartiene alla
naturalità della vita.
Eppure quel giorno di tre anni fa – e mi procura una strana
impressione pensare sia passato così in fretta il tempo – fui grata al vecchio
Tazuna del suo silenzio complice e per aver distolto lo sguardo, mentre
infrangevo scientemente forse il primo dei precetti che l’Accademia ti inocula.
Vuoi essere un ninja? Molto bene.
Allora dimentica di essere un uomo. Dimentica il dolore.
Dimentica l’amore. Dimentica i sentimenti. Dimentica le lacrime. Un ninja non
lascia mai cogliere all’avversario il segno di quello che prova, perché calando
la maschera cederebbe pure ogni sua difesa.
Ma nel riso della maestra Tsunade, ho colto il segno di quel
che mi avrebbe detto: che ero finalmente pronta a riprendermi Sasuke.
Prima che mi educasse lei, avevo già appreso qualcosa di
importante sulle regole e sul loro rispetto: fu la prima lezione con cui il
maestro Kakashi svezzò noi del Gruppo Sette.
Un grande ninja conosce le regole, ma sa anche quando
disobbedire.
E quel giorno, quando sul corpo inanimato di Sasuke ho
infranto il venticinquesimo precetto, forse ho compiuto il primo passo per
diventare quella sono. Ho compreso, se non altro, il coraggio della
disobbedienza.
La maestra Tsunade non avrebbe dovuto aggiungere quel che mi
disse. Almeno: la vecchia Sakura non avrebbe voluto. Il Quinto Hokage
rappresenta l’autorità della tradizione, in fondo: dunque la norma. Perché
avrebbe dovuto incoraggiarmi a rinnegare la legge in cui ero cresciuta?
La verità è che non l’ha mai fatto, ma ha preferito
inocularmi un po’ della sua saggezza: e forse ricordarmi che sono un ninja ma
anche una donna, e che per riprendermi Sasuke non basterà una sola Sakura. Dovrò
chiamare in conto ogni più piccola parte di me. Anche quelle che non conosco
ancora: come non conosco più Sasuke, in fondo, perché sono passati quasi tre
anni dal ‘grazie’ con cui mi ha detto addio.
Con cui è diventato un rinnegato.
La seconda volta in cui ho violato la regola venticinque,
secondo la maestra Tsunade, ho scommesso piuttosto sul coraggio.
“Non direi proprio tu abbia tradito, bambina – e intanto
sorseggiava sake, come a svilire nell’alcool l’ennesimo aforisma che mi avrebbe
lasciato. L’ennesimo frammento che avrei dovuto conservare in me, nei giorni
della battaglia e della paura – sei stata solo troppo onesta e troppo ingenua.”
Di quel giorno ricordo tutto. A volte capita pure mi
sorprenda in sogno, imprevisto e dettagliato come un vecchio quadro. È una
storia che ho vissuto mille volte e di cui, probabilmente, non riuscirò mai del
tutto a liberarmi.
Non posso farlo perché Sasuke se n’è andato, tutto qua:
dunque è naturale mi senta responsabile per non averlo fermato. O forse brucia
l’umiliazione del suo rifiuto – perché in sostanza quello è stato -, quando
m’illudevo che a gridargli il mio amore un’intera storia sarebbe cambiata.
Ma quale storia, in fin dei conti? Aveva ragione lui nel
dirmi che non avevo capito niente, perché in fondo degli Uchiha non conoscevo
che la leggenda e la sua selvatica bellezza: della sua solitudine, del suo odio,
della sua disperazione, probabilmente non ho mai intuito nulla. Né, a trarre le
somme, ho mai fatto qualcosa per essergli davvero vicina.
Al dunque è stato ancora Naruto a sfidarlo per riportarlo
indietro: Naruto che l’odiava e voleva essere disperatamente suo amico, ma che
Sasuke ha massacrato comunque.
Sasuke ora è un rinnegato.
Avrei ucciso Sai per averlo detto, ma dentro di me so che ha
ragione. È solo che non riesco a crederci: probabilmente è per questo che non ne
ho parlato neppure alla maestra Tsunade.
Quel giorno, appena fuori del villaggio, ho violato la regola
venticinque e gli ho detto ‘ti amo’. So perché l’ho fatto e non me ne pento:
esistono sentimenti per i quali non sei mai semplicemente una bambina. Ma non
credo Sasuke abbia capito la profondità con cui mi sono scoperta. Avrà pensato
ch’era un capriccio e che volessi imporgli la mia presenza per una stupida
ripicca. Invece ero davvero pronta a partire con lui, trovare Itachi, consumare
una vendetta che non era la mia.
La maestra Tsunade dice che è il mio peggior difetto – e nel
dirlo mi ricorda piuttosto Ino, perché so che userebbe quelle stesse parole: non
sono altruista. Ho semplicemente l’arroganza di sentirmi indispensabile: dunque
entro nelle storie degli altri. Vorrei farlo, almeno.
Il problema, suppongo, è che domando alle persona sbagliate.
Naruto, per dire, non avrebbe opposto il minimo rifiuto a un po’ di sincero
interessamento.
Sasuke, no.
Non vuole essere capito, né compatito. Forse questo è il
segno più profondo della ferita che gli si è aperta dentro: non l’ho perso il
giorno in cui se n’è andato. L’avevo perso già il giorno in cui lo vidi tornare
al villaggio della Foglia sulle spalle del maestro Gai, con le braccia spezzate
e il niente nello sguardo.
Credo che il maestro Kakashi si senta ancora responsabile,
per esser mancato quando più Sasuke avrebbe avuto bisogno di lui: doveva
impedirgli di rivedere Itachi.
Tutto qui.
Se l’avesse fatto, forse la ruota non avrebbe ricevuto
l’ultimo colpo. Quello fatale.
Di Sasuke ricordo gli occhi neri e bellissimi. Tremendamente
freddi e distanti. Occhi che raccontavano molto, anche senza liberare lo
Sharingan: perché non erano gli occhi di un assassino, ma gli occhi della
vittima. Gli occhi dell’ultimo degli Uchiha.
In questi anni ho tentato più volte di penetrare il suo
segreto: di indossare i suoi panni per anticiparne le mosse, ma non sono mai
riuscita nel mio intento, perché anche a raccogliere le voci, quel che ne ho
ricavato non è che un quadro lacunoso e banale. Non l’Inferno che me l’ha
portato via.
Cosa accadde davvero la notte in cui la luna si tinse di
rosso e degli Uchiha non rimase che l’eco dei singhiozzi di Sasuke?
Ero solo una bambina: potevo permettermi di non sapere.
Era solo un bambino lui: un istante prima, almeno. Dopo non è
stato più niente.
Ricordo vagamente il discorso che tenne in Accademia. La sua
voce senza sfumature e senza colore. Non ci vedeva affatto. Non vedeva me. Il
suo sguardo, probabilmente, cercava già Itachi. Itachi Uchiha.
L’assassino del proprio migliore amico.
Il parricida.
Il matricida.
L’esecutore del più efferato olocausto la Foglia abbia mai
registrato.
Un’ecatombe dell’ambizione, in cui Sasuke è rimasto
coinvolto.
No: non credo più si sia salvato. Tra le vittime di quella
notte c’era anche lui.
Quando Sasuke fu avvelenato da Orochimaru nella Foresta della
Morte rimasi a vegliarlo per ore intere. I miei sensi non erano abbastanza
lucidi, eppure mi parve, a un tratto, avesse mormorato il nome di suo fratello.
Io non credo davvero all’odio di Sasuke. Non ci crede neppure
Naruto, che pure ha assistito allo scontro con cui Itachi l’ha umiliato, ferito,
disprezzato per l’ennesima volta. Ne abbiamo parlato tra noi, e penso sia
arrivato a una conclusione plausibile: la stessa per cui lo vorrebbe ancora con
noi.
Sarebbe disposto a uccidere e a farsi ammazzare solo per
tirargli un pugno. Ma poi lo abbraccerebbe: come un vero amico.
Naruto si fida del cuore delle persone e non crede a quello
che pure Sasuke ha gridato e ripetuto mille volte: che avrebbe ucciso Itachi.
Che avrebbe vendicato gli Uchiha.
Non ci crede perché è meno stupido di quel che sembra.
“Sai, Sakura? Se davvero voleva vivere per liberarsi del
fratello, allora non capisco proprio perché mi fece scudo contro Haku. È
sopravvissuto per miracolo anche allora. E io… Io, be’… Non potevo essere tanto
importante.”
Io credo che odiare Itachi sia l’unico modo che Sasuke abbia
per andare avanti. Per vivere e per sopravvivere. Si è aggrappato a quel
sentimento contorto e doloroso da sempre, forse persino prima che scoprisse nel
suo idolo un assassino.
In fin dei conti chi era Itachi?
Ho riflettuto parecchio sulla storia di Sasuke, un bambino
che nasce già dotato di qualità per cui un qualunque ninja ucciderebbe: e che
pure è fratello di un autentico genio.
Itachi è bello. È pericoloso. È incredibilmente forte.
Itachi forse a volte gli sorride e si fa amare, anche se
Sasuke si sente solo il secondo. Forse un duplicato malfatto.
Nessuno può superare Itachi, che a tredici anni è già il
leader dell’ANBU. Eppure non gli basta. È ebbro del suo potere e ne vuole
ancora. Ancora. Ancora.
Ho letto molto in questi anni: sullo Sharingan, soprattutto.
Un dono che contiene anche una maledizione atroce. E ho raccolto le voci: troppe
voci. Quelle che associano a Itachi un assassinio che nessun ninja accetterebbe,
perché prima delle regole vengono sempre gli amici. Prima delle regole, ci sono
le vite che hai il dovere di proteggere, non di rubare.
Sasuke ama e invidia Itachi?
Non posso dirlo, ma non credo in nessun odio tanto forte che
non sia stato prima una forma d’amore.
Pensandoci bene, il Gruppo Sette ha persistentemente violato
la regola venticinque, perché abbiamo inciso sulla pelle i nostri sentimenti più
intimi, senza vergognarcene mai: non li ha nascosti neppure Sasuke, che del suo
odio ha fatto una bandiera.
Non ci ha mai parlato di suo fratello, come non ha mai
parlato degli anni in cui ha vissuto solo, nel cimitero della memoria e del
rimpianto. Non ci ha parlato dei suoi genitori, della notte in cui il suo mondo
è finito.
Inizialmente pensavo fosse il naturale pudore dei sentimenti,
perché nessuno potrebbe trarre il minimo conforto da una consolazione tardiva.
Perché è un ragazzo e dunque non cerca la pietà, ma il rispetto.
In questi due anni e mezzo accanto a Tsunade, però, ho
registrato un’altra verità. Neppure la maestra vuol parlare di suo fratello,
dell’amore che non è riuscita a salvare, della vita che ha assunto, poco a poco,
il gusto di un sake troppo fermentato, dolciastro e stantio: non lo fa perché ha
paura di essere sopraffatta di nuovo dal dolore, di essere sconfitta dalla metà
più morbida e fragile di se stessa.
È per questo che i ninja hanno inventato la regola
venticinque? Per proteggersi dalla nostalgia?
E poi c’è Naruto: Naruto che ti guarda dritto negli occhi e
condivide con te proprio tutto. Se gli chiedi di quando era bambino, punta
ancora il dito e ti accusa: perché voleva amore e tu non gliel’hai dato. Perché
voleva amici, ma si sentiva rifiutato.
Naruto è cambiato, ma non ha dimenticato niente: è troppo
forte per tacere la verità, anche quella che fa male. In questo Naruto è davvero
il più forte di tutti.
Invece Sasuke ha scelto il silenzio, quasi a suggerirti
qualcosa che le parole non possono raccontare.
C’è un bambino, in una notte calda, che torna a casa. È in
ritardo, perché si sforza più di tutti, studia più di tutti per non essere solo
il fratello di Itachi – che poi Itachi conosce alla perfezione il suo
potenziale: ed è per questo che non lo allena.
Corre senza pensieri verso casa, come tutte le sere. Ma la
luna ha un colore rugginoso e feroce, che ricorda il potere dei suoi occhi
segreti e pericolosi. Contro una superficie immensa e spettrale, si levano in
volo ombre nere, ch’è difficile dire se siano corvi tardivi o pipistrelli
ansiosi di disperdersi nella notte.
Il bambino respira velocemente e imprime maggior velocità
alle proprie gambe: c’è qualcosa di sinistro nell’aria. Qualcosa ch’è certo di
non aver mai sperimentato.
Ha fame di affetto, di famiglia, di vita: ma le luci nelle
case degli Uchiha sono spente. È un clan numeroso, celebre e rispettato, il
loro: eppure, d’un tratto, è quasi fosse stato inghiottito dal buio.
Dal buio e dal silenzio.
Il bambino si arresta bruscamente. Si guarda intorno. Cerca
una voce nota, una rassicurazione, un segno. Da uno shoji aperto esce un filo di
luce, un’ombra amica. È una mano.
Il bambino la cerca, la stringe, è fredda. È una mano,
appunto. Il resto del corpo non c’è.
Qualcosa nel bambino si rompe, mentre comincia a urlare e a
correre e più urla e più corre, più la strada diventa una metafora irreale, che
lo allontana brutalmente da quel che cerca.
Un riparo.
Un rifugio.
Un pretesto per non sentirsi semplicemente in trappola.
Arriva finalmente a casa. Fa scorrere gli shoji con un gesto
secco, balbettando: ‘Sono tutti morti, tutti morti. Mamma, papà. Sono tutti
morti.’ Ma ha detto la verità: effettivamente non c’è più nessuno degli Uchiha
ancora in vita. Eccetto il bambino. E l’assassino.
Itachi è ancora coperto del sangue del massacro. Anche
nell’ombra della notte, i suoi occhi rossi sono brillanti e vivi come polle di
plasma rappreso. Sasuke singhiozza parole che il fratello non ha interesse ad
ascoltare: e poi fugge. Fugge come un coniglio e come la creaturina disperata
che è. Fugge perché non ha altra scelta e fugge perché è un bambino; perché la
luna non è sempre stata così rossa e perché la vita non gli ha mai fatto tanta
paura. Fugge perché non gli importa di essere un eroe e di essere un ninja, ma
gli importa di essere vivo.
Ecco: Sasuke vuole disperatamente vivere.
Itachi gli sbarra il passo. I suoi occhi di sangue lo
fissano, lo penetrano, lo violano.
Ha ammazzato il suo migliore amico per renderli ancora più
perfetti e più pericolosi: Sasuke non lo sa e non vorrebbe saperlo mai.
Sasuke, anche quando potrà farlo, non ucciderà Naruto per
ottenere lo Sharingan ipnotico: ed è per questo che lo salveremo.
Ma quella notte il Gruppo Sette non esiste.
Ci sono solo Sasuke e Itachi. Meglio: ci sono un bambino e un
assassino. Dividono lo stesso sangue, gli stessi doni e persino la stessa
bellezza, ma non sono mai stati così distanti.
Sasuke non può più fuggire e forse Itachi è stanco di
ammazzare: ma lo colpisce lo stesso. Dritto al cuore.
Pronuncia le parole con cui lo aiuterà a perdersi. A vendersi
a Orochimaru. A rispondermi ‘grazie’, anziché baciarmi o restare con me.
Gli dice che è talmente debole da non meritare neppure
un’esecuzione. Che la sua condanna sarà vivere, piuttosto. Farlo giorno dopo
giorno con la certezza di non poterlo vincere mai. Sognando quella notte degli
orrori senza poterla affrancare. Sognando di ucciderlo, senza neppure sfiorarlo.
Mi ricordo lo sguardo di Sasuke in ospedale: non era più con
noi. La coscienza che Tsunade ha svegliato era troppo danneggiata per ricordarmi
davvero il ragazzo di cui mi ero innamorata. Eppure ero lì, accanto a lui: come
c’era pure Naruto.
Uzumaki non culla rimpianti: solo rabbia. È questa la
sorgente del suo potere, prima ancora della sua volpe maledetta.
Naruto ha assistito allo scontro tra i due fratelli. Meglio:
ha registrato le parole di Itachi. E ha tremato.
“Quel tipo non è umano, Sakura. È quasi peggio di Orochimaru.”
Devo credergli? Non vorrei, ma è un fio da pagare: perché
quel che la maestra Tsunade mi ha insegnato è che non puoi seppellirti nelle
menzogne senza che la verità venga a trovarti, prima o poi. E reclami il suo
prezzo con tutti gli interessi del caso.
Solo partendo da questo assunto – che Itachi abbia
sacrificato alla sua ambizione quel poco di umanità che aveva – potrò capire
davvero Sasuke: il suo tradimento e la sua fuga. La violenza che ha esercitato.
Quello sguardo fatto solo di ombre. La paura che non può raccontare, perché
quindici anni non fanno di te un uomo e non cancellano la luna di sangue che ha
ucciso il tuo io bambino.
Se Sasuke infrangesse la regola venticinque, nessuno lo
condannerebbe. Lo abbraccerei e lo terrei stretto a me, perché non possa più
fuggire: e sull’orlo delle ciglia, gli chiederei di mostrarmi le sue lacrime,
non lo Sharingan di un sangue maledetto.
Sakura si raccoglie i capelli, ignorando uno degli
apprezzamenti con cui Sai mette quotidianamente alla prova la sua pazienza.
Naruto la guarda, con quegli occhi che somigliano a due laghi, ma che non si
fanno più leggere facilmente. Si limita a farle un sorriso, poi un cenno: come a
dire che la partita è appena cominciata. E non la lascerà sola a lottare per
Sasuke.
Un po’ troppo per l’impenetrabilità che si chiede ai ninja,
probabilmente. L’ennesima violazione della regola venticinque.