Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: _hurricane    28/09/2010    5 recensioni
[contiene spoiler sull'episodio 12 di Kuroshitsuji II]
la vita di Ciel ormai è cambiata per sempre, e insieme ad essa anche quella di Sebastian. Ma che succederebbe, se Ciel decidesse di lasciarlo andare?
- un Ciel Phantomhive demone, ma più umano che mai.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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6. Falsario.

 

Ancora inebriato da quella meravigliosa scoperta, mi resi conto che mancava un dettaglio: restituire i beni alla famiglia del contadino, prima di prendermi la sua anima. A quel punto ancora la fame, bruciante, insopportabile. Mi bastava immaginare la scena per rabbrividire di piacere. Mi guardai intorno: nonostante la stanza fosse al buio, riuscivo a percepire ogni singolo contorno. Vidi in un angolo una scrivania ricoperta di scartoffie: atti di proprietà e altri documenti del genere. Che pallone gonfiato: si sentiva così onnipotente e intoccabile da tenere i suoi ‘trofei’ in bella vista, alla portata di chiunque. Ecco a cosa porta l’eccessivo potere, pensai. Il potere… altro tasto dolente. Iniziai a pensare di essere un po’ troppo dipendente dalle mie congetture: di colpo sbucava fuori una parola in una frase e mi ritrovavo a rifletterci sopra per chissà quanto tempo. Ma da un lato era meglio così: avrei saputo come far passare il tempo, il mio eterno tempo. Forse era stato proprio il potere a condurmi alla rovina. Spesso mi ero interrogato su chi dei due, tra me e Sebastian, avesse realmente il potere. Lui sottostava ai miei ordini, è vero, ma io dipendevo da lui. Ogni mia vittoria o fallimento, era frutto del suo operato…. Ma la mia anima era la chiave di tutto. Era lei l’ago della bilancia, e una volta andata perduta, è cambiato tutto. Io ho acquisito tutto il potere, e Sebastian non mi ha più guardato con gli stessi occhi. Non che mi avesse mai guardato come una semplice preda, come io avevo guardato quel contadino… il suo era uno sguardo di contemplazione. Non faceva altro che osservarmi, compiacersi di quanto fossi impudente e arrogante, anche quando lo ero con lui. Bramava per avere la mia anima perché io ero il meglio che avesse mai potuto ottenere, e lui lo sapeva. Senza un’anima, io ero diventato un inutile involucro. Se fossi stato ancora umano, avrei trovato la cosa alquanto crudele, meschina e ingiusta. Ma la mia sfera dei sentimenti ormai oscillava senza senso tra il menefreghismo e la sensibilità, e non riuscivo ad attribuire a Sebastian colpe che non aveva. Anche io, come lui, iniziavo a vedere gli umani come esseri fragili, passeggeri, banderuole soggette al vento delle passioni e delle tentazioni. Anime pure in apparenza, ma involontariamente predisposte a commettere i peccati più inconfessabili, per odio o per amore. Anch’io ero stato così: un umano guidato dal suo stesso odio. Ma è meglio farsi condurre alla rovina dall’odio o dall’amore? Sarebbe stato meglio morire per amore, come Alois Trancy? Quel nome avrebbe dato il via ad una catena infinita di pensieri, così mi imposi di darci un taglio e uscire al più presto da quella stanza. Per fortuna la spada, come il collo di Lord Sorrow, era immacolata; perciò la rimisi con cautela nel suo fodero. Tornai alla scrivania e iniziai a rovistare tra le scartoffie, tra le quali trovai gli atti di proprietà di case, terreni e possedimenti per un valore non indifferente. La scrittura del defunto Lord Sorrow era simile a quella di tanti altri nobili, compresa la mia; decisi che il modo migliore per rendere giustizia alla famiglia del contadino era scrivere un falso testamento. Mi assicurai che non ce ne fosse già uno, dopo di che mi sedetti alla scrivania, e riuscii a recuperare una piuma d’oca, una boccetta di inchiostro e un foglio bianco. Non credo che con i normali sensi da umano sarei riuscito a copiare così bene la calligrafia di un’altra persona. Era come se il mio corpo fosse stato creato per raggiungere la perfezione in ogni sua azione; finalmente mi parve chiaro il motivo per cui Sebastian era sempre perfetto, in cucina come nella lotta. Riflettei un attimo su come era morto Lord Sorrow: io l’avevo sgozzato, ma il suo cadavere era intatto. I medici avrebbero sicuramente pensato ad un malore nel sonno, e non trovando nessun tipo di sostanza nel suo corpo, non avrebbero nemmeno potuto prendere in considerazione l’ipotesi di un avvelenamento. Insomma, la famiglia del contadino non avrebbe dovuto temere alcuna ripercussione… Decisi comunque di dare una motivazione adeguata ad un passaggio di proprietà così singolare, e alla fine scrissi:

‘Se state leggendo questo documento, vuol dire che la tanto temuta morte è sopraggiunta per me. Da molto tempo ormai sento il mio corpo abbandonarmi lentamente, e troppe volte il respiro mi è mancato nel sonno. Perciò ho capito che la morte, prima di avvolgermi nella sua morsa crudele, ha voluto darmi l’opportunità di chiedere perdono per i miei peccati e di porre rimedio ai torti compiuti nel corso della mia travagliata esistenza. Quindi io, Lord Harry Sheridan (avevo letto il suo vero nome in uno dei tanti documenti sulla scrivania), stabilisco qui le mie volontà testamentarie, in pieno possesso delle mie facoltà mentali: predispongo che tutti i miei beni immobili e la metà del mio denaro vadano in eredità a John Mallory, che tanto ho maltrattato in vita, e alla sua famiglia, e che l’altra metà sia equamente divisa tra i miei servitori e braccianti, essendo io privo di prole.

 E che Dio mi perdoni per i miei peccati.

Harry Sheridan.’

 

Rilessi più volte il foglio, e le finte volontà di Lord Sorrow continuavano a sembrarmi poco credibili. Ma in fondo, come mi aveva spiegato il contadino dopo avermi descritto la strada, non c’erano parenti che avrebbero reclamato qualcosa; inoltre avevo fatto in modo di rendere tutti gli altri braccianti contenti, e per giunta avevo permesso a Lord Sorrow di essere ricordato come un misericordioso, un peccatore redento, un benefattore. E io avrei avuto l’anima di John Mallory. Certo, avrei dovuto aspettare la mattina dopo: qualcuno avrebbe ritrovato il cadavere e avrebbe letto il testamento. Il contratto sarebbe stato sciolto non appena la famiglia sarebbe entrata in possesso dei beni di Lord Sorrow: dopo la convocazione dei medici per gli accertamenti, al massimo all’ora di pranzo avrei finalmente ottenuto il mio di pranzo. Soddisfatto, posai la boccetta d’inchiostro e vi misi dentro la piuma: se l’avessi lasciata fuori, chiunque si sarebbe accorto che l’inchiostro sulla punta era fresco e avrebbe potuto insospettirsi. Riguardo al foglio, invece, una volta asciutto lo misi sotto una pila di altri documenti dentro un cassetto; in questo modo, stando una notte al chiuso premuto sotto altri fogli, l’inchiostro non sarebbe sembrato recente. Tutti i casi risolti come ‘cane da guardia della Regina’ erano serviti a qualcosa, alla fine.

Guardai un’ultima volta il cadavere nel letto, la prova tangibile di quello che avevo fatto. Nessuna traccia di rimorso. Eppure l’avevo avuta di fronte all’espressione frustrata di Sebastian, quella stessa mattina. Forse dipendeva dal fatto che improvvisamente capivo di più i demoni che gli umani… I demoni, creature dai bisogni semplici ma in fondo incredibilmente complesse. Sentivo di non conoscere ancora a pieno la loro natura, e di conseguenza di non conoscere nemmeno la mia. Ma quella notte almeno avevo fatto un passo avanti: avevo dato un nome a ciò che ero. Chissà cosa avrebbe detto Sebastian della mia straordinaria capacità… Con questi e mille altri pensieri in testa, uscii dalla finestra e la richiusi perfettamente, come se non fosse mai stata forzata. Chiusi gli occhi, per assaporare la luce della luna che illuminava il balcone e un venticello notturno che con dolcezza mi scompigliò i capelli. Stavolta era il mio lato umano a desiderare di godere di queste piccole e semplici cose del mondo. Un impercettibile pezzetto di quel petalo bianco c’era ancora, dentro di me. Ma quanta purezza poteva esserci nell’uccidere un uomo, per poterne uccidere un altro ancora? Scacciai via dai miei pensieri quel ridicolo interrogativo. Dovevo accettarmi per quello che ero: buio e luce, purezza e oscurità. Scavalcai la ringhiera del balcone e atterrai in giardino. Silenziosamente, così come ero entrato, raggiunsi il muro della villa e lo scavalcai. Le nuvole nel cielo erano state sostituite da una miriade di stelle; avendo dormito abbastanza nella carrozza, non lo feci quella notte. Contemplai quegli astri lontani, sconosciuti come ormai lo ero io ai miei stessi occhi.

   
 
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