Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: _hurricane    29/09/2010    4 recensioni
[contiene spoiler sull'episodio 12 di Kuroshitsuji II]
la vita di Ciel ormai è cambiata per sempre, e insieme ad essa anche quella di Sebastian. Ma che succederebbe, se Ciel decidesse di lasciarlo andare?
- un Ciel Phantomhive demone, ma più umano che mai.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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7. Perfezione.

 

All’arrivo dell’alba, i miei occhi non riuscirono più a restare aperti, quasi consapevoli di quanto la giornata che avrei dovuto affrontare sarebbe stata ricca di eventi. In quel breve lasso di tempo, tra l’alba e il mio risveglio, sognai di essere nuovamente in quel vicolo. Al posto di Lord Sorrow c’era il contadino, che mi guardava atterrito implorando pietà… Mi destai di soprassalto, preoccupato dal fatto che forse la sua famiglia era già stata convocata. Così mi recai all’umile dimora di John Mallory, che si trovava in corrispondenza della villa, ma più ad est. Appostato dietro un albero, notai che c’era movimento all’interno della piccola casupola di legno, così decisi di aspettare che uscisse qualcuno. Il sole era alto nel cielo, e anche senza un riferimento di tempo preciso sapevo che mancava poco ormai. Il cadavere era già stato ritrovato di sicuro. Sentii il rumore della porta che si apriva e vidi John Mallory uscire nell’aia che circondava la sua casa. Era visibilmente preoccupato: andava avanti e indietro come un’anima in pena, infastidendo le oche che iniziarono a starnazzare in tutte le direzioni. Per un attimo incrociò il mio sguardo, e si fermò; evidentemente i miei occhi, senza che me ne accorgessi, erano diventati rossi, impossibili da non vedere tra le fronde quasi inesistenti in quella calda giornata di inizio autunno. Per almeno un minuto rimanemmo a fissarci, senza dire o fare nulla. Lui aveva la faccia di chi sa di non avere scampo, e io probabilmente avevo la faccia di chi non ha intenzione di tirarsi indietro. Ma dovevo ammettere che era stato coraggioso, dopotutto. Avrebbe potuto fuggire lontano o evitare di dirmi dove abitava, anche se entrambe le cose sarebbero state inutili. Invece stava lì, a fissare la morte negli occhi.

Il nostro stato di ‘trance’ fu interrotto dal suono di zoccoli di cavallo che si faceva sempre più vicino; infatti da dietro la curva sterrata sbucò una carrozza, che si fermò precisamente davanti alla sua casa. Tutto come previsto, pensai. Dalla carrozza scese un maggiordomo tutto trafelato: un uomo di mezza età, molto simile a Tanaka. Con un’espressione da funerale chiamò John Mallory, che tentò di fingersi stupito e amareggiato alla notizia che Lord Sorrow era misteriosamente morto nel sonno, quella notte. Non ci riuscì molto bene, a mio parere, ma il maggiordomo era troppo sconvolto e non ci fece caso. Da dietro l’albero non riuscivo a sentire tutto, ma mi bastò qualche frammento per capire: ‘Voi e la vostra famiglia… dimora di Lord Harry Sheridan… la lettura delle sue volontà testamentarie.’ Vidi John Mallory annuire con un’espressione apatica, e rientrare per un attimo in casa. Dopo pochi minuti uscì nuovamente, stavolta insieme alla sua famiglia. La moglie, una donna attraente ma poco curata, con i capelli raccolti in un panno dal colore indefinito e un grembiule impolverato, teneva in braccio una bambina di più o meno dieci anni, scarna e pallida. Dietro di lei, nascosti tra le pieghe della gonna, due bambini con i capelli sporchi, vestiti alla meno peggio con dei pezzi di stoffa rammendati. La donna aveva una faccia tristissima, e non capivo perché; la notizia di essere convocati per la lettura del testamento avrebbe dovuto rallegrarla. Ma appena John Mallory le fece cenno di guardare verso di me, capii: lei lo sapeva già. Scrutò tra il fogliame, gli occhi lucidi e impauriti. Poi si voltò, e io ne approfittai per sussurrare ‘Io ti aspetto qui.’ Il contadino lesse il labbiale e fece un cenno di assenso. Poi tutti insieme salirono sulla carrozza, che si allontanò.

Così rimasi di nuovo solo, a pensare dietro quell’albero spoglio. Pensare a ciò che stavo per fare… era stato proprio un colpo basso, quello della famigliola bisognosa che mi guardava con gli occhi della disperazione. Ma bloccai in tempo i miei sentimenti ‘umani’: ragiona, Ciel. In fondo sarà meglio anche per loro… senza di te, continuerebbero la loro vita misera e insensata. Invece con il sacrificio di quell’uomo, e con il tuo sacrificio, soffriranno per un po’ ma alla fine saranno felici, sereni. Il mio sacrificio… perché in fondo anche io stavo per rinunciare a qualcosa. Non alla mia vita, come John Mallory, ma alla minuscola parte di umanità rimasta dentro di me. E poi dovevo imparare a farlo, presto o tardi. Imparare come saziare quella fame insopportabile. Improvvisamente mi resi conto che non avevo ancora pensato a come avrei fatto, anche perché non ne avevo idea. Ricordavo Sebastian che lentamente si avvicinava al mio viso, ma poi era diventato tutto buio. Mi autoconvinsi che sarei stato in grado di agire d’istinto, ancora una volta. Aspettai pazientemente dietro l’albero fino al ritorno della famiglia.

Una volta scesi dalla carrozza, i coniugi si abbracciarono; la donna piangeva disperata, senza dare alcun peso alla fortuna che le era appena capitata. Insisteva, si dimenava tra le braccia del contadino; sicuramente avrebbe voluto rinunciare a tutto ciò che aveva appena ottenuto, per salvare la vita del suo amato. Ma un patto con un demone è una strada da cui non si torna più indietro. Non sarei stato misericordioso, ormai avevo deciso. Sebastian non lo sarebbe stato con me, e come lui nessun’altro demone al mondo. Ero già un demone a metà, risparmiare la vita a qualcuno sarebbe stato il colpo di grazia per la mia ‘natura’. Avevo deciso di essere un umano un po’ demone, ma mi sembrava di averlo fatto secoli prima… non aveva più importanza ormai, né l’avevano i pianti e le grida di quella donna sconosciuta. Alla fine il contadino riuscì a calmarla; le sussurrò qualcosa all’orecchio, le sciolse i capelli per accarezzarglieli e poi le asciugò le lacrime dal viso. La salutò con dolcezza, e fece lo stesso con i suoi bambini. A quel punto mi costrinsi a volgere lo sguardo altrove, per non rivedere me in quei bambini, per non pensare stupidamente di poter riscattare la mia infanzia perduta con un atto di generosità. I miei genitori sono morti, ma io sono sopravvissuto. Non è colpa mia… non è colpa mia se non riesco a provare compassione. Non riesco, o forse semplicemente non la voglio provare. Mentre continuavo a ripetermi queste parole, di colpo sentii dei passi incerti sul fogliame, dietro di me. Mi voltai: il contadino stava in piedi davanti a me, in attesa del suo destino. Senza dire una parola, gli feci cenno di seguirmi, per inoltrarci ancora di più tra gli alberi ed evitare che qualcuno vedesse. Sentivo il suo respiro affannoso; avrei potuto addirittura toccare la sua paura. Davanti a noi si aprì una piccola radura, e a quel punto mi fermai e mi voltai verso di lui. Mi sembrò così strano dover guardare una persona dal basso, a causa della mia statura, e sapere che quella persona mi temeva come non aveva mai temuto nient’altro in tutta la sua vita. Sapere che io per lui ero letale… un veleno istantaneo, una malattia rapida e incurabile. Si inginocchiò, e mi chiese: ‘Farà male?’. Bella domanda, pensai. Nei suoi occhi terrorizzati vedevo riflessi i miei, rubini liquidi, impazienti e assassini. Ma per un attimo li rividi come erano un tempo: uno azzurro, l’altro irrimediabilmente marchiato dal patto con Sebastian. Rividi me stesso, su quella panchina di pietra, chiedere come sarebbe stato. E rividi il viso di Sebastian, estasiato all’idea, avvicinarsi al mio, sempre di più… Risposi esattamente come aveva fatto lui, non sapendo cos’altro dire: ‘Si, un po’.’ Non potevo permettermi di aggiungere ‘Cercherò di essere il più delicato possibile’, perché sarebbe stata una promessa impossibile da mantenere, vista la mia inesperienza. Lentamente mi abbassai verso il viso del contadino; ormai riuscivo a percepirla, la sua anima. La sentivo scalpitare da dentro il suo corpo, cercare di fuggire… non era docile come lo era stata la mia al cospetto di Sebastian, su quella panchina. Mi avvicinai ancora; poggiai la mano destra, quella marchiata, sul suo petto, mentre con la sinistra gli presi il mento. Ero io ad avere il controllo, su ogni fibra del suo essere. Sentivo il suo cuore palpitare alla velocità della luce, il suo respiro uscire dalla sua bocca per l’ultima volta… sentivo la sua stessa vita rifluire all’interno delle sue vene. Poi un istinto irrefrenabile di stringere la presa: la mano sul petto si avvinghiò al suo marchio, conficcandovi le unghie nere, e quella sul mento scese al collo, e fece altrettanto. Iniziai a stringere sempre di più; il respiro irregolare pian piano svanì, e il petto teso per il dolore si rilassò. Fili d’aria rossi come i miei occhi iniziarono a fuoriuscire dalla sua bocca e dal naso. Li inspirai lentamente, assaporando ogni istante. La fame stava svanendo; al suo posto, una sensazione indescrivibile. Pura estasi, come un minuto di Paradiso prima di sprofondare nelle viscere dell’Inferno. Ovviamente non potevo esserne certo, ma credo fosse come fare l’amore per la prima volta. La sensazione di essere completo, di non aver bisogno di nient’altro… la perfezione.

 

 

La fanfic non è ancora finita, ma volevo spendere due parole su questo capitolo. So che molti avrebbero preferito o immaginato che Ciel risparmiasse l'anima del povero contadino, che scegliesse di vivere da umano il più possibile... Ma a mio parere è impossibile soffocare la propria natura, e per quanto io abbia voluto sottolineare varie volte gli apprezzabili tentativi di Ciel di ritrovare la sua umanità, alla fine ho pensato che fosse più giusto così. Spero che, anche se in disaccordo con la mia opinione, abbiate apprezzato questo nuovo capitolo!

A presto, _hurricane

 

   
 
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