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Autore: Elpis Aldebaran    30/09/2010    1 recensioni
Storia scritta per un compito scolastico, niente di eccezionale, simpatica a modo suo.
«Posso esserle d’aiuto, signorina?»
«Gesù!» sussultò Olivia, facendo cadere il libro dallo spavento.
«Non proprio, anche se ammetto che esserlo potrebbe essere divertente».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Libreria a Palmer Street

 

di Elpis

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era stato un tempo nella sua vita, in cui aveva creduto che le fate potessero esistere, che i draghi volassero nel cielo, sopra le nuvole, per non farsi vedere dagli esseri umani; che in fondo al mare, dove il blu è quasi nero, ci fosse una città popolata da strane creature, le quali non salivano mai in superficie per paura dei terrestri.

Aveva creduto ciecamente alle sue fantasie, le aveva reputate quasi reali, talmente tanto, che nel momento in cui era cresciuta e si era resa conto dell’effimerità del mondo che la circondava, un senso di tristezza e di abbandono l’aveva accompagnata per settimane intere. Era stato come perdere un amico, una persona cara, il suolo sotto ai piedi.

Anche le altre persone avevano iniziato a relazionarsi con lei in modo diverso; se nei suoi primi dieci anni di vita il mondo in cui viveva le era sembrato allegro, sicuro, un posto dove nessuno soffriva, man mano che gli anni avanzavano scopriva che niente di quello che credeva era reale. Era venuta  a conoscenza di guerre, di fame, di odio, immigrazioni, razzismo e tante altre cose che se gliele avessero solo raccontate forse non ci avrebbe mai creduto. Purtroppo le vedeva tutti i giorni alla televisione, sulla prima pagina del giornale che leggeva suo padre, mentre faceva colazione al mattino; le sentiva alla radio.

Nonostante questo, Olivia conservava quel briciolo d’immaginazione sufficiente a isolarsi dalla quotidianità solo per qualche minuto. Si concedeva una pausa dai compiti e con la mente viaggiava verso mete sconosciute, mondi paralleli; inventava storie e personaggi.

Ma mai si era immaginata quel posto.

Stava sognando, di questo era fermamente convinta, ma doveva ammettere che tutto quello che la stava circondando era talmente nitido nella sua testa e con così tanti dettagli, che per un attimo ebbe paura che fosse reale. Era abbastanza fantasiosa da credere che grazie a qualche marchingegno si fosse teletrasportata attraverso il tempo e lo spazio, ma sapeva che ciò non era possibile nel mondo reale.

Si trovava in una strada larga e discretamente affollata, ma le persone sembravano non rendersi conto della sua presenza. Le donne indossavano tutte gonne lunghe almeno sotto il ginocchio e portavano i capelli stretti in acconciature più o meno elaborate; gli uomini erano eleganti, vestivano camicie abbottonate fino al colletto e soprabiti lunghi che li rendevano tutti professionali. Come riflesso condizionato da quella visione, Olivia buttò un’occhiata ai suoi indumenti del tutto fuori luogo: jeans, scarpe da ginnastica rovinate e un’anonima maglietta verde pastello.

Un senso di inquietudine cominciò a farsi strada in ogni fibra del suo corpo.

Era in un sogno, tutto quello che vedeva e percepiva era frutto della sua mente, per cui era sciocco da parte sua farsi prendere dal panico. Eppure essere in quel posto del tutto sconosciuto, con persone che erano così differenti da lei e che sembravano così antiquate, tutto ciò la rendeva estremamente turbata. Non solo la gente era diversa, ma anche gli edifici, le strade avevano un aspetto strano, quasi vecchio. Le sembrava di stare in un film già visto, ma che allo stesso tempo non conosceva.

Quando un bambino, a pochi metri da lei, tirò la manica della giacca della madre e indicò nella sua direzione con l’indice della mano, Olivia ebbe lo strano impulso di nascondersi, infilandosi nel primo negozio che adocchiò sul lato della strada. Osservò dal vetro opaco del negozio lo stesso bambino che si guardava intorno stranito e tirò un sospiro di sollievo.

Il negozio in cui era entrata era una vecchia libreria, illuminata soltanto dai raggi del sole che entravano dalla porta aperta; era un luogo angusto, gli scaffali erano parecchi e stracolmi di libri impolverati, molti dei quali Olivia non conosceva. Ne prese uno a caso e cominciò a sfogliarlo senza un vero interesse, constatando però che doveva essere molto vecchio perché le pagine avevano un colore leggermente marroncino ed erano ruvide e dure al tatto.

«Posso esserle d’aiuto, signorina?»

«Gesù!» sussultò Olivia, facendo cadere il libro dello spavento.

«Non proprio, anche se ammetto che esserlo potrebbe essere divertente».

Un vecchio canuto la stava osservando amichevolmente mentre trasportava una pila di libri all’apparenza nuovi di zecca. Depositò i volumi su uno scaffale e si affrettò a raccogliere il libro che Olivia aveva fatto cadere, lo spolverò con la manica della camicia e glielo porse gentilmente.

«Mi spiace di averla spaventata» si scusò, guardandola al di sopra dei suoi occhiali tondi.

Con sommo orrore, Olivia notò che il vecchio aveva cominciato a guardare il modo in cui era vestita e temette che potesse farle delle strane domande, alle quali difficilmente avrebbe potuto dare una risposta.

«Cercava qualcosa in particolare?» chiese invece l’uomo, senza abbandonare le sue maniere cortesi.

«No, niente. Davo solo una piccola occhiata» la voce di Olivia tremò leggermente verso il finale.

Il proprietario del negozio annuì con la testa e tornò al suo lavoro, cominciando a mettere negli scaffali giusti i libri che aveva appena portato.

Olivia passeggiò ancora qualche minuto fra gli stretti corridoi della libreria, pensando più al da farsi che guardando i volumi esposti. Continuava a ripetersi che presto si sarebbe svegliata nel salotto di casa sua, sul divano, e che non avrebbe ricordato nulla di quel posto, che sembrava uscito da un vecchio film degli anni Cinquanta del Novecento. Solo che la sensazione che tutto quello non fosse solo frutto della sua immaginazione cominciava a spaventarla seriamente, dal momento che ovunque si fosse diretta, avrebbe attirato l’attenzione delle persone.

Alla fine arrivò alla conclusione che in ogni caso avrebbe dovuto trovare un modo per andarsene di lì, cominciando col capire dove si trovasse. Per sua fortuna, il vecchio sembrava gentile e pensò che non si sarebbe rifiutato di rispondere a qualche domanda per lei.

Gli si avvicinò cautamente, attirando l’attenzione con un colpo di tosse. Il proprietario si voltò nella sua direzione, curioso.

«Mi spiace interrompere il suo lavoro, ma potrebbe dirmi dove ci troviamo?»

«Questa è Palmer Street, signorina. A Londra».

Questa risposta confortò Olivia: adesso era sicura che almeno si trovava ancora sulla Terra.

«Potrebbe dirmi anche che giorno è oggi?»

«E’ il sedici aprile».

«Di che anno?»

«2062».

Al contrario, questo non la rassicurava.

Cercando di mantenere la calma e di non lasciar trapelare il suo turbamento, Olivia abbandonò il negozio cominciando a correre verso ovest, non sapendo minimamente dove sarebbe arrivata. Aveva avuto il sospetto di non essere più nel 2010, ma un conto era pensarlo, un conto era scoprire che si trovava ben più di cinquant’anni dopo!

Affaticata e sconcertata si fermò, appoggiandosi contro il muro di un’abitazione; i volti delle persone che le passeggiavano davanti non smettevano di fissarla curiosi. Osservando ancora il modo in cui vestiva quella gente, un dubbio si insinuò nella sua mente: come era possibile trovarsi nel futuro, se tutto quello che vedeva le ricordava così tanto il passato? Non conosceva abbastanza bene Londra da poter avere un giudizio preciso, ma sicuramente non sembrava affatto una città moderna! Sembrava che invece di evolversi fosse tornata indietro negli anni.

All’improvviso un ragazzo alto le si avvicinò, anche lui aveva il fiatone e la guardava interrogativo.

«Sei per caso la “ragazza vestita in modo strano” che è appena uscita dalla libreria di mio nonno?»

Olivia si ritrovò ad annuire in silenzio, ancora persa nelle sue considerazioni.

«Mi spiace di averti seguita, ma quel vecchio becero non si fa mai gli affari suoi! Ha notato che eri leggermente turbata per qualcosa e voleva sapere se avevi bisogno di aiuto: non sembri di queste parti.»

Olivia avrebbe voluto rispondere che, tanto per essere precisi, non era nemmeno di quel tempo, ma preferì tacere, sorridendo in direzione del ragazzo e annuendo con la testa. Per indole non era molto loquace e men che meno lo sarebbe stata in quella situazione: aveva paura di dire qualcosa di sbagliato o di compromettente.

«Hai per caso perso la lingua? Non posso aiutarti, se non mi dici che cosa ti serve».

La ragazza vagliò varie opzioni: parlare e dire la verità facendosi passare per pazza, oppure rimanere zitta e continuare a vagare per quella città fino alla fine dei suoi giorni. Nessuna delle due sembrava convincerla.

«Mio nonno dice che sei strana: vesti come vestiva mia nonna quando era giovane!» osservò il ragazzo ridendo.

«Se ti dico che forse potrei venire dagli anni in cui tua nonna era giovane, mi prenderesti per folle?» si lasciò sfuggire Olivia, scrutando il volto del ragazzo.

«Probabilmente sì. Ma è anche vero che i tuoi vestiti, uniti all’espressione della tua faccia, mi fanno pensare a tutto il contrario, ovvero che stai dicendo la verità. In questo caso sarei io il folle, perché ti sto dando retta.»

«Sagace».

«Lo so».

Quel ragazzo era riuscito a tranquillizzarla e Olivia decise che a quel punto era meglio fidarsi e chiedergli un po’ di informazioni. Ora come ora, non aveva nulla da perdere.

«Mi chiamo Leo, a proposito.»

«Olivia. Posso davvero chiederti tutto quello che voglio, anche se le mie domande ti sembreranno assurde e fuori dal comune?»

Leo sorrise ancora, sembrava non fare altro, e la invitò a seguirlo: parlare in mezzo alla strada come se niente fosse non gli sembrava un’idea molto saggia. Imboccarono delle viuzze strette e piene di ciarpame, delle scorciatoie che si snodavano tra gli edifici di Londra. Sbucarono a St. James’s Park e presero posto sotto un grosso albero, lontani da occhi e orecchie indiscreti.

«Deduco che tu non possa sapere del perché mi trovi nel futuro, vero?»

«No, la mia intelligenza non arriva fino a questo punto.»

«Perfetto. Quindi non sai nemmeno come possa tornarmene a casa mia.»

«Infatti.»

«E allora mi dici come puoi essermi d’aiuto?»

Leo si mise a giocare con i fili d’erba, puntando lo sguardo al laghetto davanti a loro.

«Non ti sei chiesta perché nel 2062 il mondo sembra essere tornato indietro?»

«Veramente sì, ma non è la mia principale preoccupazione al momento».

«Dovrebbe invece. Non so perché sei capitata qui, ma un motivo c’è di sicuro.»

«Di che stai blaterando? Che vuol dire?»

«Dico che, se sei qui adesso, è perché qualcuno voleva che tu vedessi dove è arrivata la civiltà umana».

Olivia continuava a non capire. Non credeva nel destino, era fermamente convinta che ognuno fosse l’artefice del proprio avvenire e che se davvero quella era la Londra del 2062, non era necessario che ci fosse solo quella realtà. Magari, in un’altra dimensione c’era quella stessa città, nello stesso anno, ma con un’esistenza diversa: magari con macchine volanti e grattacieli galleggianti, chi poteva dirlo.

«Ti piace il mondo del 2010, Olivia?» le chiese Leo con uno sguardo enigmatico, come di chi sta cercando di far ragionare una bambina piccola.

«Diciamo che potrebbe essere migliore. Sai, non tutti gli esseri umani sono intelligenti, alcuni ti fanno cascare le braccia! Ma credo che sia una caratteristica presente in tutte le epoche storiche della Terra.»

«Gli uomini hanno fatto anche cose buone».

«Sì, ma se le paragoni a quelle non buone… non c’è confronto, dai!»

Leo sembrò riflettere seriamente all’ultima affermazione di Olivia.

«Permettimi di raccontarti una storia» le disse, sistemandosi a sedere più comodamente sull’erba.

«Immagina che il mondo, il tuo mondo, sia arrivato al capolinea. L’uomo ha inventato grandi cose, come le macchine, le fabbriche, le navi, i cellulari e qualsiasi cosa ti possa venire in mente! Ha migliorato la sua vita, l’ha resa più comoda; ma a quale prezzo? Io non mi reputo un esperto, ma se c’è qualcosa che ho imparato è che da sempre l’uomo ha la brama di avere ogni volta di più, di non accontentarsi mai: siamo egoisti, ammettiamolo.

Il troppo stroppia e infatti ci siamo ritrovati con l’effetto serra e l’inquinamento dovuto praticamente a qualsiasi cosa».

«Però pensa anche, Leo, che è inevitabile che la società progredisca. L’essere umano è l’unico animale dotato della ragione ed è impensabile che la usi solo per mangiare e fare la pipì!»

Leo rise di gusto, osservando la faccia seria  con cui Olivia aveva appena parlato.

«Bè, non lo trovi un paradosso interessante?»

«Interessante ed estremamente pessimistico».

«Ma reale. E’ quello che è successo qui, sai? Il mondo è arrivato al culmine verso il 2012. L’uomo aveva scoperto e inventato di tutto, dalle cose essenziali a quelle pienamente futili; così invece di continuare ad andare avanti, stiamo regredendo».

Olivia rimase in silenzio, registrando attentamente le parole di Leo. Tutta la fatica delle varie civiltà per migliorare le proprie condizioni sarebbe sfumata poco a poco, ritornando alle origini.

«Per questo sembra di essere negli anni Cinquanta o giù di lì?» chiese ingenuamente.

«Sì. Potremmo chiamarla “punizione”. Continueremo ad andare indietro fino all’età della pietra, alle glaciazioni, magari ai dinosauri».

«E a quel punto? Ci autodistruggeremo con un Big Bang?»

«O forse ricominceremo di nuovo a progredire, fino ad arrivare a un nuovo culmine. Magari però inventando cose diverse, che riescano a tutelare anche la natura del nostro pianeta, dato che nell’ultimo secolo non ci è riuscito molto bene».

Rimasero in silenzio per diversi minuti, nei quali Olivia pensò seriamente al suo mondo nel 2010: non le piaceva effettivamente, trovava che al potere ci fossero persone non competenti, che i soldi fossero nei conti correnti delle persone sbagliate e che tutti erano troppo pigri per cercare davvero di migliorare le cose. Ma nonostante tutta la spazzatura che ci poteva essere, lei ci abitava, era nata lì e le sarebbe dispiaciuto sapere che un giorno la Terra sarebbe addirittura tornata indietro.

«Potrebbero cambiare le cose?» chiese allora a Leo.

«Forse, io non posso saperlo».

Olivia annuì.

«Credo che sia l’ora di tornare a casa».

«E come ci torno, volando?» domandò la ragazza, alzando un sopracciglio scettica.

Leo scoppiò nuovamente a ridere e il rumore delle sue risate fu l’ultima cosa che udì Olivia, prima  di essere sommersa nel buio.

Quando riaprì gli occhi, era di nuovo a casa, sul suo divano rosso, proprio come aveva immaginato.

Era stato un sogno, uno come tanti altri, ma questa volta le aveva lasciato un sapore amaro in bocca, una consapevolezza nel cuore che la fece sorridere tristemente. Chissà se Leo esisteva davvero in qualche parte del mondo, o era stata semplicemente la sua fantasia a concepirlo, come una specie di grillo parlante.

«Ah, ti sei svegliata».

Sua madre si affacciò dalla porta della cucina, sorridendole.

«Hai dormito per quasi tre ore, hai fatto un bel sogno?»

«Uno come tanti» si limitò a rispondere la giovane, mettendosi in posizione eretta e stiracchiando le braccia.

«Sai mamma, il sedici aprile del 2062 vorrei andare a Londra» dichiarò poco dopo, con lo sguardo pensoso.

«E a fare che?» domandò la donna, curiosa.

«Sai, voglio controllare se a Palmer Street c’è una libreria…»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ho scritto questo racconto per un compito scolastico.

Ad alcune persone è molto piaciuto, quindi non so, magari piace anche a voi :D

 

 

   
 
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