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Autore: Zero    02/11/2005    2 recensioni
La fine. O forse no.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stava in silenzio, sul limitare del mare

Stava in silenzio, sul limitare del mare. Sottile, intangibile linea di confine.

Egli stava lì e il mare gli lambiva i talloni, con delicata inesorabilità.

Erano tanto calme queste onde, tanto carezzevoli nel bagnare senza sosta la sua pelle.

Eppure nessuno avrebbe potuto, nemmeno per un minuto, fermarne il moto incessante.

Battito ritmico, freddo fluire, ricopriva la sabbia con regolare armonia.

E quelle onde si prolungavano nella sua mente, si spandevano come azzurri impulsi tra pensieri e sinapsi. Regolare, perfetta armonia. Armonia cosmica, di un tutto che eternamente fluiva, eternamente ritornava.

 

E lo sciabordio si rifletteva sui sassi, lo scintillio delle acqua risuonava nei cosmici antri. Sembrava il canto dell’universo. Il lento, sempre uguale, eppure diverso lamento dell’universo.

Sì, perché era un canto triste. Pochi lo udivano in realtà. Era come un silenzioso, assordante rumore di fondo. Anzi non è esatto. Era propriamente il silenzio. Il silenzio di fondo che è sotteso a tutti i rumori, come possibilità della loro assenza. O semplicemente come muto canto della vita che fu, e che non è più. Come nenia dei bambini possibili, e mai nati. Che mai nessuno desiderò. Che qualcuno desiderò e non ottenne. O che ottenne, non desiderati.

Ma molte altre cose narrava, il muto canto dell’universo. Narrava di spezzati sospiri, di mai saziati aneliti, di singhiozzi taciuti, di parole non dette. Narrava di promesse d’amore mai pronunziate, di amare lacrime mai versate, di purificanti dolori mai sofferti.

Era il canto suonato su una cetra senza corde, appeso a un salice senza foglie.

Per questo non erano in molti a poterlo sentire. O meglio, tutti lo potevano sentire. Lo avvertivano, obliquamente, di sfuggita, nei rari momenti di requie, quando il loro animo non era immerso nei molteplici stordimenti della vita fittizia. E allora, quando anche solo il presentimento della percezioni li prendeva, lo fuggivano inorriditi. Si ubriacavano di suoni, imbevevano i propri sensi di colori, si saturavano di parole.

Ma in fondo, il canto rimaneva lì. Non taceva mai, perché l’unica cosa che non può mai tacere è il silenzio. In principio, qualsiasi cosa fosse, era certamente in silenzio. E infine sarà di nuovo il silenzio. Quando ogni patetico tentativo di dire ancora qualcosa sarà miseramente fallito, ciò che rimarrà sarà l’unica risposta possibile e definitiva.

 

Ma non vi era il silenzio nella mente di lui. Egli giaceva, in una sorta di tranquillo terrore, sospeso sul bordo del silenzio, al crepuscolo della notte dello spirito. Le onde, invero, non si sintonizzavano perfettamente con il flusso dei suoi pensieri.

C’era ancora un margine di lotta, un disperato tentativo suicida di combattere contro l’ineluttabile. No! Non si poteva tacere! Dopotutto, c’era ancora qualcosa da dire. Come arrendersi, a un passo dalla fine? Eppure la fine, lo sapeva, è sempre tragica. E’ catarsi, ma catarsi vuol dire silenzio. La catarsi è la gelida alba dopo la catastrofe.

Ma era proprio necessario quel sacrificio? Ancora sangue doveva essere versato su quell’altare? In pasto all’insaziabile Volontà che nulla vuole, al pensiero che nulla pensa, al canto dove tutto tace.

Sì, quella è armonia. Ma a che prezzo? E’ davvero così oneroso il fio della colpa, così tanto da doverlo scontare col perenne oblio?

Forse. Eppure…

 

Improvvisamente una lieve brezza marina, abbastanza fredda da provocare un brivido sulla pelle di lui, iniziò a spirare sulla spiaggia. Egli si alzò finalmente in piedi, con il volto rivolto a ponente, incontro al vento. E, con i capelli scompigliati, diede l’ultima occhiata al sole morente per poi voltargli le spalle.

<< Forse. Ma non ora >> disse, muovendo le labbra così insensibilmente da lasciare il dubbio se per caso non l’avesse solo pensato.

Tuttavia l'aveva detto.

  
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