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Autore: PLIM4ever    02/10/2010    1 recensioni
Mi afferrarono per i polsi, aprirono le porte e mi scaraventarono in un prato appena bianco di gelo, ma in cielo il sole brillava come una gemma di rara bellezza; l’aria era più limpida, meno rarefatta e intorno il nulla assoluto…
Genere: Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi afferrarono per i polsi, aprirono le porte e mi scaraventarono in un prato appena bianco di gelo, ma in cielo il sole brillava come una gemma di rara bellezza; l’aria era più limpida, meno rarefatta e intorno il nulla assoluto…

 

Ma questo è ciò che accadrà. Io sono una spia del governo americano: non ho nome, non ho ideali in cui credere e non ho famiglia. Quando ero piccola una pattuglia di militari americani venne in Polonia, nel mio piccolo paesino di provenienza che come me non aveva nome. Questi mi strapparono dalla strada per mettermi in una cella d’isolamento per sette giorni, al completo buio e al freddo, potevo solo bere acqua e mangiare un pezzo di pane al giorno. L’esercito americano mi addestrò come una vera e propria spia e, nelle missioni di spionaggio mandavano me, una macchina perfetta per lo spionaggio creata dall’esercito americano contro tutte le grandi potenze mondiali. La Guerra Fredda, un periodo che mi allettava molto grazie alle moltitudini di missioni tra le quali potevo scegliere e in ognuna di esse potevo sbizzarrirmi come più mi piaceva, era quello il periodo in cui avvennero tutti i fatti. Nel culmine della Guerra Fredda, il mio capitano, Evan Parker, mi assegnò personalmente LA missione diretta contro i nemici del paese. Il comandante era con me fin da quando fui catturata e messa nella cella d’isolamento; fu lui ad insegnarmi tutto quello che ora sapevo e fu ancora lui a starmi vicino nelle missioni più ardue. Ora il comandante Parker era un uomo di sessant’anni, dalla pancia molto pronunciata che se ne andava in giro per la base militare con un cappello blu troppo grande per la sua testa bianca e con l’uniforme decorata da valorose e sudate medaglie; ogni tanto arricciava i bianchi baffi che portava sotto il naso, perché quando vedeva che nella base i più giovani rompevano la disciplina, stizzito prendeva subito provvedimenti. Anche se da fuori poteva sembrare un uomo molto rigoroso, era una persona dal cuore d’oro. La missione che mi era stata assegnata era una missione che tutti i soldati e le spie si erano rifiutati di svolgere poiché richiedeva mesi e poi aveva un altissimo rischio per la propria vita mentre la maggior parte dei soldati o aveva famiglia o aveva fifa; quella codardia che serpeggiava in tutta la base non raggiunse me che, con indomito coraggio, accettai la missione. Il comandante mi accompagnò nella sala che eravamo soliti usare per preparare dei piani alternativi se qualcosa fosse andato storto; la sala era tutta in acciaio, alta un due e larga tre; al centro c’erano solo un piccolo tavolo anch’esso in acciaio e due piccole sedie da riformatorio. La base era provvista di una luce da interrogatorio. Essa era posta tre metri sotto la base governativa degli Stati Uniti e nessuno sapeva della sua esistenza al di fuori di me e del capitano. Ci sedemmo comodamente e senza fretta sulle sedie; il capitano portava sotto braccio due rotoli di carta, uno sembrava una piantina di un qualche edificio mentre l’altro non si capiva nemmeno cos’era…

-Allora,- disse tossendo il vecchio capitano con un sigaro in bocca già a metà del suo ciclo vitale -questa missione ti è stata assegnata da me in persona e come saprai, le missioni che ti affido non sono mai state senza complicazioni e, questa come le altre, potrebbe non andare del tutto liscia, ed è per questo che oggi siamo qui.- il capitano aspirò un’altra boccata dell’inebriante sigaro e continuò il suo discorso -Vedi… questa piantina è quella dell’edificio in cui dovrai entrare e non sarà complicato: entrerai per le condutture d’aria e poi, seguendo questa strada, scenderai irrompendo nella sala comandi marini; una volta entrata tutti i programmatori dei computer e gli addetti alle navi ti avranno già vista e ti staranno addosso e sarà proprio in quel momento che tu lascerai loro un bel regalino: un pacchetto regalo da sette bombe a mano già senza sicura. A quel punto salirai di nuovo nel condotto dell’aria e ti dirigerai verso…

Il capitano continuò a parlare per due ora di fila facendomi ripetere la strada da percorrere e cosa fare in caso di pericolo… era stata una rottura.

Parker si alzò dalla sedia facendola strisciare sul pavimento in acciaio e provocando un rumore graffiante; a quel punto accese un altro sigaro di ottima qualità lacerandolo con il taglia-sigari e lasciando cadere la parte in eccesso sul tavolo, lasciando trapelare dalla cupoletta piccole briciole di tabacco marrone cacao; tirò la prima boccata lasciando uscire tutto il fumo poi mi strinse la mano e si congedò. Rimasi lì, immobile, seduta a guardare i due fogli di carta un po’ ingialliti con gli angoli arricciati. Ero contenta perché ero finalmente riuscita ad avere una missione degna delle mie eccellenti capacità, ma quello che non mi andava bene era che, se anche fossi tornata vittoriosa, nessuno mi avrebbe riconosciuto il merito, ma il merito sarebbe andato all’attuale presidente degli Stati Uniti. Avevo passato venti minuti immobile a guardare i fogli del piano e poi mi ripresi, alzai lo sguardo e tornai in superficie. Passai la notte nella baracca di legno che mi avevano costruito appena fuori dalla base; la notte era gelida e non si vedevano le moltitudini di stelle che di solito rischiarano la mia notte buia, perché il cielo era velato di nuvole.

-E’ ora di partire…- disse tremante di paura una recluta mingherlina che era venuto a svegliarmi; le reclute avevano sempre paura di me, raccontavano strane storie, tipo che se mi svegliavano gli staccavo un braccio con un solo dito o cose del genere, ma la verità è che non ci sarei riuscita perché… sarei stata troppo assonnata. Arrivai di pessimo umore alla base, in un capannone dove stava la mia migliore amica, Karin, ed era proprio lei che preparava sempre tutto il mio equipaggiamento prima delle missione che avrei dovuto affrontare.

-Allora… ti senti pronta per la tu nuova missione?- disse sorridente Karin arricciando con l’indice destro le punte dei capelli corvini.

-Non fare la scema: sai che anche se non sono pronta devo partecipare comunque quindi… è inutile chiederlo.

In un momento, con poche parole, riuscii a smorzare tutto d’un fiato l’entusiasmo di Karin; camminò dietro ad uno scaffale, si abbassò e quando si rialzò pochi secondi dopo, aveva in mano uno zaino sottilissimo nero, che riusciva ad aderire alla tuta ermetica contro l’acqua che mi avevano dato in dotazione per la missione imminente. Mi porse il piccolo ed impermeabile zainetto.

-Tieni!- disse con un sorriso a trentadue denti. Non riuscivo a capire come potesse essere sempre così felice, pur lavorando in un posto orribile, facendo il lavoro che mai e poi mai avrebbe sognato di fare e con il cielo sempre velato di grigio. Presi lo zainetto e me ne andai senza voltarmi indietro, senza lasciar trapelare nessuna emozione e mi diressi verso l’eliporto dove c’era un elicottero azionato che mi stava aspettando. Mentre l’elicottero si alzava in volo riuscivo a vedere tutta la base e tutte le persone che ci lavoravano e addirittura il comandante Parker che si accingeva ad alzare la mano verso la fronte in segno di saluto; feci lo stesso e mi voltai, guardando l’orizzonte americano grigio di fumo…

 

Dopo cinque ore di viaggio eravamo finalmente arrivati in Russia dove il capitano dell’elicottero mi lasciò a terra; anche in Russia era invero inoltrato: il terreno era ricoperto da una soffice coltre di neve, segno che aveva smesso di nevicare da poco; il naso mi divenne subito tutto rosso a causa del freddo e il cielo era grigio anche in quel posto: il cielo era grigio dovunque io andassi. Davanti a me il nulla, dietro di me il nulla, era tutto deserto e nell’area nemmeno una guardia o cose del genere che perlustrassero il territorio. Iniziai a camminare lentamente, ad ogni mio singolo passo la neve sotto i miei piedi scricchiolava e intorno a me il silenzio più assoluto che mi accompagnava nella mia ardua missione. In lontananza riuscivo a scorgere un edificio grigio che sembrava corrispondere a quello descritto dal comandante Parker durante la nostra riunione nella base e con molta fretta buttai giù la copertura della condotta dell’aria e mi ci si infilai dentro; sembrava una cosa da film, eppure era l’unico modo per entrare indisturbati. Dopo aver percorso un po’ di condotta ero arrivata sopra ad una grata: sotto di me c’era una grande scrivani bianca dove un uomo bardato con indumenti invernali molto pesanti gustava una sigaretta di marchio russo e bevevo una birra; controllava tutti gli uomini che stavano al di là della scrivania: anche loro coperti per il freddo e lavoravano ognuno alla loro piccola scrivania scrivendo e disegnando progetti per le navi militari. Preparai le bombe a mano togliendo la sicura e con un calcio lanciai la grata sopra la testa dell’uomo che controllava i lavoro; avevo lanciato la grata proprio sopra la sua testa perché era l’unico che portava con sé un’arma: una pistola di piccolo calibro già caricata e con l’indice destro sul grilletto, pronto a sparare; dopo quella botta svenne e cadendo a terra fece rumore: tutti gli operai si girarono e a quel punto lanciai il mio regalino. Corsi il più veloce possibile lontano dalla stanza, mi rannicchiai su me stessa e sentii il botto; ben presto sarebbero arrivati altri soldati a cercarmi. Il comandante mi aveva insegnato la strada e la percorsi perfettamente, solo che per mia sfortuna le piantine erano vecchie (infatti i fogli erano ingialliti…) e una partesi condotto era stata tolta per fare spazio ad un’area riservata ai grandi capitani delle forze armate russe. Essendo sicura della piantina mostratami dal comandante mi buttai a capofitto ma il problema era che oltre di me c’era il vuoto… caddi addosso agli ufficiali russi che mi ammanettarono e mi portarono in galera, una piccola cella buia dalla quale potevo vedere solo il cielo russo da una piccola finestra sbarrata; in tre giorni di torture non riuscirono ad estorcermi nessuna informazione, ero stata muta come un pesce. Era la prima volta dopo tre giorni che riuscivo a rimanere tranquilla, da sola a guardare il cielo; proprio quando ero stata imprigionata il cielo era azzurro e limpido, proprio quando io non potevo vederlo e ammirarlo. Ero rannicchiata su me stessa a guardare il cielo quando un signore con i segni dell’età in volto mi prese per il polso e mi scaraventò vicino ad un abbeveratoio pieno d’acqua; parlando in russo chiamò due uomini che mi incappucciarono con un sacco di tela; pensai che la mia vita ormai era finita e non c’era più niente da fare quindi mi rasserenai pensando al limpido cielo che avevo appena visto. Ma all’improvviso mi puciarono il viso nell’acqua gelata e capendo che non avrei parlato mi trascinarono ancora incappucciata da qualche parte. Sentii una presenza in parte a me.

-Tu, ragazza… tu zei molto coraggioza… purtroppo il tuo coraggio non ci zerve a nulla e quindi ti liberiamo: da fonti zigcure abbiamo zaputo che non hai zcoperto nulla.

Dopo quella brave conversazione mi tirarono una pacca sul coppino e mi addormentai.

Mi svegliai e avevo il viso libero; mi afferrarono per i polsi, aprirono le porte e mi scaraventarono in un prato appena bianco di gelo, ma in cielo il sole brillava come una gemma di rara bellezza; l’aria era più limpida, meno rarefatta e intorno il nulla assoluto… finalmente potevo vedere il cielo azzurro con i miei occhi, i prati verdi fiorire lentamente con della brina sui delicati petali e una nuova vita dinnanzi a me.

 

   
 
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