Verrà la morte e avrà i
tuoi occhi…
Il sole cocente picchiava forte quella mattina di metà Agosto.
Quirinus Raptor sospirò, sedendosi su una grossa roccia sotto l’ombra di un
albero secolare: fortunatamente aveva fatto sì che il suo turbante viola –
prezioso dono di un sultano d’Africa per il suo operato contro uno zombie –
mantenesse fresca la temperatura della testa, così da non fargli sentire più di
tanto gli oltre 30° di quel posto.
Si guardò intorno: il sottobosco era uno spettacolo magnifico.
Non importava quante volte lo avesse visto: aveva sempre la capacità di
togliergli il fiato come se fosse la prima. Con un nuovo respiro, alzò lo
sguardo verso il cielo per guardare quel morbido soffitto naturale che le
foglie intrecciavano sulla sua testa, filtrando i raggi del sole e creando un
bellissimo gioco di luci ed ombre sul terreno.
Quel piccolo bosco dell’Albania sembrava un luogo incantato dove
poter trovare la pace. Gli sarebbe mancato molto, così come gli altrettanto
belli scenari della Transilvania, spettatori delle sue vittorie contro i
vampiri. Eppure quando Albus Silente, preside della scuola di magia e
stregoneria di Hogwarts, gli aveva offerto la cattedra di professore di Difesa contro le Arti Oscure per le sue
capacità e le famose imprese vittoriose, non aveva esitato neanche un istante
ad accettare, col petto pieno d’orgoglio e felicità. Ormai solo due settimane
lo separavano dal varcare di nuovo quella soglia e quello in Albania sarebbe
stato il suo ultimo lungo viaggio, prima di un duro – ma sicuramente piacevole
e gratificante – anno di insegnamento.
Il professore si alzò e sistemandosi lo zaino sulle spalle, si
incamminò verso la parte più fitta e fresca del bosco. Lì, fra le chiome dei
grossi alberi e i rampicanti verdi che li legavano l’un l’altra, il sole
faticava molto ad entrare, rendendo l’ambiente quasi buio e abbassando la
temperatura di almeno cinque gradi.
Raptor continuò a camminare, molto più a suo agio per la nuova
frescura, quando un’improvvisa folata di vento – più fredda e forte di quanto
si aspettasse – lo fece rabbrividire. Tuttavia, l’uomo non si fece spaventare
più di tanto: in fondo era solo vento e lui ne aveva viste ed affrontate di
peggio… o almeno così credeva…
Una seconda folata di vento lo fece voltare verso l’alto, dove ormai
il soffitto erboso era così fitto da non permettergli di vedere più il sole e
la stessa luce faticava ad illuminare ciò che lo circondava. Raptor avrebbe
giurato che quei rampicanti si fossero infittiti tutto ad un tratto, in una
sola volta.
«Quirinus… Raptor…»
Una voce profonda ma dal tono basso si espanse nell’aria
improvvisamente fredda; sembrava un sussurro stentato eppure allo stesso tempo
suscitava un severo rispetto. Chiunque l’avesse sentita non avrebbe avuto
dubbio a dire che sembrava la voce del diavolo.
Il professore girò varie volte su se stesso, cercando la fonte
di quel suono e allo stesso tempo riflettendo sulla creatura alla quale poteva
appartenere, senza trovare risposta a nessuna delle due domande. La tensione
cresceva, ogni suo muscolo era teso e pronto a difendersi o ad attaccare a
seconda della situazione che gli si sarebbe parata davanti. Situazione che,
tuttavia, non accennava a mostrarsi, lasciando tutto com’era: calmo e al
contempo snervante.
«Quirinus… Raptor…» sussurrò di nuovo la stessa fredda voce che
pareva venisse dall’aria intorno all’uomo.
«Chi sei?!» chiese gridando con coraggio e rabbia il professore.
«Io sono… te!» gridò di risposta quella voce, ora terrificante;
poi una folata di vento, terribile, colpì Raptor in pieno volto facendolo
spostare di vari metri, finché non sbatté con la schiena contro un ruvido
tronco.
All’inizio gli sembrò che tutto si fosse calmato: non c’era più
vento, non c’era più alcun suono e aveva persino la sensazione che la
temperatura fosse aumentata di vari gradi. Respirò, sinceramente sollevato, ma
non fece in tempo neanche ad aprire gli occhi, che un dolore improvviso e
tremendo alla testa gli strappò un grido agghiacciante. Era come se lo stessero
colpendo senza sosta con un grosso martello e allo stesso tempo la sua testa
fosse immersa nella lava bollente; era talmente tanto e talmente forte il
dolore, che Raptor sembrava aver dimenticato come si respirava. E infatti i
suoi polmoni erano fermi, la bocca semiaperta che mimava un grido senza suono e
gli occhi spalancati da cui si poteva vedere solo il bianco delle orbite.
Poi cadde sul terreno polveroso, privo di sensi.
Non sapeva dire come si sentisse, quando riprese conoscenza.
Dopo aver aperto gli occhi, anzi, dovette fare uno sforzo enorme per capire
dove si trovasse ed uno ancora maggiore per ricordare cosa fosse successo e
perché fosse steso, fino a quel momento privo di sensi, sul terreno polveroso.
Ad un tratto, però, come se qualcuno gli avesse fatto un’improvvisa fattura
sulla memoria, bastò il suo tentativo di mettersi a sedere, seguito da una
fitta di dolore alla testa, a fargli ricordare tutto: il freddo, la voce
sconosciuta e il dolore terribile al capo che lo aveva fatto svenire.
Respirò con forza, cercando di fermare tutto ciò che lo
circondava, che aveva preso a giare come una brutta giostra Babbana. Si prese
la testa fra le mani avvertendo di nuovo un calore improvviso, stavolta
concentrato sulla nuca. Istintivamente tolse il turbante viola e cominciò a
massaggiarsi, sperando di alleviare dolore e calore. Eppure, più le mani
toccavano il cranio, più il professore si rendeva conto che qualcosa non
andava, che c’era qualcosa di sbagliato: sotto le dita, la pelle aveva una
forma strana, in alcuni punti era… increspata…
Mentre una strana inquietudine – quella terribile, che ti prende
quando c’è in gioco un dubbio - si
faceva strada nelle membra di Raptor, vanificando qualsiasi sforzo di restare
calmo e lucido, l’uomo estrasse dallo zaino la tenda che aveva portato con sé
per la notte e la montò con movimenti frenetici. Quando fu pronta, vi entrò di
corsa cercando, fra le varie stanze di quell’enorme interno, lo specchio da
muro, che aveva caricato l’ultima volta ed uno più piccolo che potesse tenere
in mano. Si fermò di fronte a quello alto che lo rifletteva dalla testa ai
piedi, mostrando la sua figura sottile, ora pallida e tremante; con movimento
incerto – per quanto fosse coraggioso, quest’episodio stava mettendo a dura
prova i suoi nervi – posizionò il secondo specchio dietro la sua testa così che
la parta invisibile agli occhi, potesse riflettersi nel primo.
E per quanto coraggio avesse, per quante Creature Oscure avesse
affrontato, Raptor non poté fare a meno di sussultare ed inorridire alla vista
di quella… cosa... che aveva preso
forma dalla sua nuca. Era senza fiato, sconvolto: non riusciva a capire cosa
fosse, come fosse possibile che… un volto…
un volto umano fosse stampato sulla
sua testa.
E poi il volto parlò, con quella stessa voce che lo aveva
chiamato nel bosco, gli occhi si spalancarono ed un brivido freddo percorse
l’uomo quando i due sguardi si incontrarono ed infine comprese a chi mai
appartenessero quelle fattezze.
«Impossibile…» sussurrò ed avrebbe preferito, avrebbe addirittura
pregato di essere diventato pazzo, piuttosto che accettare una simile realtà.
«Sai, Raptor… in questi anni ho imparato che sono molto poche le cose veramente impossibili…» sussurrò tetro il volto.
«Tu sei morto! Dieci anni fa!» lo interruppe il professore,
sempre più sconvolto.
«Come dicevo, ho imparato molte cose in questi anni… e sai cosa,
in particolare? Che tornare dall’Inferno, per
me, non rientra nella categoria delle cose impossibili» continuò quello con
voce che – se chi l’ascoltava non ne avesse conosciuto il proprietario – si
sarebbe potuta dire saggia e venerabile.
Ma Raptor lo conosceva, come del resto tutto il mondo magico.
Quell’uomo aveva scritto le ore più buie della magia, ucciso e distrutto senza
pietà, seminato panico e terrore… ed ora era letteralmente nella sua testa.
«Si raccontano storie davvero belle sul tuo conto, professor Raptor: la tua bravura e il
tuo coraggio sono rinomati… Perché, dunque, non aiutare me a tornare?» e quelle parole non avevano proprio nulla della
richiesta che avevano espresso.
Erano un ordine.
Raptor era inorridito da quella richiesta. Davanti a sé aveva il
Mago Oscuro più potente di tutti i tempi, il male in persona. No, non avrebbe
mai accettato una richiesta simile, non lui che aveva dedicato tanto tempo alla
sconfitta delle Creature Oscure, lui che aveva sempre innalzato il bene…
Avrebbe rifiutato… sì, lo avrebbe fatto per tenere fede ai suoi principi, a
tutto ciò in cui aveva sempre creduto… Eppure, più si convinceva di quello che
voleva – doveva – fare, più ogni
sforzo per farlo sembrava inutile. Perché, si accorse, dentro di lui c’era
anche il bruciante, nascosto e forte desiderio di aiutarlo… Sì… sarebbe potuta
anche andare diversamente… Nel tempo in cui aveva fatto vedere al mondo la sua
potenza, era risaputo che chi prometteva fedeltà a Lord Voldemort aveva
privilegi e protezione: per una volta non sarebbe più stato il Raptor che,
nonostante combattuto contro ogni tipo di mostro, veniva sempre squadrato dall’alto al basso con fare dubbioso, come se le
sue imprese fossero semplici favole, solo perché il suo non era l’aspetto alto
e ben piantato di chi avrebbe avuto la forza di sconfiggere le Creature Oscure.
Forse, sotto il comando del Signore Oscuro, la gente lo avrebbe rispettato di
più… sarebbero stati intimoriti dalla sua presenza… il suo nome sarebbe stato
pronunciato con il dovuto peso.
Eppure questo avrebbe significato rinunciare da ogni principio,
a tutto ciò in cui fin’ora aveva creduto. Passare dalla parte del male,
aiutarlo a sconfiggere il bene … no… poteva mai fare una cosa simile, solo per
il proprio profitto? Senza pensare alle conseguenze di quella scelta, senza
riflettere sul dolore e sulle morti che la rinascita del Lord avrebbero
significato?
Bene o male…? Era una scelta troppo grossa, troppo significativa
e dannatamente semplice da fare. Bastava una parola a cambiare le sorti di
tutta la magia…
«Credi davvero che tutto si basi sulla scelta fra bene e male?
Che il punto essenziale della tua decisione sia scegliere quali delle due parti
servire?» chiese il Signore Oscuro, severo e diretto – le indecisioni di quello
sciocco lo stavano spazientendo «Osserva la storia, Raptor: credi forse che sia
stata scritta secondo il bene o il male? Questi due fattori diventano nulla
rispetto al potere! Credi che il mio nome sarebbe stato ricordato di meno se mi
fossi messo al servizio di quello che chiamate bene? No, Raptor, niente
affatto! Le mie azioni, il mio nome sarebbero stati ugualmente noti sia che mi
fossi dedicato al bene, sia che mi fossi dedicato al male. Ciò che rimane non è
altro che il ricordo che potere che ho avuto. La storia dimentica chi non ha
avuto potere, per quante opere buone – o malvagie – abbia fatto. Ma non potrà
mai dimenticare coloro che, invece, lo possiedono e ne fanno uso. Bene e male non esistono. Esistono soltanto
il potere e coloro che sono troppo deboli per ricercarlo. Ora, la vera
domanda su cui concentrarsi, quella da cui dipenda davvero la tua scelta è
questa: sei disposto a ricercare ed usare il potere? O sei troppo debole ed io
ho commesso un errore a venire da te?»
Le parole erano risuonate nella testa del professore con una
nitidezza ed una forza che non credeva possibile, quasi fosse stato lui a
pensarle. All’inizio non aveva compreso cosa Voldemort gli volesse spiegare con
quel discorso… poi, però, tutto era stato improvvisamente chiaro e con orrore
si era reso conto di quanto fossero veritiere quelle parole. Era il potere a
rimanere impresso nella memoria delle persone, solo quello: la parte da cui
stare era un dato secondario, senza tanto valore.
Ma una voce sottile – il buonsenso o forse un anticipato rimorso
per ciò che avrebbe causato quella scelta – ancora continuava a protestare
contro quell’improvvisa presa di coscienza. No, lui era buono e come tale
doveva agire.
«Sopprimila!» gli ordinò Voldemort «Schiacciala come l’insetto
che eri prima di incontrarmi, dalle la stessa importanza che ti hanno dato
tutti quelli che hai incontrato!»
E Raptor fece quanto gli era stato ordinato: zittì quella misera
voce insieme alla sua coscienza e a tutti i dubbi. Aveva preso la sua
decisione: non sarebbe tornato indietro, mai
più.
«Ditemi come posso servirvi, mio Signore» acconsentì abbassando
la testa sotto lo sguardo tanto simile a quello di un serpente di Lord
Voldemort.
La risata di vittoria del Signore Oscuro, al sentire quelle
parole, risuonò nella testa del professore quasi fosse stato lui steso ad
emetterla. Sentiva il potere del Lord dentro di lui: quella crudeltà, quella
malvagità che avevano avuto tanta fama, ora poteva accarezzarle e in un certo
senso erano quasi sue. Se ne sentiva invaso e più cresceva quella sensazione,
più lui voleva che crescesse, pervaso da quello che è il più innato e il più pericoloso dei desideri umani: la sete
di potere.
Dopo quell’incontro e quel patto, il primo settembre era giunto
con una rapidità assurda e prima che potesse veramente rendersene conto, Raptor
aveva varcato la soglia di Hogwarts con più anni e più segreti rispetto
all’ultima volta. Il dolore che provava quel giorno era ancora molto ma, se si
poteva trovare un lato positivo nella punizione che gli era stata inflitta dal
Signore Oscuro, era che quel suo stato sofferente lo aiutava a vestire meglio
il suo ruolo di professore innocuo e pauroso, insospettabile. La rapina alla
Gringott del giorno precedente era fallita. La pietra filosofale, custodita in
una delle camere di sicurezza della banca magica, era già stata portata via e
per quanto Raptor non avesse commesso errori nello scassinarla, Voldemort non
amava perdere e per lui quell’inconveniente era solo colpa della lentezza del
professore.
«Se ci fossimo mossi qualche giorno fa» lo aveva accusato,
impietoso «Senza attendere oltre, adesso la pietra sarebbe già nelle mie mani!
Ora dovremmo cercarla ad Hogwarts, sotto lo sguardo vigile di quel Mezzosangue
di Silente!» e per quanto Raptor avesse chiesto perdono, non gli aveva
risparmiato la punizione, il dolore che meritava per quel fallimento.
«Ah, professor Raptor!» lo salutò il preside, strappando l’uomo
dai suoi pensieri.
«B-buonasera, p-p-preside» balbettò l’insegnate, ben calato nel
suo ruolo «G-gli stu-studenti s-s-sono già a-arrivati?» chiese poi.
«Sì, proprio in questo momento. Venga, dobbiamo essere nella
Sala Grande, quando comincerà
Quando si fu seduto al proprio posto, vide, dal fondo della sala,
entrare tutti i piccoli studenti del primo anno. Facevano quasi tenerezza, nei
loro mantelli, con gli sguardi che saettavano curiosi ed intimoriti da tutte le
parti, attenti alla voce del Cappello Parlante, intento, come ogni anno da
sempre, a recitare la sua lunga filastrocca. Poi uno ad uno si sedettero su uno
sgabello, in attesa che quel vecchio cappello consunto decidesse il loro
destino.
Raptor sentì chiaramente un brivido di eccitazione provenire dal
suo interno, quando un ragazzino con gli occhiali e i capelli scuri e
scompigliati fu chiamato dalla venerabile voce, pronta a leggere nella sua
mente. Il professore si fece immediatamente attento, come se dalla scelta
dipendesse la sua stessa vita… e in un
certo senso era realmente così.
Quando il cappello pronunciò a gran voce «GRIFONDORO», Raptor
distinse dentro di sé una certa rabbia, mescolata ad un senso di sfida appena
riaperta. Quel ragazzino, Harry Potter, era la causa del fallimento di Lord Voldemort,
della sua momentanea fine e per quanto vederlo a Serpeverde avrebbe reso le
cose più facili, ritrovarselo a Grifondoro era come riaprire quel confronto che
si era concluso dieci anni prima con la sua momentanea dipartita.
So che lo troveremo
sulla nostra strada pensò il Lord nella testa
del professore, ma questo non potrà farmi
altro che piacere…
Lo
sguardo vitreo del professor Raptor ora fissa il soffitto di quella sala, in
una lenta e dolorosa agonia. Si dice che in punto di morte ti passi davanti
tutta la vita, come una pellicola velocizzata. In quel momento, Quirinus ha
appena rivisto la scelta più importante e l’errore più grande della sua vita,
come un doloroso susseguirsi di diapositive di cui già si conosce il contenuto
e non si può far nulla per cambiarle.
Silente
è appena andato via, il volto tirato e tra le braccia quel ragazzino tanto
piccolo eppure con una forza terribile. La pelle che è stata a contatto con le
sue mani da bambino brucia terribilmente, come se l’avesse bagnata con
dell’acido. Come sia possibile, lui non riesce a spiegarselo e forse, in quel
momento e in quella situazione, neanche gli importa più di tanto.
Anche
il Signore Oscuro è andato via, ha abbandonato il suo corpo appena si è reso
conto del destino di morte a cui stava andando incontro e che ormai non avrebbe
potuto più far nulla per riuscire nel suo intento. Raptor non l’ha supplicato
di restare, non gli ha chiesto di guarirlo o di portarlo con lui: è stanco di
supplicare un perdono ed una clemenza che non vuole e forse non merita.
Ora
è solo, consapevole di quanto la morte si stia avvicinando e di come qualunque
sforzo per allontanarla sia inutile. E, in fondo, è stanco di scappare e sa che
accetterà la sua fredda morsa senza opporre alcuna resistenza: è stato lui a
scegliere quel destino e se ancora ha un briciolo di amor proprio in quel cuore
raggrinzito dal male, accetterà la morte a testa alta, tenendo fede alla sua
scelta fino alla fine.
Ironico
come, tra i tanti principi e scelte che ha fatto durante la vita, stia
rispettando in pieno l’unica che in realtà li tradisce tutti. Se non fosse così
sfinito, riderebbe del lato patetico di quella terribile situazione.
E
prima di chiudere gli occhi, prima di lasciare che l’ultimo respiro abbandoni
il suo petto, Raptor ha l’impressione di sentire una voce, sottile, quasi un
sussurro. La stessa voce che gli chiedeva di riflettere poco prima che
prendesse la decisione di aiutare Voldemort, la stessa che il Lord gli aveva
ordinato di zittire. All’improvviso si rese conto che non era il buonsenso a
parlare, né il rimorso…
Quella
voce era semplicemente se stesso, quel poco di bene che ancora era attaccato
alla sua anima nera e che, davanti alla morte, aveva deciso di non lasciarlo
solo.
Alla
fine, quando baciò il suo volto e abbracciò le sue membra, Raptor capì che lui
l’aveva già vista, la morte che ora lo stava portando via.
Sì,
la conosceva… dal giorno in cui aveva accettato la proposta di Voldemort, dal
momento in cui aveva visto il suo sguardo riflesso nello specchio da muro.
Perché
quelli del Signore Oscuro erano i suoi occhi, gli occhi della morte.
_______________________
Ehilà! Eccomi con una nuova shot! *-*
Stavolta non mi era neanche passata
per la mente l’idea di poter fare un buon piazzamento… e invece… 1° posto?!
Ancora non me ne capacito! Mi pare
assurdo! Anche perché essendomi capitato un personaggio come Raptor… mi sono
sentita davvero persa! Stavo addirittura per decidere di ritirarmi… quando puf!
è arrivata l’idea! Ci tengo solo a precisare che se Raptor vi è sembrato
deciso, forte, sicuro… insomma tutto l’opposto di quello del primo anno
scolastico, questo non è un OOC, perché bisogna ricordare che la debolezza
ostentata dal professore non era altro che una finzione.
Ok. So che non può fregarvene molto
di ‘sto sproloquio quindi taglio corto ^^’’’
Innanzitutto, ringrazio Only_Me per
aver indetto il contest… Davvero, grazie!
Poi voglio fare i complimenti a
tutti gli altri partecipanti: sono stata davvero felice di aver gareggiato con
voi!
Infine, eccovi il giudizio…
Originalità: 10/10;
Grammatica: 9.8/10;
Forma: 9.8/10;
Caratterizzazione personaggi: 10/10;
Attinenza al tema: 10/10;
Gradimento personale: 5/5;
Totale: 54.6/55.
Magnifica.
Questa è l'unica parola che mi viene in mente, al
momento. È tanto vicina all'essere perfetta che fa quasi impressione. Quelle
minime penalizzazioni nella grammatica e nella forma sono dovute a due errorini
a metà della terza pagina. Mannaggia a loro! Non mi sarebbe dispiaciuto darti
il punteggio pieno. Quando ho inserito quel personaggio nella lista, pensavo
che nessuno l'avrebbe preso e utilizzato; è un personaggio particolare,
ammettiamolo, e ci vuole una buona dose di masochismo per poter scrivere su di
lui. Masochismo e fantasia. E tu, a quanto pare, li hai entrambi. Cos'altro
posso dire? L'attinenza è ottima, sia per quanto riguarda il titolo che per il
personaggio. La caratterizzazione è quasi inquietante. Originalità? Voto pieno,
e senza alcun ripensamento! Quante storie possono avere lui come protagonista?
Complimenti!
Premio [Best
fic]: {Verrà la morte e avrà i tuoi occhi} di Alchimista
Ehm… credo di aver detto tutto, no?
Ringrazio tutti coloro che leggeranno ed in particolare quelli che
recensiranno, preferiranno o aggiungeranno la shot a quelle da ricordare.
A presto. Un bacio.
Alchimista ~
♥