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Autore: Alchimista    03/10/2010    6 recensioni
Il sole cocente picchiava forte quella mattina di metà Agosto. Quirinus Raptor sospirò, sedendosi su una grossa roccia sotto l’ombra di un albero secolare: fortunatamente aveva fatto sì che il suo turbante viola – prezioso dono di un sultano d’Africa per il suo operato contro uno zombie – mantenesse fresca la temperatura della testa, così da non fargli sentire più di tanto gli oltre 30° di quel posto.
Vi siete mai chiesti come tutto ha avuto inizio? Come Voldemort abbia convinto il professor Raptor ad aiutarlo nella sua "resurrezione"?
Beh... io ci ho provato!
PRIMA CLASSIFICATA AL CONTEST "IO IL TITOLO, VOI LA STORIA" DI ONLY_ME E VINCITRICE DEL PREMIO "BEST FIC"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

 

Il sole cocente picchiava forte quella mattina di metà Agosto. Quirinus Raptor sospirò, sedendosi su una grossa roccia sotto l’ombra di un albero secolare: fortunatamente aveva fatto sì che il suo turbante viola – prezioso dono di un sultano d’Africa per il suo operato contro uno zombie – mantenesse fresca la temperatura della testa, così da non fargli sentire più di tanto gli oltre 30° di quel posto.

Si guardò intorno: il sottobosco era uno spettacolo magnifico. Non importava quante volte lo avesse visto: aveva sempre la capacità di togliergli il fiato come se fosse la prima. Con un nuovo respiro, alzò lo sguardo verso il cielo per guardare quel morbido soffitto naturale che le foglie intrecciavano sulla sua testa, filtrando i raggi del sole e creando un bellissimo gioco di luci ed ombre sul terreno.

Quel piccolo bosco dell’Albania sembrava un luogo incantato dove poter trovare la pace. Gli sarebbe mancato molto, così come gli altrettanto belli scenari della Transilvania, spettatori delle sue vittorie contro i vampiri. Eppure quando Albus Silente, preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, gli aveva offerto la cattedra di professore di Difesa contro le Arti Oscure per le sue capacità e le famose imprese vittoriose, non aveva esitato neanche un istante ad accettare, col petto pieno d’orgoglio e felicità. Ormai solo due settimane lo separavano dal varcare di nuovo quella soglia e quello in Albania sarebbe stato il suo ultimo lungo viaggio, prima di un duro – ma sicuramente piacevole e gratificante – anno di insegnamento.

 

Il professore si alzò e sistemandosi lo zaino sulle spalle, si incamminò verso la parte più fitta e fresca del bosco. Lì, fra le chiome dei grossi alberi e i rampicanti verdi che li legavano l’un l’altra, il sole faticava molto ad entrare, rendendo l’ambiente quasi buio e abbassando la temperatura di almeno cinque gradi.

Raptor continuò a camminare, molto più a suo agio per la nuova frescura, quando un’improvvisa folata di vento – più fredda e forte di quanto si aspettasse – lo fece rabbrividire. Tuttavia, l’uomo non si fece spaventare più di tanto: in fondo era solo vento e lui ne aveva viste ed affrontate di peggio… o almeno così credeva…

Una seconda folata di vento lo fece voltare verso l’alto, dove ormai il soffitto erboso era così fitto da non permettergli di vedere più il sole e la stessa luce faticava ad illuminare ciò che lo circondava. Raptor avrebbe giurato che quei rampicanti si fossero infittiti tutto ad un tratto, in una sola volta.

«Quirinus… Raptor…»

Una voce profonda ma dal tono basso si espanse nell’aria improvvisamente fredda; sembrava un sussurro stentato eppure allo stesso tempo suscitava un severo rispetto. Chiunque l’avesse sentita non avrebbe avuto dubbio a dire che sembrava la voce del diavolo.

Il professore girò varie volte su se stesso, cercando la fonte di quel suono e allo stesso tempo riflettendo sulla creatura alla quale poteva appartenere, senza trovare risposta a nessuna delle due domande. La tensione cresceva, ogni suo muscolo era teso e pronto a difendersi o ad attaccare a seconda della situazione che gli si sarebbe parata davanti. Situazione che, tuttavia, non accennava a mostrarsi, lasciando tutto com’era: calmo e al contempo snervante.

«Quirinus… Raptor…» sussurrò di nuovo la stessa fredda voce che pareva venisse dall’aria intorno all’uomo.

«Chi sei?!» chiese gridando con coraggio e rabbia il professore.

«Io sono… te!» gridò di risposta quella voce, ora terrificante; poi una folata di vento, terribile, colpì Raptor in pieno volto facendolo spostare di vari metri, finché non sbatté con la schiena contro un ruvido tronco.

All’inizio gli sembrò che tutto si fosse calmato: non c’era più vento, non c’era più alcun suono e aveva persino la sensazione che la temperatura fosse aumentata di vari gradi. Respirò, sinceramente sollevato, ma non fece in tempo neanche ad aprire gli occhi, che un dolore improvviso e tremendo alla testa gli strappò un grido agghiacciante. Era come se lo stessero colpendo senza sosta con un grosso martello e allo stesso tempo la sua testa fosse immersa nella lava bollente; era talmente tanto e talmente forte il dolore, che Raptor sembrava aver dimenticato come si respirava. E infatti i suoi polmoni erano fermi, la bocca semiaperta che mimava un grido senza suono e gli occhi spalancati da cui si poteva vedere solo il bianco delle orbite.

Poi cadde sul terreno polveroso, privo di sensi.

 

Non sapeva dire come si sentisse, quando riprese conoscenza. Dopo aver aperto gli occhi, anzi, dovette fare uno sforzo enorme per capire dove si trovasse ed uno ancora maggiore per ricordare cosa fosse successo e perché fosse steso, fino a quel momento privo di sensi, sul terreno polveroso. Ad un tratto, però, come se qualcuno gli avesse fatto un’improvvisa fattura sulla memoria, bastò il suo tentativo di mettersi a sedere, seguito da una fitta di dolore alla testa, a fargli ricordare tutto: il freddo, la voce sconosciuta e il dolore terribile al capo che lo aveva fatto svenire.

Respirò con forza, cercando di fermare tutto ciò che lo circondava, che aveva preso a giare come una brutta giostra Babbana. Si prese la testa fra le mani avvertendo di nuovo un calore improvviso, stavolta concentrato sulla nuca. Istintivamente tolse il turbante viola e cominciò a massaggiarsi, sperando di alleviare dolore e calore. Eppure, più le mani toccavano il cranio, più il professore si rendeva conto che qualcosa non andava, che c’era qualcosa di sbagliato: sotto le dita, la pelle aveva una forma strana, in alcuni punti era… increspata…

Mentre una strana inquietudine – quella terribile, che ti prende quando c’è in gioco un dubbio -  si faceva strada nelle membra di Raptor, vanificando qualsiasi sforzo di restare calmo e lucido, l’uomo estrasse dallo zaino la tenda che aveva portato con sé per la notte e la montò con movimenti frenetici. Quando fu pronta, vi entrò di corsa cercando, fra le varie stanze di quell’enorme interno, lo specchio da muro, che aveva caricato l’ultima volta ed uno più piccolo che potesse tenere in mano. Si fermò di fronte a quello alto che lo rifletteva dalla testa ai piedi, mostrando la sua figura sottile, ora pallida e tremante; con movimento incerto – per quanto fosse coraggioso, quest’episodio stava mettendo a dura prova i suoi nervi – posizionò il secondo specchio dietro la sua testa così che la parta invisibile agli occhi, potesse riflettersi nel primo.

E per quanto coraggio avesse, per quante Creature Oscure avesse affrontato, Raptor non poté fare a meno di sussultare ed inorridire alla vista di quella… cosa... che aveva preso forma dalla sua nuca. Era senza fiato, sconvolto: non riusciva a capire cosa fosse, come fosse possibile che… un volto… un volto umano fosse stampato sulla sua testa.

E poi il volto parlò, con quella stessa voce che lo aveva chiamato nel bosco, gli occhi si spalancarono ed un brivido freddo percorse l’uomo quando i due sguardi si incontrarono ed infine comprese a chi mai appartenessero quelle fattezze.

«Impossibile…» sussurrò ed avrebbe preferito, avrebbe addirittura pregato di essere diventato pazzo, piuttosto che accettare una simile realtà.

«Sai, Raptor… in questi anni ho imparato che sono molto poche le cose veramente impossibili…» sussurrò tetro il volto.

«Tu sei morto! Dieci anni fa!» lo interruppe il professore, sempre più sconvolto.

«Come dicevo, ho imparato molte cose in questi anni… e sai cosa, in particolare? Che tornare dall’Inferno, per me, non rientra nella categoria delle cose impossibili» continuò quello con voce che – se chi l’ascoltava non ne avesse conosciuto il proprietario – si sarebbe potuta dire saggia e venerabile.

Ma Raptor lo conosceva, come del resto tutto il mondo magico. Quell’uomo aveva scritto le ore più buie della magia, ucciso e distrutto senza pietà, seminato panico e terrore… ed ora era letteralmente nella sua testa.

«Si raccontano storie davvero belle sul tuo conto, professor Raptor: la tua bravura e il tuo coraggio sono rinomati… Perché, dunque, non aiutare me a tornare?» e quelle parole non avevano proprio nulla della richiesta che avevano espresso.

Erano un ordine.

Raptor era inorridito da quella richiesta. Davanti a sé aveva il Mago Oscuro più potente di tutti i tempi, il male in persona. No, non avrebbe mai accettato una richiesta simile, non lui che aveva dedicato tanto tempo alla sconfitta delle Creature Oscure, lui che aveva sempre innalzato il bene… Avrebbe rifiutato… sì, lo avrebbe fatto per tenere fede ai suoi principi, a tutto ciò in cui aveva sempre creduto… Eppure, più si convinceva di quello che voleva – doveva – fare, più ogni sforzo per farlo sembrava inutile. Perché, si accorse, dentro di lui c’era anche il bruciante, nascosto e forte desiderio di aiutarlo… Sì… sarebbe potuta anche andare diversamente… Nel tempo in cui aveva fatto vedere al mondo la sua potenza, era risaputo che chi prometteva fedeltà a Lord Voldemort aveva privilegi e protezione: per una volta non sarebbe più stato il Raptor che, nonostante combattuto contro ogni tipo di mostro, veniva sempre squadrato dall’alto al basso con fare dubbioso, come se le sue imprese fossero semplici favole, solo perché il suo non era l’aspetto alto e ben piantato di chi avrebbe avuto la forza di sconfiggere le Creature Oscure. Forse, sotto il comando del Signore Oscuro, la gente lo avrebbe rispettato di più… sarebbero stati intimoriti dalla sua presenza… il suo nome sarebbe stato pronunciato con il dovuto peso. 

Eppure questo avrebbe significato rinunciare da ogni principio, a tutto ciò in cui fin’ora aveva creduto. Passare dalla parte del male, aiutarlo a sconfiggere il bene … no… poteva mai fare una cosa simile, solo per il proprio profitto? Senza pensare alle conseguenze di quella scelta, senza riflettere sul dolore e sulle morti che la rinascita del Lord avrebbero significato?

Bene o male…? Era una scelta troppo grossa, troppo significativa e dannatamente semplice da fare. Bastava una parola a cambiare le sorti di tutta la magia…

«Credi davvero che tutto si basi sulla scelta fra bene e male? Che il punto essenziale della tua decisione sia scegliere quali delle due parti servire?» chiese il Signore Oscuro, severo e diretto – le indecisioni di quello sciocco lo stavano spazientendo «Osserva la storia, Raptor: credi forse che sia stata scritta secondo il bene o il male? Questi due fattori diventano nulla rispetto al potere! Credi che il mio nome sarebbe stato ricordato di meno se mi fossi messo al servizio di quello che chiamate bene? No, Raptor, niente affatto! Le mie azioni, il mio nome sarebbero stati ugualmente noti sia che mi fossi dedicato al bene, sia che mi fossi dedicato al male. Ciò che rimane non è altro che il ricordo che potere che ho avuto. La storia dimentica chi non ha avuto potere, per quante opere buone – o malvagie – abbia fatto. Ma non potrà mai dimenticare coloro che, invece, lo possiedono e ne fanno uso. Bene e male non esistono. Esistono soltanto il potere e coloro che sono troppo deboli per ricercarlo. Ora, la vera domanda su cui concentrarsi, quella da cui dipenda davvero la tua scelta è questa: sei disposto a ricercare ed usare il potere? O sei troppo debole ed io ho commesso un errore a venire da te?»

Le parole erano risuonate nella testa del professore con una nitidezza ed una forza che non credeva possibile, quasi fosse stato lui a pensarle. All’inizio non aveva compreso cosa Voldemort gli volesse spiegare con quel discorso… poi, però, tutto era stato improvvisamente chiaro e con orrore si era reso conto di quanto fossero veritiere quelle parole. Era il potere a rimanere impresso nella memoria delle persone, solo quello: la parte da cui stare era un dato secondario, senza tanto valore.

Ma una voce sottile – il buonsenso o forse un anticipato rimorso per ciò che avrebbe causato quella scelta – ancora continuava a protestare contro quell’improvvisa presa di coscienza. No, lui era buono e come tale doveva agire.

«Sopprimila!» gli ordinò Voldemort «Schiacciala come l’insetto che eri prima di incontrarmi, dalle la stessa importanza che ti hanno dato tutti quelli che hai incontrato!»

E Raptor fece quanto gli era stato ordinato: zittì quella misera voce insieme alla sua coscienza e a tutti i dubbi. Aveva preso la sua decisione: non sarebbe tornato indietro, mai più.

«Ditemi come posso servirvi, mio Signore» acconsentì abbassando la testa sotto lo sguardo tanto simile a quello di un serpente di Lord Voldemort.

La risata di vittoria del Signore Oscuro, al sentire quelle parole, risuonò nella testa del professore quasi fosse stato lui steso ad emetterla. Sentiva il potere del Lord dentro di lui: quella crudeltà, quella malvagità che avevano avuto tanta fama, ora poteva accarezzarle e in un certo senso erano quasi sue. Se ne sentiva invaso e più cresceva quella sensazione, più lui voleva che crescesse, pervaso da quello che è il più innato  e il più pericoloso dei desideri umani: la sete di potere.

 

Dopo quell’incontro e quel patto, il primo settembre era giunto con una rapidità assurda e prima che potesse veramente rendersene conto, Raptor aveva varcato la soglia di Hogwarts con più anni e più segreti rispetto all’ultima volta. Il dolore che provava quel giorno era ancora molto ma, se si poteva trovare un lato positivo nella punizione che gli era stata inflitta dal Signore Oscuro, era che quel suo stato sofferente lo aiutava a vestire meglio il suo ruolo di professore innocuo e pauroso, insospettabile. La rapina alla Gringott del giorno precedente era fallita. La pietra filosofale, custodita in una delle camere di sicurezza della banca magica, era già stata portata via e per quanto Raptor non avesse commesso errori nello scassinarla, Voldemort non amava perdere e per lui quell’inconveniente era solo colpa della lentezza del professore.

«Se ci fossimo mossi qualche giorno fa» lo aveva accusato, impietoso «Senza attendere oltre, adesso la pietra sarebbe già nelle mie mani! Ora dovremmo cercarla ad Hogwarts, sotto lo sguardo vigile di quel Mezzosangue di Silente!» e per quanto Raptor avesse chiesto perdono, non gli aveva risparmiato la punizione, il dolore che meritava per quel fallimento.

«Ah, professor Raptor!» lo salutò il preside, strappando l’uomo dai suoi pensieri.

«B-buonasera, p-p-preside» balbettò l’insegnate, ben calato nel suo ruolo «G-gli stu-studenti s-s-sono già a-arrivati?» chiese poi.

«Sì, proprio in questo momento. Venga, dobbiamo essere nella Sala Grande, quando comincerà la Cerimonia dello Smistamento» rispose Silente avviandosi con lui lungo il corridoio.

Quando si fu seduto al proprio posto, vide, dal fondo della sala, entrare tutti i piccoli studenti del primo anno. Facevano quasi tenerezza, nei loro mantelli, con gli sguardi che saettavano curiosi ed intimoriti da tutte le parti, attenti alla voce del Cappello Parlante, intento, come ogni anno da sempre, a recitare la sua lunga filastrocca. Poi uno ad uno si sedettero su uno sgabello, in attesa che quel vecchio cappello consunto decidesse il loro destino.

Raptor sentì chiaramente un brivido di eccitazione provenire dal suo interno, quando un ragazzino con gli occhiali e i capelli scuri e scompigliati fu chiamato dalla venerabile voce, pronta a leggere nella sua mente. Il professore si fece immediatamente attento, come se dalla scelta dipendesse la sua stessa vita… e in un certo senso era realmente così.

Quando il cappello pronunciò a gran voce «GRIFONDORO», Raptor distinse dentro di sé una certa rabbia, mescolata ad un senso di sfida appena riaperta. Quel ragazzino, Harry Potter, era la causa del fallimento di Lord Voldemort, della sua momentanea fine e per quanto vederlo a Serpeverde avrebbe reso le cose più facili, ritrovarselo a Grifondoro era come riaprire quel confronto che si era concluso dieci anni prima con la sua momentanea dipartita.

So che lo troveremo sulla nostra strada pensò il Lord nella testa del professore, ma questo non potrà farmi altro che piacere…

 

Lo sguardo vitreo del professor Raptor ora fissa il soffitto di quella sala, in una lenta e dolorosa agonia. Si dice che in punto di morte ti passi davanti tutta la vita, come una pellicola velocizzata. In quel momento, Quirinus ha appena rivisto la scelta più importante e l’errore più grande della sua vita, come un doloroso susseguirsi di diapositive di cui già si conosce il contenuto e non si può far nulla per cambiarle.

Silente è appena andato via, il volto tirato e tra le braccia quel ragazzino tanto piccolo eppure con una forza terribile. La pelle che è stata a contatto con le sue mani da bambino brucia terribilmente, come se l’avesse bagnata con dell’acido. Come sia possibile, lui non riesce a spiegarselo e forse, in quel momento e in quella situazione, neanche gli importa più di tanto.

Anche il Signore Oscuro è andato via, ha abbandonato il suo corpo appena si è reso conto del destino di morte a cui stava andando incontro e che ormai non avrebbe potuto più far nulla per riuscire nel suo intento. Raptor non l’ha supplicato di restare, non gli ha chiesto di guarirlo o di portarlo con lui: è stanco di supplicare un perdono ed una clemenza che non vuole e forse non merita.

Ora è solo, consapevole di quanto la morte si stia avvicinando e di come qualunque sforzo per allontanarla sia inutile. E, in fondo, è stanco di scappare e sa che accetterà la sua fredda morsa senza opporre alcuna resistenza: è stato lui a scegliere quel destino e se ancora ha un briciolo di amor proprio in quel cuore raggrinzito dal male, accetterà la morte a testa alta, tenendo fede alla sua scelta fino alla fine.

Ironico come, tra i tanti principi e scelte che ha fatto durante la vita, stia rispettando in pieno l’unica che in realtà li tradisce tutti. Se non fosse così sfinito, riderebbe del lato patetico di quella terribile situazione.

E prima di chiudere gli occhi, prima di lasciare che l’ultimo respiro abbandoni il suo petto, Raptor ha l’impressione di sentire una voce, sottile, quasi un sussurro. La stessa voce che gli chiedeva di riflettere poco prima che prendesse la decisione di aiutare Voldemort, la stessa che il Lord gli aveva ordinato di zittire. All’improvviso si rese conto che non era il buonsenso a parlare, né il rimorso…

Quella voce era semplicemente se stesso, quel poco di bene che ancora era attaccato alla sua anima nera e che, davanti alla morte, aveva deciso di non lasciarlo solo.

Alla fine, quando baciò il suo volto e abbracciò le sue membra, Raptor capì che lui l’aveva già vista, la morte che ora lo stava portando via.

Sì, la conosceva… dal giorno in cui aveva accettato la proposta di Voldemort, dal momento in cui aveva visto il suo sguardo riflesso nello specchio da muro.

Perché quelli del Signore Oscuro erano i suoi occhi, gli occhi della morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_______________________

 

Ehilà! Eccomi con una nuova shot! *-*

Stavolta non mi era neanche passata per la mente l’idea di poter fare un buon piazzamento… e invece… 1° posto?!

Ancora non me ne capacito! Mi pare assurdo! Anche perché essendomi capitato un personaggio come Raptor… mi sono sentita davvero persa! Stavo addirittura per decidere di ritirarmi… quando puf! è arrivata l’idea! Ci tengo solo a precisare che se Raptor vi è sembrato deciso, forte, sicuro… insomma tutto l’opposto di quello del primo anno scolastico, questo non è un OOC, perché bisogna ricordare che la debolezza ostentata dal professore non era altro che una finzione.

Ok. So che non può fregarvene molto di ‘sto sproloquio quindi taglio corto ^^’’’

Innanzitutto, ringrazio Only_Me per aver indetto il contest… Davvero, grazie!

Poi voglio fare i complimenti a tutti gli altri partecipanti: sono stata davvero felice di aver gareggiato con voi!

Infine, eccovi il giudizio…

 

Originalità: 10/10; 
Grammatica: 9.8/10; 
Forma: 9.8/10; 
Caratterizzazione personaggi: 10/10; 
Attinenza al tema: 10/10; 
Gradimento personale: 5/5; 
Totale: 54.6/55. 

Magnifica. 
Questa è l'unica parola che mi viene in mente, al momento. È tanto vicina all'essere perfetta che fa quasi impressione. Quelle minime penalizzazioni nella grammatica e nella forma sono dovute a due errorini a metà della terza pagina. Mannaggia a loro! Non mi sarebbe dispiaciuto darti il punteggio pieno. Quando ho inserito quel personaggio nella lista, pensavo che nessuno l'avrebbe preso e utilizzato; è un personaggio particolare, ammettiamolo, e ci vuole una buona dose di masochismo per poter scrivere su di lui. Masochismo e fantasia. E tu, a quanto pare, li hai entrambi. Cos'altro posso dire? L'attinenza è ottima, sia per quanto riguarda il titolo che per il personaggio. La caratterizzazione è quasi inquietante. Originalità? Voto pieno, e senza alcun ripensamento! Quante storie possono avere lui come protagonista? Complimenti!

 

Premio [Best fic]: {Verrà la morte e avrà i tuoi occhi} di Alchimista

 

 

Ehm… credo di aver detto tutto, no? Ringrazio tutti coloro che leggeranno ed in particolare quelli che recensiranno, preferiranno o aggiungeranno la shot a quelle da ricordare.

A presto. Un bacio.

 

Alchimista  ~ 

 

 

 

   
 
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