Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?
Eravamo all’Everst Bar,
all’angolo della Great Street, dove si trova il mio hotel. Ai tempi ero solo
una praticante in sala e avevo un orario decente. Ora al mattino non riesco
neanche a vederti.
Sono in macchina, resto
fuori a guardare dalla vetrina quello che otto anni fa era il tuo tavolo. Un
ragazzo giovane, con il suo giornale, continua a fissare una ragazza immersa
nella lettura di un libro. Da qui vedo delle illustrazioni, deve essere un
libro sulla pittura.
Mi sembra di rivedere noi
due. Che figura facesti quella volta!
Ti avvicinasti a me e mi
chiedesti l’ora, io notai un orologio al tuo polso e sorrisi mentre te lo
indicavo.
“Credo che sia la stessa
che indica il suo” ti risposi. Tu ti scusasti e ti allontanasti, ma la mattina
dopo ci provasti ancora. Non potrò mai dimenticare la tua sfacciataggine. Ti
sedesti di fronte a me e mi guardasti dritto negli occhi. “D’accordo, ieri ho
usato una scusa patetica, ma oggi non me ne andrò finchè non accetterai di
uscire con me!”
Pensai che fossi un
presuntuoso ma ammirai la tua determinazione e accettai. Per lasciarti in
sospeso e con la voglia di vedermi, la mattina seguente non mi presentai al
bar, cosa che tu mi facesti notare quella sera. “Ho avuto un imprevisto!” ti
mentii. In realtà ero eccitata all’idea di vederti, tanto che al lavoro avevo
un ‘irritante’ sorriso a trentadue denti.
Nella scena che sto
guardando è, invece, la ragazza ad avvicinarsi a lui. Sorridono entrambi. Chissà
da quanto tempo andavano avanti a guardarsi in silenzio. Fosse lo stesso
nostro.
Squilla il telefono, è un
tuo messaggio: << Stasera ti aspetto al parco, ci vediamo alle otto. Un
bacio >>
Chissà cosa ti sei messo
in testa questa volta. Ogni anno mi stupisci sempre di più. Ogni anno è
l’anniversario ‘ più importante ’ della nostra vita, per te.
Rimetto in moto, svolto
l’angolo e dopo circa dieci minuti sono a casa. Mi aspetto un “Ciao mamma” ma
trovo il silenzio, poi noto un biglietto sul tavolo: << Richard è da
Josh, dorme da lui stanotte. >>
Mi dirigo in camera e
trovo un abito lungo disteso sul letto, un paio di scarpe abbinate e una
scatola aperta. Dentro c’è una collana di Swaroski. Hai fatto le cose in grande
stavolta!
Sono le sei, inizio a spogliarmi,
mi faccio una doccia, mando via lo stress del lavoro. Sono Caposala ora, ma
vagare per il ristorante dell’ hotel a controllare che tutto sia perfetto mi
distrugge ancora di più che fare la cameriera.
Perdo la cognizione del
tempo, mi preparo in tutta fretta, si fanno le sette e mezza e io ancora non
sono vestita. Arriva una telefonata.
“Pronto?” un’aria gelida
riempie la stanza. Sento come delle lame che i trafiggono il cuore. Mi infilo
qualcosa, la prima che mi capita a tiro e corro verso la macchina. Parto in
quarta per raggiungerti. Supero il limite di parecchio ma non m’importa, devo
arrivare da te al più presto.
Svolto per l’ospedale, la
mia destinazione. Lascio la macchina nel bel mezzo della via, scendo e corro
alle emergenze. Alla reception c’è un’infermiera giovane che sta parlando al
telefono. Disperata le chiedo dove sei, come stai, qualsiasi cosa.
“Un momento signora” mi
risponde. Io le strappo di mano il telefono.
“Non ho ‘ un momento ’!
Mio marito può morire in un dannatissimo momento!” grido, così che un dottore
si avvicina.
“Signora, si calmi, dica
pure a me” gli spiego tutto, lui mi guarda e mi fa cenno di sedermi “Signora,
mi occupo io di suo marito” comincia a dirmi “Sarò sincero, è in condizioni
molto gravi. L’auto lo ha investito in pieno, braccia e gambe, per non parlare
del busto, sono in pessime condizioni.”
Sono confusa, non riesco
più a seguirlo. Ho paura, troppa paura di perderti.
“Mi sta dicendo che non ce
la farà?!” grido io. Sono furibonda. Non puoi lasciarmi così, non puoi
lasciarmi proprio oggi!
“Ha la possibilità di
salutarlo. Venga, l’accompagno…”
Mi porta da te, quasi non
ti riconosco. Sei fasciato quasi completamente e una macchina segna il tuo
battito cardiaco in diminuzione. Ti accorgi di me.
“Non hai messo il vestito”
mi dici. Scoppio a piangere e mi avvicino. Ti stringo forte la mano.
“Non piangere, ti prego”
fatichi a dire. Mi fissi. Conosco quello sguardo. E’ il solito sguardo che mi
fai quando vuoi un bacio. Ti accontento.
“Pensa tu a Richard…al suo
futuro…ti amo tesoro…ti amo Lena…”
“Ethan! Ethan ti prego non
mi lasciare! Ethan, ti amo, ti prego non mi lasciare!”
La tua mano allenta la
presa, il monitor ora mostra una linea retta ed emette un suono perenne.
Piango, stringo forte la
tua mano, ti accarezzo i capelli. Le lacrime non si fermano.
Sul comodino della stanza
noto una scatola, dentro trovo due anelli, due fedi simili alle nostre. Nella
montatura leggo una frase: << Noi due per sempre, come la prima volta. Ti
amo >> scoppio in un pianto ancora più forte e profondo. Ti metto la
fede, io tengo la mia.
Per sempre, come la prima
volta. Ripenso ancora al nostro primo appuntamento.
Quella sera, in quel
parco, guardammo le stelle, poi ti voltasti e baciasti all’improvviso.
“Ti amo Lena White. Ti amo
dal primo giorno.”
FINE