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Autore: Kat Chan    04/10/2010    2 recensioni
[AGGIORNAMENTO del 05/07/2011 circa lo stato della storia, nel profilo.]
L x Misa. Un momento nel tempo. Un incontro avvenuto per caso. Il fato capovolto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Misa Amane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Rewrite




Theme 27: Overflow ~ Straripamento

Al quartier generale della squadra investigativa giapponese, la prima notte di sorveglianza della casa di Amane Misa non mostrò altro che una minuta modella che mangiava insalata e beveva tè per cena, amava canticchiare a bocca chiusa fra sé e sé di tanto in tanto, e andava diligentemente a letto alle dieci e mezza.

Non mostrò l’imponente shinigami bianca che la seguiva costantemente, spiegandole cos’era accaduto nel suo appartamento durante l’appuntamento strategico con Ryuuzaki.

Non rilevò la voce di Rem che da ogni parola lasciava trasudare veleno e disgusto, tanto per il detective conosciuto come L quanto per i suoi scagnozzi che avevano fatto irruzione in casa come criminali qualunque.

Le raccontò di come avevano installato almeno due telecamere in ogni stanza, e persino una in bagno. Misa trattenne a stento un brivido di repulsione, e non si sentì affatto sollevata quando Rem osservò che era stata messa vicino alla porta, e che la tendina della doccia l’avrebbe quasi certamente coperta durante le docce. Dopotutto la sua era solo un’ipotesi, e il resto che avrebbe fatto lì dentro sarebbe stato ampiamente visibile.

Riuscì comunque a non farsi prendere dal panico, concentrandosi piuttosto su quello che le veniva detto. La shinigami di solito lasciava le decisioni a Misa, ma vista la postura rigida che aveva assunto quando aveva nominato le telecamere, per questa volta avrebbe preso lei il controllo. Non le avrebbe permesso un solo attimo di paura per regalare così a L l’opportunità di incriminarla di qualcosa, perché era sicura che questo avrebbe fatto se avesse mai avuto il sospetto che la ragazza sapesse più di quanto non avesse già supposto lui. Non le importava quello che Misa pensava o provava per lui; per quanto la riguardava, il detective si era appena arrampicato sul piolo più alto della sua personale scaletta di antipatia, spartendo saldamente il posto con Yagami Light.

Le aveva quindi intimato con calma di seguire la sua normale routine, qualunque essa fosse. Di non abbandonare le sue abitudini, perché ormai L le conosceva almeno a grandi linee e si sarebbe accorto se qualcosa non quadrava. Non potendo più comunicare liberamente, le suggerì di rispondere alle domande semplici che avrebbe potuto porle canticchiando: note acute per indicare un ‘sì’, note gravi per i ‘no’.

Era un sistema semplice, benché un po’ frustrante, ma per il momento se lo fecero bastare.

Misa seguì le sue istruzioni alla lettera, come una bambina ubbidiente. Come se a una manciata di metri dalla sua testa non stesse succedendo nulla di orribile e perverso. E, solo per un po’ di tempo, scivolò in una strana zona grigia di dominato nervosismo. Ma quando si avvicinò l’ora di prepararsi per andare a letto, le divenne difficile respirare al mero pensiero di doversi spogliare. Fu solo grazie al tono tranquillizzante di Rem che non ebbe una crisi isterica. La shinigami aveva ragione; non poteva concedersi comportamenti strani. Avrebbe pensato in seguito a cosa fare. Finché era a casa (che ora somigliava più a una prigione), aveva una parte da recitare. E Misa-Misa era un’indubbia attrice naturale.

Quasi si sorprese della flemma con cui si mosse per la stanza e indossò il pigiama. Però sperava segretamente che chiunque la stesse guardando perdesse la vista nel prossimo futuro, anche se era Ryuuzaki. Anzi, rettificò, soprattutto se era Ryuuzaki. Almeno i suoi lacchè si stavano solo attenendo agli ordini.



Come c’era da aspettarsi, il sonno non sopraggiunse con facilità. Rimase sveglia per buona parte della notte, rannicchiata sotto le coperte ad aspettare con terrore la mattina, quando avrebbe dovuto fare cose che adesso richiedevano una mancanza di pudore che non aveva mai posseduto. Altre idol forse non avevano problemi a fare servizi fotografici in lingerie (e anche meno), ma sebbene lei di tanto in tanto ci scherzasse, il suo senso del gusto le impediva di andare oltre. E adesso doveva usare il bagno mentre una telecamera la spiava? Nessuno le garantiva che uno dei sottoposti di L non avrebbe venduto una registrazione al migliore offerente. Le star famose non precipitavano nella feccia dei tabloid per cose come questa?

A dispetto della sua riluttanza, la sveglia suonò all’ora esatta, e Misa si obbligò a fingersi ignara di tutto. Sperò che i pervertiti che la stavano guardando apprezzassero lo spettacolo di lei che faceva colazione, portava dentro il giornale (che comprava solo per gli articoli su Kira), e la sua mirabolante entrata nel bagno (in realtà molto più simile a un lento strascicare), che comprendeva innanzitutto l’apertura del getto d’acqua nel tentativo di appannare la telecamera. Non sapeva se fosse servito a qualcosa – L avrebbe mai potuto trascurare dettagli come le lenti che si offuscano in un bagno? – ma la fece sentire meglio.

Era ironico, ma ormai si sentiva al riparo solo quando usciva. Era una boccata d’aria fresca figurata e letterale. Non esitò a tirare fuori il telefono per informare Rem.

“Misa non è mai stata tanto arrabbiata in vita sua!” sibilò nel ricevitore, come se ci fosse davvero qualcuno dall’altra parte. “M-mi sento… Ryuuzaki-san è uno schifoso pervertito!”

Per una volta, la sua affermazione era priva del solito tono canzonatorio. Tremava veramente di rabbia. Rem ebbe bisogno di tutta la sua forza per non trascrivere seduta stante il nome di L sul quaderno. Perché, se da una parte l’avrebbe fatta sentire cento volte meglio, una volta che la furia di Misa si fosse dissipata (e si sarebbe dissipata, perché l’amore umano era strano e capace di perdonare questo e altro), sarebbe stata affranta dalla sua morte.

Con un sospiro a denti stretti, provò un’altra tattica. Dopotutto, il dio della morte poteva ancora rigirare la situazione a suo vantaggio. Era spudoratamente votata alla protezione di Misa fino all’amara fine; se lungo il tragitto le capitava di travolgere un paio di esseri umani di sesso maschile, beh, poco ci poteva fare.

“Sai, Misa,” iniziò con circospezione, “L deve aver piazzato le telecamere per via del tuo rapporto appena nato con Yagami Light.”

Lei si imbronciò. “E perché?”

“Pensaci, Misa. L’hai visto al campus con quel Yagami. Lui è L, e tu continui a ripetermi che è il detective più brillante del mondo. Di sicuro nutre, come minimo, dei sospetti su di lui. E se L sospetta di lui, non sarebbe normale pensare che lo abbia fatto pedinare quando possibile?”

Rem aveva omesso con cura un particolare: durante le varie volte che aveva seguito L, aveva ascoltato con molta attenzione tutte le sue conversazioni con la squadra investigativa. Yagami Light non era soltanto il primo sospettato della lista, era l’unico sospettato, per quanto riguardava L. Ma non c’era bisogno di aggiungere l’ennesimo fardello alle spalle della ragazza.

“Beh, sì. Ma Misa si è messa il travestimento tutte le volte che è uscita con Light!”

“E tu davvero credi che L non ti riconoscerebbe dopo tutto questo tempo?”

La bocca dell’idol si aprì per un secondo per protestare, prima di richiudersi in una smorfia. Sembrava un po’ abbattuta dalla scoperta. Non poteva biasimarla; Misa andava molto fiera del suo alter ego.

“Ma allora, se Ryuuzaki-san crede di poter usare Misa per arrivare a Light,” Arricciò il naso, disgustata. “perché mettere le telecamere in casa di Misa?”

“Come altro potrebbero riuscire a spiare tutti e due?”

“Ma io non ho mai…” Divenne di colpo rossa come un pomodoro. “Io non inviterei mai Light a casa mia da un giorno all’altro! Misa non è una di quelle ragazze lì!”

“L viene in continuazione.”

Lei dimenò un po’ le mani, agitata. “È diverso! Ryuuzaki-san è diverso. A volte Misa manco lo sa cos’è Ryuuzaki-san.” sospirò.

“Io so è esattamente cos’è. È una fonte di guai.”



Come il dio della morte apprese con un certo piacere, la rabbia di Misa nei confronti del detective non sfumò nemmeno dopo due settimane di sorveglianza ‘segreta’ ventiquattr’ore su ventiquattro. Quando era a casa, Misa era abitudinaria al punto di essere monotona, eccetto quando chiacchierava al telefono con la sorella. Mamori riusciva sempre ad animarla, e in quelle occasioni girava per casa parlando, ridacchiando e strepitando, a seconda del suo stato d’animo. Rem la ringraziava in silenzio per lo sprone emotivo che lei non sembrava capace di offrirle. Doveva essere un’altra di quelle cose umane – una cosa di famiglia – che lei semplicemente non avrebbe mai compreso.

L’unica cosa che Misa iniziò a fare, e che prima delle telecamere non era una priorità inderogabile, fu la scrupolosa pulizia dell’appartamento da cima a fondo. Spolverava, passava il mocio e l’aspirapolvere, e ripeteva il tutto se necessario. Non che pulire fosse un male, e almeno si teneva occupata, ma la shinigami era perplessa. Misa non era mai stata ossessionata dal desiderio che ogni cosa fosse immacolata.

La ragazza concentrò la sua furia nei confronti di Ryuuzaki nei servizi fotografici e in una pubblicità che girò, tramutandola con facilità in sorrisi leziosi e in ciglia allungate che sbattevano perfettamente a tempo. Dal punto di vista professionale, Misa era perfetta tanto da fare invidia. Era desiderata da ogni fotografo e casa discografica per i suoi ormai rinomati servizi e riprese impeccabili. Era impressionante come si accendesse e spegnesse come una lampadina. Per Rem era anche un po’ preoccupante.

Fu poco dopo un servizio particolarmente lungo ed estenuante che l’idol si ritrovò a fare una sosta nel piccolo parco lì vicino invece di chiamare un taxi per tornare a casa. Mancava ancora un po’ al tramonto, e più stava lontana dal suo appartamento meglio era. Il cielo era un infausto manto grigio, ma in un certo senso era grata della minaccia di pioggia. C’erano meno persone all’aperto e quindi non si era presa il disturbo di travestirsi. A questo punto le sembrava inutile.

Rem l’avrebbe probabilmente rimproverata, dicendole di andare a casa. Di rispettare i suoi orari per non destare sospetti. Ma Rem oggi doveva controllare Ryuuzaki (o così aveva detto), e Misa non vedeva come una pausa al parco da sola sarebbe parso strambo o pericoloso. Cos’era il peggio che poteva fare lì dentro? Buttare le cartacce a terra?

I suoi occhi vagarono fino alla fontana di fronte a lei. Ci nuotavano un paio di oche, che si crogiolavano allegramente nell’umido pomeriggio estivo. Si sentiva un po’ in colpa a non avere nulla da dar loro da mangiare. Con sua madre aveva preso l’abitudine di portare sempre tutto il pane raffermo che avevano in casa ogni volta che andavano al parco. Passavano tanto di quel tempo a dar loro da mangiare che suo padre doveva trascinarle via quasi letteralmente per fare altro. L’avrebbe delusa. Tirò su col naso. Sua madre sarebbe stata delusa per molte ragioni.

Il peso della panchina su cui era seduta si spostò, e alzò di scatto la testa per lo stupore. Non ricordava di aver mai visto la persona che si era accomodata accanto a lei. Era un uomo anziano, benché in forma per la sua età, in giacca e cravatta. Con quei capelli e baffi grigi, l’ombrello da golf che usava per far riposare le mani e la piccola bombetta immacolata, somigliava molto a uno di quei maggiordomi che si vedevano in quei vecchi film hollywoodiani che aveva guardato per cercare di imparare l’inglese.

“Mi perdoni,” esordì, con una dizione talmente perfetta che di certo il giapponese non era la sua lingua madre. “Non le dispiace se mi siedo qui, vero?”

Lei scosse la testa, sforzandosi di sorridere. “No, certo che no!”

Lui ricambiò il sorriso. “Grazie.” E poi portò la sua attenzione alle oche.

Misa diede una rapida occhiata al nome che gli galleggiava sulla testa. Se la formalità e i lineamenti europei non tradivano il suo status di straniero, un’occhiata al suo nome strano scritto in lettere latine toglieva ogni dubbio. Era abbastanza sicura di riuscire a pronunciare il cognome, ma il nome di battesimo la lasciava completamente sconcertata. A volte le veniva da chiedersi se le persone si fermassero mai a riflettere prima di dare un nome ai propri figli. O forse ci riflettevano troppo.

Il signore infilò poi una mano in tasca, estraendo una busta di carta di cui srotolò la parte superiore. Per un attimo ci immerse una mano dentro, poi la tirò fuori e la scagliò in avanti, schiudendo le dita e permettendo ai crostini che aveva preso di sparpagliarsi a pochi metri di distanza.

Fu come un colpo di pistola.

Le oche della fontana, in una corsa disperata di piume e starnazzii, si erano riunite davanti a loro, e ciascuna faceva del suo meglio per mangiare il più possibile. Amabilmente, l’uomo offrì loro un’altra manciata, che loro si disputarono con la stessa avidità.

“Che creaturine ingorde,” commentò lui, con una risata sommessa.

Misa osservò i volatili con un sorriso malinconico. Era bello assistere a qualcosa che le provocasse sensazioni di premurosa nostalgia, smorzando l’ormai solita preoccupazione per il futuro.

Lui notò la sua espressione e le tese la busta. “Le piacerebbe unirsi a me?” chiese, gentilmente.

“Oh! Posso?” rispose con un rapido sguardo al sacchetto di croste di pane.

Le donò un sorriso amichevole. “Ma certo.”

Lei racimolò una piccola porzione e la lanciò, ridacchiando quando le oche si misero a sbattere le ali e a schiamazzare tutte eccitate.

“È un parco veramente squisito. Sarebbe stato bello se lo avessi trovato prima.”

“È in vacanza?”

“In un certo senso sì. Ma sostanzialmente sono qui per affari.”

Lei storse il naso. “Non sembra una vacanza molto divertente.”

Lui rise. “Suppongo di no.”

“A Misa piacerebbe andare in vacanza tra un po’. In un posto tanto lontano dal suo lavoro, dove la sua manager non potrà chiamarla e romperle le scatole.” confessò. Dubitava che questo straniero la conoscesse, perciò non sentiva il bisogno di essere prudente su quello che diceva a proposito del suo status di idol. “In un posto romantico.”

“Mi sembra una buona idea.”

“Sì, ma non succederà.”

“Perché no?”

La ragazza emise un sospiro melodrammatico. “Perché io ho un… fidanzato… veramente cretino.” La sua voce vacillò appena; voleva ancora riferirsi a Ryuuzaki in questi termini?

L’anziano signore inarcò un sopracciglio cespuglioso. “Cretino, dice?”

“Cretinissimo!” Accentuò la sua esclamazione annuendo ripetutamente. La sua frustrazione tornò, vendicativa, trovando finalmente uno sfogo tremendamente necessario in quello sfortunato estraneo. “Dice e fa continuamente idiozie! Si siede da schifo, mangia che non ne parliamo. Si mette gli stessi esatti vestiti ogni giorno, e non credo che si sia mai spazzolato i capelli in vita sua. Non dorme mai, fa commenti pervertiti. Deve sempre avere ragione lui, a qualunque costo. Ha sempre tanto lavoro da fare tutto il tempo. E intendo proprio tutto il tempo! Penso che non ci sia un singolo momento della giornata in cui non lavori, neanche quando è con me. Insomma, siamo usciti insieme soltanto una volta! E dopo l’appuntamento, lui…” Qui rallentò un po’, presentendo che la conversazione avrebbe preso una piega imbarazzante se avesse detto che Ryuuzaki le aveva installato delle telecamere in casa. “… lui non mi ha più chiamato. Sono passate due settimane, e lui non mi ha chiamato neanche una volta.”

“… Oh.”

Continuò, tornando a farneticare a vele spiegate: “Che razza di fidanzato si comporta così? Un fidanzato cretino! Un fidanzato molto, molto cretino! Misa è stata molto buona con lui. Molto devota. Ha fatto tanto per lui. E avrebbe potuto uscire con ragazzi di gran lunga più belli. Ragazzi che l’avrebbero portata in centinaia di ristoranti di lusso e le avrebbero comprato svariati regalini costosi. E che non l’avrebbero mai svegliata nel cuore della notte per parlare solo perché si annoiavano!
“Ma Misa è rimasta con Ryuuzaki-san perché lui era quello che le piaceva di più. Perché era quello che la rendeva più felice di tutti. E Misa vorrebbe soltanto… Io vorrei soltanto…” La sua voce s’incrinò.

Voleva tante cose. Voleva che Light non finisse mai in prigione, e restasse il suo eroe sfavillante per sempre. Voleva che Ryuuzaki non fosse L. Voleva che sua sorella fosse lì in quel preciso istante per poterla abbracciare e non doversi sentire tanto stupida perché piangeva di fronte a uno sconosciuto. Ma soprattutto, voleva…

“Vorrei solo che lui si fidasse di me,” mormorò, asciugandosi furiosamente il viso improvvisamente bagnato. “Perché non si fida di me? Perché? Io ci tengo così tanto, e-”

Sobbalzò leggermente quando sentì del cotone posarsi sul suo viso, aprendo tremolante gli occhi.

Sbatté le palpebre un paio di volte per schiarirsi gli occhi velati, e scoprì sbigottita che l’uomo anziano le stava tamponando le guance con un fazzoletto dall’aspetto delicato.

“Su, su,” ammonì con un vago cipiglio. “Le belle signorine non dovrebbero mai avere un motivo per piangere.”

Lei abbassò gli occhi, mortificata. “Deve scusarmi. Non avrei dovuto dire tutte quelle cose.”

“Non c’è alcun problema,” le assicurò, porgendole il fazzoletto. “Prenda. Si asciughi il viso.”

Misa accettò la proposta, pulendosi la faccia. “Grazie.”

“A volte è bello lasciarsi andare, hm? È bene farlo, se ci pensa un attimo. Se si trattiene dentro quello che si prova per troppo tempo, o si esplode o ci si dimentica completamente cosa sono i sentimenti. Pertanto,” disse, dandole un buffetto sulla testa, “non si preoccupi di nulla.”

Lei sorrise. Gli piaceva quest’uomo con i modi da nonno. Più persone avrebbero dovuto essere gentili quanto lui.

Una goccia d’acqua le cadde sulla guancia, e se la pulì, corrugando la fronte. Non credeva di star ancora piangendo. Ma poi un’altra goccia la sfiorò. E un’altra, sulla fronte, e così via fino a quando non le fu chiaro che a piangere era il cielo, e non lei.

“Oh, no!” Balzò in piedi, spaventando le oche sparse con il movimento repentino. Non sarebbe mai riuscita ad arrivare alla stazione senza inzupparsi tutta.

Anche il signore si alzò, aprendo l’ombrello con la tranquillità di un esperto, tenendolo su di loro. “Eccoci qui. Così va meglio.”

“La ringrazio veramente tanto, ma Misa ora deve correre a prendere il treno.”

“Davvero? Beh, allora dovrebbe prendere il mio ombrello.” asserì con un sorriso.

Lei sgranò gli occhi e arrossì appena, agitando le braccia di fronte a sé come una forsennata. “Non potrei mai! Lei si bagnerebbe da capo a piedi!”

“Mi è capitato di peggio, glielo assicuro.” C’era una scintilla divertita nei suoi occhi.

Lei scosse il capo. “No, davvero. È colpa mia se non mi sono portata l’ombrello.”

“Beh, se proprio insiste, allora insisto io ad accompagnarla al suo treno.”

Lei sbatté le ciglia. “Eh?”

“Venga,” Le sorrise, prendendola a braccetto con grazia e guidandola con gentilezza. “Non deve far tardi.”

Era talmente esterrefatta dalle sue maniere genuinamente cavalleresche, che non riuscì a formulare un’argomentazione valida per fermarlo. A dire la verità, non se la sentiva tanto di camminare da sola fino alla stazione, all’imbrunire, soprattutto ora che Rem non c’era. Avere quell’anziano signore al suo fianco la faceva sentire protetta.

Quando arrivarono, il tabellone li avvertì che mancavano cinque minuti all’arrivo del treno di Misa. Si voltò verso di lui e gli mostrò un sorriso da mille watt, sincero come non ne faceva da settimane.

“Grazie. È stato molto dolce con Misa anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno.”

“È stato un piacere. Un gentiluomo non dovrebbe mai lasciare una signora sotto la pioggia.”

“Hmm.” Era pronta a scommettere che Ryuuzaki l’avrebbe fatto, se le circostanze l’avessero permesso.

“Hm, signorina,” iniziò un po’ esitante. “Posso darle un piccolo consiglio?”

Fece spallucce. “Certo.”

Lui accennò un sorriso, prima di parlare in tono pragmatico. “Mi perdoni se sono fuori luogo, ma questo suo… fidanzato, sì? Tiene davvero a lui?”

Venne colta alla sprovvista dalla domanda, e fu probabilmente per questo che rispose con tanta schiettezza. “Beh, sì. Misa ci tiene veramente tanto.”

Il signore si tamburellò il mento per un istante, in un modo che le ricordò proprio Ryuuzaki. “Se questo è il caso, non crede che ci sia un motivo?”

Misa piegò di lato la testa, confusa. “Scusi?”

“Vede, ho come l’impressione che se riesce a elencare tutti questi difetti, ma prova comunque un sentimento così forte, deve aver visto qualcosa in lui che compensa tutto il resto.”

Lei si corrucciò. Francamente, non sapeva neanche più perché i suoi sentimenti fossero questi. Ogni volta che credeva che Ryuuzaki stesse facendo qualcosa per affetto, usciva fuori l’amara verità pronta a ridere della sua stupidità. Stava cominciando a pensare che da parte sua non ci fosse nulla di vero nella loro relazione. Eppure non riusciva a non sperare di sbagliarsi, per quante volte venisse smentita.

“Certi uomini hanno un po’ più strati di altri,” gli bisbigliò lui, con fare cospiratorio. “Ma si aprono anche loro, prima o poi.”

“Misa non crede che lui si aprirà mai.” ammise solennemente.

Lui aggrottò tristemente la fronte. “Forse. Però,” Sollevò un dito, il sorriso rifiorito. “Ho l’ottimo presentimento che la chiamerà presto.”

Lei rise. “Magari.”

Il treno arrivò in quel momento, e lui la scortò fino alle porte.

“Ah! Prima che vada.” Con un gesto un po’ teatrale, l’uomo si tolse il cappello e lo mise sulla testa della ragazza. Le stava un po’ grande, e le scivolò oltre le code di cavallo, fermandosi appena sopra gli occhi. “Ecco.”

Istintivamente, lei si afferrò il cappello. “Ma-”

“Lo lasci lì, signorina,” disse con imperiosità paterna. “Se non vuole tornare a casa col mio ombrello, almeno si tenga il cappello che le riparerà un po’ la testa.”

Le sue labbra si aprirono in un ampio sorriso, lentamente. “Sa una cosa? Misa pensa che sarà una persona molto fortunata se il suo fidanzato diventerà dolce la metà di lei.”

Lui arrossì lievemente. “Personalmente, credo che il fortunato sia lui.”



Quella notte, la squadra investigativa giapponese guardò Amane Misa ripetere il rituale di pulizia di ogni angolo e anfratto del suo appartamento, sebbene con maggiore vivacità rispetto al solito. L’unica cosa apparentemente fuori posto era la bombetta che doveva essersi comprata nell’arco della giornata. Ma se alla maggior parte della squadra parve un particolare piuttosto incomprensibile, per L era la risposta a una domanda che aveva posto a Watari quando l’aveva visto in serata nel suo ufficio.

Fu anche l’ultima notte che a Watari venne assegnato il compito di pedinare Misa quando usciva dall’appartamento.
   
 
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