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Autore: May be    06/10/2010    2 recensioni
"Lui era un selvaggio, non poteva soffrire le catene.
Questo lo sapeva benissimo, eppure… Non era riuscito ad impedirgli di graffiarlo.
E le cicatrici bruciavano. Oh, se bruciavano.
"
Partecipante al "The One Hundred Prompt Project" indetto da BlackIceCristal.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A Nacchan.

 

Prompt 55: libertà.

L’Inuzuka suona sempre due volte.

 

Lui era un selvaggio, non poteva soffrire le catene.

Questo lo sapeva benissimo, eppure… Non era riuscito ad impedirgli di graffiarlo.

E le cicatrici bruciavano. Oh, se bruciavano.

 

 

Una sera come tante, un appartamento come tanti, una città come tante.

Non c’era nulla di speciale o insolito in quei pochi metri quadrati al terzo piano della palazzina con vista su quel piccolo fiume: era un semplicissimo appartamento di periferia, circondato da un po’ di campagna, qualche goccia d’acqua e un asino che, di prima mattina, svegliava il mondo col suo ragliare.

Ma dopo un po’ ci si faceva l’abitudine, e il normalissimo padrone di casa era una persona propensa ad adattarsi a tutto. Un abitudinario giovane uomo scagliato a malavoglia in una vita per i suoi gusti troppo frenetica: lui che non aveva bisogno di troppo tempo per pensare o capire si era abituato a fare le cose con calma, pacatamente. Non aveva bisogno di correre da nessuna parte.

Per questo trovava estremamente piacevole il poter vivere nel suo monolocale di periferia, lontano dall’azienda in cui era finito a lavorare quasi senza accorgersene, in compagnia del piccolo e tranquillo fiume, della silenziosa campagna, e pure di quell’asino che, tutto sommato, era anche sopportabile.

Shikamaru Nara alzò pigramente un braccio per prendere il telecomando e cambiare canale, stravaccato com’era sul divano rosso del salotto; era stata una giornata orribilmente faticosa, e poter buttare il proprio tempo nel modo a lui più congeniale era decisamente un toccasana, specialmente a livello psicologico.

Sospirò di disappunto quando il campanello suonò e la sua accidiosa quiete fu rotta da un altissimo: « Pizzaaaaa! »

Ecco, quella era l’unica pecca della consegna a domicilio: il doversi alzare per prelevare e pagare.

Si allungò nonostante tutto verso il portafoglio e si trascinò ciabattando fino alla porta, che aprì con uno sbadiglio.

Prese la sua pizza calda, controllò che la consegna fosse esatta; versò il conto al fattorino e fece per chiudere la porta, quando sentì un dubbioso: « Nara? »

Levò il capo sorpreso, per guardare in faccia il ragazzo delle consegne, e dopo un attimo di esitazione capì.

« Inuzuka? »

« Così pare. » L’altro ridacchiò, evidentemente a disagio: « E’ da tanto che non ci si vede. »

« Dai tempi del liceo, già. »

Shikamaru lo sentì biascicare un poco convinto: « Magari ci si becca in giro » e « rimpatriata », prima che, senza che se ne rendesse conto, si ritrovasse a fissare la vernice bianca della porta.

Si voltò con un’alzata di spalle, cancellando quella sensazione acida nello stomaco, e trascinò una sedia davanti al divano poggiandoci poi la pizza.

Dannati, non l’avevano tagliata.

Si alzò per cercare un coltello, quando il campanello suonò insistentemente, per la seconda volta nel giro di tre minuti.

Aprì la porta, esibendosi nella sua espressione più insofferente.

« Avete un servizio parecchio scadente, lo sai? »

« Per stasera ho finito il turno, offrimi la cena e raccontami dove ti ha portato la tua pagella da secchione, Nara! »

L’Inuzuka lo sorpassò con un ghigno, gettandosi sul divano ed afferrando il telecomando.

Shikamaru lo raggiunse, gettandosi a peso morto accanto all’ex compagno di scuola e porgendogli bruscamente il coltello: in ogni caso, quando aveva ordinato aveva espressamente richiesto che la pizza gli fosse portata già tagliata a fette.

 

Da quel giorno, tutti i giovedì il campanello al terzo piano della palazzina con vista sul fiume suonava più vivo che mai, e un qualcosa –un qualcuno interveniva a rompere la normalità di casa Nara.

Non è che avessero poi tanto parlato del passato, di quello che avevano fatto, di quello che erano stati.

Si erano rivolti poche domande da copione, giusto per venire a sapere senza veramente essere interessati della cosa che uno era un contabile e l’altro un tuttofare, dedito ai diversi lavoretti che gli venivano assegnati di settimana in settimana.

Non era una vita stabile e il posto di lavoro non era sempre sicuro, ma quello gli permetteva di avere qualche giorno libero, di divertirsi, di variare un po’. Sempre meglio che stare seduto dietro una pallosa scrivania, diceva.

Quando Kiba arrivava andava automaticamente a stravaccarsi sul suo lato di divano, facendo zapping e parlando del più e del meno.

E Shikamaru mangiucchiava la sua metà di pizza, ascoltando i discorsi rubati a un qualsiasi cliente in un fast food o i pettegolezzi di una donna delle pulizie annoiata e rispondendo di tanto in tanto, giusto per far sapere di essere ancora sveglio.

Osservava l’amico parlare a bocca piena e ridere per una battuta particolarmente stupida, e si rendeva conto che effettivamente si trattava di un cane randagio che presto si sarebbe stufato di quel nuovo ma troppo vecchio vicolo. Lo sapeva benissimo, ma se faceva finta di niente si riusciva a convincere che prima o poi ci avrebbe fatto l’abitudine: e allora alzava il volume della televisione per coprire i propri pensieri e tirava un cuscino di avvertimento ad un Kiba che tentava di rimediare una fetta di pizza in più.

E, a fine serata, lo osservava prendere le sue cose ed insistere per farsi accompagnare alla porta, dato che, a quanto diceva, il Nara sarebbe stato capacissimo di addormentarsi lì, con la televisione accesa e la porta aperta.

Allora lui sbuffava, si trascinava fino alla soglia e lo cacciava burbero; arrivava sbadigliando fino alla cucina e lì veniva fermato entro pochissimo tempo dal fragore del campanello.

Puntualmente, dopo esattamente tre minuti, l’Inuzuka ricompariva alla sua porta per accertarsi che l’altro non si fosse addormentato in piedi, per recuperare un qualcosa di dimenticato, per finire un discorso appena iniziato. Bastava il più futile dei motivi, ma Kiba dopo tre minuti esatti suonava di nuovo quel campanello.

Una sera qualsiasi, poi, giusto quando quelle visite si stavano adagiando nella routine, si era introdotta una variante: quando il campanello era suonato per la seconda volta, Shikamaru era già pronto a spalancare la porta, con un sorriso ironico sul volto e una battuta pronta ad uscire.

Come si aspettava, davanti a lui c’era Kiba.

Quello che non si aspettava era il venire letteralmente travolto dal ragazzo e trascinato a forza in camera da letto.

 

Andarono avanti così per settimane, per mesi, per secoli.

E in tutti quei giovedì Kiba non aveva mai smesso di fare una seconda apparizione dopo esattamente tre minuti che era uscito, per un motivo o per l’altro.

E poi era successo: così, senza che nessuno se lo aspettasse. Nemmeno l’Inuzuka lo aveva pianificato, Shikamaru ne era fermamente convinto.

Lui era arrivato con la pizza ovviamente da tagliare, avevano poltrito davanti al televisore ed erano finiti a fare sesso, secondo copione.

E alla fine era uscito, col solito sorriso e la solita allegria; Shikamaru aveva contato i minuti, fermo davanti alla porta.

Arrivato a quattro, aveva sospirato e se ne era andato a dormire.

Da quella sera, casa Nara sarebbe tornata alla sua abituale normalità.

 

 

Note:

Beh, credo che sarà più difficile scrivere la dedica che la storia. XD

Vediamo: esattamente lo scorso 6 ottobre, con lo stomaco che si scioglieva per l’ansia e gli occhi stanchi di fissare lo schermo in attesa di quel qualcosa, non mi sarei aspettata di trovarti. Davvero.

Non so se te l’ho mai detto, Nacchan. Ma quando, giorni prima, avevo visto il post con cui in cui dicevi di volerti iscrivere, mi era venuta paura proprio di te. Nel senso: ero su Efp da pochissimi mesi, e quello era il mio primo contest; leggendo quel brevissimo post, avevo colto serietà e sicurezza. Professionalità. Mi avevi assolutamente intimidita, tanto che avevo pensato di ritirarmi per evitare il confronto con gente che, di sicuro, doveva essere migliore di me.

Insomma, ero terrorizzata. XD

Alla fine, quel 6 ottobre, quando aspettando i risultati più in ansia che mai mi hai aggiunta su emmessenne, non ho nemmeno badato troppo alla cosa; non pensavo che si potesse fare amicizia via internet, mi sembrava una cosa inconcepibile.

Avremmo parlato un po’, smaltito il nervoso pre-risultati, e alla fine ci saremmo dimenticate di scriverci di nuovo.

E invece non è successo, Nacchan.

E’ passato un lunghissimo anno, e sei una delle migliori amiche che si possano avere, ne sono fermamente convinta. <3

Non vedo l’ora che arrivi il 30 ottobre, davvero.

Ti adoro. Grazie di tutto Nacchan. <3




The One Hundred Prompt Project
   
 
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