Come si fa a uccidere la paura, mi domando?
Come fai a sparare a uno spettro dritto nel cuore, tagliargli la sua testa spettrale, prenderlo per il suo spettrale collo?
Uffici dell'Unità di Analisi
Comportamentale. Quantico, Virginia.
Derek Morgan
notò immediatamente
che c'era qualcosa di strano quando entrò nell'open space.
Era
piuttosto presto, quindi non c'era quel fermento che era abituale in
quegli uffici, eppure nell'aria c'era una certa tensione e non ci
mise molto a capirne la causa. Nate Crowford sembrava stesse
aspettando qualcosa, la schiena muscolosa appoggiata alla parete e le
braccia strette rigidamente intorno al petto. Lo sguardo grave era
fisso sulla porta dell'ufficio di Hotch.
Rallentò il passo solo quando fu
abbastanza vicino alla scrivania di Reid, che sembrava allo stesso
modo calamitato dallo stesso punto in cui volgeva gli occhi lo
scorbutico agente federale.
“Che sta succedendo?” domandò,
ottenendo soltanto che Spencer sobbalzasse sulla propria sedia,
spaventato da quelle parole udite all'improvviso.
Morgan vide il suo giovane collega
sospirare pesantemente prima di voltarsi verso di lui con i grandi
occhi scuri carichi di ansia “La verità
è che non ne
ho la più pallida idea.”
Con un cenno del capo Reid indicò
l'ufficio di Hotchner “Alaska è là
dentro: ha detto
che doveva parlare con lui.”
“Di cosa?” domandò Derek,
stranito, mentre si appoggiava al bordo della scrivania.
La bocca di Spencer rimase aperta per
un po' prima di emettere effettivamente suono “Non lo so, non
me
l'ha voluto dire.”
“Nel senso che è
effettivamente riuscita a non dirti niente?” cercò
chiarificazioni l'uomo di colore, alzando un sopracciglio incerto:
Alaska non era certo un asso a tenere segreti.
Reid sospirò
“Nel senso che non ha parlato per tutto il viaggio fino a qui
pur
di non farsi sfuggire qualcosa.”
“Oh.- esalò Derek,
passandosi una mano sulla testa rasata-Questo è...piuttosto
strano, in effetti.”
Il giovane genio non potè che
annuire, dandogli ragione “Già. Sto decisamente
impazzendo.”
“Ma lei sta bene?- indagò di
nuovo Morgan- Voglio dire, la sua reazione a tutta questa situazione
non è decisamente normale.”
“Sai com'è fatta:
per lei il mondo è un parco giochi, non la casa degli
orrori.”
Spencer si strinse nelle spalle esili. Quello era di certo uno dei
motivi per cui amava la sua ragazza così tanto, eppure in
quel
caso non desiderava altro che aprisse gli occhi per capire la
gravità
della situazione in cui si trovava.
“M-mm.- annuì Derek, per poi
indicare l'agente poco distante con un cenno- E Crowford che ci fa
qua?”
La voce di Reid sembrava provenire
dall'oltretomba mentre rispondeva “Ha passato la notte a casa
mia.”
Morgan alzò le sopracciglia,
estremamente stupito “Cosa?!”
“Ha ben pensato di aggiungersi alla
scorta, Alaska l'ha visto e l'ha invitato a casa per non fargli
prendere freddo.” continuò a spiegare il giovane,
imbronciato.
“Ow. E com'è stato?” domandò
quindi Derek, aspettandosi il peggio.
Reid gli lanciò un'occhiata
eloquente.
“Ricevuto. Un disastro.”
“E' che...-la voce di Spencer era
salita di un'ottava, a causa del fastidio che provava- io quel tipo
lo detesto sul serio, più di quanto è
razionalmente
accettabile, e non capisco perchè!”
“Si chiama gelosia, ragazzino.”
spiegò Morgan, dandogli una pacca sulle spalle che lo fece
sbilanciare in avanti.
“E tu credi che non dovrei esserlo,
lo so.- lo anticipò Spencer- Ma ti sembra normale il
comportamento di Crowford?”
Derek gli rivolse un ghigno “Quel
tipo non è mai normale.”
Spencer prese un grosso respiro
e scosse la testa come per schiarirsi le idee prima di iniziare a
spiegare “Voglio dire: è sempre stato scontroso e
non
parlava mai con le persone più del necessario e poi ha
conosciuto Alaska e...beh, rimane sempre lo stesso, ma con lei parla,
scherza, sorride...Stamattina l'ho visto mentre gli regalava una
placchetta militare e sembrava addirittura...dolce!”
L'uomo annuì, soppesando le
parole dell'amico. Certo, non occorreva essere un profiler per
cogliere l'interesse che palesemente Crowford provava verso la
giovane antropologa, ma era anche vero che, essendo amico della
ragazza, poteva essere più che sicuro dei suoi sentimenti
verso Reid.
“Puoi fidarti ciecamente di
Quarantanove.” lo rassicurò, posandogli una mano
sulla
spalla.
Spencer gli rivolse un'occhiata “Non
è di Al che mi preoccupo, ma di Crowford.”
“Ti conviene rispolverare le lezioni
di corpo a corpo e quelle di tiro, allora.- scherzò Morgan,
sperando di alleggerire la situazione, prima di tornare serio- Quindi
ora aspettiamo che escano di là?”
Reid annuì “Quindi ora
aspettiamo.”
Alaska entrò
nell'ufficio di
Hotchner come una furia, stando ben attenta a chiudersi la porta alle
spalle. L'uomo alzò gli occhi dai fogli che stringeva fra le
mani e alzò un sopracciglio osservandola mentre posava sulla
sua scrivania un computer portatile e iniziava a camminare avanti e
indietro per tutta la lunghezza della stanza.
Quando si accorse che non sembrava
intenzionata di spiegare il perchè del proprio comportamento
decise di parlare.“Alaska. Va tutto bene?”
La giovane lo guardò, gli occhi
grandi e confusi, come se fosse stupita della sua presenza
lì.
“No.- disse, per correggersi qualche
secondo dopo- Forse. Non ne sono sicura.”
Hotch sospirò e mise da parte
ciò a cui stava lavorando “Posso
aiutarti?”
“Devo dirti una cosa.” sentenziò,
dopo aver preso una generosa boccata d'aria.
L'uomo le fece un
cenno con la mano, esortandola a continuare
“D'accordo.”
“E' che...” iniziò a parlare
di nuovo, interrompendosi quasi subito. Scosse la testa con veemenza
e tornò a camminare su e giù per la stanza,
cercando di
raccogliere le idee.
“Accidenti, non credevo che fosse
così difficile.” sbottò, senza smettere
di muoversi.
“Che cosa, Alaska?” chiese di nuovo
il profiler, preoccupato da quel comportamento.
“Insomma, quello
che devo dirti magari è una stupidata, forse un delirio da
stress se esiste qualcosa del genere. Esiste?-domandò
voltandosi verso di lui per una frazione di secondo, per poi tornare
ad eseguire quei movimenti veloci e ritmati senza aspettare la sua
risposta -Perchè se esiste probabilmente io ce
l'ho...Però
spero davvero che sia così. Che sia tutta una mia idea folle
e
basta, magari sto diventando paranoica. Nessuno me lo ha mai detto
prima, ma forse la situazione e tutto il resto...Sembro
paranoica?”
Alaska si fermò e guardò
Aaron con sguardo ansioso.
“Sembri molto agitata.- le rispose
l'uomo, indicandole la sedia di fronte alla propria scrivania-
Perchè
non ti siedi, fai un bel respiro e ti calmi, prima di dirmi
ciò
per cui sei qui?”
La ragazza si mordicchiò il
labbro inferiore, ma finì per fare esattamente quanto gli
era
stato detto. Torturandosi le mani che teneva strette in grembo, prese
un grosso respiro e iniziò a spiegare tutto quanto dal
principio.
“So che avevo detto che avrei
lasciato stare il caso che stavo trattando al momento dell'incidente
del veleno, ma non l'ho fatto.- rivelò- Non abbandono mai un
caso e non mi sembrava giusto e...”
Hotch la interruppe “Hai scoperto
qualcosa che potrebbe portare a una pista più
concreta?”
Alaska annuì debolmente “Non
so se hai avuto modo di vedere il cadavere scheletrizzato, sai,
quello avvelenato...In ogni caso, i resti presentavano una strana
caratteristica: all'altezza della schiena c'erano disegni
apparentemente astratti fatti di vernice rossa.”
“Sì, l'ho letto nella cartella
e ho visto le foto.” confermò, esortandola a
continuare.
“Non sono disegni astratti ma...- si
schiarì la gola, improvvisamente secca- insomma, io credo
che
abbiano un significato ben preciso.”
“Ovvero?”
Il profiler non staccò gli occhi
dal volto di Ross, stranamente serio e vagamente preoccupato, mentre
l'antropologa apriva il computer portatile e iniziava a muovere le
dita sulla tastiera.
“C'è un motivo per cui sono
venuta da te, Aaron, e non ho detto ancora niente a Spencer, Nate,
Dave o qualcun altro: voglio il tuo parere senza inzuccherinamenti
per farmi sembrare la cosa meno grave. Vorrei la verità pura
e
semplice, anche se quello che sento potrebbe non piacermi.”
Hotch annui, un po' preoccupato da quel
preambolo, mentre Alaska batteva le mani diverse volte sui tasti
facendo così apparire sullo schermo la schiena della vittima.
“Guarda.” disse voltando il monitor
per agevolare all'uomo la visuale.
I disegni svettavano sulla pelle
raggrinzita grazie al loro rosso vermiglio.
Nessuno dei due commentò e la
ragazza impostò dei nuovi comandi. Per prima cosa l'immagine
venne sostituita da una nuova foto, che ritraeva una schiena
decisamente più umana, deturpata qua e là da
delle
cicatrici più chiare della pelle stessa. Bastarono poche
altre
impostazioni e le due immagini si sovrapposero, rivelando
ciò
che aveva portato Alaska a rivolgersi al profiler: i segni rossi e le
cicatrici coincidevano alla perfezione.
“Chi è quella?” domandò
quindi Hotch.
La risposta della giovane risuonò
come una condanna “Sono io.”
La testa del profiler scattò
verso di lei e i suoi occhi scuri cercarono di indagare la reazione
di Ross alla sua stessa affermazione, ma lei teneva la testa bassa,
lo sguardo rivolto alle proprie mani.
“Sono io.- ripetè con un filo
di voce- Quello è il risultato di quello mi ha fatto l'uomo
che mi ha rapito da bambina.”
Dopo aver detto quella frase alzò
lentamente il viso per incontrare lo sguardo di Hotch e, per la prima
volta da quando era iniziata quell'intera situazione, negli occhi
chiari di Alaska potè leggere il panico crescere lentamente.
Quando Hotch
uscì dal suo
ufficio e, contrariamente a quanto si aspettava, Alaska non lo stava
seguendo, Spencer si alzò dalla propria scrivania e con
passo
svelto andò incontro al proprio capo.
“Dov'è Alaska?” domandò
con tono ansioso.
Lo sguardo di Aaron era serio, forse
più del solito “Alaska ha bisogno di stare un po'
da sola.”
Reid aggrottò la fronte confuso
e tentò di andare a raggiungere la propria ragazza, ma la
mano
forte di Hotch si posò sul suo braccio, trattenendolo.
“Reid- spiegò con tono calmo
ma determinato- lei ora deve riflettere su alcune cose e deve farlo
da sola. Inoltre, siamo arrivati ad una svolta nel caso ed ho bisogno
di tutta la squadra.”
Spencer strinse le labbra e lanciò
un'ultima occhiata al vetro dell'ufficio del superiore, scorgendo a
malapena la figura della giovane antropologa che svettava come
un'ombra in prossimità della scrivania, ma alla fine
annuì
e seguì l'uomo che aveva raggiunto Morgan, Prentiss e Rossi.
“Che cosa sta succedendo?” domandò
Emily.
Hotch aveva uno sguardo grave mentre
rispondeva “Alaska ha trovato una corrispondenza fra i segni
disegnati sulla schiena del cadavere scheletrizzato e le ferite che
gli sono state inferte durante la prigionia da bambina.”
La reazione dei profiler fu unanime,
nonostante dimostrassero lo shock per quella scoperta in modo
diverso.
Reid spalancò la bocca, mentre
gli tornavano alla mente le cicatrici sulla schiena di Alaska, di cui
lei si vergognava nonostante cercasse di non darlo a vedere. Morgan
incrociò le braccia muscolose al petto, stringendo i pugni
così forte che le nocche gli diventarono bianche. Emily si
lasciò sfuggire dalle labbra un sospiro, mentre abbassava il
capo e scuoteva la testa. Rossi rievocò nella propria mente
immagini di quel caso di numerosi anni prima, pensando che non era
certo di come Ross avrebbe potuto prendere tutto ciò.
La voce profonda di Crowford, della cui
presenza si erano dimenticati, li strappò immediatamente ai
loro pensieri “Credete che il tizio che cerchiamo fosse
coinvolto
nel caso di Ross?”
“Questo è impossibile.- sbottò
l'agente federale, avvicinandosi ai membri della squadra di analisi
comportamentale- Quel caso è stato chiuso, il colpevole
è
morto.”
“In effetti non c'è nulla di
certo riguardo quel caso.- spiegò David con tono mesto-
Foller
ha confessato gli omicidi e il rapimento?Sì. Teneva
prigioniere le bambine prima di ucciderle?Sì. Era
ossessionato
da ragazzina che gli ricordavano la sorellina prematuramente
scomparsa?Sì. La verità è che non
sappiamo molto
altro. Possiamo solo immaginare cosa facesse loro durante i giorni di
prigionia, ma non abbiamo certezze.”
“Non capisco.- disse Crowford, la
fronte aggrottata- Perchè non lo chiediamo direttamente a
Ross
cos'è successo, allora?”
“Perchè non se lo ricorda.-
continuò Rossi- Alaska soffre di PTSD o disturbo
post-traumatico da stress. Non ha memoria dei fatti di quei
giorni.”
Nate spalancò gli occhi grigi
“Intendi dire che non ricorda nulla?Tabula rasa?”
Reid annuì prima di cominciare a
spiegare.
“In effetti la stima generale è
che questo disturbo colpisca il 6,8% della popolazione che ha vissuto
un evento traumatico, ma dipende dalle variabili a cui esso
è
associato, ai fattori psicosociali e a...”
Crowford lo interruppe in modo brusco
“E Ross avrebbe questa roba?Non mi sembra affetta da nessuna
psico-cavolata, perlomeno niente di negativo.”
Prentiss sospirò “Il PTSD è
caratterizzato da una triade sintomatologica che prevede le
intrusioni, l'evitamento e l'hyperarousal. Quest'ultimo non
può
considerarsi attinente al nostro caso dato che prevede insonnia,
irritabilità, ansia e aggressività, ma gli altri
sintomi potrebbero riscontrarsi nel caso di Alaska.”
“E quali
sarebbero?” domandò l'uomo, incrociando le braccia
al petto.
“L' evitamento è la tendenza
inconscia ad evitare tutto ciò che ricorda l'esperienza
traumatica vissuta.- continuò a parlare Morgan al posto
della
collega- Alaska non ha paura del buio o degli spazi chiusi
però...”
“Dice di avere una strana fobia per
gli zoo.” concluse Nate, ricordandosi di quanto la ragazza
gli
aveva detto quando avevano toccato l'argomento.
“Esatto.- confermò l'uomo di
colore- Gli zoo sono indirettamente e simbolicamente attivatori di
ricordi del suo rapimento.”
Hotch prese la parola, continuando
nella spiegazione “E poi ci sono gli incubi, che fanno
rivivere
durante il sonno l'esperienza vissuta, spesso in maniera piuttosto
vivida. Alaska ha degli episodi di questo genere piuttosto
spesso.”
Crowford sospirò e si passò
con foga una mano fra i capelli rasati mentre rifletteva su quanto
aveva appena sentito “Quindi che si fa?Voglio dire,
è
evidente che le cose che non sappiamo sono molto più
rilevanti
di quelle che sappiamo già.”
“Ho
già parlato ad Alaska di qualcosa che potrebbe esserci
utile,
ma la decisione sta a lei.”
I profiler
lanciarono delle occhiate interrogative al proprio capo, mentre Nate
sembrava sempre più contrariato.
“E
fino allora ce ne staremo qui a girarci i pollici?”
sbottò
esasperato.
Morgan scosse la
testa “Noi lavoreremo su un nuovo profilo in base alle nuove
informazioni in nostro possesso.”
La squadra di
analisi comportamentale iniziò ad allontanarsi per
raggiungere
la sala conferenze dove avrebbero discusso meglio del caso, mentre
David indugiò, fermandosi per un ultimo scambio di parole
con
Crowford.
“Non importa quello quanto credi di
tenere ad Alaska, di certo non conosci la sua storia abbastanza per
esserle davvero d'aiuto.”
Nate lo seguì attentamente con
lo sguardo corrucciato, mentre si dirigeva verso la scrivania di Reid
e prendeva uno dei libri che il giovane genio teneva sempre vicino al
computer. Alcuni erano suoi.
“Capitolo cinque, pagina
novantasette.- disse Rossi, porgendogli un libro sulla cui copertina
si poteva leggere Menti Criminali - È
il capitolo di
Alaska. L'ho chiamata Daisy per la privacy e perchè era il
nome della sua bambola preferita.”
Mentre il profiler più anziano
si allontanava Crowford si rigirò il tomo fra le mani per
qualche secondo e poi, incerto, iniziò a sfogliarlo
finchè
non trovò la pagina che gli era stata indicata. Non era
sicuro
di voler sapere quanto vi era scritto, ma non aveva altra scelta.
Daisy era una bambina allegra, con una fervida immaginazione e un'intelligenza vivace. Non c'era niente che la rendesse diversa dal resto delle bambine della sua età, la sua vita era serena e tranquilla, esattamente come avrebbe dovuto essere. Tuttavia Daisy era minuta, con grandi occhi blu e un folto caschetto di capelli corvini e, se questo poteva risultare banale in circostanze normali, non lo era più da quando a Denver quello era diventato il target di un SI che avremmo poi identificato come Jason Foller.
Ci sono dei casi che, non appena riportati alla polizia, vengono subito considerati di rilevanza federale; la scomparsa di bambini è uno di questi. L'FBI, pertanto, stava già lavorando in Colorado da circa una settimana quando è stata chiamata in causa anche la mia unità.
Mentre camminavo dall'auto al luogo del ritrovamento cercavo di preparare me stesso a quanto avrei visto. Chiunque faccia questo lavoro lo fa. La verità, però, è che nessuno, nonostante gli anni di carriera che ha alle spalle o gli orrori che ha visto in precedenza, è mai pronto per vedere spezzata una vita, soprattutto se si tratta di quella di un bambino.
Il corpo di Abigail Raynols era stato abbandonato poco distante dalla strada statale che portava dal centro di Denver alla periferia. Il suo corpo di ragazzina era avvolto dagli stessi vestiti che indossava al momento della sua scomparsa, per quanto fossero mal ridotti dopo i giorni passati in prigionia, e la sua pelle pallida portava i segni delle torture. Il medico legale mi aveva rivelato che sul corpo di Abigail aveva potuto individuare segni di tagli, abrasioni e bruciature causate da corrente elettrica. Fortunatamente, se così si poteva dire in un caso del genere, non c'erano segni di aggressione sessuale.
Mentre osservavo quei occhi azzurri ormai vacui e privi di vita, raccolsi le idee riguardo a quel caso che, sapevo, si sarebbe rivelato problematico, e iniziai a redigere nella mia testa un primo profilo preliminare.
L'uomo che stavamo cercando era un assassino organizzato, intelligente, metodico nella pianificazione dei propri crimini. Le sue vittime erano accomunate da caratteristiche fisiche particolare, cosa che poteva suggerire che probabilmente nel suo passato esisteva una bambina fisicamente simile a loro e che continuava ad ossessionarlo a tal punto da ricreare la sua presenza. Le torture ripetute ci dicevano invece che il nostro SI era un sadico che provava piacere dalla sofferenza inferta alle proprie vittime: sui polsi di Abigail vi erano segni di legatura e ciò mi fece pensare che quello che cercava davvero l'uomo che cercavamo era l'avere un controllo totale sulle bambine che rapiva.
Stavamo tornando alla centrale di polizia, pronti a rendere noto questo profilo alle forze dell'ordine incaricate delle ricerche, quando arrivò una telefonata. In un quartiere non molto distante a quello dove abitava Abigail Raynolds, era appena scomparsa una bambina di otto anni.
Daisy stava giocando nel giardino antistante alla propria casa, intenta a disegnare coi gessetti colorati sopra il vialetto asfaltato ed era scomparsa in meno di cinque minuti, il tempo impiegato da sua madre per rispondere una telefonata all'interno dell'abitazione. Quando aveva fatto ritorno la bambina non c'era già più. Daisy aveva dei grandi occhi blu e un caschetto di capelli neri.
“Lurido
bastardo!” sbottò
Crowford, scagliando il libro dalla parte opposta della stanza
attirando su di sé numerosi sguardi confusi e spaventati.
Non poteva andare avanti a leggere
quella storia, di certo non sapendo che era Alaska quella che aveva
subito quegli orrori.
Per quanto gli riguardava, i profiler
potevano arrovellarsi il cervello quanto volevano, ma lui era un uomo
d'azione. Aveva finito di starsene seduto in un angolo, era pronto ad
agire. Se c'era qualcosa che aveva imparato nella vita era che non
era conveniente attirare un topo con una trappola, rischiando di non
prenderlo mai, sprecando invece tempo e fatica. Bisognava
incendiargli la tana e sarebbe uscito da solo. E Nate Crowford era
pronto a mettere a ferro e fuoco tutta Washington pur di trovare
l'uomo che aveva preso di mira Ross.
Uscì con passo svelto dal
quartier generale del BAU ed aveva negli occhi grigi lo sguardo
determinato di un uomo pronto a tutto pur di ottenere ciò
che
voleva.
Quando Alaska
uscì dall'ufficio
dell'agente Hotchner le porte dell'ascensore si stavano chiudendo,
pronte a portare via un furibondo Crowford.
Lei, tuttavia, non vi fece caso.
Camminava piano verso la sala
conferenze, come se le persone che stava per raggiungere non fossero
affatto un gruppo di amici di cui si fidava ciecamente.
Bussò piano alla porta di vetro
e, trattenendo un sospiro, entrò.
Il vociare che pochi istanti prima era
palesemente percepibile anche dall'esterno scemò
immediatamente e gli occhi dei profiler si puntarono sulla giovane
antropologa.
“Alaska.” sussurrò Reid, non
appena i suoi occhi scuri si posarono sul volto teso della ragazza.
Ross abbozzò un sorriso a tutti
i presenti prima di iniziare a parlare “Disturbo?”
“Assolutamente no.- assicurò
Emily con espressione dolce- Che cosa ti serve?”
“Veramente- cominciò a dire,
spostando lo sguardo verso Hotch- ho preso una decisione.”
Morgan alzò un sopracciglio.
Aaron non aveva ancora spiegato loro di cosa avessero parlato lui e
la giovane durante il loro colloquio privato ed era certo che era
arrivato il momento di saperlo “Riguardo cosa, a
proposito?”
Alaska si strinse nelle spalle
“Riguardo al cercare di capire che cos'è successo
davvero
quando sono stata rapita.”
Spencer spalancò gli occhi e,
istintivamente, si alzò dal proprio posto per affiancarsi
alla
propria ragazza.
“Come?” domandò di nuovo
Derek.
“Con l'ipnosi.- spiegò Hotch,
benchè fosse consapevole che era una tecnica sperimentale-
Se
si lasciasse ipnotizzare potremmo riuscire a ricavare direttamente da
te le informazioni che ci servono e scoprire chi è che vuole
farle del male.”
Gli occhi dei profiler si posarono di
nuovo su Alaska che si stava mordicchiando il labbro inferiore.
“Io...- la ragazza sospirò,
come se stesse combattendo un'intricata battaglia interiore, e poi
riprese a parlare, passandosi a disagio una mano sul braccio- Mi
dispiace, ci ho pensato, ma io preferirei di no.”
Non potevano biasimarla, ma
l'incertezza diede ad Hotch un punto d'appiglio “Alaska,
questa è
rimasta l'unica strada che ci resta da percorrere.”
“Non c'è un altro modo?”
chiese titubante.
“Abbiamo provato a cercare ogni
collegamento possibile.- continuò a spiegare l'uomo- Garcia
ha
smosso mari e monti per cercare una traccia lasciata dall'uomo che ti
perseguita, senza risultato. Lo stesso è da dirsi per
l'assoluta mancanza di tracce né di indizi di alcun tipo.
Onestamente, Alaska, il collegamento che hai trovato tu è
l'unica cosa che abbiamo in mano per ora quindi dobbiamo sapere che
cosa è successo quando sei stata rapita..”
Ross fece dondolare la testa, movimento
che fece ondeggiare i suoi lunghi capelli corvini
“Perchè?”
“Crediamo che l'uomo che ti ha rapito
non abbia agito da solo.” rispose Rossi, rammaricato come se
fosse
colpa sua.
“Quindi...il suo complice si sarebbe
messo sulle mie tracce?- domandò incerta, aggrottando la
fronte- Sono passati anni.”
“Può darsi che sia stato
arrestato per qualche motivo, che sia andato all'estero in attesa che
si calmassero le acque intorno alla vicenda...” si
ritrovò
ad elencare Reid.
“Quindi...”
“Quello che ci serve sapere è
nella tua mente.” concluse Hotch, lo sguardo grave.
Alaska sospirò ed annuì
“Non c'è altro modo, vero?”
“Vorrei che ce ne fosse.- le assicurò
il profiler- Mi dispiace.”
La ragazza parve riflettere
intensamente per diversi attimi e alla fine alzò lo sguardo,
stavolta più determinato, sul capo dell'unità
“D'accordo, allora.”
Spencer spalancò la bocca,
scioccato “Cosa!?No!”
“Reid, è l'unica soluzione.”
cercò di calmarlo Emily, preoccupata da quella reazione.
“No!Questa non è una
soluzione!- sbottò il ragazzo, furente- Questa
è...questa
è...”
Rossi agitò i palmi verso di lui
“Reid, calmati ti prego.”
“Tu non hai idea di cosa le stai
chiedendo di fare!” ringhiò Spencer, rivolto ad
Aaron.
L'uomo non si scompose “Questo è
l'unico modo che abbiamo...”
“C'è sempre un altro
modo.” ripetè cocciuto il giovane genio.
“Non fa niente, Spencer.- lo
rassicurò Alaska, posandogli una mano sul braccio- Lo voglio
fare.”
Reid si scostò di malo modo,
sconvolto “Non è vero. Dici così solo
perchè
vuoi essere d'aiuto e perchè pensi che in questo modo questa
storia finirà prima. Non è questo quello che
vuoi.”
“Basta così, Reid.- tagliò
corto Hotch- L'ultima parola è la sua.”
Ross annuì, cercando di essere
convincente “Ho preso la mia decisione. Lo
farò.”
Mentre Alaska pronunciava quelle parole
Reid aveva gli occhi fiammeggianti fissi su Hotch, e non
potè
impedirsi di uscire dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle,
troppo infuriato per restare anche un solo secondo di più.
Alaska sobbalzò sul posto in
sincronia con quel rumore sordo e si strinse le braccia intorno al
petto.
Puntò i grandi occhi azzurri su
Morgan “Derek, tu sei il suo migliore amico,
potresti...”
L'uomo le diede un buffetto sul braccio
mentre le passava accanto per seguire il giovane collega
“Vado a
parlargli.”
Spencer aveva le mani
ancorate al
ripiano di legno del bancone dell'area relax. Le nocche erano
talmente bianche che sembrava che le ossa potessero uscirgli dalla
pelle da un momento all'altro.
Derek era stato alle sue spalle,
silenzioso, per lunghi minuti, lasciandogli il tempo di riflettere su
quanto era appena successo.
“Andiamo, Reid.- disse, quando non
potè più trattenersi dal parlare-
Parlami.”
Quando il ragazzo si voltò verso
di lui i suoi grandi occhi scuri erano colmi di panico
“L'ipnosi
non farà altro che peggiorare i suoi incubi, la
farà
stare male.”
“E' il metodo più veloce che abbiamo per
aiutarla.” fu la risposta più razionale che Morgan
fu in
grado di formulare, anche se in realtà poteva capire come si
sentisse.
“No!- disse, scuotendo la testa e facendo in questo
modo arruffare i suoi leggeri capelli castani- Noi dovremmo aiutarla,
non dovrebbe essere lei ad aiutarci a farlo.”
L'uomo di colore
sospirò “Reid...”
“Tu non capisci. Voi tutti non
capite!- continuò testardamente il ragazzo- Non ci sarete
voi
quando si sveglierà in piena notte, tutte le notti, e non
riuscirà più a rimettersi a dormire per paura di
vedere
quelle cose.”
Derek gli si avvicinò risoluto
ed afferrò quelle spalle esili con le proprie mani forti
obbligando il giovane genio a ricambiare il suo sguardo determinato
“Ascoltami bene, Reid. Io capisco che tutto quello che vuoi
fare è
proteggere Alaska. Ti capisco, lei è anche amica mia,
ricordi?
Ma quello che ha deciso di fare è la semplicemente la cosa
più
saggia.”
Gli occhi di Spencer che avevano vagato
nervosamente per la stanza fino a quel momento si fermarono. Sembrava
addirittura che fosse più disposto ad ascoltare, o
semplicemente esausto a causa della tensione accumulata fino a quel
momento.
“Quel tizio non è uno stupido,
ce lo dimostra il fatto che è quasi riuscito ad avvelenare
Alaska.- continuò a parlare l'uomo- E' determinato e sta
seguendo un piano preciso e quello che lei sta per fare ci
aiuterà
a far finire questa faccenda il più presto
possibile.”
Reid abbassò lo sguardo e si mordicchiò
nervosamente il labbro inferiore prima di parlare
“Io...-mormorò-
io voglio solo che lei stia bene.”
Morgan annuì “Lo so,
ragazzino. È quello che vogliamo tutti. Ma tu sei il suo
ragazzo e sei la sola persona su cui lei deve sapere di poter contare
incondizionatamente. Devi essere forte, per lei.”
Il ragazzo annuì piano e alla
fine, con gratitudine, rivolse al collega, all'amico, un sorriso
sottile e tiepido.
La testa bionda di JJ fece
capolino
nella sala conferenze, attirando l'attenzione su di sé.
“Il dottor Greene è arrivato.-
annunciò la donna cercando di rivolgere ad Alaska uno
sguardo
incoraggiante- Ti aspetta nell'ufficio di Rossi.”
“Il dottor Greene?” ripetè
la ragazza, incerta.
“E' uno psichiatra forense che spesso
collabora con l'FBI.- le spiegò Hotch- Inoltre, è
anche
un esperto nell'uso della terapia ipnotica come mezzo per recuperare
ricordi latenti.”
Ross spalancò gli occhi “Wow.
Sembra in gamba.”
“Lo è.- gli assicurò
Dave, facendole cenno di seguirlo vero il proprio ufficio- Andiamo,
ti accompagno.”
Alaska lo seguì, riflettendo.
Non era del tutto nuova ad un'esperienza del genere, quando era
piccola era stata da un terapista infantile, ma di certo non poteva
paragonare quelle sedute a quella del tutto particolare che stava per
seguire a breve. Sentiva il cuore battere più veloce del
normale e inziò approvare un'angoscia crescente man mano che
si avvicinavano all'ufficio di Dave.
Al suo interno li aspettava un uomo
sulla sessantina. Era magro, quasi scheletrico, con le guance scavate
e degli occhialetti rotondi calcati sul naso. Il cartellino puntellato
al maglione marrone infeltrito che indossava recitava,
insieme alla scritta “visitatore”, il suo titolo e
il nome.
Dottor Andrew Greene.
“Dottor Greene.” lo salutò
Rossi con una forte stretta di mano che, contrariamente a quanto
chiunque avrebbe creduto, non spezzò le sottili e scarne
dita
dello psichiatra.
L'uomo sorrise, mostrando una fila di
denti non molto dritti “Agente Rossi. Lieto di rivederla.-
ricambiò
il saluto, prima di voltarsi verso l'antropologa- Immagino che lei
deve essere la dottoresse Ross di cui ho sentito parlare.”
Alaska gli rivolse un sorriso caloroso
“Piacere di conoscerla.”
David fece saettare lo sguardo prima
sul medico e infine sulla ragazza, soffermandosi su di lei per
diversi istanti.
“Forse è meglio che vada e vi
lasci soli.” disse infine, muovendo un passo verso la porta.
La mano di Alaska lo fermò,
appoggiandosi sul suo braccio con un tocco leggero.
“Dave?- chiamò, con una voce
debole, quasi da bambina- Ti dispiacerebbe assistere?Non vorrei
essere da sola e Spencer...”
“Certo, Alaska.- rispose
immediatamente, per poi voltarsi verso Greene- Va bene, vero?”
L'uomo annuì “Non c'è
problema. Immagino che conosca la prassi, giusto?”
Rossi annuì “Me ne starò
zitto ad aspettare in un angolo.”
Greene gli fece un cenno d'assenso e
poi trascinò una sedia dalla scrivania del profiler per
avvicinarla al divanetto addossato alla parete, infine
invitò
Alaska a sedersi.
“Dottoressa Ross...” cominciò
a parlare, rivolgendosi alla giovane, mentre si sedeva sulla sedia a
fianco a lei.
“Alaska.- lo corresse, iniziando a
parlare velocemente- Preferirei essere chiamata Alaska.. Anche se
è
una bella sensazione avere quel titolo in seguito agli anni passati a
studiare e fare ricerca preferirei essere chiamata semplicemente
Alaska, altrimenti mi sento una di quelle luminari che se ne vanno in
giro con occhiali da lettura e camice bianco tutto il giorno. E mi
dia del tu.”
“Alaska, allora.- le sorrise Greene,
cercando di essere più rassicurante possibile- Ti hanno
spiegato cosa succederà ora?”
La giovane annuì “Preferirei
sentirlo di nuovo.”
“Tu soffri di un disturbo che chiamiamo
stress post-traumatico.” spiegò lo psichiatra,
sotto gli
occhi attenti di David che osservava dalla parte opposta
dell'ufficio.
“Così dicono.” asserì
Ross cercando di respirare piano per calmarsi.
“Questo disturbo ti impedisce di
ricordare quanto ti è successo quando sei stata rapita da
Jason Foller, ma questo non vuol dire che queste informazioni siano
state cancellate dalla tua testa.- continuò l'uomo, senza
interrompere mai il contatto visivo con il duplice scopo di
tranquillizzarla e ottenere la sua fiducia per la parte successiva
della seduta- In realtà sono state semplicemente
accantonate,
per il tuo bene. È come quando le madri mettono la sicura ai
cassetti che contengono i coltelli per evitare che i bambini si
facciano male per sbaglio.”
Alaska si lasciò sfuggire una
risatina “Accidenti, lei sì che parla chiaro.
Insegna, per
caso?”
“Ho lasciato qualche anno fa.-
confermò Greene prima di andare avanti e continuare il
proprio
discorso- In ogni caso, quello che vogliamo fare ora è
tirare
fuori quel ricordo.”
“Sì, è quello che
vogliamo fare...” ripetè l'antropologa, per niente
convinta.
“E per farlo useremo una tecnica di cui certo avrai
sentito parlare: l'ipnosi.”
“Tipo quella che usano i maghi per
far credere alle persone di essere delle galline?- domandò
Ross alzando un sopracciglio- Qualcosa del genere?”
Greene scosse la testa, ridendo “Stai
tranquilla, non ti farò niente del genere. Ciò
che
useremo noi è l'ipnosi regressiva, una tecnica sperimentale
che serve per far venire a galla dei ricordi dall'inconscio.”
“Sembra complicato.” interloquì
Alaska, stringendosi nelle spalle.
“Più di quanto è in
realtà, perlomeno se uno ha padronanza della tecnica.-
assicurò lo psichiatra, prima di fare un gesto per indicare
il
divano- Ora sdraiati pure, Alaska. Dovrai essere estremamente
rilassata.”
La giovane si mordicchiò il
labbro inferiore, titubante “Vorrei sapere una cosa
prima.”
“Cioè?” indagò il
dottore, mentre Rossi tratteneva il fiato, preoccupato.
“Dopo...tornerà tutto come
ora, vero?- chiese Alaska, abbassando lo sguardo- Non si
sbloccherà
niente nella mia memoria?Giusto?”
David sospirò e Greene gli fece
eco “Non posso assicurarti niente, Alaska. Le reazioni della
psiche
sono imprevedibili e soggettive.”
Fece una pausa, lasciando
all'antropologa il tempo per riflettere “Vuoi che andiamo
avanti?”
Alaska sospirò e lanciò
un'occhiata intensa al profiler, per poi annuire con convinzione
“Certo.” confermò, sdraiandosi e
mettendosi comoda.
Greene le prese la mano e la posò
sul proprio polso “D'accordo, allora. Ti ho fatto afferrare
il mio
braccio di modo da avere un contatto con te, così
potrò
capire quello che provi e farti risvegliare in caso di
necessità.”
Alaska annuì, i suoi occhi
azzurri sembravano enormi per quanto erano spalancati.
“Andrà tutto bene e tu devi
essere molto rilassata.- continuò a parlare, la voce calda e
avvolgente in grado di catturare tutta l'attenzione della ragazza-
Immagina di scendere i gradini di una lunghissima scala. Ad ogni
gradino ti si scrollano di dosso tutte le preoccupazioni e ti senti
sempre più leggera e rilassata. Vedi i gradini?Contiamoli
insieme.”
Iniziò a contare mentre gli
occhi di Alaska si chiudevano piano e il suo respiro diventava sempre
più regolare
“Cento...novantanove...novantotto...novantasette...”
Quando ebbe finito il conto alla
rovescia la giovane antropologa era caduta in uno stato di
incoscienza, la mano stretta dolcemente attorno al polso di Greene
che continuava a parlare “Adesso possiamo vagare nella tua
memoria,
Alaska, andare avanti e indietro e cercare anche quelle cose di cui
non ricordi più.” spiegò calmo.
“E' così, Alaska.- continuò
Greene- La tua memoria è come un film: possiamo andare
indietro e fermarci sulle scene che ci interessano. Ora siamo tornati
al giorno del tuo rapimento. Sei nel tuo giardino e stai giocando coi
gessetti colorati sul tuo vialetto. Ricordi?”
“Sì.- confermò la
ragazza, la voce sottile e percepibile a stento- Sto disegnando un
arcobaleno e una fata. C'è un po' di vento è ho
freddo,
ma non voglio andare in casa a prendere la giacca. La mamma ride e
dice che gli piace il modo in cui uso i colori.”
“Squilla il telefono, giusto?- disse
lo psichiatra, che aveva letto attentamente il fascicolo riguardante
il suo caso- E tua mamma va a rispondere. Che cosa succede
dopo?”
Alaska aggrotta la fronte, come se
fosse estremamente concentrata “Mi dice che devo rimanere
dove
sono, che torna subito. Io non l'ascolto molto perchè sono
impegnata col mio disegno...”
La sua voce era diventata debole, ed
iniziò ad agitarsi leggermente sul divanetto, la mano che
stringeva il polso di Greene.
“Continua Alaska.” la esortò
l'uomo.
“Qualcuno...qualcuno mi ha afferrato
da dietro. Provo ad urlare ma lui mi mette una mano davanti alla
bocca. Non capisco cosa succede.”
Si poteva sentire il panico nella voce
di Ross e David si scoprì a trattenere il fiato, combattendo
l'istinto che gli diceva di far interrompere la seduta.
“E' un solo uomo?” domandò
Greene.
“Non lo so. Non riesco a vedere
niente, e lui mi mette nel retro di un furgone. Inizio a urlare tanto
ed ho paura e....” l'antropologa si mosse nervosamente sul
divano,
in preda all'agitazione.
“Va tutto bene, Alaska, va tutto
bene.- la voce dello psichiatra era calma mentre cercava di
tranquillizzarla- Niente di quello che è capitato
può
farti male adesso, è solo un ricordo. Respira piano, va
tutto
bene.”
Alaska fece quanto gli era stato detto
e in pochi secondi ritornò a respirare piano, di nuovo ferma
ed apparentemente in pace.
“Proviamo ad andare leggermente
avanti nel tempo.- suggerì Greene dopo qualche minuto- Sei
in
un piccolo capanno di legno, la luce entra nonostante le finestre
siano sbarrate con delle travi di legno. Descrivimi tu
qualcos'altro.”
Bastarono quelle parole per far sì
che la ragazza si agitasse di nuovo, la voce acuita da una sorta di
isterismo “Sono in una gabbia. È tanto piccola e
mi da
fastidio restare qua dentro e non riesco a muovermi e mi fa male la
schiena e i polsi. È stato l'uomo cattivo a farmi questo ed
io...ho paura.”
Si interruppe per qualche istante e poi
continuò a parlare “Ho paura ma non devo piangere
o sarà
peggio. Me l'ha detto lui.”
Greene poggiò la mano sopra
quella di Ross, stretta convulsamente attorno al suo polso
“Lui
chi?”
“Lui è sempre qui con me
quando l'uomo cattivo se ne va.” spiegò Alaska
velocemente,
mentre scuoteva la testa sopra il cuscino del divano. Stava
peggiorando.
“Chi è lui Alaska?” chiese
lo psichiatra, preoccupato dalla piega che stava prendendo la seduta.
“Non lo so. Sembra un ragazzino. Non
lo vedo in faccia è troppo lontano da me.”
“Puoi avvicinarti.- disse l'uomo-
Descrivici com'è.”
“No.- sbottò Alaska, la voce
tramante- Non posso. Lui mi ha detto di stare ferma, se mi muovo si
arrabbierà.”
“Non può farti niente,
Alaska.- le assicurò Greene- Sei al sicuro ora.
Avvicinati.”
Il corpo di Ross era teso e delle
convulsioni casuali scuotevano di tanto in tanto la schiena della
giovane, facendola muovere a scatti “Qua dentro non si
può
parlare. Ci deve essere silenzio. Sempre.”
Lo psichiatra lanciò un'occhiata
a Rossi, che ricambiò preoccupato mentre si avvicinava ai
due
“Adesso puoi parlare, Alaska.” continuò,
rivolgendosi alla
giovane.
“Ssh!”
Greene fece un ultimo tentativo per
avere l'identikit che cercavano “Alaska, puoi avvicinarti.
Descrivici questo ragazzino.”
“No. Sta tornando.- dagli occhi
chiusi di Alaska cominciarono a scendere lacrime copiose, mentre
muoveva il capo con disperazione- Si arrabbierà, si
arrabbierà!”
“Alaska, stai calma!” esclamò
il medico, fermando il braccio con cui la giovane cercava di
liberarsi da lacci invisibili.
“Mi picchierà di nuovo!-
singhiozzò-Lo farà, lo farà!”
“Faccia qualcosa, adesso!” ordinò
David in un ringhio, mentre cercava di tenere ferma Ross che si
muoveva convulsamente.
“Calmati, Alaska, ascoltami:
conteremo fino a dieci e poi ti sveglierai.”
I suoi urli erano disperati mentre
stringeva la mano con forza intorno al polso di Greene“No,
no!Sta
arrivando!”
“Uno, due, tre, quattro, cinque...”
contò lo psichiatra.
“Ti prego!Ti prego, sarò
brava!” gridò di nuovo, fra le lacrime, mentre
affondava le
unghie nel polso dello psichiatra.
“...sei, sette, otto, nove, dieci!”
I lamenti di Alaska cessarono
all'istante, così come il suo pianto disperato e nella
stanza
calò un silenzio irreale. Gli occhi di Rossi e dello
psichiatra erano fissi sulla ragazza, in attesa di una sua reazione
di qualsiasi tipo.
Alaska sbattè le palpebre
diverse volte e si stupì di trovarsi seduta con il cuore che
le batteva all'impazzata e il volto umido di lacrime. Si
sfregò
occhi e naso con la manica e continuò a guardarsi intorno
confusa. Sentiva nella testa lo strano fastidio che accompagnava un
pianto troppo forte e aveva il respiro troppo affannato per poter
parlare.
“Va tutto bene, Alaska?” domandò
il dottor Greene, posandole una mano sulla spalla.
A quel contatto non potè fare a
meno di sobbalzare, gli occhi spalancati, ma alla fine annuì
“Credo...credo di sì. È stato
utile?Abbiamo scoperto
qualcosa di utile?”
David scosse la testa “La seduta
stava prendendo una brutta piega. Eri troppo agitata, abbiamo
preferito interrompere.”
Alaska prese dei grossi respiri “Sono
stata io a farle quello?” domandò mordendosi
colpevole il
labbro inferiore, mentre con il dito indicava i graffi sul polso
arrossato del medico.
Greene le rivolse un sorriso gentile
“Oh, mi è capitato di peggio durate sedute di
questo genere,
te lo posso assicurare.”
“Mi dispiace.- si scusò Ross
con un sorriso- Ho dei cerotti in borsa, ma credo che siano di
Topolino. Li vuole lo stesso?”
“Sono a posto così,
grazie.- assicurò l'uomo con sguardo compassionevole- Sicura
di stare bene?”
L'antropologa aggrottò la fronte
mentre annuì “Sono un po' stordita, ma credo di
cavarmela.”
“D'accordo.- disse Greene alzandosi e
poi voltandosi verso Rossi - Vado a parlare con l'agente Hotchner,
quindi?”
Il profiler gli fece un cenno d'assenso
“Certo, vada pure.”
Con gli occhi seguì la figura
scheletrica dello psichiatra mentre si allontanava.
“Mi dispiace, Dave.” mormorò
l'antropologa, lo sguardo basso, non appena l'uomo uscì
dalla
stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Dave le si avvicinò con due soli
passi e le posò le mani sulle spalle, incrociando il suo
sguardo “Alaska ci hai aiutati più di quanto
avresti
dovuto.- le assicurò, cercando di rendere il tono della
propria voce più rassicurante possibile- Ora sappiamo che
Foller aveva un complice e probabilmente è lui l'uomo che ti
perseguita. Lo rintracceremo.”
Ross gli rivolse un sorriso
stiracchiato, i grandi occhi azzurri liquidi e arrossati dal pianto.
Al profiler si strinse il cuore nel vederla così fragile e
indifesa e, istintivamente, le accarezzò la testa con fare
paterno.
“Ora vai a sciacquarti la faccia e
prendi qualcosa di caldo da bere.- le suggerì- Immagino che
sarai stanca.”
Alaska annuì e, dopo avergli
dato un buffetto affettuoso sul braccio, lasciò il suo
ufficio
con una camminata lenta e un po' strascicata che non le si addiceva
minimamente.
Quando Alaska
entrò nella
piccola area relax vi trovò all'interno Spencer, decisamente
più calmo di quando l'aveva visto l'ultima volta.
Incontrarlo
aveva fatto sciogliere qualcosa, dentro di lei, all'altezza del cuore
e perciò non potè che sorridergli dolcemente,
nonostante fosse ancora agitata.
“Ciao.” disse, in un sussurro.
“Ciao.” gli fece eco lui.
Ross iniziò a muoversi con
naturalezza in quello spazio quasi familiare, intenta a prepararsi
una camomilla di cui sentiva la necessità “Sai-
cercò
di essere chiacchiericcia- mi hanno ipnotizzato!”
“Sì, è una tecnica
sperimentale ma piuttosto efficace.- disse, prima di iniziare a
spiegare, seguendola in ogni suo movimento nella piccola sala
ristoro- Sai, è stato Milton Erickson a inventare una
propria
forma di ipnoterapia che permette di giungere all'inconscio del
paziente. Non è una metodologia approvata da tutta la
comunità
scientifica, ma comunque è molto promettente. Oltre ad
essere
il fondatore della Società Americana di Ipnosi Clinica,
è
anche membro dell'Associazione Americana di Psichiatria e
dell'Associazione Americana di Psicologia. In effetti la sua
concezione dell'inconscio come parte autonoma della mente è
decisamente interessante.”
Quando ebbe finito di parlare rivolse
all'antropologa un sorriso spensierato, ma la trovò con lo
sguardo fisso nel vuoto. Quando si accorse dei grandi occhi scuri di
Spencer fissi su di sé abbozzò a un sorriso.
“Scusa, non stavo ascoltando.”
Se c'era una cosa che Alaska Ross non
sapeva fare era mentire. Riteneva che raccontare bugie fosse troppo
impegnativo e complesso, per il suo cervello incline a dimenticarsi
perfino di mettersi le scarpe prima di uscire di casa,
perciò
la sua politica ufficiale era quella di non mentire mai. Aveva
imparato ad ovviare a questa mancanza semplicemente omettendo quelle
parti del discorso che non voleva rendere pubbliche e aveva imparato
a farlo subito dopo il rapimento in cui era stata coinvolta quando
aveva otto anni. Durante le sedute con lo psicologo che Rossi aveva
consigliato ai suoi genitori si apriva e raccontava le proprie paure,
ma quando tornava a casa, alla fatidica comanda
“C'è
qualcosa che non va?” scuoteva piano la testa e si apriva in
un
grande sorriso rassicurante. In fondo, per quanto fosse cresciuta,
non riusciva ancora a perdere quell'abitudine di tenere per
sé
i problemi più gravi.
“C'è qualcosa che non va?”
gli domandò Spencer, afferrandole dolcemente un braccio.
Alaska scosse piano la testa “No,
io...devo solo andare in bagno a rinfrescarmi un po'.” disse,
facendo comparire sul proprio volto il suo solito sorriso. Ma non
occorreva certo il super-cervello di Reid per vedere che quel sorriso
non era arrivato agli occhi, illuminandoli come era solito fare.
Il giovane profiler fece passare solo
qualche secondo prima di seguirla e quando varcò la porta
del
bagno la trovò accucciata in un angolo.
Quando lo vide Alaska si tolse il
sacchetto di carta, che aveva recuperato poco prima, da davanti alla
bocca, cercando di prendere qualche respiro autonomamente senza
cadere di nuovo in iperventilazione. Le capitava di rado di agitarsi
in quel modo, ma quando accadeva era una vera e propria crisi di
panico. L'ansia le saliva al cervello e lei poteva giurare di
sentirsela scorrere nelle vene, facendole andare in tilt l'organismo.
“Meglio?” domandò Spencer,
lanciandole un'occhiata attraverso lo specchio, preoccupato.
La ragazza alzò le spalle
ritmicamente, seguendo l'andamento del proprio respiro, e poi scosse
la testa.
“No. Ho paura e sono così...-
i suoi occhi saettarono da una parte all'altra della stanza mentre
cercava la parola adatta- così arrabbiata!”
Reid aprì la bocca per dire
qualcosa ma, nonostante si aspettasse una reazione del genere, non
sapeva che dire. La vide alzarsi e andargli incontro, continuando a
parlare.
“Sono arrabbiata perchè tutto
questo...non è giusto. Io non ho mai fatto niente di male
e...non è giusto. Non è giusto!”
“Perchè non me ne hai parlato
prima?” domandò dopo essersi umettato le labbra.
“Io non volevo che tu ti preoccupassi
ulteriormente, suppongo.- borbottò stringendosi nelle
spalle- Io...io immagino di aver pensato che, se tu avessi saputo del
fatto
che quando ho trovato quel teschio nel mio bagno e letto la scritta
sullo specchio e poi visto quella foto mi si sono rizzati i capelli
alla base del collo e non sono ancora tornati a posto da allora, beh,
credevo che avrei solo peggiorato la situazione...E che poi se tu
avessi saputo che ho pensato: Dio, ti prego, non ancora, non a me,
saresti letteralmente impazzito e io...io ho bisogno di te adesso
e...”
Spencer si avvicinò di slancio a
lei, accogliendola fra le proprie braccia e stringendola più
forte possibile.
“Lo so che è dura per te,
Alaska.” sussurrò, la labbra premute contro i suoi
capelli
setosi.
“Sì...” soffiò la
ragazza cercando di premere sempre più il volto contro il
suo
petto magro.
“Hey.- la chiamò Reid,
afferrandole delicatamente le spalle e scostandola da sé di
modo da guardarla in viso- Hey!Andrà tutto bene, ok?Sai,
è
statisticamente impossibile che un fulmine cada due volte nello
stesso punto.”
“Davvero?E questo mi aiuterà
in questa situazione?” Alaska lo fissò
intensamente, gli
occhi cerulei pieni di fiducia nella persona che aveva di fronte.
“Mi prenderò cura di te.” le
assicurò Spencer, posandole un leggero bacio sulla fronte e
poi stringendole scherzosamente le guance fra i palmi delle mani.
Dalle labbra della giovane uscì
una risata divertita “Lo so.”
“Sai- gli confidò, mentre
tornava a posare la testa contro il suo petto magro- a volte vorrei
essere io quella che si prende cura di te.”
Reid le accarezzò i capelli “Ma
tu lo fai sempre, Al. E poi, con tutti i dolci buonissimi che mi
prepari, non potrei chiedere di più.”
Alaska rise, prima di alzare lo sguardo
verso il suo viso per incontrare i suoi occhi
“Spencer?”
“Cosa, Al?” esalò il
ragazzo, perso in quello sguardo color cielo.
“Puoi stringermi ancora un po'?-
domandò con un sorriso-Ho bisogno di sentire che ci
sei.”
“Io ci sarò sempre per te.”
le assicurò, forte di quell'affermazione.
Ross tornò a rifugiarsi nel suo
abbraccio quasi come se lui fosse l'ancora che gli impediva di andare
alla deriva.
“Al?” la chiamò, dopo dei
minuti che gli sembravano decisamente troppo corti, Spencer.
Lei non si scostò da lui
“Mm?”
“Dobbiamo uscire di qui.- disse tossicchiando- Sei una
donna nel bagno degli uomini.”
Fu allora che Alaska alzò lo
sguardo verso di lui e finalmente i suoi occhi chiari brillavano di
allegria, come avrebbe dovuto essere sempre. Spencer gli sorrise e
dentro di sé giurò a se stesso che avrebbe fatto
di
tutto per mantenere quell'espressione spensierata sul volto della
propria ragazza e, per prima cosa, l'avrebbe fatto risolvendo quella
situazione il prima possibile.
In ogni caso eccoci qua con il nuovo capitolo. Dico subito che tutto quello che so sull'ipnosi gunge da internet/film/telefilm/lezioni di psicologia e che quello che so sull'argomento è un'accozzaglia di nozioni di cui non sono nemmeno sicura. Ergo, se qualcuno di voi è un ipnotista (esiste questa parola?bah!) abbia pietà e chiuda entrambi gli occhi!eheheh!Ordunque, che altro dire...Ah!Ebbene sì, gente!Metascrittura: ho provato a mettere una pagina di uno dei famosi libri di Rossi nella fanfiction. Che ve ne pare?Perchè, sinceramente, ho visto in libreria libri di Jessica Fletcher e Richard Castle, quindi se esistono autori che scrivono spacciandosi per scrittori dei telefilm io voglio assolutamente scrivere nella realtà i libri di David Rossi.Sìsì!Quella è la mia vocazione!!
Uhm...poi...qualcuno (non faccio nomi ma so che sta leggendo!) mi ha fatto venire le fissa sul come potrebbero essere i personaggi che creo nelle mie storie e alla fine ho trovato questo...
Ok, visto che mi sto accorgendo che sto sclerando, vi saluto. Al solito fatemi sapere che ne pensate del capitolo e, non so se ve l'ho mai detto, ma vi adoro tutti: da chi legge in silenzio senza commnetare, a chi ha messo le storie fra i preferiti e a chi si prende la briga di scrivermi qualcosa. Siete fantastichevolissimissimi!:) Un bacione a tutti, al prossimo capitolo, JoJo.
Luna Viola : Ebbene sì, io sono una di quelle folli che si guarda i telefilm in streaming in lingua originale o in doppiaggi folli in spagnolo od ostrogoto!eheheh!Però alla sesta non sono ancora arrivata, visto che sono rimasta indetro con la quinta...Cmq, sono contenta di avere una punizione così magnanima da parte tua....almeno credo!:D Come al solito grazie mille per tutti i complimenti che mi fai ogni volta, thanks thanks thanks. Visto che sei così gentile direi che mi mobiliterò per quella gigantografia di Nate per il tuo compleanno (in fondo, se lui non lo scopre potrei salvarmi!eheheh)Al prossimo capitolo, kisses!
TrueLife : Heylà!Wow, allora in questi casi dovrei fare tipo gli onori di casa?eheheh Benvenuta!:) Sono contenta che la storia ti piaccia, e anche i miei personaggi!Mi fa davvero piacere sentirlo e sapere che ti sei presa la briga di leggerla!Thnaks a lot! Alla fine l'aggiornamento è arrivato, a fatica, ma fra pc demoniaco, università, esami e tesi sono nel caos più totale, chiedo venia!Ancora grazie mille e, spero, al prossimo capitolo!Baci baci
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee special guest star nelle recensioni in questo capitolo
Antu_ : Cavolo. Io non so davvero che dirti!Le tue recensioni sono state davvero fantastiche, non ti dico che piacere ho avuto nel leggerle. Lo giuro!:) Davvero, quello che hai detto su come scrivo, sulla storia, i personaggi e via dicendo mi ha davvero emozionato quindi grazie mille. In effetti, non sono una scrittrice ma mi piacerebbe diventarlo, in un modo o nell'altro, e spero davvero di riuscire a farlo, un giorno, e sentire le tue parole è stato molto incoraggiante. Un grandissimo in bocca al lupo per la tua nuova avventura universitaria a Pisa, sono contenta che continui a seguire la mia storia e che ti sei addirittura presa la briga di partire da Invisible Women. Un grosso bacio, dear!:)