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Autore: JoJo    06/10/2010    6 recensioni
Non c'è niente di peggio che vedere la propria vita rubata, pezzo dopo pezzo. Sapere che qualcuno osserva tutto ciò che fai, che punta costantemente i suoi occhi malati osservando ogni minimo particolare. La sua ossessione si trasmette anche alla sua vittima, e gli agenti del BAU questo non possono permetterlo.
Genere: Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '49 ways to live'
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Come si fa a uccidere la paura, mi domando?

Come fai a sparare a uno spettro dritto nel cuore, tagliargli la sua testa spettrale, prenderlo per il suo spettrale collo?

- Joseph Conrad


Uffici dell'Unità di Analisi Comportamentale. Quantico, Virginia.

Derek Morgan notò immediatamente che c'era qualcosa di strano quando entrò nell'open space. Era piuttosto presto, quindi non c'era quel fermento che era abituale in quegli uffici, eppure nell'aria c'era una certa tensione e non ci mise molto a capirne la causa. Nate Crowford sembrava stesse aspettando qualcosa, la schiena muscolosa appoggiata alla parete e le braccia strette rigidamente intorno al petto. Lo sguardo grave era fisso sulla porta dell'ufficio di Hotch.
Rallentò il passo solo quando fu abbastanza vicino alla scrivania di Reid, che sembrava allo stesso modo calamitato dallo stesso punto in cui volgeva gli occhi lo scorbutico agente federale.
“Che sta succedendo?” domandò, ottenendo soltanto che Spencer sobbalzasse sulla propria sedia, spaventato da quelle parole udite all'improvviso.
Morgan vide il suo giovane collega sospirare pesantemente prima di voltarsi verso di lui con i grandi occhi scuri carichi di ansia “La verità è che non ne ho la più pallida idea.”
Con un cenno del capo Reid indicò l'ufficio di Hotchner “Alaska è là dentro: ha detto che doveva parlare con lui.”
“Di cosa?” domandò Derek, stranito, mentre si appoggiava al bordo della scrivania.
La bocca di Spencer rimase aperta per un po' prima di emettere effettivamente suono “Non lo so, non me l'ha voluto dire.”
“Nel senso che è effettivamente riuscita a non dirti niente?” cercò chiarificazioni l'uomo di colore, alzando un sopracciglio incerto: Alaska non era certo un asso a tenere segreti.
Reid sospirò “Nel senso che non ha parlato per tutto il viaggio fino a qui pur di non farsi sfuggire qualcosa.”
“Oh.- esalò Derek, passandosi una mano sulla testa rasata-Questo è...piuttosto strano, in effetti.”
Il giovane genio non potè che annuire, dandogli ragione “Già. Sto decisamente impazzendo.”
“Ma lei sta bene?- indagò di nuovo Morgan- Voglio dire, la sua reazione a tutta questa situazione non è decisamente normale.”
“Sai com'è fatta: per lei il mondo è un parco giochi, non la casa degli orrori.” Spencer si strinse nelle spalle esili. Quello era di certo uno dei motivi per cui amava la sua ragazza così tanto, eppure in quel caso non desiderava altro che aprisse gli occhi per capire la gravità della situazione in cui si trovava.
“M-mm.- annuì Derek, per poi indicare l'agente poco distante con un cenno- E Crowford che ci fa qua?”
La voce di Reid sembrava provenire dall'oltretomba mentre rispondeva “Ha passato la notte a casa mia.”
Morgan alzò le sopracciglia, estremamente stupito “Cosa?!”
“Ha ben pensato di aggiungersi alla scorta, Alaska l'ha visto e l'ha invitato a casa per non fargli prendere freddo.” continuò a spiegare il giovane, imbronciato.
“Ow. E com'è stato?” domandò quindi Derek, aspettandosi il peggio.
Reid gli lanciò un'occhiata eloquente.
“Ricevuto. Un disastro.”
“E' che...-la voce di Spencer era salita di un'ottava, a causa del fastidio che provava- io quel tipo lo detesto sul serio, più di quanto è razionalmente accettabile, e non capisco perchè!”
“Si chiama gelosia, ragazzino.” spiegò Morgan, dandogli una pacca sulle spalle che lo fece sbilanciare in avanti.
“E tu credi che non dovrei esserlo, lo so.- lo anticipò Spencer- Ma ti sembra normale il comportamento di Crowford?”
Derek gli rivolse un ghigno “Quel tipo non è mai normale.”
Spencer prese un grosso respiro e scosse la testa come per schiarirsi le idee prima di iniziare a spiegare “Voglio dire: è sempre stato scontroso e non parlava mai con le persone più del necessario e poi ha conosciuto Alaska e...beh, rimane sempre lo stesso, ma con lei parla, scherza, sorride...Stamattina l'ho visto mentre gli regalava una placchetta militare e sembrava addirittura...dolce!”
L'uomo annuì, soppesando le parole dell'amico. Certo, non occorreva essere un profiler per cogliere l'interesse che palesemente Crowford provava verso la giovane antropologa, ma era anche vero che, essendo amico della ragazza, poteva essere più che sicuro dei suoi sentimenti verso Reid.
“Puoi fidarti ciecamente di Quarantanove.” lo rassicurò, posandogli una mano sulla spalla.
Spencer gli rivolse un'occhiata “Non è di Al che mi preoccupo, ma di Crowford.”
“Ti conviene rispolverare le lezioni di corpo a corpo e quelle di tiro, allora.- scherzò Morgan, sperando di alleggerire la situazione, prima di tornare serio- Quindi ora aspettiamo che escano di là?”
Reid annuì “Quindi ora aspettiamo.”

Alaska entrò nell'ufficio di Hotchner come una furia, stando ben attenta a chiudersi la porta alle spalle. L'uomo alzò gli occhi dai fogli che stringeva fra le mani e alzò un sopracciglio osservandola mentre posava sulla sua scrivania un computer portatile e iniziava a camminare avanti e indietro per tutta la lunghezza della stanza.
Quando si accorse che non sembrava intenzionata di spiegare il perchè del proprio comportamento decise di parlare.“Alaska. Va tutto bene?”
La giovane lo guardò, gli occhi grandi e confusi, come se fosse stupita della sua presenza lì.
“No.- disse, per correggersi qualche secondo dopo- Forse. Non ne sono sicura.”
Hotch sospirò e mise da parte ciò a cui stava lavorando “Posso aiutarti?”
“Devo dirti una cosa.” sentenziò, dopo aver preso una generosa boccata d'aria.
L'uomo le fece un cenno con la mano, esortandola a continuare “D'accordo.”
“E' che...” iniziò a parlare di nuovo, interrompendosi quasi subito. Scosse la testa con veemenza e tornò a camminare su e giù per la stanza, cercando di raccogliere le idee.
“Accidenti, non credevo che fosse così difficile.” sbottò, senza smettere di muoversi.
“Che cosa, Alaska?” chiese di nuovo il profiler, preoccupato da quel comportamento.
“Insomma, quello che devo dirti magari è una stupidata, forse un delirio da stress se esiste qualcosa del genere. Esiste?-domandò voltandosi verso di lui per una frazione di secondo, per poi tornare ad eseguire quei movimenti veloci e ritmati senza aspettare la sua risposta -Perchè se esiste probabilmente io ce l'ho...Però spero davvero che sia così. Che sia tutta una mia idea folle e basta, magari sto diventando paranoica. Nessuno me lo ha mai detto prima, ma forse la situazione e tutto il resto...Sembro paranoica?”
Alaska si fermò e guardò Aaron con sguardo ansioso.
“Sembri molto agitata.- le rispose l'uomo, indicandole la sedia di fronte alla propria scrivania- Perchè non ti siedi, fai un bel respiro e ti calmi, prima di dirmi ciò per cui sei qui?”
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore, ma finì per fare esattamente quanto gli era stato detto. Torturandosi le mani che teneva strette in grembo, prese un grosso respiro e iniziò a spiegare tutto quanto dal principio.
“So che avevo detto che avrei lasciato stare il caso che stavo trattando al momento dell'incidente del veleno, ma non l'ho fatto.- rivelò- Non abbandono mai un caso e non mi sembrava giusto e...”
Hotch la interruppe “Hai scoperto qualcosa che potrebbe portare a una pista più concreta?”
Alaska annuì debolmente “Non so se hai avuto modo di vedere il cadavere scheletrizzato, sai, quello avvelenato...In ogni caso, i resti presentavano una strana caratteristica: all'altezza della schiena c'erano disegni apparentemente astratti fatti di vernice rossa.”
“Sì, l'ho letto nella cartella e ho visto le foto.” confermò, esortandola a continuare.
“Non sono disegni astratti ma...- si schiarì la gola, improvvisamente secca- insomma, io credo che abbiano un significato ben preciso.”
“Ovvero?”
Il profiler non staccò gli occhi dal volto di Ross, stranamente serio e vagamente preoccupato, mentre l'antropologa apriva il computer portatile e iniziava a muovere le dita sulla tastiera.
“C'è un motivo per cui sono venuta da te, Aaron, e non ho detto ancora niente a Spencer, Nate, Dave o qualcun altro: voglio il tuo parere senza inzuccherinamenti per farmi sembrare la cosa meno grave. Vorrei la verità pura e semplice, anche se quello che sento potrebbe non piacermi.”
Hotch annui, un po' preoccupato da quel preambolo, mentre Alaska batteva le mani diverse volte sui tasti facendo così apparire sullo schermo la schiena della vittima.
“Guarda.” disse voltando il monitor per agevolare all'uomo la visuale.
I disegni svettavano sulla pelle raggrinzita grazie al loro rosso vermiglio.
Nessuno dei due commentò e la ragazza impostò dei nuovi comandi. Per prima cosa l'immagine venne sostituita da una nuova foto, che ritraeva una schiena decisamente più umana, deturpata qua e là da delle cicatrici più chiare della pelle stessa. Bastarono poche altre impostazioni e le due immagini si sovrapposero, rivelando ciò che aveva portato Alaska a rivolgersi al profiler: i segni rossi e le cicatrici coincidevano alla perfezione.
“Chi è quella?” domandò quindi Hotch.
La risposta della giovane risuonò come una condanna “Sono io.”
La testa del profiler scattò verso di lei e i suoi occhi scuri cercarono di indagare la reazione di Ross alla sua stessa affermazione, ma lei teneva la testa bassa, lo sguardo rivolto alle proprie mani.
“Sono io.- ripetè con un filo di voce- Quello è il risultato di quello mi ha fatto l'uomo che mi ha rapito da bambina.”
Dopo aver detto quella frase alzò lentamente il viso per incontrare lo sguardo di Hotch e, per la prima volta da quando era iniziata quell'intera situazione, negli occhi chiari di Alaska potè leggere il panico crescere lentamente.

Quando Hotch uscì dal suo ufficio e, contrariamente a quanto si aspettava, Alaska non lo stava seguendo, Spencer si alzò dalla propria scrivania e con passo svelto andò incontro al proprio capo.
“Dov'è Alaska?” domandò con tono ansioso.
Lo sguardo di Aaron era serio, forse più del solito “Alaska ha bisogno di stare un po' da sola.”
Reid aggrottò la fronte confuso e tentò di andare a raggiungere la propria ragazza, ma la mano forte di Hotch si posò sul suo braccio, trattenendolo.
“Reid- spiegò con tono calmo ma determinato- lei ora deve riflettere su alcune cose e deve farlo da sola. Inoltre, siamo arrivati ad una svolta nel caso ed ho bisogno di tutta la squadra.”
Spencer strinse le labbra e lanciò un'ultima occhiata al vetro dell'ufficio del superiore, scorgendo a malapena la figura della giovane antropologa che svettava come un'ombra in prossimità della scrivania, ma alla fine annuì e seguì l'uomo che aveva raggiunto Morgan, Prentiss e Rossi.
“Che cosa sta succedendo?” domandò Emily.
Hotch aveva uno sguardo grave mentre rispondeva “Alaska ha trovato una corrispondenza fra i segni disegnati sulla schiena del cadavere scheletrizzato e le ferite che gli sono state inferte durante la prigionia da bambina.”
La reazione dei profiler fu unanime, nonostante dimostrassero lo shock per quella scoperta in modo diverso.
Reid spalancò la bocca, mentre gli tornavano alla mente le cicatrici sulla schiena di Alaska, di cui lei si vergognava nonostante cercasse di non darlo a vedere. Morgan incrociò le braccia muscolose al petto, stringendo i pugni così forte che le nocche gli diventarono bianche. Emily si lasciò sfuggire dalle labbra un sospiro, mentre abbassava il capo e scuoteva la testa. Rossi rievocò nella propria mente immagini di quel caso di numerosi anni prima, pensando che non era certo di come Ross avrebbe potuto prendere tutto ciò.
La voce profonda di Crowford, della cui presenza si erano dimenticati, li strappò immediatamente ai loro pensieri “Credete che il tizio che cerchiamo fosse coinvolto nel caso di Ross?”
“Questo è impossibile.- sbottò l'agente federale, avvicinandosi ai membri della squadra di analisi comportamentale- Quel caso è stato chiuso, il colpevole è morto.”
“In effetti non c'è nulla di certo riguardo quel caso.- spiegò David con tono mesto- Foller ha confessato gli omicidi e il rapimento?Sì. Teneva prigioniere le bambine prima di ucciderle?Sì. Era ossessionato da ragazzina che gli ricordavano la sorellina prematuramente scomparsa?Sì. La verità è che non sappiamo molto altro. Possiamo solo immaginare cosa facesse loro durante i giorni di prigionia, ma non abbiamo certezze.”
“Non capisco.- disse Crowford, la fronte aggrottata- Perchè non lo chiediamo direttamente a Ross cos'è successo, allora?”
“Perchè non se lo ricorda.- continuò Rossi- Alaska soffre di PTSD o disturbo post-traumatico da stress. Non ha memoria dei fatti di quei giorni.”
Nate spalancò gli occhi grigi “Intendi dire che non ricorda nulla?Tabula rasa?”
Reid annuì prima di cominciare a spiegare.
“In effetti la stima generale è che questo disturbo colpisca il 6,8% della popolazione che ha vissuto un evento traumatico, ma dipende dalle variabili a cui esso è associato, ai fattori psicosociali e a...”
Crowford lo interruppe in modo brusco “E Ross avrebbe questa roba?Non mi sembra affetta da nessuna psico-cavolata, perlomeno niente di negativo.”
Prentiss sospirò “Il PTSD è caratterizzato da una triade sintomatologica che prevede le intrusioni, l'evitamento e l'hyperarousal. Quest'ultimo non può considerarsi attinente al nostro caso dato che prevede insonnia, irritabilità, ansia e aggressività, ma gli altri sintomi potrebbero riscontrarsi nel caso di Alaska.”
“E quali sarebbero?” domandò l'uomo, incrociando le braccia al petto.
“L' evitamento è la tendenza inconscia ad evitare tutto ciò che ricorda l'esperienza traumatica vissuta.- continuò a parlare Morgan al posto della collega- Alaska non ha paura del buio o degli spazi chiusi però...”
“Dice di avere una strana fobia per gli zoo.” concluse Nate, ricordandosi di quanto la ragazza gli aveva detto quando avevano toccato l'argomento.
“Esatto.- confermò l'uomo di colore- Gli zoo sono indirettamente e simbolicamente attivatori di ricordi del suo rapimento.”
Hotch prese la parola, continuando nella spiegazione “E poi ci sono gli incubi, che fanno rivivere durante il sonno l'esperienza vissuta, spesso in maniera piuttosto vivida. Alaska ha degli episodi di questo genere piuttosto spesso.”
Crowford sospirò e si passò con foga una mano fra i capelli rasati mentre rifletteva su quanto aveva appena sentito “Quindi che si fa?Voglio dire, è evidente che le cose che non sappiamo sono molto più rilevanti di quelle che sappiamo già.”
Ho già parlato ad Alaska di qualcosa che potrebbe esserci utile, ma la decisione sta a lei.”
I profiler lanciarono delle occhiate interrogative al proprio capo, mentre Nate sembrava sempre più contrariato.
E fino allora ce ne staremo qui a girarci i pollici?” sbottò esasperato.
Morgan scosse la testa “Noi lavoreremo su un nuovo profilo in base alle nuove informazioni in nostro possesso.”
La squadra di analisi comportamentale iniziò ad allontanarsi per raggiungere la sala conferenze dove avrebbero discusso meglio del caso, mentre David indugiò, fermandosi per un ultimo scambio di parole con Crowford.
“Non importa quello quanto credi di tenere ad Alaska, di certo non conosci la sua storia abbastanza per esserle davvero d'aiuto.”
Nate lo seguì attentamente con lo sguardo corrucciato, mentre si dirigeva verso la scrivania di Reid e prendeva uno dei libri che il giovane genio teneva sempre vicino al computer. Alcuni erano suoi.
“Capitolo cinque, pagina novantasette.- disse Rossi, porgendogli un libro sulla cui copertina si poteva leggere Menti Criminali - È il capitolo di Alaska. L'ho chiamata Daisy per la privacy e perchè era il nome della sua bambola preferita.”
Mentre il profiler più anziano si allontanava Crowford si rigirò il tomo fra le mani per qualche secondo e poi, incerto, iniziò a sfogliarlo finchè non trovò la pagina che gli era stata indicata. Non era sicuro di voler sapere quanto vi era scritto, ma non aveva altra scelta.


Capitolo 5
Daisy.
La strada di Daisy non si sarebbe mai dovuta incrociare con quella di Jason Foller, sarebbe stato troppo ingiusto. Ma, sfortunatamente, il mondo in cui ci ritroviamo a vivere è pieno di cose ingiuste e il mio lavoro all'Unità di Analisi Comportamentale mi ha solo confermato ciò che, infondo, sapevo già. Eppure, quando giorni dopo che avevo contribuito a salvarla da quell'uomo folle sono andato a trovarla all'ospedale dov'era stata ricoverata, vedere il suo sorriso aperto e la spensieratezza infantile dei suoi occhi color cielo mi aveva ricordato ancora una volta perchè mi ostinassi a fare quel lavoro.
Daisy era una bambina allegra, con una fervida immaginazione e un'intelligenza vivace. Non c'era niente che la rendesse diversa dal resto delle bambine della sua età, la sua vita era serena e tranquilla, esattamente come avrebbe dovuto essere. Tuttavia Daisy era minuta, con grandi occhi blu e un folto caschetto di capelli corvini e, se questo poteva risultare banale in circostanze normali, non lo era più da quando a Denver quello era diventato il target di un SI che avremmo poi identificato come Jason Foller.
Ci sono dei casi che, non appena riportati alla polizia, vengono subito considerati di rilevanza federale; la scomparsa di bambini è uno di questi. L'FBI, pertanto, stava già lavorando in Colorado da circa una settimana quando è stata chiamata in causa anche la mia unità.
Mentre camminavo dall'auto al luogo del ritrovamento cercavo di preparare me stesso a quanto avrei visto. Chiunque faccia questo lavoro lo fa. La verità, però, è che nessuno, nonostante gli anni di carriera che ha alle spalle o gli orrori che ha visto in precedenza, è mai pronto per vedere spezzata una vita, soprattutto se si tratta di quella di un bambino.
Il corpo di Abigail Raynols era stato abbandonato poco distante dalla strada statale che portava dal centro di Denver alla periferia. Il suo corpo di ragazzina era avvolto dagli stessi vestiti che indossava al momento della sua scomparsa, per quanto fossero mal ridotti dopo i giorni passati in prigionia, e la sua pelle pallida portava i segni delle torture. Il medico legale mi aveva rivelato che sul corpo di Abigail aveva potuto individuare segni di tagli, abrasioni e bruciature causate da corrente elettrica. Fortunatamente, se così si poteva dire in un caso del genere, non c'erano segni di aggressione sessuale.
Mentre osservavo quei occhi azzurri ormai vacui e privi di vita, raccolsi le idee riguardo a quel caso che, sapevo, si sarebbe rivelato problematico, e iniziai a redigere nella mia testa un primo profilo preliminare.
L'uomo che stavamo cercando era un assassino organizzato, intelligente, metodico nella pianificazione dei propri crimini. Le sue vittime erano accomunate da caratteristiche fisiche particolare, cosa che poteva suggerire che probabilmente nel suo passato esisteva una bambina fisicamente simile a loro e che continuava ad ossessionarlo a tal punto da ricreare la sua presenza. Le torture ripetute ci dicevano invece che il nostro SI era un sadico che provava piacere dalla sofferenza inferta alle proprie vittime: sui polsi di Abigail vi erano segni di legatura e ciò mi fece pensare che quello che cercava davvero l'uomo che cercavamo era l'avere un controllo totale sulle bambine che rapiva.
Stavamo tornando alla centrale di polizia, pronti a rendere noto questo profilo alle forze dell'ordine incaricate delle ricerche, quando arrivò una telefonata. In un quartiere non molto distante a quello dove abitava Abigail Raynolds, era appena scomparsa una bambina di otto anni.
Daisy stava giocando nel giardino antistante alla propria casa, intenta a disegnare coi gessetti colorati sopra il vialetto asfaltato ed era scomparsa in meno di cinque minuti, il tempo impiegato da sua madre per rispondere una telefonata all'interno dell'abitazione. Quando aveva fatto ritorno la bambina non c'era già più. Daisy aveva dei grandi occhi blu e un caschetto di capelli neri.

“Lurido bastardo!” sbottò Crowford, scagliando il libro dalla parte opposta della stanza attirando su di sé numerosi sguardi confusi e spaventati.
Non poteva andare avanti a leggere quella storia, di certo non sapendo che era Alaska quella che aveva subito quegli orrori.
Per quanto gli riguardava, i profiler potevano arrovellarsi il cervello quanto volevano, ma lui era un uomo d'azione. Aveva finito di starsene seduto in un angolo, era pronto ad agire. Se c'era qualcosa che aveva imparato nella vita era che non era conveniente attirare un topo con una trappola, rischiando di non prenderlo mai, sprecando invece tempo e fatica. Bisognava incendiargli la tana e sarebbe uscito da solo. E Nate Crowford era pronto a mettere a ferro e fuoco tutta Washington pur di trovare l'uomo che aveva preso di mira Ross.
Uscì con passo svelto dal quartier generale del BAU ed aveva negli occhi grigi lo sguardo determinato di un uomo pronto a tutto pur di ottenere ciò che voleva.

Quando Alaska uscì dall'ufficio dell'agente Hotchner le porte dell'ascensore si stavano chiudendo, pronte a portare via un furibondo Crowford.
Lei, tuttavia, non vi fece caso.
Camminava piano verso la sala conferenze, come se le persone che stava per raggiungere non fossero affatto un gruppo di amici di cui si fidava ciecamente.
Bussò piano alla porta di vetro e, trattenendo un sospiro, entrò.
Il vociare che pochi istanti prima era palesemente percepibile anche dall'esterno scemò immediatamente e gli occhi dei profiler si puntarono sulla giovane antropologa.
“Alaska.” sussurrò Reid, non appena i suoi occhi scuri si posarono sul volto teso della ragazza.
Ross abbozzò un sorriso a tutti i presenti prima di iniziare a parlare “Disturbo?”
“Assolutamente no.- assicurò Emily con espressione dolce- Che cosa ti serve?”
“Veramente- cominciò a dire, spostando lo sguardo verso Hotch- ho preso una decisione.”
Morgan alzò un sopracciglio. Aaron non aveva ancora spiegato loro di cosa avessero parlato lui e la giovane durante il loro colloquio privato ed era certo che era arrivato il momento di saperlo “Riguardo cosa, a proposito?”
Alaska si strinse nelle spalle “Riguardo al cercare di capire che cos'è successo davvero quando sono stata rapita.”
Spencer spalancò gli occhi e, istintivamente, si alzò dal proprio posto per affiancarsi alla propria ragazza.
“Come?” domandò di nuovo Derek.
“Con l'ipnosi.- spiegò Hotch, benchè fosse consapevole che era una tecnica sperimentale- Se si lasciasse ipnotizzare potremmo riuscire a ricavare direttamente da te le informazioni che ci servono e scoprire chi è che vuole farle del male.”
Gli occhi dei profiler si posarono di nuovo su Alaska che si stava mordicchiando il labbro inferiore.
“Io...- la ragazza sospirò, come se stesse combattendo un'intricata battaglia interiore, e poi riprese a parlare, passandosi a disagio una mano sul braccio- Mi dispiace, ci ho pensato, ma io preferirei di no.”
Non potevano biasimarla, ma l'incertezza diede ad Hotch un punto d'appiglio “Alaska, questa è rimasta l'unica strada che ci resta da percorrere.”
“Non c'è un altro modo?” chiese titubante.
“Abbiamo provato a cercare ogni collegamento possibile.- continuò a spiegare l'uomo- Garcia ha smosso mari e monti per cercare una traccia lasciata dall'uomo che ti perseguita, senza risultato. Lo stesso è da dirsi per l'assoluta mancanza di tracce né di indizi di alcun tipo. Onestamente, Alaska, il collegamento che hai trovato tu è l'unica cosa che abbiamo in mano per ora quindi dobbiamo sapere che cosa è successo quando sei stata rapita..”
Ross fece dondolare la testa, movimento che fece ondeggiare i suoi lunghi capelli corvini “Perchè?”
“Crediamo che l'uomo che ti ha rapito non abbia agito da solo.” rispose Rossi, rammaricato come se fosse colpa sua.
“Quindi...il suo complice si sarebbe messo sulle mie tracce?- domandò incerta, aggrottando la fronte- Sono passati anni.”
“Può darsi che sia stato arrestato per qualche motivo, che sia andato all'estero in attesa che si calmassero le acque intorno alla vicenda...” si ritrovò ad elencare Reid.
“Quindi...”
“Quello che ci serve sapere è nella tua mente.” concluse Hotch, lo sguardo grave.
Alaska sospirò ed annuì “Non c'è altro modo, vero?”
“Vorrei che ce ne fosse.- le assicurò il profiler- Mi dispiace.”
La ragazza parve riflettere intensamente per diversi attimi e alla fine alzò lo sguardo, stavolta più determinato, sul capo dell'unità “D'accordo, allora.”
Spencer spalancò la bocca, scioccato “Cosa!?No!”
“Reid, è l'unica soluzione.” cercò di calmarlo Emily, preoccupata da quella reazione.
“No!Questa non è una soluzione!- sbottò il ragazzo, furente- Questa è...questa è...”
Rossi agitò i palmi verso di lui “Reid, calmati ti prego.”
“Tu non hai idea di cosa le stai chiedendo di fare!” ringhiò Spencer, rivolto ad Aaron.
L'uomo non si scompose “Questo è l'unico modo che abbiamo...”
“C'è sempre un altro modo.” ripetè cocciuto il giovane genio.
“Non fa niente, Spencer.- lo rassicurò Alaska, posandogli una mano sul braccio- Lo voglio fare.”
Reid si scostò di malo modo, sconvolto “Non è vero. Dici così solo perchè vuoi essere d'aiuto e perchè pensi che in questo modo questa storia finirà prima. Non è questo quello che vuoi.”
“Basta così, Reid.- tagliò corto Hotch- L'ultima parola è la sua.”
Ross annuì, cercando di essere convincente “Ho preso la mia decisione. Lo farò.”
Mentre Alaska pronunciava quelle parole Reid aveva gli occhi fiammeggianti fissi su Hotch, e non potè impedirsi di uscire dalla stanza sbattendosi la porta alle spalle, troppo infuriato per restare anche un solo secondo di più.
Alaska sobbalzò sul posto in sincronia con quel rumore sordo e si strinse le braccia intorno al petto.
Puntò i grandi occhi azzurri su Morgan “Derek, tu sei il suo migliore amico, potresti...”
L'uomo le diede un buffetto sul braccio mentre le passava accanto per seguire il giovane collega “Vado a parlargli.”

Spencer aveva le mani ancorate al ripiano di legno del bancone dell'area relax. Le nocche erano talmente bianche che sembrava che le ossa potessero uscirgli dalla pelle da un momento all'altro.
Derek era stato alle sue spalle, silenzioso, per lunghi minuti, lasciandogli il tempo di riflettere su quanto era appena successo.
“Andiamo, Reid.- disse, quando non potè più trattenersi dal parlare- Parlami.”
Quando il ragazzo si voltò verso di lui i suoi grandi occhi scuri erano colmi di panico “L'ipnosi non farà altro che peggiorare i suoi incubi, la farà stare male.”
“E' il metodo più veloce che abbiamo per aiutarla.” fu la risposta più razionale che Morgan fu in grado di formulare, anche se in realtà poteva capire come si sentisse.
“No!- disse, scuotendo la testa e facendo in questo modo arruffare i suoi leggeri capelli castani- Noi dovremmo aiutarla, non dovrebbe essere lei ad aiutarci a farlo.”
L'uomo di colore sospirò “Reid...”
“Tu non capisci. Voi tutti non capite!- continuò testardamente il ragazzo- Non ci sarete voi quando si sveglierà in piena notte, tutte le notti, e non riuscirà più a rimettersi a dormire per paura di vedere quelle cose.”
Derek gli si avvicinò risoluto ed afferrò quelle spalle esili con le proprie mani forti obbligando il giovane genio a ricambiare il suo sguardo determinato “Ascoltami bene, Reid. Io capisco che tutto quello che vuoi fare è proteggere Alaska. Ti capisco, lei è anche amica mia, ricordi? Ma quello che ha deciso di fare è la semplicemente la cosa più saggia.”
Gli occhi di Spencer che avevano vagato nervosamente per la stanza fino a quel momento si fermarono. Sembrava addirittura che fosse più disposto ad ascoltare, o semplicemente esausto a causa della tensione accumulata fino a quel momento.
“Quel tizio non è uno stupido, ce lo dimostra il fatto che è quasi riuscito ad avvelenare Alaska.- continuò a parlare l'uomo- E' determinato e sta seguendo un piano preciso e quello che lei sta per fare ci aiuterà a far finire questa faccenda il più presto possibile.”
Reid abbassò lo sguardo e si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore prima di parlare “Io...-mormorò- io voglio solo che lei stia bene.”
Morgan annuì “Lo so, ragazzino. È quello che vogliamo tutti. Ma tu sei il suo ragazzo e sei la sola persona su cui lei deve sapere di poter contare incondizionatamente. Devi essere forte, per lei.”
Il ragazzo annuì piano e alla fine, con gratitudine, rivolse al collega, all'amico, un sorriso sottile e tiepido.

La testa bionda di JJ fece capolino nella sala conferenze, attirando l'attenzione su di sé.
“Il dottor Greene è arrivato.- annunciò la donna cercando di rivolgere ad Alaska uno sguardo incoraggiante- Ti aspetta nell'ufficio di Rossi.”
“Il dottor Greene?” ripetè la ragazza, incerta.
“E' uno psichiatra forense che spesso collabora con l'FBI.- le spiegò Hotch- Inoltre, è anche un esperto nell'uso della terapia ipnotica come mezzo per recuperare ricordi latenti.”
Ross spalancò gli occhi “Wow. Sembra in gamba.”
“Lo è.- gli assicurò Dave, facendole cenno di seguirlo vero il proprio ufficio- Andiamo, ti accompagno.”
Alaska lo seguì, riflettendo. Non era del tutto nuova ad un'esperienza del genere, quando era piccola era stata da un terapista infantile, ma di certo non poteva paragonare quelle sedute a quella del tutto particolare che stava per seguire a breve. Sentiva il cuore battere più veloce del normale e inziò approvare un'angoscia crescente man mano che si avvicinavano all'ufficio di Dave.
Al suo interno li aspettava un uomo sulla sessantina. Era magro, quasi scheletrico, con le guance scavate e degli occhialetti rotondi calcati sul naso. Il cartellino puntellato al maglione marrone infeltrito che indossava recitava, insieme alla scritta “visitatore”, il suo titolo e il nome.
Dottor Andrew Greene.
“Dottor Greene.” lo salutò Rossi con una forte stretta di mano che, contrariamente a quanto chiunque avrebbe creduto, non spezzò le sottili e scarne dita dello psichiatra.
L'uomo sorrise, mostrando una fila di denti non molto dritti “Agente Rossi. Lieto di rivederla.- ricambiò il saluto, prima di voltarsi verso l'antropologa- Immagino che lei deve essere la dottoresse Ross di cui ho sentito parlare.”
Alaska gli rivolse un sorriso caloroso “Piacere di conoscerla.”
David fece saettare lo sguardo prima sul medico e infine sulla ragazza, soffermandosi su di lei per diversi istanti.
“Forse è meglio che vada e vi lasci soli.” disse infine, muovendo un passo verso la porta.
La mano di Alaska lo fermò, appoggiandosi sul suo braccio con un tocco leggero.
“Dave?- chiamò, con una voce debole, quasi da bambina- Ti dispiacerebbe assistere?Non vorrei essere da sola e Spencer...”
“Certo, Alaska.- rispose immediatamente, per poi voltarsi verso Greene- Va bene, vero?”
L'uomo annuì “Non c'è problema. Immagino che conosca la prassi, giusto?”
Rossi annuì “Me ne starò zitto ad aspettare in un angolo.”
Greene gli fece un cenno d'assenso e poi trascinò una sedia dalla scrivania del profiler per avvicinarla al divanetto addossato alla parete, infine invitò Alaska a sedersi.
“Dottoressa Ross...” cominciò a parlare, rivolgendosi alla giovane, mentre si sedeva sulla sedia a fianco a lei.
“Alaska.- lo corresse, iniziando a parlare velocemente- Preferirei essere chiamata Alaska.. Anche se è una bella sensazione avere quel titolo in seguito agli anni passati a studiare e fare ricerca preferirei essere chiamata semplicemente Alaska, altrimenti mi sento una di quelle luminari che se ne vanno in giro con occhiali da lettura e camice bianco tutto il giorno. E mi dia del tu.”
“Alaska, allora.- le sorrise Greene, cercando di essere più rassicurante possibile- Ti hanno spiegato cosa succederà ora?”
La giovane annuì “Preferirei sentirlo di nuovo.”
“Tu soffri di un disturbo che chiamiamo stress post-traumatico.” spiegò lo psichiatra, sotto gli occhi attenti di David che osservava dalla parte opposta dell'ufficio.
“Così dicono.” asserì Ross cercando di respirare piano per calmarsi.
“Questo disturbo ti impedisce di ricordare quanto ti è successo quando sei stata rapita da Jason Foller, ma questo non vuol dire che queste informazioni siano state cancellate dalla tua testa.- continuò l'uomo, senza interrompere mai il contatto visivo con il duplice scopo di tranquillizzarla e ottenere la sua fiducia per la parte successiva della seduta- In realtà sono state semplicemente accantonate, per il tuo bene. È come quando le madri mettono la sicura ai cassetti che contengono i coltelli per evitare che i bambini si facciano male per sbaglio.”
Alaska si lasciò sfuggire una risatina “Accidenti, lei sì che parla chiaro. Insegna, per caso?”
“Ho lasciato qualche anno fa.- confermò Greene prima di andare avanti e continuare il proprio discorso- In ogni caso, quello che vogliamo fare ora è tirare fuori quel ricordo.”
“Sì, è quello che vogliamo fare...” ripetè l'antropologa, per niente convinta.
“E per farlo useremo una tecnica di cui certo avrai sentito parlare: l'ipnosi.”
“Tipo quella che usano i maghi per far credere alle persone di essere delle galline?- domandò Ross alzando un sopracciglio- Qualcosa del genere?”
Greene scosse la testa, ridendo “Stai tranquilla, non ti farò niente del genere. Ciò che useremo noi è l'ipnosi regressiva, una tecnica sperimentale che serve per far venire a galla dei ricordi dall'inconscio.”
“Sembra complicato.” interloquì Alaska, stringendosi nelle spalle.
“Più di quanto è in realtà, perlomeno se uno ha padronanza della tecnica.- assicurò lo psichiatra, prima di fare un gesto per indicare il divano- Ora sdraiati pure, Alaska. Dovrai essere estremamente rilassata.”
La giovane si mordicchiò il labbro inferiore, titubante “Vorrei sapere una cosa prima.”
“Cioè?” indagò il dottore, mentre Rossi tratteneva il fiato, preoccupato.
“Dopo...tornerà tutto come ora, vero?- chiese Alaska, abbassando lo sguardo- Non si sbloccherà niente nella mia memoria?Giusto?”
David sospirò e Greene gli fece eco “Non posso assicurarti niente, Alaska. Le reazioni della psiche sono imprevedibili e soggettive.”
Fece una pausa, lasciando all'antropologa il tempo per riflettere “Vuoi che andiamo avanti?”
Alaska sospirò e lanciò un'occhiata intensa al profiler, per poi annuire con convinzione “Certo.” confermò, sdraiandosi e mettendosi comoda.
Greene le prese la mano e la posò sul proprio polso “D'accordo, allora. Ti ho fatto afferrare il mio braccio di modo da avere un contatto con te, così potrò capire quello che provi e farti risvegliare in caso di necessità.”
Alaska annuì, i suoi occhi azzurri sembravano enormi per quanto erano spalancati.
“Andrà tutto bene e tu devi essere molto rilassata.- continuò a parlare, la voce calda e avvolgente in grado di catturare tutta l'attenzione della ragazza- Immagina di scendere i gradini di una lunghissima scala. Ad ogni gradino ti si scrollano di dosso tutte le preoccupazioni e ti senti sempre più leggera e rilassata. Vedi i gradini?Contiamoli insieme.”
Iniziò a contare mentre gli occhi di Alaska si chiudevano piano e il suo respiro diventava sempre più regolare “Cento...novantanove...novantotto...novantasette...”
Quando ebbe finito il conto alla rovescia la giovane antropologa era caduta in uno stato di incoscienza, la mano stretta dolcemente attorno al polso di Greene che continuava a parlare “Adesso possiamo vagare nella tua memoria, Alaska, andare avanti e indietro e cercare anche quelle cose di cui non ricordi più.” spiegò calmo.
“E' così, Alaska.- continuò Greene- La tua memoria è come un film: possiamo andare indietro e fermarci sulle scene che ci interessano. Ora siamo tornati al giorno del tuo rapimento. Sei nel tuo giardino e stai giocando coi gessetti colorati sul tuo vialetto. Ricordi?”
“Sì.- confermò la ragazza, la voce sottile e percepibile a stento- Sto disegnando un arcobaleno e una fata. C'è un po' di vento è ho freddo, ma non voglio andare in casa a prendere la giacca. La mamma ride e dice che gli piace il modo in cui uso i colori.”
“Squilla il telefono, giusto?- disse lo psichiatra, che aveva letto attentamente il fascicolo riguardante il suo caso- E tua mamma va a rispondere. Che cosa succede dopo?”
Alaska aggrotta la fronte, come se fosse estremamente concentrata “Mi dice che devo rimanere dove sono, che torna subito. Io non l'ascolto molto perchè sono impegnata col mio disegno...”
La sua voce era diventata debole, ed iniziò ad agitarsi leggermente sul divanetto, la mano che stringeva il polso di Greene.
“Continua Alaska.” la esortò l'uomo.
“Qualcuno...qualcuno mi ha afferrato da dietro. Provo ad urlare ma lui mi mette una mano davanti alla bocca. Non capisco cosa succede.”
Si poteva sentire il panico nella voce di Ross e David si scoprì a trattenere il fiato, combattendo l'istinto che gli diceva di far interrompere la seduta.
“E' un solo uomo?” domandò Greene.
“Non lo so. Non riesco a vedere niente, e lui mi mette nel retro di un furgone. Inizio a urlare tanto ed ho paura e....” l'antropologa si mosse nervosamente sul divano, in preda all'agitazione.
“Va tutto bene, Alaska, va tutto bene.- la voce dello psichiatra era calma mentre cercava di tranquillizzarla- Niente di quello che è capitato può farti male adesso, è solo un ricordo. Respira piano, va tutto bene.”
Alaska fece quanto gli era stato detto e in pochi secondi ritornò a respirare piano, di nuovo ferma ed apparentemente in pace.
“Proviamo ad andare leggermente avanti nel tempo.- suggerì Greene dopo qualche minuto- Sei in un piccolo capanno di legno, la luce entra nonostante le finestre siano sbarrate con delle travi di legno. Descrivimi tu qualcos'altro.”
Bastarono quelle parole per far sì che la ragazza si agitasse di nuovo, la voce acuita da una sorta di isterismo “Sono in una gabbia. È tanto piccola e mi da fastidio restare qua dentro e non riesco a muovermi e mi fa male la schiena e i polsi. È stato l'uomo cattivo a farmi questo ed io...ho paura.”
Si interruppe per qualche istante e poi continuò a parlare “Ho paura ma non devo piangere o sarà peggio. Me l'ha detto lui.”
Greene poggiò la mano sopra quella di Ross, stretta convulsamente attorno al suo polso “Lui chi?”
“Lui è sempre qui con me quando l'uomo cattivo se ne va.” spiegò Alaska velocemente, mentre scuoteva la testa sopra il cuscino del divano. Stava peggiorando.
“Chi è lui Alaska?” chiese lo psichiatra, preoccupato dalla piega che stava prendendo la seduta.
“Non lo so. Sembra un ragazzino. Non lo vedo in faccia è troppo lontano da me.”
“Puoi avvicinarti.- disse l'uomo- Descrivici com'è.”
“No.- sbottò Alaska, la voce tramante- Non posso. Lui mi ha detto di stare ferma, se mi muovo si arrabbierà.”
“Non può farti niente, Alaska.- le assicurò Greene- Sei al sicuro ora. Avvicinati.”
Il corpo di Ross era teso e delle convulsioni casuali scuotevano di tanto in tanto la schiena della giovane, facendola muovere a scatti “Qua dentro non si può parlare. Ci deve essere silenzio. Sempre.”
Lo psichiatra lanciò un'occhiata a Rossi, che ricambiò preoccupato mentre si avvicinava ai due “Adesso puoi parlare, Alaska.” continuò, rivolgendosi alla giovane.
“Ssh!”
Greene fece un ultimo tentativo per avere l'identikit che cercavano “Alaska, puoi avvicinarti. Descrivici questo ragazzino.” 
“No. Sta tornando.- dagli occhi chiusi di Alaska cominciarono a scendere lacrime copiose, mentre muoveva il capo con disperazione- Si arrabbierà, si arrabbierà!”
“Alaska, stai calma!” esclamò il medico, fermando il braccio con cui la giovane cercava di liberarsi da lacci invisibili.
“Mi picchierà di nuovo!- singhiozzò-Lo farà, lo farà!”
“Faccia qualcosa, adesso!” ordinò David in un ringhio, mentre cercava di tenere ferma Ross che si muoveva convulsamente.
“Calmati, Alaska, ascoltami: conteremo fino a dieci e poi ti sveglierai.”
I suoi urli erano disperati mentre stringeva la mano con forza intorno al polso di Greene“No, no!Sta arrivando!”
“Uno, due, tre, quattro, cinque...” contò lo psichiatra.
“Ti prego!Ti prego, sarò brava!” gridò di nuovo, fra le lacrime, mentre affondava le unghie nel polso dello psichiatra.
“...sei, sette, otto, nove, dieci!”
I lamenti di Alaska cessarono all'istante, così come il suo pianto disperato e nella stanza calò un silenzio irreale. Gli occhi di Rossi e dello psichiatra erano fissi sulla ragazza, in attesa di una sua reazione di qualsiasi tipo.
Alaska sbattè le palpebre diverse volte e si stupì di trovarsi seduta con il cuore che le batteva all'impazzata e il volto umido di lacrime. Si sfregò occhi e naso con la manica e continuò a guardarsi intorno confusa. Sentiva nella testa lo strano fastidio che accompagnava un pianto troppo forte e aveva il respiro troppo affannato per poter parlare.
“Va tutto bene, Alaska?” domandò il dottor Greene, posandole una mano sulla spalla.
A quel contatto non potè fare a meno di sobbalzare, gli occhi spalancati, ma alla fine annuì “Credo...credo di sì. È stato utile?Abbiamo scoperto qualcosa di utile?”
David scosse la testa “La seduta stava prendendo una brutta piega. Eri troppo agitata, abbiamo preferito interrompere.”
Alaska prese dei grossi respiri “Sono stata io a farle quello?” domandò mordendosi colpevole il labbro inferiore, mentre con il dito indicava i graffi sul polso arrossato del medico.
Greene le rivolse un sorriso gentile “Oh, mi è capitato di peggio durate sedute di questo genere, te lo posso assicurare.”
“Mi dispiace.- si scusò Ross con un sorriso- Ho dei cerotti in borsa, ma credo che siano di Topolino. Li vuole lo stesso?”
“Sono a posto così, grazie.- assicurò l'uomo con sguardo compassionevole- Sicura di stare bene?”
L'antropologa aggrottò la fronte mentre annuì “Sono un po' stordita, ma credo di cavarmela.”
“D'accordo.- disse Greene alzandosi e poi voltandosi verso Rossi - Vado a parlare con l'agente Hotchner, quindi?”
Il profiler gli fece un cenno d'assenso “Certo, vada pure.”
Con gli occhi seguì la figura scheletrica dello psichiatra mentre si allontanava.
“Mi dispiace, Dave.” mormorò l'antropologa, lo sguardo basso, non appena l'uomo uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Dave le si avvicinò con due soli passi e le posò le mani sulle spalle, incrociando il suo sguardo “Alaska ci hai aiutati più di quanto avresti dovuto.- le assicurò, cercando di rendere il tono della propria voce più rassicurante possibile- Ora sappiamo che Foller aveva un complice e probabilmente è lui l'uomo che ti perseguita. Lo rintracceremo.”
Ross gli rivolse un sorriso stiracchiato, i grandi occhi azzurri liquidi e arrossati dal pianto. Al profiler si strinse il cuore nel vederla così fragile e indifesa e, istintivamente, le accarezzò la testa con fare paterno.
“Ora vai a sciacquarti la faccia e prendi qualcosa di caldo da bere.- le suggerì- Immagino che sarai stanca.”
Alaska annuì e, dopo avergli dato un buffetto affettuoso sul braccio, lasciò il suo ufficio con una camminata lenta e un po' strascicata che non le si addiceva minimamente.

Quando Alaska entrò nella piccola area relax vi trovò all'interno Spencer, decisamente più calmo di quando l'aveva visto l'ultima volta. Incontrarlo aveva fatto sciogliere qualcosa, dentro di lei, all'altezza del cuore e perciò non potè che sorridergli dolcemente, nonostante fosse ancora agitata.
“Ciao.” disse, in un sussurro.
“Ciao.” gli fece eco lui.
Ross iniziò a muoversi con naturalezza in quello spazio quasi familiare, intenta a prepararsi una camomilla di cui sentiva la necessità “Sai- cercò di essere chiacchiericcia- mi hanno ipnotizzato!”
“Sì, è una tecnica sperimentale ma piuttosto efficace.- disse, prima di iniziare a spiegare, seguendola in ogni suo movimento nella piccola sala ristoro- Sai, è stato Milton Erickson a inventare una propria forma di ipnoterapia che permette di giungere all'inconscio del paziente. Non è una metodologia approvata da tutta la comunità scientifica, ma comunque è molto promettente. Oltre ad essere il fondatore della Società Americana di Ipnosi Clinica, è anche membro dell'Associazione Americana di Psichiatria e dell'Associazione Americana di Psicologia. In effetti la sua concezione dell'inconscio come parte autonoma della mente è decisamente interessante.”
Quando ebbe finito di parlare rivolse all'antropologa un sorriso spensierato, ma la trovò con lo sguardo fisso nel vuoto. Quando si accorse dei grandi occhi scuri di Spencer fissi su di sé abbozzò a un sorriso.
“Scusa, non stavo ascoltando.”
Se c'era una cosa che Alaska Ross non sapeva fare era mentire. Riteneva che raccontare bugie fosse troppo impegnativo e complesso, per il suo cervello incline a dimenticarsi perfino di mettersi le scarpe prima di uscire di casa, perciò la sua politica ufficiale era quella di non mentire mai. Aveva imparato ad ovviare a questa mancanza semplicemente omettendo quelle parti del discorso che non voleva rendere pubbliche e aveva imparato a farlo subito dopo il rapimento in cui era stata coinvolta quando aveva otto anni. Durante le sedute con lo psicologo che Rossi aveva consigliato ai suoi genitori si apriva e raccontava le proprie paure, ma quando tornava a casa, alla fatidica comanda “C'è qualcosa che non va?” scuoteva piano la testa e si apriva in un grande sorriso rassicurante. In fondo, per quanto fosse cresciuta, non riusciva ancora a perdere quell'abitudine di tenere per sé i problemi più gravi.
“C'è qualcosa che non va?” gli domandò Spencer, afferrandole dolcemente un braccio.
Alaska scosse piano la testa “No, io...devo solo andare in bagno a rinfrescarmi un po'.” disse, facendo comparire sul proprio volto il suo solito sorriso. Ma non occorreva certo il super-cervello di Reid per vedere che quel sorriso non era arrivato agli occhi, illuminandoli come era solito fare.
Il giovane profiler fece passare solo qualche secondo prima di seguirla e quando varcò la porta del bagno la trovò accucciata in un angolo.
Quando lo vide Alaska si tolse il sacchetto di carta, che aveva recuperato poco prima, da davanti alla bocca, cercando di prendere qualche respiro autonomamente senza cadere di nuovo in iperventilazione. Le capitava di rado di agitarsi in quel modo, ma quando accadeva era una vera e propria crisi di panico. L'ansia le saliva al cervello e lei poteva giurare di sentirsela scorrere nelle vene, facendole andare in tilt l'organismo.
“Meglio?” domandò Spencer, lanciandole un'occhiata attraverso lo specchio, preoccupato.
La ragazza alzò le spalle ritmicamente, seguendo l'andamento del proprio respiro, e poi scosse la testa.
“No. Ho paura e sono così...- i suoi occhi saettarono da una parte all'altra della stanza mentre cercava la parola adatta- così arrabbiata!”
Reid aprì la bocca per dire qualcosa ma, nonostante si aspettasse una reazione del genere, non sapeva che dire. La vide alzarsi e andargli incontro, continuando a parlare.
“Sono arrabbiata perchè tutto questo...non è giusto. Io non ho mai fatto niente di male e...non è giusto. Non è giusto!”
“Perchè non me ne hai parlato prima?” domandò dopo essersi umettato le labbra.
“Io non volevo che tu ti preoccupassi ulteriormente, suppongo.- borbottò stringendosi nelle spalle- Io...io immagino di aver pensato che, se tu avessi saputo del fatto che quando ho trovato quel teschio nel mio bagno e letto la scritta sullo specchio e poi visto quella foto mi si sono rizzati i capelli alla base del collo e non sono ancora tornati a posto da allora, beh, credevo che avrei solo peggiorato la situazione...E che poi se tu avessi saputo che ho pensato: Dio, ti prego, non ancora, non a me, saresti letteralmente impazzito e io...io ho bisogno di te adesso e...”
Spencer si avvicinò di slancio a lei, accogliendola fra le proprie braccia e stringendola più forte possibile.
“Lo so che è dura per te, Alaska.” sussurrò, la labbra premute contro i suoi capelli setosi.
“Sì...” soffiò la ragazza cercando di premere sempre più il volto contro il suo petto magro.
“Hey.- la chiamò Reid, afferrandole delicatamente le spalle e scostandola da sé di modo da guardarla in viso- Hey!Andrà tutto bene, ok?Sai, è statisticamente impossibile che un fulmine cada due volte nello stesso punto.”
“Davvero?E questo mi aiuterà in questa situazione?” Alaska lo fissò intensamente, gli occhi cerulei pieni di fiducia nella persona che aveva di fronte.
“Mi prenderò cura di te.” le assicurò Spencer, posandole un leggero bacio sulla fronte e poi stringendole scherzosamente le guance fra i palmi delle mani.
Dalle labbra della giovane uscì una risata divertita “Lo so.”
“Sai- gli confidò, mentre tornava a posare la testa contro il suo petto magro- a volte vorrei essere io quella che si prende cura di te.”
Reid le accarezzò i capelli “Ma tu lo fai sempre, Al. E poi, con tutti i dolci buonissimi che mi prepari, non potrei chiedere di più.”
Alaska rise, prima di alzare lo sguardo verso il suo viso per incontrare i suoi occhi “Spencer?”
“Cosa, Al?” esalò il ragazzo, perso in quello sguardo color cielo.
“Puoi stringermi ancora un po'?- domandò con un sorriso-Ho bisogno di sentire che ci sei.”
“Io ci sarò sempre per te.” le assicurò, forte di quell'affermazione.
Ross tornò a rifugiarsi nel suo abbraccio quasi come se lui fosse l'ancora che gli impediva di andare alla deriva.
“Al?” la chiamò, dopo dei minuti che gli sembravano decisamente troppo corti, Spencer.
Lei non si scostò da lui “Mm?”
“Dobbiamo uscire di qui.- disse tossicchiando- Sei una donna nel bagno degli uomini.”
Fu allora che Alaska alzò lo sguardo verso di lui e finalmente i suoi occhi chiari brillavano di allegria, come avrebbe dovuto essere sempre. Spencer gli sorrise e dentro di sé giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per mantenere quell'espressione spensierata sul volto della propria ragazza e, per prima cosa, l'avrebbe fatto risolvendo quella situazione il prima possibile.



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Aehm...Ok, sorry sorry sorry sorry!Il tutto elevato al quadrato, anzi al cubo, e poi moltiplicato all'infinito. Sono in ritardo di una settimana nell'aggiornamento ma giuro che ho avuto una week impossibile fra esami, stress e altre faccende. Potete perdonarmi?Please? Me fa gli occhioni sberluccicosi!
In ogni caso eccoci qua con il nuovo capitolo. Dico subito che tutto quello che so sull'ipnosi gunge da internet/film/telefilm/lezioni di psicologia e  che quello che so sull'argomento è un'accozzaglia di nozioni di cui non sono nemmeno sicura. Ergo, se qualcuno di voi è un ipnotista (esiste questa parola?bah!) abbia pietà e chiuda entrambi gli occhi!eheheh!Ordunque, che altro dire...Ah!Ebbene sì, gente!Metascrittura: ho provato a mettere una pagina di uno dei famosi libri di Rossi nella fanfiction. Che ve ne pare?Perchè, sinceramente, ho visto in libreria libri di Jessica Fletcher e Richard Castle, quindi se esistono autori che scrivono spacciandosi per scrittori dei telefilm io voglio assolutamente scrivere nella realtà i libri di David Rossi.Sìsì!Quella è la mia vocazione!!
Uhm...poi...qualcuno (non faccio nomi ma so che sta leggendo!) mi ha fatto venire le fissa sul come potrebbero essere i personaggi che creo nelle mie storie e alla fine ho trovato questo...
Che ne pensate?Corrispondono alle vostre aspettative?Sì, no, forse, non ve ne frega niente?Fatemi sapere.
Ok, visto che mi sto accorgendo che sto sclerando, vi saluto. Al solito fatemi sapere che ne pensate del capitolo e, non so se ve l'ho mai detto, ma vi adoro tutti: da chi legge in silenzio senza commnetare, a chi ha messo le storie fra i preferiti e a chi si prende la briga di scrivermi qualcosa. Siete fantastichevolissimissimi!:) Un bacione a tutti, al prossimo capitolo, JoJo.


Maggie_Lullaby : ok, basta io divento tua fan!Sei un mito!XD In ogni caso, sono contenta che concordi con la scelta dell'attrice :) Ho anche messo una immagine di Nate in questo capitolo perchè tu mi hai spinto in questa piega folle e ora sono spacciata!Quindi direi che è colpa tua, ecco, se sono condannata a trovare rassomiglianze nella realtà dei miei personaggi. Mi hai sulla coscienza!Adoro le foto che hai messo nei commenti, non le avevo mai viste ma sono fantastiche!:) Maaaaaa...Te mi fai anche pubblicità?Tu adoro, thanks a lot!Al prossimo capitolo dear, besos!

Luna Viola : Ebbene sì, io sono una di quelle folli che si guarda i telefilm in streaming in lingua originale o in doppiaggi folli in spagnolo od ostrogoto!eheheh!Però alla sesta non sono ancora arrivata, visto che sono rimasta indetro con la quinta...Cmq, sono contenta di avere una punizione così magnanima da parte tua....almeno credo!:D Come al solito grazie mille per tutti i complimenti che mi fai ogni volta, thanks thanks thanks. Visto che sei così gentile direi che mi mobiliterò per quella gigantografia di Nate per il tuo compleanno (in fondo, se lui non lo scopre potrei salvarmi!eheheh)Al prossimo capitolo, kisses!

TrueLife : Heylà!Wow, allora in questi casi dovrei fare tipo gli onori di casa?eheheh Benvenuta!:) Sono contenta che la storia ti piaccia, e anche i miei personaggi!Mi fa davvero piacere sentirlo e sapere che ti sei presa la briga di leggerla!Thnaks a lot! Alla fine l'aggiornamento è arrivato, a fatica, ma fra pc demoniaco, università, esami e tesi sono nel caos più totale, chiedo venia!Ancora grazie mille e, spero, al prossimo capitolo!Baci baci

eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee special guest star nelle recensioni in questo capitolo

Antu_ : Cavolo. Io non so davvero che dirti!Le tue recensioni sono state davvero fantastiche, non ti dico che piacere ho avuto nel leggerle. Lo giuro!:) Davvero, quello che hai detto su come scrivo, sulla storia, i personaggi e via dicendo mi ha davvero emozionato quindi grazie mille. In effetti, non sono una scrittrice ma mi piacerebbe diventarlo, in un modo o nell'altro, e spero davvero di riuscire a farlo, un giorno, e sentire le tue parole è stato molto incoraggiante. Un grandissimo in bocca al lupo per la tua nuova avventura universitaria a Pisa, sono contenta che continui a seguire la mia storia e che ti sei addirittura presa la briga di partire da Invisible Women. Un grosso bacio, dear!:)
   
 
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