Film > The Phantom of the Opera
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Autore: BigMistake    07/10/2010    1 recensioni
Dal prologo:«Sapete Colas, mia madre mi diceva sempre di aver paura dei vivi non dei morti!» le labbra truccate si distorsero in un sorriso sadico. «Non temo i fantasmi!»
Ispirato al musical cinematografico del 2004: Mentre si consuma il dramma del Fantasma dell'Opera la Parigi del 1870 sta cambiando. Gli ideali della Rivoluzione sembrano essersi dispersi, i ceti medi vanno via via scomparendo mentre la borghesia ed i nobili si preoccupano solo delle proprie tasche. Gli assetti della società mutano in maniera drastica, vecchie fazioni amiche si trovano su fronti diammetralmente opposti. La Guerra incombe sulla Francia con la sua scia di morti innocenti e corpi straziati, viziando il giudizio del popolo sull'Imperatore e decretandone il declino. Nell'ombra i vecchi giochi di potere e politica continuano a muovere i fili dei propri burattini. Questo è lo scenario mentre l'Opera Garnier è al rogo. Qualcuno osserva la scena, attende risposte da tempo. Ci sono mostri mascherati da Angeli, Angeli caduti che cercano di rialzarsi, ali strappate... Ed al Fantasma dell'Opera non resterà che adeguarsi al mondo che l'aveva rifiutato ...
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Nuovo personaggio, Raoul De Chagny
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lumière Noire - Deux anges tombés'
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CHAPITRE DEUX: Chez moi.

 

Palais Garnier si affacciava sull’avenue de l'Opéra a cui donava il nome e tutto sé stesso: la facciata dalle curve voluttuose e sfarzose si snodava tra elaborate statue posticce sistemate nelle nicchie. Le alte e slanciate colonne ioniche a sorreggere il peso del fregio decorato e del timpano dalle linee capricciose rievocando le glorie dei grandi templi del passato, in una rivisitazione ricca di quegl’elementi che lasciavano scorrere più e più epoche. Festoni e putti alati scolpiti nei floridi alto rilievi, condivano l’arte che si venerava al suo interno, cavalli rampanti descrivevano la prestanza scenica di quel gioiello barocco, Angeli dal volto di pietra la mancanza della pietà che in quel piccolo mondo in miniatura vi era.

Qualcosa deturpava la vista di fronte a quel gigante ferito: una grossa macchia di fumo nera che ne sfregiava il lato destro assieme ai segni di un’ustione violenta. Distrutta da chi più la venerava, rendendola simile al suo Re.

Volevi forse giocare a fare Dio, Erik? Volevi dimostrare che ciò crei puoi distruggerlo?

Sapere di essere stato la causa di quelle rovine un tempo splendenti gli acuiva la nausea nei confronti di sé stesso. La cenere dell'Opera era l'unica impronta che aveva lasciato di sé, con una scia di morte e paura infinita con cui spaventare qualche donzella di fronte ad una storia di fantasmi.

Hai ferito le tue creature per nulla Erik. Il tuo teatro. Christine…

No, era stato il mondo a portarlo all’isolamento, all’emarginazione. Il mondo l’aveva reso pazzo, spaventato dalla gente e costretto a spintonare. Il mondo lo aveva trasformato nel Fantasma dell’Opera.

Ed ora il Fantasma sarebbe tornato, riprendendo almeno ciò che gli spettava di diritto.

Passò per gli anfratti, le vie ed i corridoi che circondavano l’Opera e la studiò da ogni angolazione.

Il passaggio che aveva usato per scappare, quel cunicolo dove la sua altezza non poteva erigersi in tutta la sua maestosa eleganza era totalmente deserto.

Non così facile.

Possibile che non lo aspettassero? Che lo credessero morto?

Sembrava gli avessero spianato la strada, sistemando un bel tappeto rosso di velluto sotto i suoi piedi per poter tornare in quello che era ancora il suo regno.

Troppo semplice.

Non hanno mai brillato in lungimiranza Erik, dovresti averlo imparato ormai.

Vero. Ma questo non riduceva il senso di perplessità che quella situazione gridava.

Diventava un’onta alla sua intelligenza: due misere guardie all’entrata del teatro e qualche altra a circondare il palazzo nel perimetro esterno. Offendevano quello che era il suo genio. Possibile che una volta distrutto il regno, il Re non incutesse il giusto rispetto, o il giusto terrore in quelle menti bacate. Incredibile come questi due aspetti vivessero palmo a palmo, divisi dal sottile filo della devozione: rispetto, terrore erano così vicini che talvolta coincidevano. Il Fantasma chiedeva forse troppo nel non essere insultato dalla desolazione e l’abbandono in cui avevano lasciato il suo teatro?

Lo vedevano come Sansone a cui, una volta reciso fin alla radice la sua forza, non avrebbe più potuto combattere come un tempo?

Pensa solo a tornare a casa, Erik. Al resto ti dedicherai dopo.

Per tutta una vita l'avevano sottovalutato e per una volta, volle lasciare tutto all'improvvisazione.

Niente di studiato per percorrere nuovamente la strada di casa.

Incredibile come un uomo, in uno spazio angusto e appena areato, si senta realmente in grado di respirare. Era stato separato da quel luogo soltanto due miseri giorni, eppure la nostalgia che provava era pari a quella di mesi di lontananza. Guardava attorno a sé con gli occhi lucenti di un bambino, consapevole delle sue colpe mentre accarezzava le pareti di pietra con religiosa devozione ricordandone ogni minima scanalatura ed imperfezione, chiedendo scusa a quella che era stata la sua casa per tutta una vita.

Erik avrebbe potuto girare il mondo, cercare un altro posto come il Teatro dell’Opera dove vivere nel ricordo struggente di un amore non corrisposto, ma niente sarebbe stato come Palais Garnier.  Non c’è nessun posto al mondo come casa propria.

Non dovevo fare questo proprio a chi mi ha protetto nel suo caldo abbraccio, l’unico che si è mostrato leale sacrificando la sua stessa vita per coprire la mia fuga. Perdonami, mio mondo.

Ora, nel ventre devastato del suo dominio, divenne dimentico di tutto quello che aveva passato, della possibilità che vi fosse qualcuno pronto ad arrestarlo per i suoi misfatti. Superò la sua prigione dorata percorrendo il dedalo di impalcature, ponti e soppalchi, non diede nemmeno uno sguardo alla camera dei supplizi che aveva progettato con tanto ingegno, venendo letteralmente risucchiato verso il cuore pulsante della struttura, il centro nevralgico dell’arte che aveva avuto luogo fino a due giorni prima. Quasi in uno stato di incoscienza s’arrampicò su scale e corde accidentate, con il rischio che l’incendio l’avesse logorate facendole cedere al suo peso. Passò attraverso botole e segreti custoditi da lui stesso, per alimentare quel senso di irrequietezza che la sua onnisciente presenza creava sbucando dai posti più impensabili.

Come quella sera durante “Il muto”.

L’inizio del suo declino.

Sei entrato in scena da questo balconcino Erik, ti sei esposto eroso dalla tua brama di vedere il tuo genio nel trionfo della tua allieva. Non volevi più sentirti invisibile Erik. Sei arrivato persino a rendere muta una soprano gallina …

Uscendo da quella stessa porticina che dava sulla balaustra, circumnavigante per intero la circonferenza della cupola affrescata da cui centro scendeva in una pioggia di cristalli baluginanti l’incredibile lampadario.

Ora in quella platea non vi erano sfarzose ricche donne imbellettate da ciprie odorose e da astruse acconciature, o i loro accompagnatori che le mostravano come trofei. Tra i palchetti non vi erano binocoli intenti ad osservare più da vicino ballerini e cantanti talentuosi.

Il cimitero dei macabri scheletri delle sedute si stendeva come poveri ed unici superstiti, le suntuose sculture barocche cadute in terra fra di essi in un trionfo di teste bendate e corpi mutilati, tende bruciate e cadenti lasciavano i loro stralci di sporco velluto come sudari di cadaveri antichi. Gli affreschi del soffitto, che un tempo ritraevano un cielo dalle cui nuvole bianche uscivano piccoli angeli dalle ali dorate e con sguardi birichini, erano coperti da una volta oscura ed impenetrabile deformando le espressioni beate in grida di dolore, il sole non vi sarebbe più sorto. Infine, con la sua mastodontica mole, la grande carcassa del lampadario addossata contro la fossa dell’orchestra schiacciando le prime file sembrava un tetro effetto scenico calato alla fine di un opera distruttiva.

L’odore caldo del fuoco, quel misto tossico di vernice, legno e morte, raschiava la gola a monito di chi avesse osato anche solo avvicinarsi alla più cruda ferita inferta. Lasciava senza fiato, senza la speranza che un giorno quel rigolo di sangue si potesse sanare.

Il Figlio del Diavolo ha creato il suo inferno.

Il Fantasma si sentì mancare, le gambe indebolite lo costrinsero ad appoggiarsi alla balaustra fatiscente intorpidito dalla visione di tale spreco o forse per aver inalato ogni sorta di veleno non ancora spurgato. I fumi, poi, sembravano condensarsi invece che diradarsi e contribuivano al forte senso di stordimento che avvertiva nella sua testa oscillante, come dopo un uso sconsiderato di oppio.

Tra le ombre della sua testa iniziarono a danzare i demoni, muovendosi su quel palco mangiato dal fuoco. Erano ballerine in maschera che si muovevano flessuose insieme alle correnti. I loro abiti, dai colori scarlatti e fumosi, si aprivano in ampie ruote di tulle e pizzo sopra le gambe bianche e le scarpette rosse. Intorno ad essi i resti delle scenografie, il ponte che sovrastava pericolante le assi del palco iniziarono ad animarsi come quella notte. I lembi di stoffa serpeggiavano come lingue di fuoco simboleggiando le fiamme della brama carnale, maestra d’amore puro e completo, sensuali e sinuose come le curve del deserto orientale, o come le colline del corpo ardente di una donna.

Tentò di scacciare via quella visione, mentre la musica creativa e geniale del Don Juan incalzava sempre più prepotente. Riecheggiava nel volto smagrito dell’Opera con i suoi accenti potenti e quei ritmi decisi, che trasudavano l’amore e la passione provata per la sua musa ispiratrice.

I ricordi l’assalirono prendendo al collo, strangolandolo. Ed ecco Christine, con la sua bocca capace di dare brividi, la sua voce angelica, il suo sguardo ammaliante che ostentava innocenza e purezza, il profumo della sua pelle d’alabastro, i fluenti ricci che le scendevano come una cascata sulle spalle candide, avvolta nell’abito che lui stesso aveva disegnato per la propria Aminta. Le labbra gli bruciarono ancora, sentì quei delicati petali rosei muoversi sulle sue in quel bacio forzato dal suo ricatto. C’era ancora deposto il suo sapore d’ambrosia divino.

Un bel gioco di Dio quello di donare anche solo per un istante fugace, illusorio, ciò che più anelava. 

Eri venuto per tormentare come un fantasma ed ora sono i fantasmi che tormentano te.

La forza crescente del suo Don Giovanni terminò in un solo battito di ciglia.

La musica, i ballerini, Aminta.

Tutto scomparve.

Tutto scomparve sotto la minaccia di un qualcosa di appuntito contro la sua schiena.

Come era stato stupido. Tutto quell’amore, la commiserazione, ne avevano evidentemente indebolito l’astuzia rendendolo più stolto del damerino nobile che si era preso la sua Christine. Sarebbe stato proprio tipico di Roul de Chagny buttarsi di testa in una trappola. Questo era il vero insulto alla sua intelligenza, l’essersi paragonato a quel pesce senza spina dorsale e con la passione di un blocco di marmo.

Stai diventando anche tu un cavaliere ingessato, Erik?

«Non vi facevo uomo da cliché, monsieur le Fantôme!Il vostro proverbiale genio è evidentemente sopravvalutato, siete stato così sciocco da tornare sul luogo del delitto che, quasi, stento a crederci.» quello che udì lo lasciò di stucco. Tutto si aspettava fuorché una voce femminile, bassa e roca, impostata come se stesse recitando una grande commedia. «Voltatevi!» la potenza con cui si pronunciò ricordava molto degl’ordini del fantasma. Riconosceva bene le persone che detestavano i no, lui stesso odiava che non venissero rispettate le sue garbate indicazioni.

Ubbidì, calcolando ogni suo singolo movimento. Placido come un mare che attende le nuvole all’orizzonte, ruotò su sé stesso. Il lembo del mantello scivolò di lato lasciando intravedere i suoi abiti di scena, quelli che la sera del Don Juan portava con un’eleganza da far tremare le mani. La donna non parve intimidita dall’evidente differenza con quell’uomo che la superava almeno di una spanna in altezza e con le spalle larghe. La sovrastava con tutta la sua prestanza, minaccioso con i suoi occhi terribili e bellissimi a fendere il buio e quel mezzo viso vestito di bianco a disegnare la sua parte mancante. Lei invece aveva solo fatto un passo indietro continuando a puntare il pugnale contro il Fantasma, con la testa inclinata da un lato persa in uno studio approfondito della leggenda che aveva alimentato in tutti quegl'anni.

Troppo spavalda.

Già troppo spavalda e sicura solo perché tra le mani teneva un'arma dalla forgia orientale, di un paese lontano e alla moda a cui lei non sembrava appartenere. E poi quello strano abbigliamento che sulla sua fisionomia graziosa sembrava uno spauracchio, forse per destabilizzarlo, chissà.

Pantaloni su di una donna, una bella donna, dovrebbero lasciare allibiti –almeno chi non è vissuto in un teatro in mezzo alle più assurde bizzarrie – spiazzati da quella che sembra una persona incurante della legge.

Ognuno ha le sue maschere, io sul viso e voi sulle gambe.

Per una volta la fortuna sembrava girare dalla sua, un ottimo inizio della sua nuova vita come fantasma.

Alle spalle amore e misericordia.

Ora poteva tornare a spaventare come un tempo.

Ma non si doveva lasciare ingannare, quella donna era strisciata alle sue spalle e lo teneva apparentemente sotto scacco.

Apparentemente.

«Forse siete voi la sciocca Madame, state minacciando il Fantasma dell’Opera nella sua casa!» era incredibile come cambiasse la sua voce, seguendo l’impulso di plasmarsi sul ruolo del momento. Non possedeva alcuna traccia della disperazione che ancora si trascinava dietro come una zavorra, vi era solo quel tono ipnotico che toccava il tuo animo fino ad eroderlo dall’interno, consumando con poche parole ogni certezza.

Sensuale e trascinante come quello del demonio che vuole portarti verso il peccato.

Gli occhi di quella giovane infatti vacillarono un momento dalla sua posizione di impavida fanciulla di ferro.

Il suono di quella voce poteva farti raggiungere le più alte vette del Paradiso, oppure scaraventarti giù nelle più oscure fornaci degl’Inferi.

In quell’infinitesimale porzione di tempo, appena intravisti nel buio, i suoi occhi si sbarrarono confusi.

Per quel poco Erik vide il timido agnellino spaventato. Un poco che durò ancor meno quando tornò ad essere il lupo dal passo d’argento, che avanzava poggiando di nuovo la punta del suo pugnale al centro dello stomaco, con il mento alto e la giusta fierezza a passarle nel cuore.

«Oh! Davvero? Che paura!Che dite dovrei scappare urlando, oppure mi metto in quell’angolo a tremare? Non è da tutti i giorni incontrare un Fantasma.»

«Come … vi permettete?»Malice gongolava perché la sua strafottenza aveva sortito il giusto effetto voluto. Cercava di neutralizzarlo in quella battaglia mentale che avevano intrapreso, non doveva dimostrare che avesse alcun potere sulla propria volontà.

E lui sembrava infuriato, da quella sfacciataggine ostentata con orgoglio. La stessa che induceva suo padre a segnarle la schiena con il frustino. Bell’ipocrita.

Eccome se era infuriato. Lo vedeva tremare scosso dall’ira incontrollata, con il bisogno impellente di darle una lezione.

Se solo non ci fosse stata quella piccola lama affilata fra di loro, non si sarebbe fatto scrupolo a colpirla. Non gli importava che fosse una donna più debole di lui, gli doveva rispetto.

Non permetterle di prenderti in giro Erik, chi è questa ragazzina insolente per permettersi di sfottere il Fantasma dell’Opera? Non farti mettere i piedi in testa, tutti hanno paura del Fantasma. Hanno visto di cosa sei capace!

«Qualcosa che non va,monsieur le Fantôme? Vi brucia che qualcuno non ha paura di voi, oppure è ancora troppo cocente la vostra delusione amorosa per quella cantante … come si chiamava?»

Questo era decisamente troppo. Lo stava deliberatamente provocando.

Gli insulti su di lui potevano essere persino tollerabili, ma il non ricordare il nome della miglior voce mai udita all’Opera sua personale creazione era veramente troppo. Poi con quale insolenza si stava mostrando a lui, padrone indiscusso del teatro che la stava ospitando. Le avrebbe volentieri strappato quel dito che picchiettava sul mento e cucito le labbra crucciate in un bacio fittizio al proprio pensiero.

Avrebbe conosciuto cosa significava sfidare la furia del Fantasma dell’Opera.

Scattò verso di lei afferrando il polso che teneva l’arma, sperando che la sua presa cedesse con un colpo secco.

Come si sbagliava.

La donna era riuscita ad anticiparlo provando poi ad affondare la sua lama sulla schiena.

E quegli scambi divennero solo il principio di una danza funerea lungo quella stretta balconata. Se ci fossero stati degli spettatori in quella platea vuota e desolata avrebbe visto solo la fluida cappa nera avvolgersi e gonfiarsi in una splendida coreografia con il loro silenzio interrotto solo dai rumori dei loro colpi a crearne il ritmo.

Per quanto volesse, Erik, si sentiva frenato.

Fremeva dalla voglia di zittirla, di prendere quel fine collo da cigno e spezzarlo sotto la sua cruda morsa, eppure si stava limitando a proteggersi. Quando cercava di attaccarsi titubava, incontrava quegl’occhi da cerbiatto accecati da una furia inconsueta, una passione che mai era riuscito a vedere in nessun’altro se non sé stesso.

Le sue movenze, il suo modo leggero ma deciso di fendere il pugnale, anche il semplice corpo a corpo, ricordava il volo di una fenice o l’ondeggiare dei rami pendenti di un salice. Aveva il sapore di un’arte, appresa forse in qualche luogo lontano ed esotico.

Siete sempre più una delusione monsieur, non eravate voi l’efferato assassino dell’Opera?

Doveva solo prendere tempo.

Quello era il suo regno, lì c’erano le sue trappole da dove nessuno poteva sfuggire.

I loro passi si protrassero fino ad un punto cieco dove la balconata e la balaustra s’interrompevano bruscamente per lasciare spazio al vuoto, precipitando in un abisso di polvere e cenere.

Che indicibile fortuna, Erik, guarda dove sei capitato!

Malice sentiva la situazione in pugno, il caro fantasma alle spalle aveva solo il precipizio e null’altro.

Se teneva cara la vita avrebbe dovuto arrendersi.

Siete in trappola, monsieur! Ora non avete scampo.

Entrambi con il respiro contratto per la fatica, i loro petti sussultanti dall’affanno si osservarono in una fase di stallo, Regina contro Re in una lotta all’apparenza impari.

Ma non era il Re ad essere sotto scacco, ma il Signore delle Botole che aveva sempre una via di fuga.

«Arrendetevi e seguitemi senza fiatare, monsieur! Non avete altra scelta!»

Erik l’accontentò nel suo mutismo descritto da un ghigno soddisfatto, ma non si piegò al suo volere. Anzi, con la stessa aria di provocazione che aveva quella donna maligna le fece un cenno: sollevò la mano in sua direzione e con un movimento del dito l’invitò a venire verso di lui.

Malice storse le labbra sorpresa, non si aspettava un simile gesto e di sicuro non lo gradiva.

Si scagliò su di lui senza pensare, odiava profondamente chiunque si prendesse beffa di lei, era come se i suoi trucchetti le si ritorcessero contro.

Non ebbe il tempo in realtà di formulare un pensiero.

Erik si scansò con la stessa rapidità con cui lei l’aveva assalito aprendo una porta a scomparsa sul muro ricurvo della cupola, passando attraverso la parete come un fantasma.

Non aveva perduto la dimestichezza con cui si muoveva attraverso le pedane mobili, volando sui soppalchi.

Un angelo nero nella notte a cui erano cresciute di nuovo le ali.

Ma il rimpiattino con quella strana donna non era finito.

Continuavano a rincorrerlo attraverso quella giungla di corde e assi sospese nel nulla, talvolta trovandola ai lati, altre volte dietro di sé, sempre a debita distanza.

È un gioco pericoloso ragazzina.

Quel viaggio sembrava non finire: scendevano, scendevano sempre più, assumendo le diverse forme che l’oscurità riusciva a donargli, due figure indistinte nel buio. Vi erano scatti e rumori metallici assordanti, il Fantasma si muoveva in piena padronanza dello spazio attraverso pareti divelte e pavimenti che si aprivano ai suoi ordini.

Persino le mura di Palais Garnier rispondevano al suo richiamo.

Malice si stava dimostrando un duro avversario, di sicuro fino ad allora il più meritevole. Riusciva a seguirlo abbastanza agilmente, evitando i diversivi che Erik le poneva di fronte.

Ma ogni gioco trova la sua fine. 

E la fine iniziò quando fu catapultata in un mondo ancora più tetro.

Davanti a lei non vi era che il nulla, persino il Fantasma era stato inghiottito in quelle strane ed irreali tenebre. Un buio nero senza alcun appiglio per potersi sorreggere, si sentiva sommersa in una camera dalle pareti scure e nessuna fonte di luce a rischiararne il cammino.

Non posso essere finita nel nulla!

Rallentò fino quasi a fermarsi. Si muoveva cauta attendendosi da un momento all’altro che le si presentasse alle spalle per colpirla.

Invece a tradirla fu proprio il pavimento che le venne a mancare da sotto i piedi, lasciandola precipitare in un altro posto sconosciuto.

«Questo non vale monsieur!» urlò indispettita una volta rialzata contro il silenzio. Una bambina che fa i capricci e piagnucola risentita.

Clack, clack, clack. Tre singoli suoni metallici. Potevano essere interpretati come dei chiavistelli aperti, disincastrati con qualche meccanismo.

In quel momento, Malice ebbe davvero paura.

Era sempre stato un lavoro come un altro fino ad allora. In fondo le era capitato altre volte di trattare con ladri, assassini, truffatori, folli maniaci. I suoi metodi persuasivi avevano sempre giocato a suo favore e lei era sempre stata una grande osservatrice.

Ma questo andava al di là di ogni sua competenza, quegli specchi che riflettevano innumerevoli volte la sua immagine iniziarono a girare a favore di una luce sbucata dal nulla. Alberi, riflettevano alberi di metallo infinite volte lasciandola spiazzata, una foresta senza sentieri con cui  riuscire a districarsi da quel labirinto.

I corridoi di un gran palazzo, un monsignore genuflesso in preghiera. “Ti sei persa figliola?”

«Che diavolo di posto è questo?»

Sei pura Lucia. È per questo che ti ho voluta, non tua sorella. Tu sei un bianco giglio, il mio giglio.

«Diavolo?» da dove proveniva quella voce: ovunque e da nessuna parte.«Ci siete molto vicina …»

Era braccata, senza via d’uscita, in trappola. Un ultimo bacio al crocifisso, qualunque cosa fosse successa avrebbe almeno lasciato il suo ultimo saluto. Non vi sarebbe stata alcuna redenzione, ciò non la rendeva meno devota a quel simbolo.

Quando le sue labbra sfiorarono il gelido metallo, una grassa risata assordante riecheggiò potente. Troppo potente.

Malice fu costretta a tapparsi le orecchie con le mani, lasciando cadere il suo pugnale e rovinando con le ginocchia in terra.

Guardala ora, indifesa e coricata sul pavimento. Non siete più tanto spavalda!

Non gemeva, non implorava pietà, non tremava. Le avevano insegnato a sopportare il dolore.

Si proteggeva.

 

È il tuo turno Lucia, metti la benda e cercami.

Amava quel gioco da bambina: si bendavano a turno gli occhi e si cercavano nel prato.

Uno dei pochi dolci ricordi d’infanzia. 

Metti anche stanotte la benda e tappati le orecchie con questi Lucia.

Le aveva detto che era un nuovo gioco. Serviva per fare dei sogni più belli che probabilmente avrebbe ricordato.

Bugia: serviva  per non assistere al suo incubo.

Ma la mattina non ricordava mai nulla, le sue notti totalmente oscure. Si sentiva gabbata dalla sua stessa sorella.

Segui la mia voce, segui la mia voce.

La canzonava girandole attorno per confonderla, le sue mani tastavano il vuoto attorno a sé provando a prenderla ma senza riuscirci finendo solo per agitarsi e ridere come un’ossessa quando cadeva a faccia avanti.

Ci vollero alcuni tentativi prima di capire che non doveva procedere a tentoni.

Ferma, immobile doveva prestare attenzione agl’altri sensi.

Non mi piace più giocare a mosca cieca con te, Lucia.

 

Si proteggeva. E rideva.

Rideva, rideva, rideva.

In maniera contagiosa, soffocandosi con le sue stesse risa.

Durante il suo regno aveva visto molte reazioni di fronte al terrore: gente che smetteva di parlare, chi singhiozzava, pianti puerili. Ma quella risata fatta con il cuore, come se tutto fosse realmente un gioco divertente, lo irritava a tal punto che s’avvicinò un po’ troppo.

Malice aveva smesso di ridere e lo aveva afferrato per il mantello.

Lo aveva strattonato avvolgendosi il braccio per destabilizzarlo e farlo cadere.

Molto coraggiosa, glielo concedo.

Ma Erik non cadde: ormai esposto si sbilanciò con il suo peso su di lei ruzzolando per un buon metro sul pavimento liscio quasi fosse un’unica lastra di marmo. Con le gambe era riuscito ad immobilizzarla premendo il ginocchio destro contro la bocca dello stomaco con forza, mentre le sue mani erano impegnate a tenerle i polsi sopra la testa. Come una tigre in gabbia provava a divincolarsi dalla morsa del Fantasma, ma Erik era troppo forte ed il suo peso era opprimente.

Odiava la sua debolezza di donna.

Queste sono le situazioni in cui non ti dovresti cacciare.

«Allora madame, qual buon vento vi porta ad importunare il Fantasma dell’Opera?»

«Ora avete voglia di parlare, monsieur?» rispose piccata con un gemito a morirle sulle labbra, quando la stretta s’intensificò sui suoi polsi e la gamba puntava più affondo sul ventre. Una sabbia mobile umana: più s’agitava e più la sua morsa diveniva salda.

«Non vi hanno insegnato che è maleducato rispondere ad una domanda con una domanda, madame?»

«E a voi non vi hanno insegnato che le donne non si picchiano?»

«Smettetela di prendervi gioco di me, chiaro? Non ho molta voglia di scherzare!»

Ma una mano nell’ombra lo colse impreparato.

L’attenzione del fantasma era tutta sulla ragazza, non pensava che un qualcuno alle sue spalle potesse posargli un fazzolettino dall’odore nauseabondo sul volto. Era forte, si premeva con prepotenza contro il suo naso cercando di fargli inalare quella sostanza che aveva riconosciuto quasi immediatamente: cloroformio. Una nuova diavoleria medica in voga in Europa e capace di provocare stati d’incoscienza molto lunghi.

Non doveva respirare mentre lo trascinavano via.

Doveva togliere quelle mani dalla sua faccia.

Si sentiva debole.

Incredibilmente debole.

Totalmente senza forze.

Buio.

 

«Colas, pensavate d’intervenire quando mi avrebbe uccisa? Ho sentito che ci stavate seguendo! Volevate liberarvi di me?»

Maledetto vigliacco.

Lo spazzino lo chiamavano, per via del suo lavoro a fianco dell’assassino di turno. D'altronde chi meglio di un truffatore poteva creare la giusta scenografia per coprirne le tracce?

 

Note dell'autrice: Bonjour! Lo so vi avevo chiesto tempo ed invece eccomi di nuovo qui! Bhè questi capitoli in effetti sono i più semplici visto che ancora non mi sono addentrata veramente nella storia: in effetti contavo di farlo invece la scena si è prolungata più del dovuto. Lo so, lo so sembra un'americanata ma che ci posso fare se da piccola ho visto un sacco di film d'azione!!! E poi dopo tutte le introspezione volevo un po' di sano moto. Per chi non l'avesse capito la scena è ispirata dalla morte di Bouquet (non so se scrive così, dopo lo controllo ed eventualmente lo correggo) e l'inizio si riferisce più o meno alla illustrazione che fanno vedere al principio nel film  prima del salto temporale.

Allura ci sono due precisazioncine tecniche pratiche:

-il cloroformio venne utilizzato per la prima volta nel 1831 come anestetizzante insieme all'etere per le puerpere e poi in chirurgia. Ho controllato come facevano per vedere se come nei film bastava il fazzoletto ed ho scoperto che si usava una mascherina con un'armatura in metallo a cui si applicava una garza imbevuta dell'anestetizzante di turno.

- Nel 1800 in Francia era in vigore una legge per cui le donne in pubblico non potevano vestirsi da uomo, a meno chè non fossero autorizzate dalla polizia locale. (pensate che è ancora in vigore questa legge, infatti le poliziotte francesi indossano la gonna =_=) Più tardi, verso la fine dell'800, la legge venne modificata permettendo alle donne d'indossare i pantaloni mentre andavano a cavallo.

Il perchè vi fosse così poca sorveglianza .... bhè al prossimo capitolo muhahahah...

Ora passiamo alla recensione:

Ciao Giuly, grazie per assistermi in questo viaggio stramboide e folle. In effetti lo scontro è avvenuto non proprio a colpi di spada, purtroppo la mia povera Malice con la spada non è proprio brava, preferisce armi di piccolo taglio. Basta non dico altro. Ah grazie per la correzione, sinceramente mi era sfuggito ... eh eh^^ Comunque spero anch'io per Erik che abbia altre maschere, di certo io non vado a controllare X_X non voglio scoprirlo ihihih!!! Ah grazie per il nuovo ed intenso capitolo della tua ff, molto bello ... un bacione che scappo!!!

Serva vostra.

Mally.

   
 
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