Ty
l’aveva fatta
semplice, “Il mio posto è stare vicino a Jeanne e
proteggerla, tu invece, molto
più di me, sai cosa devi dire, cosa devi fare…
qualunque cosa tu faccia mi
renderai orgoglioso di te, ora va… i tuoi
uomini ti aspettano…”
Così
dicendo, era
salito a cavallo e affiancatosi a Jeanne aveva atteso che la ragazza
ordinasse nuovamente
l’attacco a Les Tourelles.
Nonostante la
ferita, impugnando
la spada e la bandiera
bianca con raffigurato Dio benedicente il fiordaliso
francese, Jeanne comandava
ancora i suoi uomini dalla prima linea.
Da
dov’era adesso, al
riparo con tutta la cavalleria pesante dagli sguardi degli inglesi, Ian
non
poteva ascoltare le parole che la ragazza rivolgeva alle truppe,
udì soltanto
il grido che pronunciò alla fine:
“Agite
e Dio agirà!”
Poi
l’immenso
reggimento di soldati reclutati tra il popolo si
era lanciato una seconda volta verso il
castelletto. Li aveva osservati mentre avanzavano camminando per poi
trasformare progressivamente il passo in una corsa leggera, urlando per
darsi
coraggio.
Ian
scrutò la posizione
dell’esercito inglese ai piedi della piazzaforte in fiamme.
Tra poco il sole
sarebbe tramontato, nascondendo finalmente alla vista la mattanza dei
corpi
straziati nella precedente battaglia e di quelli che ancora non
sapevano che
non avrebbero più rivisto un’alba. Con
l’animo freddo e risoluto di chi sapeva
di non aver nulla da perdere, volse quindi lo sguardo verso le sue
truppe.
Li vide
stremati,
feriti, decimati dal precedente scontro, sporchi del loro stesso sangue
e di
quello degli uomini a cui avevano tolto la vita, ma i soldati di
Chatel-Argent che
potevano ancora reggersi su un cavallo erano tutti dinanzi a lui: la
cavalleria
pesante in prima linea e gli arcieri a cavallo nella retrovia.
Cercò Daniel in
mezzo agli altri cavalieri e gli rivolse un silenzioso saluto.
Sapendolo nella
retroguardia con gli arcieri, attenuava un poco
l’apprensione, ma non gli
alleggeriva la coscienza: stavano contravvenendo per
l’ennesima volta al patto
che i due amici avevano inutilmente stretto in passato. La sorte
sembrava prendersi
gioco di loro e più giuravano di tenersi lontano dal
pericolo, più il pericolo infine
li reclamava a sé, come se non fossero mai davvero padroni
del loro destino.
Con la mano
libera
dalle briglie, accarezzò il collo già leggermente
sudato del poderoso cavallo
da guerra. L’animale nitrì e si lasciò
condurre docilmente davanti allo
schieramento dei cavalieri. Ancora poco e sarebbe stato scontro in
campo aperto
con gli inglesi e allora, in un modo o nell’altro si
augurava, avrebbe potuto chiudere
i conti col destino.
Non aveva
più paura di morire
oramai, non temeva più nulla per sé dopo quanto
era accaduto, ma di una cosa
aveva ancora il terrore: cadere in battaglia senza aver rivisto
un’ultima volta
Isabeau, morire senza sapere di averla salvata, senza conoscere se lei
era
ancora viva, se aveva sofferto. Se le avevano fatto del male. Ognuno di
questi
interrogativi era doloroso in modo intollerabile, ogni dubbio era
insopportabile
e l’avrebbero divorato finché fosse impazzito
oppure avesse finalmente trovato
le risposte che cercava.
Era
più che mai
consapevole che solo la battaglia imminente avrebbe placato la sua
rabbia e
solo il sangue di William Glasdale avrebbe estinto la sua sete di
vendetta.
Daniel
l’aveva
affermato apertamente e Ian sapeva che non si sbagliava: il rapimento
di
Isabeau l’aveva cambiato per sempre: come una crisalide,
quell’episodio l’aveva
aiutato a rimuovere definitivamente il vecchio involucro, ma dalla muta
non ne
era emersa una farfalla, ma il cavaliere temibile e implacabile che era
diventato. Lui apparteneva al Medioevo ormai, fino all’ultima
fibra del suo
essere e gli scrupoli di civiltà dell’uomo moderno
erano ricordi lontani ormai parecchi
secoli.
Con ancora
questi
pensieri che gli affollavano la mente, fece caracollare il cavallo per
qualche
passo, attendendo che le voci degli uomini in formazione di fronte a
lui si
quietassero prima di prendere la parola.
“Cavalieri,
ascoltatemi…”
esordì non senza una traccia di emozione nella voce e
sull’adunata scese progressivamente
il silenzio. “Come me, molti di voi hanno già
affrontato innumerevoli volte i
momenti che precedono la battaglia, chiedendosi ogni volta se
sarà l’ultima…”
Ian attese un istante, abbracciando con lo sguardo le centinaia di
armati
schierati in rassegna intorno allo stendardo del Falco
d’Argento.
“Voi
sapete perché
siete qui, intorno a questo stendardo”, continuò,
avvicinandosi e serrando con
rabbia l’asta che reggeva il blasone.
“Conoscete,
cavalieri,
il tributo di sangue e di gloria che la Francia esige da questo
esercito, più
alto di quanto oserebbe mai chiedere a qualunque altro,
poiché grande è la
nostra fama e più grande ancora…”,
urlò poi con tutto il fiato che aveva in
gola, “E’ IL NOSTRO VALORE!”
Un boato fu la
risposta, mentre un fremito di orgoglio percorse ogni uomo e
sembrò quasi
prendere vita, scintillando sulle spade sguainate in segno di saluto
alle
parole di Ian.
“Un
giorno, forse, arriverà
il momento che esausti, rotti, senza più sangue nelle vene,
non avremo più la
forza di combattere… Ma io vi dico, che non è
oggi quel giorno!”
Allentò
la presa sulle
redini e con una leggera pressione delle gambe ordinò al
cavallo di muoversi al
passo lungo tutto il fronte dello schieramento.
“Un
giorno forse indietreggeremo dinanzi al
nemico, ci lasceremo spaventare dalla morte e anzi la invocheremo. Ma
ancora vi
dico, che oggi… non è quel giorno!”
“Falchi
d’Argento!
Arriverà forse il momento in cui lasceremo indietro gli
amici, abbandoneremo
i compagni e
persino la speranza. Ma vi
giuro…”, Ian attese un istante prima di liberare
il suo grido, “che oggi non è
quel giorno!”
A far da eco
all’impeto
di queste parole, fu stavolta il clangore dell’acciaio
colpito ritmicamente
dalle armi dei cavalieri: per qualche momento il cuore di ogni uomo
pulsò allo
stesso ritmo delle centinaia di spade e di lance contro gli scudi, un
battito
così assordante che Ian rimase invano in attesa che si
placasse.
“E se
mai arriverà il
tempo”, urlò sopra quel frastuono, “in
cui tutti noi saremo costretti a
piegarci, in ginocchio, davanti alla corona d’Inghilterra,
sappiate ancora…”,
li spronò a gran voce, “che oggi non è
quel giorno!!”
“OGGI
NON E’ QUEL GIORNO!!” ruggirono le
milizie di Chatel-Argent, con un’unica terribile voce che
fece tremare gli
animi e la terra, sopra il rumoreggiare delle grida e del metallo
percosso
adesso senza sosta.
“No,
non è oggi quel
giorno”, confermò qualche tempo dopo il ragazzo e
tra gli armati calò
lentamente il silenzio, disturbato soltanto dallo scalpitare delle
cavalcature,
ancora innervosite dalle grida degli uomini.
“Perché
oggi, cavalieri, è invece il giorno
che liberemo le nostre donne e i nostri fratelli! Oggi è il
giorno che
spezzeremo le loro catene!” Ian si concesse un solo istante
per riprendere
fiato. “OGGI!” tuonò infine scandendo a
squarciagola ogni singola parola, “È IL
GIORNO! CHE SCRIVEREMO! LA STORIA! DI FRANCIA! SIETE CON ME FALCHI
D’ARGENTO?”.
Un
boato assordante di approvazione vibrò a
lungo nell’aria, finché lo stesso Ian chiese
ancora, con voce ormai roca:
“Siete
tutti con me
fino alla morte?”
“Fino
alla morte!”
replicarono i cavalieri in un solo boato, mentre Ian sguainava e
sollevava in
alto la spada, pronto a gettarsi nella furia della battaglia. In quel
momento,
mentre ogni uomo replicava il gesto del loro comandante, migliaia di
riflessi
catturati dalle lame balenarono sull’intera adunata, tingendo
il metallo già
intriso nel sangue con il rosso acceso del sole morente.
Ian volse
rapidamente lo
sguardo verso l’esercito guidato da Jeanne e Ty, per cogliere
la loro
posizione: era tempo di agire.
“E
allora, cavalieri…
per Jeanne d’Arc! Per amore della nostra terra! E nel nome di
Dio… Andiamo a
forgiare il nostro destino!”
Isabeau,
amore mio, sto arrivando, aspettami, ti prego
aspettami… fu
il suo
ultimo pensiero, prima di scagliarsi in avanti, verso la fortezza
rischiarata
dai bagliori delle fiamme che la consumavano.