A Day in The Life
Il giorno in cui ho sentito per la prima volta la
sua voce sul nastro
mi sono quasi arrabbiato.
Vocalizzi,
bassi estesi, mugolii:
chi credeva di essere, Robert Plant? Voce troppo profonda poi, un
falsetto come
quelli del vecchio gli avrebbe fatto esplodere le palle. E a me
– noi – non
serviva un virtuoso che
avrebbe finito per spomparsi alla terza traccia, serviva uno con le
palle: Jeff
si era, come al solito, fatto prendere dall’entusiasmo e non
era un bene.
Potevamo fare qualche altro provino, sentire qualche altro cantante.
D’accordo,
fino a quel momento non avevamo avuto molta fortuna con quello stronzo
di Mark
che ci remava contro, ma avevamo già un mezzo contratto da
offrire come
garanzia di serietà, no? Da qualche parte saremmo arrivati,
qualcuno avremmo
trovato.
Invece no, Jeff è peggio dei muli
quando s’impunta. E poi anche Mike e Matt e Chris. Persino
Chris diede la sua
benedizione dopo aver ascoltato il nastro, nemmeno avessimo
già deciso la
formazione.
Il giorno in cui l’ho incontrato la sua
faccia mi ha detto poco o
niente.
Non era come Andy, non era né alto né particolarmente prestante, non aveva nessuna particolarità interessante: il classico belloccio californiano con un ridicolo taglio di capelli e l’aria da surfista; praticamente uno stereotipo che al più andava bene per il rock degli anni 50, non per quello che avevo in mente io. Jack ci aveva rifilato un due di picche e pensava di sdebitarsi mandandoci un ragazzino con troppi grilli per la testa? Non avevamo bisogno di un cantastorie da falò, né di un cacciatore di figa, avevamo bisogno di un cantante.
Il giorno in cui l’ho sentito cantare dal
vivo per la prima volta ho
pensato che ero un povero stronzo.
Il
ragazzino – che avevo scoperto
essere più vecchio di me
– non era Plant e non era Jagger, voleva essere Joey Ramone,
probabilmente, ma
sapeva di non averne i numeri, quindi si accontentava di mostrare se
stesso. O
di essere nessuno. Non mi è stato subito chiaro e non sapevo
cosa pensare.
Non si spompava alla terza traccia,
però, di quello fui costretto a
dargli atto. Nonostante vocalizzi e mugolii. Dunque fui anche
costretto ad
ingoiare i miei pregiudizi e le mie perplessità e a dargli
il benvenuto nel
gruppo, perché Jack aveva avuto ragione e si era fatto
perdonare alla grande.
Il giorno in cui ci ha mostrato il suo diario ho
pensato fosse scemo.
O matto. O tutte e due le cose: a ventisei anni non si dovrebbe tenere un diario segreto. Non si dovrebbe tenere un diario e basta, soprattutto se sei un uomo. Ma lui teneva un diario e ci scriveva e ci disegnava e ci schizzava i testi per le canzoni. E inizialmente furono quelle che ci mostrò: il problema è che le bozze dei suoi testi sono sempre state troppo simili a pagine di diario scritte da un ubriaco. O da uno che ha proprio un sacco di problemi che dovrebbe risolvere, stando possibilmente lontano da me. Mai detto di essere un tipo sensibile.
Il giorno in cui ha tentato di sterminare il nostro
pubblico ho pensato
che l’avrei ucciso.
D’accordo,
era un pubblico di
ubriaconi di cui probabilmente nessuno avrebbe davvero sentito la
mancanza, ma
che cazzo? Aveva lanciato quella maledetta base dell’asta
talmente forte da
fare un buco nel muro di fronte. E non suonavamo in una hall poi tanto
piccola
per essere praticamente degli sconosciuti.
Solo che poi ha preteso di
riprendere a cantare come se niente fosse e l’ha fatto
guardando bene in faccia
quegli stronzi instupiditi non si sa più se
dall’alcol o dalla paura che gli
aveva fatto prendere: non aveva mai
cantato guardando in faccia il pubblico, prima di quel momento.
Se ne
avesse mandato qualcuno all’ospedale magari avremmo avuto
pure uno stage
driving, chi lo sa.
Il giorno in cui ha dato di matto sul palco per la
prima volta ho
capito di non aver capito niente.
E scusate il periodo ingarbugliato. Forse, in fondo, più che Joey Ramone era Ian McKaye o Mike Tayson, anche se non aveva proprio il fisico. Qualche idiota della sicurezza stava picchiando un poveraccio del pubblico e lui – che ormai il pubblico lo guardava eccome – non ci ha visto più e si è lanciato come il matto che è su quell’energumeno che nemmeno l’ha riconosciuto. E che quindi l’ha riempito di botte. Solo l’intervento di Jeff – che è un energumeno di suo – e Kelly risolse le cose, sono riusciti a toglierlo dalle mani del gorilla, che si è pure scusato. E grazie al cazzo: meno male che non l’aveva colpito in faccia.
Il giorno in cui ha disegnato i baffi ad una foto
di Dave ho pensato
fossimo tornati all’asilo.
Odiava Dave, lo odiava tanto da fingere di sopportarlo. Se devo essere onesto, a nessuno di noi Dave piaceva davvero, era uno dei migliori batteristi avessi sentito in assoluto, ma era anche un imbecille. E convivere con un imbecille per sei sette otto mesi l’anno venti ore su ventiquattro è peggio di una tortura cinese se non sei un santo o Mike. Nessuno di noi è mai stato un santo e Mike è – fortunatamente – unico. Jeff, per dire, adorava suonare con Dave, creavano un’impalcatura ritmica meravigliosa, ma non riusciva a scambiarci civilmente nemmeno due parole quando erano lontani dai loro strumenti. Quindi mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte: la colpa dell’allontanamento di Dave dal gruppo se l’è presa lui che è il frontman, ma sono stato io a licenziarlo ed è stata una decisione meno sofferta di quel che si possa credere. Su, Dave non era una cattiva persona, ma era proprio un imbecille.
Il giorno in cui Cobain è morto ho
deciso che li avrei tenuti d’occhio,
lui e Mike.
Non
sono ipocrita e non lo sono
mai stato, Cobain non mi stava simpatico e non mi sono strappato i
capelli
piangendo il genio quando hanno dato la notizia. Non mi piaceva come
persona e
nemmeno tanto come musicista, se proprio vogliamo dirla tutta.
Però non sono
nemmeno stupido ed ho capito subito cosa significasse quel suicidio. Ed
era un
campanello d’allarme per parecchi di noi, e un paio mi
stavano sfilando proprio
sotto il naso, abbassare la guardia o perdersi d’animo era
fuori questione:
Cobain era morto e sarebbe diventato un mito anche suo malgrado, dunque
esattamente tutto quello contro cui in vita aveva combattuto.
È stato quando
l’ho realizzato che ha cominciato a farmi pena senza che mi
sentissi un
ipocrita. Ed è stato anche quello che ho detto a quei due
idioti: e per reazione uno
s’è sposato, l’altro si è
chiuso in una clinica per disintossicarsi.
Due a zero per me.
Il giorno in cui ho testimoniato al Congresso mi
sono accorto che la
politica trova sempre il modo di fregarti.
Noi siamo rimasti fregati, perché abbiamo seguito le procedure, abbiamo portato le prove, ma i soldi delle holding hanno avuto più voce in capitolo della verità. Come al solito la colpa è stata data al cantante, ma lo sapevano loro che un ex benzinaio surfista con il complesso del padre a tanto, da solo, non ci sarebbe mai potuto arrivare? È proprio vero che chi sta davanti al microfono è un bersaglio mobile, anche per la merda che toccherebbe per di più agli altri, perché c’eravamo tutti dentro, nel nostro gruppo le decisioni si prendono davvero in comune. E da sobri, checché ne pensi qualcuno. Ma l’affare Ticketmaster ci ha drenati in tutti i sensi, se siamo sopravvissuti a quello siamo immortali. E non intendo come gruppo. Però ci abbiamo creduto davvero di poter cambiare le cose, anche se poi si è rivelata solo una gran perdita di tempo. La politica ti frega.
Il giorno in cui ho incontrato di persona la morte
l’ho vista
galleggiare.
E
non sopra di me, ma sottoforma
di nove ragazzi che venivano trasportati a braccio fuori dalla fossa in
cui
erano appena stati schiacciati. Da altri ragazzi che volevano solo
divertirsi. Come loro. Come noi,
che suonavamo
davanti a tutti e stavamo riprendendo ad amare davvero quel che
facevamo senza
stress esterni. Che gran fregatura, eh? Non vale la pena rimetterci la
vita per
la musica, chiunque sia a suonarla, chiunque sia a morire. La musica
dovrebbe
farti ridere e piangere e pensare e arrabbiare: la musica crea
emozioni, crea
vita.
Ci ho messo due anni a
convincermi che non eravamo stati noi a creare quei nove corpi
galleggianti e
solo perché ho anche trovato il coraggio di parlare con
ognuna delle loro
famiglie. Ma quello non è un tipo di lutto che si
può elaborare insieme, per la
prima volta dopo dieci anni non abbiamo condiviso.
Forse è stato un bene però, perché a
dieci anni di distanza siamo ancora qui ed
a nessuno prende più la voglia di ubriacarsi al solo sentir
menzionare
l’incidente. Più o meno.
Il giorno in cui ha speso i nostri soldi senza dirci nulla ho dovuto fingere di
arrabbiarmi.
Un po’ perché ero d’accordo con la causa, un po’ perché non puoi arrabbiarti davvero con uno che, accortosi di aver fatto una stronzata, finge di non star implorando il tuo perdono guardandoti con quella faccia. Quindi non ero davvero arrabbiato, ma glielo lasciai credere, perché comunque il fondo comune del gruppo è… beh, comune. Doveva dircelo che voleva finanziassimo la campagna elettorale di Nader. I miei genitori mi hanno praticamente cresciuto come un hippie, guido un’auto elettrica facendomi prendere per il culo pure dai ragazzini in bicicletta, ma davvero credeva avrei fatto storie? Gliel’ho passato io Ishmael.
Il giorno in cui siamo diventati genitori il mondo
è cambiato.
E
sì, è un po’ come se lo fossimo
diventati tutti insieme nello stesso momento, anche se Jeff di figli
non ne ha
e non credo vorrà mai averne. Scemo.
A parte i due figli di Matt, pare
nel nostro gruppo nascano solo femmine ed a dire la verità
la cosa non mi
dispiace per niente: possiamo finalmente dire di essere pieni di donne
dopo
essere probabilmente stati lo zimbello del rock per aver avuto la minor
concentrazione
di figa da backstage in assoluto. Ma diciamocelo, abbiamo un cantante
che è
stato in sostanza sposato tutta la vita, io e Jeff siamo per i lunghi
rodaggi;
gli unici a divertirsi erano Mike e Dave, quando c’era lui: e
visto come ci
davano dentro con gli alcolici, quanto credete potessero durare con una
donna?
Il giorno in cui siamo tornati in Italia abbiamo
accettato la proposta
di Danny di girare un video-documentario del tour.
A me piace lavorare con Danny, sul serio, Clinch è proprio bravo, non è invasivo, riesce a capire quando sei a disagio e smette di scattare foto o spegne la telecamera, non aspetta la crisi isterica. E, quando si tratta di foto e video, l’isterico nel gruppo tendenzialmente sono io. Lo so, non è il mio il primo nome della lista se si pensa al sociopatico del gruppo, ma credetemi: gli altri sono dilettanti paragonati a me. Però il documentario è venuto bene, hanno chiacchierato tutti un sacco, Mike ha addirittura rimorchiato un vecchio più rincoglionito di noi. E poi, io nel dvd non ci sono, fanno tutto loro. E questo me lo fa piacere anche di più.
Il giorno in cui ho sentito il rumore del silenzio
ad un festival rock
stavo per avere un orgasmo in diretta.
E
come me parecchia gente, perché
certe facce nelle prime file parlavano chiaro. Cosa posso dire? Quando
Mike suona
in quel modo ogni resistenza
è
inutile, puoi solo lasciarlo fare e abbandonarti al flusso della
musica. Noi abbiamo
smesso di suonare e cantare, c’erano solo le sue dita a
pizzicare le corde e
ottantamila – e quattro – persone che gli tenevano
gli occhi addosso. Quando ha
finito c’è stato un sospiro generale e, con un
cantante che ti ricorda che le
chitarre vanno suonate e non scopate, non saprei dire se
l’ovazione che è
seguita sia stata di gratitudine o sollievo.
Ma scommetto che sono stati
concepiti un sacco di ragazzini, quella notte. Io, almeno, ho scopato.
Il giorno in cui abbiamo deciso che Ten aveva bisogno di una ripulita mi sono commosso.
Non so dove Jeff abbia ritrovato quella vecchia cassetta, non sapevo nemmeno l’avesse conservata. Eppure era lì e l’abbiamo riascoltata tutti insieme: vedere il diretto interessato quasi morire di vergogna e ilarità, riascoltandosi, è stato uno spettacolo che sono felice di non essermi perso. Valeva la pena durare tanto anche solo per vederlo in quello stato, per sentirlo ridere in quel modo assurdo mentre riascoltava i suoi versi incontrollati. Insomma, poi ero io il matto a non essere sicuro di volerlo nel gruppo? Ok, visto come sono andate le cose la risposta è sì, ma lui sta ancora a ringraziarmi di avergli dato una possibilità nonostante tutto. Dio, quella seconda traccia registrata è una delle cose più brutte, ridicole, isteriche abbia mai sentito. Ed abbiamo inserito una copia di quel nastro per il fanatic-pack, perché devi essere un fanatico per volere una cosa del genere. Noi, comunque, avevamo avvertito, poi liberissimi di buttare via i soldi.
Il giorno in cui siamo tornati primi in classifica di vendita mi sono dissociato.
E
intendo per davvero, sentivo di
essere due persone distinte. Da un lato ero felice come il ventenne che
si è
visto schizzare l’album di debutto nelle prime posizioni in
classifica. Dall’altro,
però, già mi sentivo troppo fiato sul collo e non
ero nemmeno stato io quello
con problemi di stalker: la paura potesse ricominciare tutto da capo,
di poter
rivivere le stesse tensioni, era tangibile e non solo per il
sottoscritto, Jeff
era nelle stesse condizioni. E non era per noi
che eravamo preoccupati, soprattutto.
Poi Danny ci ha portato in giro
per Seattle e ci ha scattato una foto davanti ad un muro.
Demented and sad
but social.
Eravamo noi, in fondo. E ci stava
bene.
End.