III.
[ Doors ]
Gli occhi verdi di Catherine
s’inabissarono in quelli altrettanto chiari dell’uomo che aveva davanti,
cercando di dare una collocazione sensata a tutto ciò
di cui era venuta a conoscenza negli ultimi interminabili minuti che aveva trascorso
in quel luogo sconosciuto.
Se qualcuno gliel’avesse chiesto, non
avrebbe saputo nemmeno dire quanto tempo fosse trascorso da
quando quell’anziano signore compito gli si
era presentato, vomitandole addosso tutta quella sconcertante storia.
Quillsh adesso si
ritrovava a dover sostenere uno sguardo smarrito e rammaricato, incapace di
indirizzare quegli occhi vuoti altrove per non avvertire più l’imbarazzante incapacità
di poterle fornire la risposta che, nonostante le condizioni in cui riversasse,
le si poteva leggere tranquillamente, a caratteri
cubitali, sul volto pallido.
Perché?
Estrasse un candido fazzoletto di stoffa da
una tasca dei pantaloni che indossava con movimenti incerti, per poi condurselo
alla fronte, indeciso se distogliere o meno lo sguardo
dalla donna… che sembrava non voler distogliere affatto il proprio dal suo.
-
Ho
anche preso in considerazione l’idea di rimandare tutta questa lunga conversazione
ad un momento… migliore -.
Fece una breve pausa, rimpiangendo lo
scarso lessico che in quel momento veniva a presentarglisi
sottoforma di nervosismo, asciugandosi per l’ennesima volta la fronte sudata e
prendendo a stropicciare il fazzoletto.
-
Ma
ho creduto che necessitasse di sapere… – concluse,
riportando al loro posto gli occhialini che gli erano scivolati leggermente sul
naso, cercando di captare qualsiasi mutamento nell’immobilità a cui si era
costretta la ragazza, i cui occhi, improvvisamente, andarono a spalancarsi più
di quanto non avessero già fatto. Sintomo che aveva definitivamente assorbito
le informazioni che le erano state fornite.
-
È
qui? - .
Quillsh Wammy sollevò lentamente il capo – precedentemente
abbassato – per focalizzare nuovamente l’attenzione sulla giovane donna, la cui
espressione era mutata, seppur non riusciva bene a identificarne il modo.
Si limitò ad annuire, assolutamente
sorpreso e perplesso del fatto che in quel momento, tra le tante cose di cui le
aveva parlato, potesse essersi concentrata su lui.
-
Dove?
– chiese ancora una volta con voce stranamente ferma.
Watari
osservò rapidamente ogni dettaglio della persona che aveva davanti… riscoprendola
completamente innocua.
Quella era una domanda che ne implicava
un’altra.
Una decisione simile poteva essere poco più
compromettente delle informazioni che le aveva dato,
si ritrovò a pensare sollevandosi dalla comoda poltrona di damasco, per farle
strada col classico garbo che lo contraddistingueva.
***
Proprio come aveva immaginato.
Rivolse di poco lo sguardo al monitor da
cui aveva ascoltato tutta la conversazione – o monologo, più che altro – che si
era consumato nella stanza affianco.
Gli occhi erano rimasti ostinatamente
incatenati al cielo buio che gravava su Parigi.
Quando la porta si dischiuse, rivelando la
luce del corridoio contro cui si stagliavano le figure
che si apprestavano ad entrare nella camera, Lawliet
rimase fermo al proprio posto, nella sua posizione ricurva, le mani affondate
nelle tasche dei jeans, lo sguardo semi nascosto dalla chioma disordinata di
capelli corvini che, mai come in quel momento, celavano poco più delle altre
volte la sua espressione nervosa.
Lo stomaco aveva ripreso a stringersi.
Quando Quillsh si fu messo da parte, discretamente appoggiato allo
stipite della porta color crema, Catherine fece il
suo primo passo nell’ambiente elegante lasciato divorare dall’oscurità.
Avanzò con passo cadenzato, lentamente,
avvertendo i propri tacchi venir attutiti dalla
moquette morbida che sembrava rivestire l’intero pavimento della camera.
Esattamente di fronte a lei una grossa
finestra rettangolare mostrava un paesaggio cupo, illuminato raramente da
qualche fulmine che si stagliava contro il cielo plumbeo, facendo luce per un
attimo su tutto ciò aveva intorno. Compresa quella che
identificò essere una persona.
Strinse i pugni.
Lawliet
osservò la femminile figura longilinea farsi sempre più vicina.
La scarsa illuminazione proveniente dalla
finestra che aveva alle proprie spalle gli consentiva
di avere un’altrettanta scarsa visuale della donna, sebbene ricordasse perfettamente
il suo aspetto. L’unica cosa che differiva dal suo ricordo erano i capelli, che
adesso le ricadevano sulle spalle disordinatamente, come tante sottili e
morbide spirali sfuggite ad un’acconciatura improvvisata.
Quando Catherine avanzò nella camera a tal punto da trovarsi a meno di un
paio di metri di distanza da lui, ebbe modo di considerare che i capelli non
erano l’unica cosa diversa che ricordava.
Non seppe perché ad un certo punto aprì la
bocca per parlare. Non ricordava nemmeno cosa esattamente intendesse
dirle. Ne perché.
Lo schiaffo arrivò forte e inaspettato, a
tal punto che, ancora una volta, si ritrovò nella totale impossibilità di
definire se fosse stato davvero forte come aveva
immaginato o se semplicemente l’essere stato preso in contropiede avesse
costituito per lui uno smacco.
Continuò a rifletterci anche mentre si
appoggiava grossolanamente al divano poco distante da lui e la teiera afferrata
da Watari poco dopo aver chiuso la porta s’infrangeva
al suolo, disgregandosi in tanti piccoli pezzi.
Doveva essere stato preso in contropiede
anche lui a giudicare dall’immobilità a cui si era sottoposto in un primo
momento, nonostante la donna fosse tornata a inveirgli
contro, mostrandogli nuovamente quel paio d’occhi irriconoscibili e
vomitandogli addosso una lunga sequela di parole che inizialmente non afferrò.
-
…figlio
di puttana! Figlio di puttana! Lurida giustizia del cazzo!
- .
Chissà se si era resa conto di aver
iniziato a piangere.
Non riusciva a toccarla.
Non riusciva ad allontanarla da se,
nonostante gli avesse afferrato la t-shirt con entrambe le mani e si fosse
messo a scuoterlo violentemente. Riuscì però ad intravedere Quillsh
precipitarsi ad afferrarle la vita con entrambe le braccia e a sollevarla di
peso per allontanarla da lui… poi un’ennesima lunga sequela d’imprecazioni… di farneticazioni.
Non era vero che le aveva distrutto la vita.
Non era stato lui.
Se non fosse
intervenuto, lei sarebbe morta.
E non poteva farci
nulla se adesso la sua vita le sembrava inutile.
Non poteva farci nulla se avrebbe preferito
morire.
Non poteva farci nulla se lei pensava che
il suo intervento non era stato tempestivo.
Né che aveva dovuto attraversare l’inferno
per desiderare comunque la morte.
Né che… Kira era migliore di lui.
Non era vero che se n’era sbattuto.
Lui lavorava continuamente, perennemente, a casi che lei non
immaginava nemmeno.
… non era colpa sua.
Continuarono a rimbombargli nella testa tutte quelle cose anche quando Catherine non ebbe più fiato e forza per continuare.
La vide ruotare gli occhi all’indietro e
cadere come un peso morto con il volto ancora contratto in una maschera feroce,
d’odio, che andò dissipandosi man
mano che perdeva i sensi.
Un profondo senso di negazione si fece
spazio in lui… ma quando provò a scuotere la testa non riuscì a muoversi,
scoprendo di essersi completamente impietrito.
E le campane… le campane non avevano mai
suonato così tanto…
- Lawliet - .
Gli occhi d’ossidiana cercarono subito
quelli del proprio mentore, scoprendovi uno stato d’apprensione che non aveva
mai avuto modo di osservare prima. Solo allora si rese conto della posizione
scomoda che vedeva l’uomo inginocchiato per terra, a sostenere il peso della
donna con un braccio e tenendo il cellulare accanto all’orecchio con l’altro.
-
Tra
dieci minuti arriverà l’ambulanza – lo avvertì scandire, probabilmente per
essere certo che recepisse perfettamente. – Devi
occuparti tu di tutto il resto - .
Seppur con una certa
difficoltà, riuscì ad annuire, evitando accuratamente di rivolgere lo sguardo
al corpo immobile della donna.
Così come con una certa difficoltà riuscì a
non lasciar trapelare nulla, attendendo con un’ansia crescente che Quillsh abbandonasse la camera,
trascinando con sé la matrice di tutti i suoi mali.
Quando la porta si fu
richiusa con un colpo secco, lasciandolo solo, Lawliett
avanzò – arrancando – verso il divano, riscoprendosene, ad un passo, poco
attratto.
Dato un rapido sguardo ai dolci poggiati
sul tavolo poco distante, si voltò rapidamente dal lato opposto, avvertendo una
fitta lacerante alla bocca dello stomaco.
Kira non
era migliore di L.
Si piegò in due, rigettando sul tappeto
porpora persiano.
***
Quando rinvenne si
ritrovò sorprendentemente adagiato su uno dei divani della sala, coperto da
quello che sembrava essere – a tatto – un lenzuolo.
Provando a muovere le gambe, avvertì
qualcosa impedirgli i movimenti, su cui subito focalizzò la propria vista.
La figura elegante e gentile di Quillsh gli invase la visuale, sostituita subito dopo da
una mano di quest’ultimo, che andò ad
adagiarsi sulla sua fronte.
Lanciò distrattamente uno sguardo al
termometro elettronico che impugnava il suo tutore, poi cercò d’individuare il
punto in cui aveva rigettato prima di perdere i sensi, scoprendolo
sorprendentemente immacolato.
Sospirò pesantemente, conducendosi un
braccio a schermirsi gli occhi, decidendo di restare poi in quella posizione.
Aveva i muscoli intorpiditi.
-
Giusto
qualche decimo – affermò la voce di Quillsh poco
dopo. – Vado a prepararti un po’ di thè – aggiunse, abbandonando il divano su cui era sdraiato.
-
Mi
dispiace - .
Watari si fermò sulla
soglia della porta, continuando a dargli le spalle.
Non aveva potuto fare a meno di chiudere
gli occhi.
Quelle parole avrebbe
dovuto dirle lui, non Lawliet.
Lawliet si era limitato a
mostrare un’intelligenza fuori dal comune, era stato
lui a creare L. Ed era stato
sempre lui, nel corso del tempo, ad avergli indicato la strada per diventarlo.
Non che non si fosse mai curato di vedere
che tipo di persona ci fosse dietro quella lettera in grassetto dai caratteri
gotici.
Ma non aveva mai
saputo insegnargli a fare lo stesso.
Tentennò sulla porta, voltandosi
lievemente, per un attimo, verso il ragazzo.
Non riuscì ad emettere un solo sibilo.
Vi erano parole giuste per scusarsi per una
vita intera?
Abbassò il capo e abbandonò la camera prima
che una lacrima sfuggisse al suo controllo,
chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Lawliet strinse i denti,
imponendosi autocontrollo.
Anche sua madre aveva
pianto prima di chiudere la porta di casa e abbandonarlo.
Delucidazioni:
-
Ogni
riferimento al passato di L è inventato di sana
pianta, non avendo potuto attingerne alcuna informazione in merito attraverso
manga e/o anime. Ho voluto semplicemente che Ellino
avesse una sorta di deja-vù spiacevole che ricollegasse
l’ultimo ricordo della madre a Watari, l’uomo che successivamente ha deciso di prendersi cura di lui,
ridandogli una casa, un affetto, un’identità. L’idea che si è fatto L di Watari è dettato fondamentalmente
dalla confusione esistenziale che sta vivendo il primo. “Doors”,
il titolo del capitolo, sta appunto per “Porte”.
Una porta fa
definitivamente entrare in contatto Catherine con L,
una porta separa Watari dai sensi di colpa che ha nei
confronti di Lawliet, una porta sancisce un distacco,
un abbandono da parte di Watari per Lawliet. Senza contare le innumerevoli
“porte” che si aprono sul passato di ognuno dei protagonisti man mano che
interagiscono tra loro. Qualora qualcosa non vi
sia stato chiaro, chiedete pure tranquillamente, ma sappiate che questo non è
che l’inizio J e che avrete modo di sbrogliare
eventuali dubbi e punti interrogativi più avanti;
-
Lirin Lawliet,
che segue adorabilmente questa storia, nell’ultimo
capitolo, tramite recensione, mi ha posto una domanda interessante: “Ho notato che ti riferisci ad L chiamandolo per cognome,
cioè Lawliet. Come mai?”
Avevo pensato
inizialmente di risponderle nel classico angolo delle recensioni come ho sempre
fatto con chiunque abbia commentato, poi ho pensato che più persone possano essersi poste la stessa domanda, quindi la cosa più
giusta che ho ritenuto fare è inserirvi la risposta nell’angolo
“Delucidazioni”, in modo da rendervene tutti partecipi.
Allora… parto dal
presupposto che la mia risposta si regge su un punto di vista personalissimo,
soggettivo. Il punto è questo: L… non è un nome. È una lettera, un’iniziale.
Certo,
alla fine
sul Death Note Ellino viene fatto fuori (ç__ç)
scrivendo “L Lawliet”, e partendo dal presupposto che
il quaderno della morte necessita del nome e cognome della persona che
s’intende uccidere (più l’averne bene impresso il volto, bla
bla bla…), chiaramente la
spiegazione – com’è giusto che fosse - è passata come la seguente: L è il nome,
Lawliet il cognome.
Ecco, semplicemente
io mi rifiuto di accettarlo xD
Come dicevo prima,
“L” non è un nome, è un’iniziale. Gli stessi M e N si
scoprono chiamarsi poi Mello e Near.
Il nome completo di Near in questo momento mi sfugge… ma continuando a riferirci a Mello,
per portare un esempio, si sa che il nome originario sia Mihael
Keelh, poi diventato M alla Wammy’s
House in quanto potenziale successore di L.
Non so se sono
stata sufficientemente chiara… ripeto, nulla da contestare a chi crede al
contrario, anzi, ci sarebbe da contestare me per l’aver messo in discussione
quelle che sembrano essere le regole della storia originale xD
Ma, almeno per
quanto mi riguarda, “L” è semplicemente quel carattere in Old London che serve a rappresentare la più grande
mente e il più grande detective del mondo (di Death Note ^ ^), “Lawliet” è
colui che vi è dietro, la “persona” che lo incarna concretamente.
Per me “L” non è il
nome e “Lawliet” non è il cognome.
Per me “L” sta per:
“L di Lawliet”.
Il cognome? Eh…
bella domanda. Per quanto mi riguarda può essere tranquillamente “Wammy” ^
^ D’altronde cosa si sa del passato di L? Solo a me è sembrato
che i due geniacci degli autori di Death Note abbiano voluto miticizzare il personaggio del grande
detective prima ancora di sancirne la morte? Vabbè…
questo poi è un altro discorso… che non tocco altrimenti non la finiamo più
.___. Spero solo che il concetto sia chiaro. Anche
perché, credo ve ne sarete accorti, in questa storia giocherò molto nello
“scindere”, nello “smascherare”.
Oh, insomma,
auguri! xD
Ringraziamenti:
-
Lirin Lawliet: Mia cara… perdona
il mostruoso ritardo. Per tutto. Vengo fuori da un
periodo non tanto roseo… e a dirla tutta, non ne vengo nemmeno fuori. Ci sono
ancora dentro quindi perdonami per i ritardi di aggiornamento,
di lettura e recensione delle tue storie (che, ci tengo a specificare, non
intendo leggere per ricambiare… non sono proprio il tipo di fare cose simili
perché la mia natura me lo impedisce xD <- ergo:
se una storia non mi prende, non mi prende… per quanto possa stimare a
prescindere la persona che la scrive). Ritornando alla tua ultima recensione:
anche a me Aiber e Wedy
ricordano Lupin! xD Le citazioni inerenti alle percentuali e ai dolci
a mio parere sono indispensabili, come si fa a descrivere L altrimenti? °___°
spero continuerai a leggermi nonostante i ritardi ^ ^’ così come spero che la
delucidazione sopra sia servita! Un bacio!;
-
Kiriku: Congetture?
Condividile, condividile, condividile! Sono qui per
questo °____° grazie per la recensione, spero alla prossima!;
-
Fe85: … il dannato episodio 25. Già. *scoppia a piangere al solo
ricordo* Mmm… posso dirti
che gli avvenimenti nefasti non devono necessariamente incarnarsi in quaderni
della morte e Shingami… quindi… chissà? J Oddio… grazie per
avermi fatto notare quegli errori! “È una misura
cautelare aggiuntiva che hanno ritenuto opportuno aggiungere” è proprio
fantastica .___. *corre a correggere* mi scuso U__u quando
mi ci metto so essere davvero geniale! Non esitare a farmi
notare altri errori qualora li individuassi, io a volte non me ne accorgo
proprio ç__ç nemmeno rileggendo più volte! *s’inchina e chiede scusa* Grazie
mille per la tua recensione! Alla prossima (spero)!
Inoltre volevo ringraziare Shining Aurora, Fe85 e Ciuly
per aver aggiunto questa storia tra le seguite, _Elea_ e Lirin Lawliet tra
le ricordate, e kiriku tra le preferite J *inchino*
HOPE87