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Autore: Dark Roku     09/10/2010    6 recensioni
La vita di Ven è la normale vita di un adolescente, senza contare il senso di vuoto che lo accompagna e il fatto che sia innamorato dell'autista dell'autobus, Terra che è più confuso di un quadro di Picasso.
Suo fratello Sora cerca di scolpire la sua corazza di vetro, mentre Riku chiede solo che Sora ricambi il suo amore, così come Demyx, quasi analfabeta, ma che passa tutti i giorni in biblioteca solo per guardare il bibliotecario.
E poi c'è Kairi: riuscirà a far pace con sua zia? E cosa si nasconde dietro lo strano ritorno di suo fratello? E Naminè che spera solo nel principe azzurro.
Infine, distante dalle vite che si intrecciano sulle Destiny, la vita di Roxas, adolescente ricco e viziato è avvolta nella pioggia di Rain Town.
Però, forse il destino non è sempre prevedibile come sembra...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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L'uno e l'altro (e la papera)~ Parte 2


L’aria era pesante lì dentro.
L’odore di cucinato stuzzicava il suo stomaco e i tavoli disposti a scacchiera imbanditi da tante pietanze, insieme con le luci che entrava dai grandi finestroni di vetro, conferivano un aspetto solenne, quasi regale alla stanza.
E lo avrebbe avuto, se non fosse stato per il chiacchierio allegro dei clienti che, sebbene fossero pochi, riuscivano comunque a creare confusione.
Il colore della settimana era il blu: questo voleva dire che tutti i tovaglioli, le tovaglie e le tende dovevano essere blu.
Sora glielo aveva spiegato, al “Coffe/Restaurant X” funzionava così. Ogni settimana era pescato un colore ed era quasi divertente vedere quel posto cambiare completamente (l’aspetto, le divise, e anche le pietanze) ogni sette giorni.
- Desidera signore? – un cameriere dai capelli rossi si avvicinò a Riku. Axel lo conosceva benissimo – dopo tutti gli scherzi che gli aveva combinato-, ma la regola diceva di trattare in modo uguale ogni cliente per cui dovevano essere assolutamente oggettivi.
- Ah, sì. Un tavolo per uno. – rispose calmo. Il cameriere lo fece accomodare, dopodiché gli porse il menù e sparì in cucina.
“Dannata Xion” pensò mentre con l’indice scorreva il menù “Ma ti pare possibile che io non posso tornare a casa perché sennò tu mi trucidi?” borbottò fra sé e sé. Dunque, aveva pochi soldi per cui qualcosa di poco costoso. Magari una zuppa? O era meglio una porzione di patatine?
- Ha scelto signore? – gli chiese dolcemente una voce molto familiare. Riku riemerse dal menù e guardò il cameriere accigliato:
- Per quanto io sembri maturo e ho i capelli bianchi, dubito fortemente di essere un “signore” Sora.  – Il moro arrossì:
- Riku! Cosa ci fai qui? –
“Mia cugina mi picchia perché crede che io sia fidanzato con te” – Ehm… a casa si mangiava pasta e ceci. A me non piace la pasta e ceci. –
Sora lo guardò accigliato:
- Allora, cosa ti porto?-
- Pasta e ceci, grazie. –

- Quack…quack. -
- Ma come hai ancora fame? Hai mangiato tutto il mio panino. – Era incredibile quanto potesse essere grande lo stomaco di paperella. Era incredibile come un ventitreenne riuscisse a comunicare in modo così esplicito con una paperella.
Quel ventitreenne, appunto, dopo che il grazioso animale gli ebbe lasciato solo mezza fetta di prosciutto tutta morsa per pranzo, cominciò ad avere fame.
Così, decise di staccare per un’oretta, il tempo di comprare qualcosa e tornare.
- Cosa me ne faccio di te? – chiese alla papera che trotterellava allegra sul bancone. – Chissà se i miei coinquilini accettano animali…- rifletté.
Loro non avevano mai avuto animali in casa. Tranne due pesciolini rossi di nome Lino e Lana che, sebbene Xion avesse pianto al loro funerale, non erano di grande compagnia.
E poi c’era stato Doggy. Quell’alano era un mito: di notte aveva la capacità di introdursi nelle case e rubare le scarpe di tutto il vicinato, da casa Aoi a casa Leonhart. E ogni mattina venivano svegliati da una processione che reclamava ciabatte e tacchi a spillo.
Poi avevano dovuto darlo via, quando aveva accidentalmente scambiato il bassotto della signora Ulley per un wurstel gigante.
Zexion si appoggiò nelle mani aperte a coppa guardando quel coso giallo.
- Innanzitutto bisognerà trovarti un nome. – ragionò. Quell’animale era testardo, ostinato e terribilmente stressante.
- Demyx è perfetto. –

Più avanti, Xion stretta nel suo bel maglioncino sebbene facesse caldo se ne strava sulla soglia di casa Flames, indecisa sul quale decisione prendere.
Bussare o tornare indietro? Scoprire la verità su Sora tramite Kairi o chiederla a Riku una volta tornato a casa –sempre che fosse tornato a casa, prima o poi-.
Se avesse visto la rossa, sarebbe arrossita e avrebbe cominciato a balbettare, come ogni volta che qualcuno più grande le parlava.
Ma doveva farsi coraggio. Doveva farlo per il suo amore. Con mano tremante suonò il campanello. Cominciò a sperare che in casa non ci fosse nessuno, che magari quel giorno erano andati a pranzo fuori o che magari non abitavano più lì.
Le sue speranze si spensero quando il grande portone di legno si aprì cigolando.
Ma davanti non si trovò i caratteristici capelli rossi dei Flames come immaginava, ma un viso adulto che aveva fatto un paio di volte supplenza nella sua classe: la professoressa Elena Turk…e cosa ci faceva lì?
La donna la guardò interrogativa:
- Aspetta… Tu sei quella ragazzina di I C che è un genio in matematica. Xion, vero? –
La mora annuì, completamente imbarazzata: - Sto ce-cercando Kairi. – balbettò. Elena sorrise:
- Ma certo, entra. –
La casa di Kairi era più bella di quanto immaginasse: in stile inglese, su due piani.
Appena entrò si trovò davanti ad una rampa di scale coperta da un tappeto bordeaux che, probabilmente, conduceva alla zona notte.
Sbirciò a destra e intravide un grande salotto, ma la professoressa la condusse a sinistra e dopo aver attraversato un corridoio con due porte chiuse arrivarono nella sala da pranzo con quadri appesi ai muri e un grande tavolo, a cui era seduta Kairi, con un’altra ragazza.
Xion la riconobbe subito: era Naminè Bird, il genio delle seconde. Metà dei ragazzi della sua classe avevano una cotta per lei.
- Prego Xion accomodati, Kairi, questa ragazza ti cercava. – sempre più a disagio prese posto tra Kairi ed Elena, guardandosi attorno.
E ora cosa diceva: mica poteva fare una figuraccia davanti a quei tre grandi personaggi urlando “Chi è Sora, la fidanzata di Riku?”?
Kairi la guardò con occhi curiosi: - Dimmi Xion. – Lei non conosceva le manie della ragazza nei confronti del cugino, e neanche la cotta che Riku aveva per Sora, no, quelle cose le sapevano solo Naminè e Riku e Sora stessi.
Xion esitò: cosa fare?

“Vacanza” pensò Roxas girando nella sua stanza.
- Vacanza. – borbottò gettando zaino e felpa sulla scrivania.
- Vacanza! – esclamò gettandosi sul letto. Poi si rialzò di scatto e si avvicinò alla libreria:
- Vacanza. – ripeté assaporando quella parola e scandendola in ogni singola sillaba. Prese il dizionario e lo sfogliò velocemente.
“vacànza [va'kantsa]: s.f.sospensione temporanea dell'attività negli uffici, nelle scuole, nelle assemblee per ragioni di riposo o per celebrare una ricorrenza.
Vacanze [va’kantse] sfpl: lungo periodo di riposo concesso a chi lavora o studia. Sinonimi: Villeggiatura, ferie, riposo, svago, licenza, congedo. Contrari: Lavoro, Presenza.”
Roxas inarcò un sopracciglio, poi chiuse di botto il vocabolario, furioso.
Ma che coraggio che aveva Cloud! Definire quel trasferimento con quel vocabolo barbaro che aveva poco a che fare con la sua situazione!
“Considerala una vacanza, Ven. (il fatto che aveva pure sbagliato nome non era mica una novità) Una vacanza dallo smog, lo stress e il caos cittadino…e poi siamo nel paese natale di Tifa.”
Oh, certo. Meglio rinchiudersi in quella topaia che era più o meno grande quanto le sue stanze a Rain Town, su un’isola sperduta in mezzo all’oceano che avere un colorito leggermente grigio, ma vivere con tutti i comfort.
Quel posto faceva schifo, davvero. A partire dalla casa che sarebbe stata larga nel giardino sul retro della sua villa. A Rain Town aveva tre camere da letto, due uffici, tre bagni, una cucina, un salotto, una sala da pranzo e una biblioteca personali. La sua “casetta” contava 127 stanze, senza includere i vari stanzini, i giardini e le camere esterne.
Lì di stanze ce n’erano al massimo venti e il suo sgabuz…cioè la sua cameretta era orrenda.
Ma non era solo la casa: tutta l’isola, anzi probabilmente tutto l’arcipelago si era perso gli ultimi quattro secoli di storia.
Guardò dalla finestra: verde, verde, case di mattoni, case di legno e ancora verde.
Dov’erano i grattacieli? E le persone che correvano in giacca e cravatta con il cellulare all’orecchio e la ventiquattrore in mano? Dov’erano finiti i palazzi pieni di uffici e il fumo delle industrie che oscurava il cielo?
Roxas sbuffò inorridito. Non c’era tecnologia in quel posto. Le televisioni non erano a schermo piatto e si prendevano solo tredici canali.
Sbuffò di nuovo: tredici! A Rain Town per scorrerli tutti ci volevano ore, se non giorni.
Per strada non c’erano Internet Point, aveva spiegato Tifa. Lì, chi aveva un computer era considerato l’elite del paese. Infatti i suoi nove portatili, di cui tre ancora non usciti sul mercato, lo avevano informato che non c’era linea nel raggio di chilometri ed era stato costretto a usare chiavette potentissime che erano ancora nella scatola.
Si gettò sul letto: - Vacanza. – disse semplicemente celando una nota isterica.
Niente televisione, niente computer, niente affari. Niente di niente.
Altro che vacanza, quello era l’inferno.
Cristo, ma come sopravvivevano gli abitanti?

Axel se n’era andato, ringraziando il cielo. Sora lo aveva chiamato perché c’era troppa gente e aveva bisogno di aiuto e lui, volente o nolente, era stato costretto ad andare salutandolo con un “Ci si becca in giro, Cinerina!”
Ven sbuffò prendendo l’ennesimo piatto: ma una lavastoviglie era chiedere troppo?
Menomale che Xemnas gli aveva dato il resto della settimana libero, così avrebbe potuto concentrarsi su cose più importanti.
“Come il fatto che tra una settimana circa hai un compito in classe di matematica di cui non sai una virgola”…no, quello era l’ultimo dei suoi pensieri, il suo problema aveva un nome.
Roxas.
Che cosa fare con quel ragazzo? Doveva scoprire che intenzioni aveva, ma prima…voleva conoscerlo.
Sapere qual era il suo colore preferito, se gli piacevano gli animali, qual era la sua materia in cui andava meglio (tutte da quello che aveva visto) e quella in cui andava peggio, se era allergico a qualcosa, se era mai stato fidanzato e cosa aveva fatto in tutti quegli anni.
Non aveva mai sentito un bisogno così forte di sapere qualcosa, ma con Roxas era diverso.
Roxas era la sua metà, il pezzo mancante del puzzle.
Ma per metterlo a posto doveva prima capire dove andava.

Zexion si fermò davanti al “Coffee/Restaurant X” indeciso sul cosa fare. Avrebbe potuto chiamare Xion per dirle che non sarebbe tornato, ma tanto c’erano Riku e Demyx con lei.
La papera starnazzò nella sua tasca
- Shh…sta zitta Demyx. – gli sussurrò accarezzandogli la testolina bionda.
Entrò nel ristorante e fu inghiottito dal blu. Demyx glielo aveva detto che era quello il colore della settimana.
Strano che fosse pieno, di solito il lunedì tutti i ristoranti erano vuoti.
Un cameriere basso e dai capelli castani gli si avvicinò:
- Mi dica. – fece.
- Un tavolo per uno. – disse mentre con una mano impediva a Demyx di uscire dalla tasca.
Il cameriere lo fece sedere. Prese in mano il menù, ma una voce fin troppo familiare lo richiamò:
- Zexion? -

Riku stava finendo la sua pasta e ceci quando sentì qualcuno sedersi al tavolo dietro il suo.
Era una presenza buia e intelligente che conosceva bene. Si voltò trovandosi davanti ai capelli blu-viola del suo cugino più grande. Ma non doveva essere a casa?
- Zexion? – chiese stranito. Il ragazzo si voltò facendo ondeggiare il grosso ciuffo che gli copriva parte della faccia. – Che diavolo ci fai qui? -
- Potrei farti la stessa domanda. – rispose facendo spallucce. Se Riku era lì, voleva dire che a casa c’erano solo Xion e Demyx.
- Ehi, Ax c’è tuo fratello al bar che ti cerca…sbrigati, ha detto che ha poco tempo. – un ragazzo biondo arrivò dal bar, fermandosi a pochi centimetri da loro.
- Demyx? – domandò Zexion. L’altro si girò e arrossì fino alla punta dei capelli.
- Tu oggi non avevi doppio turno. – accusò Riku. Poi si voltò – E neanche tu! –
Si guardarono in faccia: se erano tutti e tre là voleva dire che a casa…
- Xion! – esclamarono all’unisono, ma prima che potessero precipitarsi fuori l’azzurro sentì qualcosa saltare sul suo piede. Mise la mano in tasca, non trovandoci nulla:
- Oh, no, Demyx!- esclamò gettandosi sotto il tavolo. I suoi coinquilini lo guardarono straniti.
- Demyx torna qui…- chiamò gattonando tra i tavoli.
- Io sono qui Zexy. – lo informò Demyx chinandosi su di lui. Zexion lo fulminò con lo sguardo:
- Non tu, razza d’idiota, la papera! –
Ma né Demyx, né Riku ebbero il tempo di essere confusi perché un rumore di piatti infranti richiamò la loro attenzione. Sora, fino a quel momento rimasto a guardare divertito corse in cucina:
- Ven cosa è successo? – il biondino era chino per terra a raccogliere cocci bianchi.
- Questa cosa. – disse furioso indicando un animaletto giallo stretto nel suo pugno -… ha fatto cadere tutti i piatti che IO avevo pulito! – poi aprì di scatto la mano e la papera corse fuori.
- Mi ha morso! – disse Ven incredulo – La papera mi ha morso! – Sora scoppiò a ridere.
Ci furono altre urla.
- Oddio, che schifo un topo! -
- Ma no cara, non vedi che è una papera? –
E poi fu il caos totale.

Non era mai stata brava a raccontare balle. Lei era una persona aperta e semplice che diceva tutto in faccia per cui non aveva mai sentito il bisogno di mentire.
Eppure, in quella situazione con delle tizie molto popolari che la fissavano chiedendole cosa voleva da loro, persino Xion si rendeva conto che la verità era un lusso che non poteva permettersi.
- Ehm…- cominciò imbarazzata – Io volevo sapere se Riku…- poi il colpo di genio – se Riku va bene a scuola, ecco. Perché mia zia vuole saperlo, ma lui non parla. – una bugia semplice e neanche troppo originale.
Kairi inarcò un sopracciglio ma Elena scoppiò a ridere: - Che brava! Ti preoccupi per il tuo cuginetto, vero? – gli accarezzò la testa.
“Ma questa pensa che sono un cane?” si chiese Xion.
- Comunque, non angosciarti. Riku a scuola è davvero bravo e s’impegna, al contrario di qualcun altro. – lanciò un’occhiataccia a Kairi che aveva ripreso a mangiare.
- Ok, grazie di tutto. – fece per andarsene, decisa a uscire da quella situazione imbarazzante il prima possibile.
Naminè, invisibile fino a quel momento parlò:
- Perché non rimani un po’? – la sua voce non era calda, eppure Xion rabbrividì. Dalla sua posizione non poteva vedere la smorfia di Kairi, che di certo non gradiva la sua presenza e l’annuire della professoressa che prendeva tutte le idee di Naminè per oro colato.
La bionda, dal canto suo, non aveva fatto quell’invito tanto per cortesia, ma perché aveva capito che il vero motivo della visita di Xion era un altro ed era determinata a scoprire qual era.
La mora sospirò, sconfitta, in fondo a casa non c’era nessuno ad aspettarla.
- Va bene. – disse stampandosi in faccia un sorriso imbarazzato. Elena e Naminè le sorrisero, e Kairi…beh, era di spalle ma probabilmente anche se fosse stata girata verso di lei non avrebbe avuto una bella espressione.

Lo guardò uscire dalla vasca idromassaggio, indossare l’accappatoio e poi abbracciare Tifa sussurrando “Ci voleva proprio, con questo caldo” e vide la donna ridere, completamente presa da lui.
Ma Roxas non s’intenerì a quella simpatica scenetta, come avrebbe qualsiasi adolescente, no, ogni volta che vedeva quelle smancerie, le attenzioni che Cloud dedicava alle sue innumerevoli amanti il suo cuore si induriva di più.
Il motivo non avrebbe saputo spiegarlo. Forse perché in fondo quelle signore gli facevano pena, per quando suo padre le avrebbe ridotte in lacrime e, per un motivo o per l’altro, le avrebbe lasciate (anche se per la maggior parte delle volte era stata colpa sua che le faceva scappare).
Forse perché quelle donne non avevano niente a che fare con lui e, inconsciamente, desiderava una madre.
Le amanti di suo padre erano tutte giovani, alcune di solo pochi anni più grandi di lui (bastava pensare che Cloud aveva solo diciassette anni quando Aerith, di sedici, era rimasta incinta) inesperte, belle e maliziose ma, di certo, nessuna di loro voleva avere a che fare con un adolescente ribelle e viziato.
Qualcuna ci aveva anche provato quando era più piccolo. Sicuramente un bambino di sei anni dai grandi occhi azzurri doveva risultare tenero, anche quando con il volto serio diceva “chienne”, e le ragazze si limitavano a ridacchiare imbarazzate pensando dovevano sicuramente aver capito male, che quel bel bimbo non gli aveva davvero dato della zoccola.
Qualcun’altra aveva supplicato Cloud di fare qualcosa per “quello” e Cloud aveva provato dovendo arrendersi alla fine, perché tanto “quello” non avrebbe mai smesso.
Alla fine tutte si ritrovavano di fronte a una domanda: se per Cloud, così bello e ricco, valeva la pena sopportare le malefatte e i dispiaceri provocati da quel ragazzo. Quasi tutte rispondevano “no”, dopo aver trovato lo shampoo pieno di colla e vomito.
In fondo, pensava Roxas, a Cloud neanche dispiaceva tanto: ci metteva sempre meno di tre settimane a trovare un'altra “Quella giusta”.
E suo figlio ci avrebbe messo sempre meno di due mesi a farla scappare.
Perché a lui quelle donne davano solo fastidio.
Forse perché voleva una madre, forse perché voleva solo farla pagare a Cloud per l’indifferenza con cui lo trattava, o magari voleva solo attirare l’attenzione.
O forse, - ma quello non lo avrebbe ammesso neanche sotto la peggiore delle torture- era solo geloso.
Perché Cloud dava a quelle donne l’amore (finto o vero, non aveva importanza) che a lui non aveva dato mai.

Sembravano all’elementari. Tanti bambini messi in punizione dalla maestra perché avevano fatto i cattivi.
Erano lì, tutti in fila come soldatini di legno, davanti all’ufficio di Xemnas in attesa del verdetto finale.
- Demyx…- sibilò Larxene – Giuro che se ci licenzia, domattina userò le tue ceneri come cipria. –
Il biondo rabbrividì: - Ma non è stata colpa mia! E’ stata della papera! –
- Oh, certo!- sbottò Axel – Poi lo vieni a spiegare tu a mio fratello che sono stato licenziato il secondo giorno di lavoro, per colpa di una papera. –
Unici a cui non sembrava importare dell’accaduto era Ven e Sora che chiacchieravano allegramente sotto gli occhi attenti di Riku.
In fondo, stava dicendo Ven, a lui neanche importava tanto di quel lavoro.
In quel momento Zexion tornò con il cellulare in mano – Xion sta bene…- disse a nessuno in particolare (e nessuno in particolare lo ascoltò) -…ha detto di essere a casa di un’amica. –
La porta si spalancò e un uomo dai capelli argentei, Xemnas per l’appunto, comparve con un’espressione imbronciata. Per primi, guardò Demyx, Axel e Larxene.
- Siete consapevoli…- esordì – che sono passate solo due ore e cinque minuti da quando vi ho dato l’ultima punizione? – li guardò severamente – Che cosa dovrei fare con voi? –
- La prego non ci licenzi! – implorò Demyx sull’orlo di una crisi di lacrime – Non voglio fare la cipria! – L’altro lo squadrò e tirò un piccolo sospiro: - Ringraziate la mia immensa clemenza. Mi limiterò a detrarvi i danni dallo stipendio. – si voltò verso Sora e Roxas mentre Demyx cominciava a baciargli i piedi – La vostra settimana di ferire è rievocata. - Sora sbuffò mentre Ven si limitò a chinare la testa, mortificato.
- E per quanto riguarda gli esterni. – aggiunse Xemnas appoggiandosi allo stipite – Dovranno pagare il pranzo ai clienti che la loro papera ha disturbato. – fece una pausa talmente lunga che Riku pensò non volesse aggiungere più niente, ma poi chiese “A proposito dov’è?” e Zexion lo guardò inarcando un sopracciglio.
- Pensavo ce l’aveste voi. – disse. E poi, un rumore proveniente dal basso li costrinse a voltarsi.
Lei era lì, con le sue piume gialle macchiate di sugo e un’espressione che Axel classificò come pura superiorità.
Il grazioso animaletto, cacciò la linguetta rossa e fece loro una simpatica pernacchia, dopodiché ricominciò a saltellare starnazzando.
- Vi rendete conto…- disse Larxene a metà tra lo stizzito e il furioso - …che ci stiamo facendo prendere per culo da una papera? –
E si lanciarono all’inseguimento.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma si stava divertendo. Già, divertendo come quando giocava a pallavolo con i suoi compagni o come quando faceva shopping.
Xion era felice. Con quella professoressa che fuori dalla scuola era completamente diversa, e con quelle due ragazze che, sebbene fossero più grandi, non erano poi così diverse da lei.
Dopo pranzo Elena (così si chiamava la professoressa) aveva sparecchiato e si erano ritirate in salotto a guardare le riviste di moda di Kairi.
- Questo potrebbe starti bene, Ka. – disse Naminè alzando la rivista che aveva in mano.
- Ma dai! – ribatté la rossa – Sembrerei un grosso pomodoro color banana…una “pomana”! –
E via dicendo e Xion si sentiva a suo agio.
Ma c’era qualcosa che non quadrava in quella situazione: Naminè, che all’inizio le era sembrata tanto calma e amichevole a volte le lanciava sguardi strani, come se si aspettasse qualcosa da lei, e quello non le piaceva.
- Qualcosa non va Xion? – chiese Elena aggiustando un cuscino del grande divano bordeaux su cui era seduta. La mora scosse la testa, sorridendo. Kairi gettò la rivista per terra, sbuffando:
- Non esistono più abiti decenti. – incrociò le mani dietro la nuca. – Penso che la cosa più alla moda che ho indossato nelle ultime tre settimane sia stata la divisa scolastica. – lanciò un’occhiata alla gonna a quadri azzurra che le ricadeva sulle gambe accavallate – Il ché è tutto dire. – Naminè le sorrise:
- Suvvia Kai. Tanto non avresti l’occasione di indossare qualcosa di elegante. – L’altra le lanciò un’occhiataccia: - Come se questo semplifichi le cose. –
- Parliamo d’altro. – s’intromise Elena – Di ragazzi, magari. –
Xion si pietrificò. “Parliamo di ragazzi”? Detto da una professoressa che doveva avere almeno il doppio dei suoi anni suonava così strano.
- Uffa, zia! – sbottò Kairi – Sei peggio di una pettegola. – L’adulta la fulminò con lo sguardo:
- Non rivolgerti a me in questo modo, ragazzina insolente! –
- Bla bla bla. –
- Ti abbasso i voti! – Kairi la guardò in  cagnesco:
- Questo è abuso di potere! – Naminè rise e Xion le guardò, sempre più preoccupata: era normale che facessero così?
Rivolse un’occhiata interrogativa a Naminè, ma quella non le rispose.
- Tu sei fidanzata, Xion? - la domanda la lasciò di stucco. Arrossì profondamente.
- Io…beh…diciamo. – Vide Naminè fissarla indispettita.
- E’ quel ragazzo dai capelli grigi con cui stai sempre? – Elena la guardò curiosa.
- No, signora. – ribatté imbarazzata – Quello è mio cugino. – La donna ridacchiò:
- Non Riku, quello in I C, eri seduta accanto a lui quando ho fatto supplenza. – Le ci volle qualche secondo per capire a chi si riferiva, visto che in classe sua ragazzi dai capelli grigi non ce n’erano. Ma aveva ragione, i capelli di Hope sembravano grigi quando si metteva in controluce.
- E’ biondo, professoressa. Ed è un mio amico. –
Kairi borbottò qualcosa sulla vecchiaia ed Elena fece finta di non sentirla e si rivolse a Naminè:
- Strife è carino, signorina Bird. – stavolta toccò a Naminè arrossire – Ed è anche davvero intelligente…ti assomiglia, in un certo senso. -
- Vede…è arrivato solo oggi. – si giustificò, le guance tinte di un rosso acceso.
- Ed è assolutamente terrificante. – aggiunse Kairi cambiando posizione – Sembra uno dei cadaveri di quei film che guarda Axel. –
- L’influenza che tuo fratello ha su di te mi lascia davvero perplessa, Kairi. – sospirò – Mi chiedo come possiate avere una qualsiasi parentela con Reno. – alzò gli occhi al cielo mentre Kairi cambiava posizione.
Xion si sentì improvvisamente di troppo: - Scusate, dov’è il bagno? – Naminè si alzò, esibendo il sorriso più falso che conosceva. Riku si confidava sempre con lei, per cui sentiva che era suo dovere indagare approfonditamente su “quella pazza di sua cugina”.
- Aspetta ti accompagno. -

Roxas si sedette sulla finestra con una tazza fumante di Earl Grey tra le mani. Faceva molto caldo ma l’abitudine del tea gli era stata data quando era piccolo e di certo non l’avrebbe persa tanto facilmente.
Sospirò guardando fuori: il tramonto era bellissimo lì. Quando era a casa, saliva quasi tutti i pomeriggi sul tetto a guardarlo, ma per colpa dello smog e della pioggia il cielo era sempre più bordeaux- color ruggine che rosso.
Invece lì era tramonto allo stato puro, come quello che si vedeva nelle foto su internet.
Il sole era grandissimo e tingeva di rosso e oro il cielo, dando un effetto simile a una pioggia di fuoco che spariva nel mare, anch’esso arancione; le case piccole sembravano inchinarsi, come vecchi stanchi che hanno visto tutto.
Roxas pensava che era bello perché era come se il cielo sanguinasse.
C’era qualcosa di terribilmente tragico nella fine di una giornata: non era come l’alba, quando le strade erano inondate di sapori e una nuova giornata stava arrivando per essere vissuta, no. Al tramonto, quando sembrava che tutto era stato provato e che ormai non c’era più niente l’aria era tranquilla e il tempo per un attimo si fermava.
Quell’attimo che bastava per far dire alle persone “E’ finita anche oggi” e che le illudeva che tutto sarebbe andato bene, da quel momento. Che non faceva pensare che poi, il giorno successivo sarebbe ricominciato tutto da capo e ci sarebbe stata una nuova alba e un nuovo tramonto, sempre monotoni e uguali.
In teoria Roxas avrebbe dovuto odiare il tramonto: era l’altro elemento ricorrente nel suo dolore. Il primo era la pioggia e il secondo era il tramonto. Tutte le perdite, tutti gli abbandoni erano avvenuti nel tardo pomeriggio, quando il sole non era troppo alto per mostrare la sua debolezza, né era troppo basso per nasconderla.
Anche sua madre se n’era andata al tramonto, gli avevano detto. Roxas aveva provato qualche volta a immaginare una ragazza bella con un bimbo tra le braccia, solitaria nel cielo rosso, ma proprio non ce la faceva. La ragazza che se ne andava era la sua felicità e se fosse riuscito a ricostruire la scena sarebbe stato come vedere la sua felicità tramontare, abbandonarlo per sempre.
E, anche se non voleva ammetterlo, questo gli avrebbe fatto davvero male.

Sora non riusciva a smettere di ridere. Mentre tornavano a casa gli veniva da pensare alla faccia inviperita di Xemnas e per poco non cadeva a terra dalle risate.
Ma che giornata era stata quella! Una vera commedia da teatro, meglio che guardare Spongebob o giocare a palla. L’avrebbe ricordata per tutta la vita.
Zexion che gattonava sotto i tavoli, Ven che raccoglieva i piatti, Demyx che fischiava e Axel che lo rimproverava “E’ una papera, mica un cane!” e Larxene che voleva picchiare entrambi e loro che scappavano, e Riku che guardava Zexion.
E in quel momento stavano tornando a casa tutti insieme, stanchi e distrutti da quelle che Xemnas aveva definito “Le due ore peggiori della mia vita”.
Si voltò dietro: il tramonto aveva tinto il cielo di sfumature rosse e dorate e riusciva quasi a vederlo riflesso nel mare. In quella luce rossastra loro erano solo ombre che si stagliavano contro l’orizzonte. C’era Ven che camminava pensieroso e con lo sguardo rivolto verso il basso; al suo fianco Riku che urlava contro la papera che dormiva placidamente tra le mani di Zexion, fregandosene altamente della ramanzina che i due ragazzi le stavano facendo: che mito!
Ovviamente Demyx e gli altri erano dovuti rimanere al locale.
Rise più di prima, richiamando alla realtà Ven. Questo si guardò attorno, come un pesce fuor d’acqua e Sora sbuffò: era tutto il giorno che faceva così.
- Allora noi siamo arrivati. – informò Zexion estraendo le chiavi dalla tasca. – Buona serata. – entrò. Riku indugiò un attimo sull’uscio, lanciò un’occhiata a Sora e poi sparì dentro il portone.
 Ven raggiunse Sora che sorrideva solare:
- Mi sono divertito da matti. – disse – Hai visto quando Zexion si è gettato sotto il tavolo? Che ridere! - cominciò a gesticolare – E poi quando Demyx si è rovesciato la padella addosso e ha preso il polipo del tavolo tre, credendo fosse la papera.- rise nuovamente.
Non ottenendo nessuna risposta si girò verso il fratello: era tornato nel suo stato di trance, completamente assente.
Sora sbuffò: - VEN! – urlò stringendo i pugni. – Si può sapere perché non mi ascolti mai? –
- Scusa. – mormorò – Sono solo un po’ stanco. – Sora incrociò le braccia al petto:
- Mi chiedo perché tu ti faccia tanti problemi. Tanto hai sentito la professoressa? Il trasferimento non è neanche definitivo. Forse se ne va la settimana prossima e tu avrai sprecato la settimana a pensare a un tizio che neanche ti saluta. – E a quel punto Ven sussultò:
- Per quanto riguarda questa cosa di Roxas. – disse, imboccando il vialetto di casa. – Non dire niente a papà…e neanche alla mamma. –

Xion si sentiva come in un film. Quando Naminè l’aveva accompagnata in bagno, entrando con lei e poi appoggiandosi contro la porta, si era quasi aspettata che tirasse fuori una pistola dalla gonna e la minacciasse dicendo qualcosa “Dov’è la roba?” in tono minaccioso. Ma Naminè non aveva fatto niente di ciò e semplicemente aveva sorriso e le aveva chiesto “Cosa fuori?”.
- Niente. – aveva risposto Xion confusa, non sapendo se quella domanda era una frase per dire “Ti serve carta igienica o assorbenti?” oppure se era riferita ad altro.
La bionda se n’era stata lì, si era aggiustata i capelli dietro le orecchie e poi l’aveva guardata.
- Avanti, cosa volevi chiedere a Kairi? - aveva chiesto e in quel momento nel bagno era calato il silenzio. Erano parecchi secondi che si guardavano.
Xion si morse il labbro, chiedendosi se dirglielo o no: in fondo anche lei era abbastanza amica di Riku. Però era spaventosa, molto più di Kairi.
- Riku è fidanzato? – chiese infine, senza citare Sora o altro. Naminè la guardò, una scintilla brillò nei suoi occhi ma sparì quasi subito. Aveva capito. Probabilmente Xion aveva sentito dell’abbraccio con Sora e quell’idiota si era fatta tutti i film mentali classici delle ragazzine. Lei non era stata così. Aveva sempre trovato le sue coetanee stupide quando si truccavano e facevano le smorfiose fino a crepare, solo per un ragazzo.
Lei non aveva mai sentito l’impellente bisogno di avere qualcuno al suo fianco, o di sentire il sapore di qualcun altro nella propria bocca, anzi a dire il vero le faceva anche un po’ schifo pensare alla saliva disgustosa, magari anche puzzolente, come le era capitato durante lo stupro, che arrivava tra i suoi denti. Guardò Xion che era imbarazzata più che mai…in fondo le faceva anche un po’ pena.
- No. – disse semplicemente. Quella era la cosa migliore da fare. Per lei, per Sora e soprattutto per Riku. E Xion tirò un sospiro di sollievo e guardò fuori, facendo riflettere il tramonto nei suoi occhi azzurri.
- Per favore non dire a Riku che te l’ho chiesto. – mormorò. Poi si voltò verso di lei e si stampò un grande sorriso in faccia: - Devo andare. Tra poco è buio e Zexion si preoccupa. –
E uscì dal bagno.
In fondo, pensò Naminè, con un po’ di sforzo, loro due sarebbero potute anche essere amiche.
Ma anche no.

- Sei un idiota. – disse Riku scendendo con ancora l’accappatoio addosso. Zexion, da sopra il divano, lo ignorò completamente, immerso nella lettura. Poco distante da lui Aqua guardava la televisione, totalmente persa, e ogni tanto urlava così tipo “Ma quanto è carino quel Pikachu!” che facevano intuire che stesse guardando l’ennesima replica dei Pokemon.
- Dico sul serio. – continuò Riku asciugandosi i capelli che da bagnati sembravano grigio scuro. Zexion se ne fregò altamente e invece lanciò un’occhiata alla paperella che dormiva in una gabbietta per criceti sul mobile vicino all’appendiabiti. Doveva compragli da mangiare, pensò.
Magari poteva chiamare Demyx e dirgli di fermarsi a un negozio di mangime mentre tornava ma dubitava che a quell’ora fossero ancora aperti. E poi avrebbe preferito evitare di chiamare Demyx per il resto dei suoi giorni. Riku gli rubò il libro di mano e lo guardò severo.
- E perché sono un idiota, Riku? – chiese Zexion annoiato.
- Per la papera. – rispose – Per il ristorante. E per Xion. – aggiunse sedendosi. Aqua si destò a quelle parole.
- Perché, cos’è successo?- chiese curiosa. – Io posso aiutarti a tracciare il tuo profilo psicologico, se vuoi. – Zexion scosse la testa: - Niente. Solo che Riku è terribilmente apprensivo. –
- Ah. – fece e tornò a guardare la tv. – Comunque la papera è simpatica. Prima mi ha raccontato che da piccola era una persona molto estroversa e aveva un sacco di amici, poi…-.
- Aqua, non ci interessa, grazie. – fece Riku non stupendosi per niente che Aqua riuscisse a parlare con la papera. Quella tizia riusciva a comunicare anche con i lampioni e ogni tanto la si trovava abbracciata a uno di quelli sussurrando “Mi dispiace tanto”, per cui che riuscisse a parlare con quell’essere era il minimo.
Eppure, pensò, la cosa strabiliante era che riusciva a comunicare con Xion senza farla scoppiare a piangere o arrabbiare a morte e probabilmente solo una psicologa era capace di questo.
- Zexion…- si rivolse al più grande – Io quella cosa qua non ce la voglio. – Zexin lo guardò con aria di sfida – Io sì, invece. – Un nervo pulsò sulla fronte di Riku:
- Mi spieghi cos’ha di speciale una stupida papera che combina solo guai? –
- E’ intelligente. – rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo – probabilmente più di te. Ed è furba. – aggiunse, forse solo per far irritare l’altro.
E Aqua intervenne prima che arrivassero alle mani: - Sta fermo Riku. Solo io posso picchiare Zexion. Risolviamo la cosa diplomaticamente. –
- E cioè? – chiesero i due ragazzi all’unisono.
- Stasera la mettiamo alle votazioni. –

Axel soffiò e vide il fumo della sigaretta disperdersi nell’aria come vento. Gli pareva di aver intravisto delle mani in quell’aria grigia, ma probabilmente era la sua immaginazione.
Fece un altro tiro: quei doppi turni non ci volevano proprio. Lui era tornato lì anche per riposarsi un po’ e invece si ritrovava a fare un lavoro che lo stancava il doppio che tradurre articoli e cose varie.
Negli ultimi tre anni la sua vita era stata più movimentata che nei diciotto precedenti.
Aveva trovato un’ottima università che, per merito, lo aveva fatto laureare un anno prima, quando doveva ancora compiere vent’anni. In fondo aveva la passione per le lingue da quando era piccolo.
Scoprire come le parole potevano avere tanti significati e forme diverse era davvero affascinante e sarebbe rimasto tutta la vita a studiarli.
Da piccolo non era un secchione, anzi era il classico tipo di bullo. Picchiavi i bambini, faceva scherzi alle insegnanti e aveva una baby banda di cui facevano parte solo Demyx e Larxene.
Loro tre erano inseparabili da sempre.
Ci erano rimasti davvero male, soprattutto Demyx, quando gli aveva detto che si sarebbe trasferito.
Ma come? Gli aveva chiesto E noi ora cosa facciamo?
E lui aveva risposto che non era affar suo che doveva decidere cosa fare della sua vita.
Ma tornerò aveva promesso E sarà di nuovo tutto come prima.
Ridacchiò e spense la sigaretta per terra.
Aprì la porta delle cucine.
“Tutto come prima”.
Che illuso.

Cloud guardò il grosso pacco azzurro, accigliato. Quel fattorino doveva aver sbagliato, lui non aveva chiesto niente. E da quando i fattorini consegnavano di sera?
- Ci dev’essere un errore. – disse al ragazzo che se ne stava sulla porta. – Io non ho ordinato nulla. – Quello gli poggiò il pacco davanti ai piedi: - Impossibile, qui c’è proprio scritto “Signor Cloud Strife”. – Cloud si chinò e guardò il pacco come se contenesse una gigantesca bomba atomica.
- Senta…- cominciò il commesso con tono scocciato – Mia moglie mi aspetta per la cena. Questo coso pesa un quintale e mi sono spaccato la schiena per portarlo fin qua. Per cui adesso mette una bella firma e se ne va a fare in culo. – Cloud lo guardò con aria superiore e gonfiò il petto:
- Come si permette?! Lei non sa chi sono! Io sono…-
- Non me ne frega niente. – sbottò porgendogli una penna – Mi dispiace, ok? Firmi e poi faccia di questo coso quello che vuole! – Per poco non gliela infilava in bocca quella penna. L’uomo gli rivolse un’ultima occhiataccia, poi scarabocchiò “C. Strife” sulla cartella e osservò il ragazzo andarsene sbuffando.
Prese il pacco e costatando che non era pesante come diceva quel tizio, lo portò nello studio. Lo analizzò attentamente, facendo scorrere le dita sulla carta blu in cui era avvolto. Non c’erano biglietti e neanche scritte, per cui era impossibile decifrarne il contenuto.
Poteva essere una bomba mandata dalle sue compagnie rivali, oppure un regalo per festeggiare una fusione o l’acquisizione di un’azienda. Effettivamente ne aveva comprate parecchie in quel periodo.
Con massima cautela sciolse il nastro dorato che lo abbelliva e lo lasciò cadere sul pavimento. Accarezzò il coperchio della scatola fino a dar entrare le dita nella fessura e allargandolo un po’.
- Sembra che ci devi fare sesso con quel coso. – osservò una voce ironica. Cloud alzò lo sguardo e vide Tifa, in piedi sulla porta, con una vestaglia di seta nera che nascondeva la pelle leggermente ambrata e il seno prosperoso, ma metteva in risalto gli occhi castani che brillavano sotto la luce gialla della stanza; i capelli, neri e lucidi ricadevano ordinatamente sulle spalle, dandole l’aspetto di una di quelle dee greche che gli artisti amavano tanto dipingere.
Diana pensò Cloud conoscendo il suo carattere per niente calmo. Somigliava incredibilmente a Diana. Tifa gli si avvicinò con le braccia incrociate al petto. Poi di scatto sollevò il coperchio della scatola.
Cloud chiuse di scatto gli occhi, poi li riaprì e…rimase del tutto interdetto. Nella scatola c’erano libri, la maggior parte dalla copertina rossa. In cima su tutti spuntava il Kamasutra, che nascondeva parzialmente “Il sesso: le posi…” e “Come avere un or…”. Guardò Tifa e trovò sul suo volto un’espressione per niente imbarazzata, solo stupita e confusa, forse.
Non ci fece caso. Solo una persona era capace di fare quello. Staccò un bigliettino da sotto il coperchio e lo analizzò. La calligrafia era ordinata elegante e c’era scritta una sola frase, se non si contava la bella firma in basso a destra.
Fottiti la puttana, stronzo. Baci e abbracci. Roxas.
Sentì la rabbia montargli dentro, come un toro che caricava. Strappò il biglietto stringendo i denti, gettò la scatola per terra e marciò fuori dalla porta, ben deciso a commettere un omicidio.
- ROXAS!!! -

- E poi è arrivato Demyx che ha urlato “Avete visto una papera?” e allora… -
Ven sbuffò, mangiando l’ultimo pezzo di pollo nel suo piatto. Era tutta la sera che Sora parlava di quanto fosse stata divertente quella giornata e ripeteva il racconto. Per quanto fosse noioso, almeno quello gli impediva di citare “Il nuovo alunno identico a Ven”. Punzecchiò l’osso nel suo piatto osservando distrattamente suo padre. Sbuffò di nuovo, a quel pensiero. “Suo padre”. Sarebbe ancora riuscito a vederlo così dopo aver scoperto che il suo papà biologico era un uomo giovane, ricco e soprattutto senza cicatrici e una divisa da poliziotto?
Certo si disse allarmandosi tuo padre è colui che ti ha cresciuto, non chi ti ha dato la vita per poi abbandonarti.
- Papà…- disse, tanto per assicurarsi di riuscire a farlo. Squall non gli rispose e continuò a guardare Sora. Ven si sentì un po’ escluso: - Papà…- ripeté lamentoso.
- Qualcosa non va, Ven? – non fu suo padre a rispondergli. Ven quasi trasalì, dimentico ancora una volta che Terra era seduto al loro tavolo e viveva nel loro garage.
- N-no, niente. – balbettò arrossendo. Era davvero bello con quei suoi occhi azzurri e profondi. Gli venne voglia di stringergli la mano e infilzò l’osso nel piatto con la forchetta.
Poi guardò Aerith e Squall ridere alla battuta di Sora. Si ritrovò a pensare che lui non faceva parte di quella bella famigliola felice. Che magari sarebbero stati più contenti se lui se ne fosse andato.
Magari in quel momento Roxas stava cenando circondato dall’affetto che suo padre e la sua matrigna gli davano.

- Roxas apri la porta! – disse Cloud bussando più forte. Era la terza volta che lo ripeteva.
- Oh, com’è signor Strife, adesso ricorda il mio nome? Ma che onore! Che privilegio! – rispose ironica e vagamente divertita, una voce da dentro la stanza. Cloud sbatté più forte e sentì il legno di ciliegio dipinto di bianco, ammaccarsi leggermente contro le sue nocche.
- ROXAS KEYS STRIFE! – urlò stupendosi lui stesso di essere riuscito a ricordare addirittura il secondo nome di quel ragazzino viziato – TI ORDINO DI APRIRE QUESTA PORTA! IMMEDIATAMENTE! – Tifa arrivò alle sue spalle, ridacchiando.
- Col cazzo. – la voce non era per niente preoccupata. Tifa gli mise la mano sul braccio, calma.
- Spostati, faccio io. – Cloud pensò volesse parlare, con quel tono comprensivo che solo le donne conoscono e rimase stupefatto quando, con una giravolta elegante, una bella gamba lunga abbatté la porta, mostrando un ragazzo biondo, già in pigiama, seduto a gambe incrociate sul letto e con un libro tra le mani. Questo osservò la donna e fece un fischio di apprezzamento.
- Dai Cloud, stavolta te la sei scelta proprio forte. – guardò suo padre – E’ così anche a letto? –
E Cloud fu accecato dalla rabbia, raggiunse rapidamente il letto e tirò un ceffone a quel ragazzo, meravigliandosi di come non cercasse di proteggersi e si piegasse sotto il suo tocco, come se fatto di vetro.
Roxas cadde dal letto, sbattendo il braccio contro il comodino e graffiandosi. Poi risalì, coprendosi l’occhio con la mano e guardando l’uomo con un’espressione di puro odio.
- Picchiami Cloud. – incitò gattonando verso di lui – Dai picchiami! Fai vedere al mondo come il grande padrone delle industrie Strife è solo un violento che picchia suo figlio. – e vedendo Cloud fare un’espressione stupita e arretrare capì di aver colto nel segno. Rovinare la sua immagine pubblica era una delle più grandi paure di suo padre. Roxas era gracile, aveva solo le parole per proteggersi ma sapeva sfruttarle davvero bene. Perciò rimase interdetto quando un forte scappellotto gli colpì la nuca. Vide Tifa, guardarlo soddisfatto:
- Di me possono pensare quello che vogliono. – disse e si lanciò contro di lui.

- Kairi, smettila di guardare fuori e vieni a cena. – richiamò Elena versando la frittata sul piatto. Naminè impugnò il coltello e cominciò ad affettarla. Kairi sbuffò e scese dal davanzale. Guardò le due ragazze concentrarsi sul disco giallo e sbuffò: - Uffa Nami! Non potevi cucinare tu? Sono stufa di mangiare uova! – si abbandonò sulla sedia stancamente. Elena le mise davanti un piatto con un pezzo di frittata.
– Ma perché Axel e Reno sono così in ritardo? – chiese Naminè, sedendole di fronte. Kairi scrollò le spalle, versandosi un bicchiere d’acqua: - Non so. Reno fa spesso tardi e Axel è strano da quando è tornato. – L’adulta la guardò severa:
- Magari è solo cresciuto, signorina. – Kairi infilzò il pezzo con la forchetta e lo morse senza neanche tagliarlo: - Imfoffibile. – rispose a bocca piena. Naminè rise, chiedendosi come facessero a non arrivare alle mani.
Poi suonarono al campanello: - E’ arrivato! – esclamò Kairi battendo le mani e precipitandosi ad aprire.
- Buona sera. – disse una voce seria. Naminè sentì Kairi sbuffare delusa:
- Ah, sei tu. – borbottò.
- Chi altri dovrei essere? – entrarono in salotto. Naminè notò che era davvero elegante, con quel vestito nero, la camicia bianca e la cravatta bordeaux. Reno si chinò a baciare Elena e poi le sorrise:
- Ciao Nemenè. – salutò poggiando la borsa gonfia di carte sulla sedia di Kairi.
- E’ Naminè, signore. – corresse imbarazzata. Conosceva il fratello di Kairi, ma quella figura adulta e seria le aveva messo sempre un po’ in soggezione, al contrario di Axel con cui sembrava sempre alla pari, tanto che era allegro e giocherellone. Kairi si sedette sul divano, incrociando le braccia al petto.
- Com’è andata? – chiese la professoressa offrendo anche a lui un pezzo di frittata.
- Vinto la causa. – le sorrise rifiutando. Elena batté le mani: - Lo sapevo! –
- Certo lei lo sapeva. Lei sa sempre tutto. – sbottò Kairi alzandosi in piedi. Reno la guardò seria:
- Qual è il tuo problema, Kairi? – La sorella sbuffò: - Nessuno. – raggiunse le scale:
- Ti aspetto di sopra Nami. Finisci in fretta. - e prima di sentire altre risposte, sparì al piano superiore.
- Non so proprio cosa le prende a volte. – sospirò Elena e Reno le accarezzò la mano, come per consolarla e Naminè penso che Kairi odiava la professoressa perché amava suo fratello. Per il suo bene aveva preferito tenersi tutto dentro e aveva lasciato che la gelosia diventasse odio.

Aqua era matta. Non che quella fosse una novità, però in quel momento Zexion ne aveva avuta la conferma della conferma.
Perché a lei non andava bene il tradizionale “Alzi la mano chi vuole che la papera resti qui”, no, lei aveva dovuto metter su tutta quella sceneggiata, sennò non sarebbe stata contenta.
Si guardò attorno, tra lo stranito e il furioso: il suo salotto era diventato l’aula di un tribunale.
Lui stava in un banco, di quelli che si usano nelle scuole, anche un po’ piccolo a dire il vero, e anche Riku nella sua stessa situazione alla sua destra.
Un po’ più lontani, su delle ridicole sedie color carota Demyx e Xion erano la giuria.
E, meraviglia delle meraviglie, di fronte a loro stava Aqua, in un grosso bancone di legno da giudice, con tanto di tonaca, martelletto e occhiali.
- Dove hai preso tutta questa roba? – domandò Riku confuso. Aqua batté il martelletto seria:
- Silenzio in aula! – urlò. Riku e Demyx sbuffarono. Lei intrecciò le mani sul banco e rivolse loro un sorriso inquietante: - Diamo inizio al processo. – guardò Riku – Parli l’accusa. –
Riku inarcò un sopracciglio, poi decise che era meglio stare al gioco se voleva l’animale fuori di lì:
- Allora…- cominciò alzandosi in piedi – Il mio cliente…-
- Vai! Vai così maritino bello! – interruppe Xion saltando sulla sedia e agitando le mani. Demyx si chiese se cercava di imitare una ragazza pon pon o una cagna in calore, poi concluse che tra le due non c’era nessuna differenza. Aqua li guardò severamente:
- Signorina Aoi…- richiamò aspra – Siamo in un tribunale, non in uno stadio di football. – Xion si sedette imbronciata e Zexion tossì:
- Veramente siamo nel salotto della palazzina n. 18 in via del Mare, situata nella cittadina di Destiny, la capitale delle Destiny Island che…-
Aqua batté di nuovo il martello- Potete parlare solo se interpellati. Continui Avvocato Aoi. – Riku la guardò confuso – Avvocato? E di chi? – Aqua non gli diede retta e rigirò il martelletto tra le dita: - Se continuate con queste domande insulse emetterò la sentenza a favore della difesa senza neanche ascoltare le vostre argomentazioni. – e Riku decise che era meglio lasciar perdere.
- Il mio cliente…- cominciò in tono solenne indicando la sedia da cui si era alzato – Accusa il cliente dell’avvocato Aoi…- solo in quel momento si rese conto che avevano lo stesso cognome – di mirare al disturbo della quiete pubblica e di essere fonte di grande perdita per le finanze della famiglia Aoi di cui il mio cliente è l’unico membro capace di intendere e di volere…-
- Ma Aqua! – Zexion scattò in piedi – Sta accusando tutti…- Aqua batté il martelletto e si aggiustò la tunica – Ponga la domanda in modo formale, avvocato Aoi. – Se li avesse chiamati per nome sarebbe stato tutto meno ambiguo. Zexion sbuffò:
- Obiezione, vostro onore. – Aqua lo guardò soddisfatta – Accolta. –
- Accuso l’accusa…- e lì i giri di parole raggiunsero il culmine – Di oltraggiare quasi tutti i presenti con parole poco garbate, facendo anch’io stesso, e anche voi vostro onore, e la signorina della giuria, parte della famiglia citata dal mio collega. –
Aqua, che aveva organizzato tutta la farsa, ma probabilmente non aveva ascoltato una parola di quello che avevano detto, troppo occupata a rimirare il martelletto di legno, si limitò a guardarlo con aria di sufficienza e a dire “ Va bene”, poi si era rivolta a Riku e lo aveva intimato a continuare:
- Per i motivi appena citati in questa sede, chiedo l’immediata espulsione del cliente della difesa dalla palazzina n.18 in Via del Mare. Ho terminato. – si sedette appoggiando i gomiti al banco.
- La difesa vuole ribattere? – guardò Zexion, che strinse i denti. – Certo. –
Si alzò in piedi: - Il mio cliente nega tutte le argomentazioni dell’accusa, giacché è ritenuto assolutamente incapace di oltraggiare, in qualsiasi modo, umanistico o finanziario, il cliente dell’Avvocato Aoi. – sorrise – Inoltre l’accusa non alcuna prova. – Riku si morse il labbro: se avesse conservato la fattura dei danni al ristorante la papera sarebbe stata fuori di lì entro la fine dell’ora. Zexion si sedette.
Aqua esaminò alcune carte, all’apparenza bianche, e poi guardò Xion e Demyx:
- La giuria cosa ne pensa? – Xion mise il piede sulla sedia e alzò il braccio in alto: - Io sono d’accordo con Rikuccio mio, qualunque cosa abbia detto! – La donna le sorrise:
- Bene, si sieda adesso. E voi, signor Mizu? – Demyx cominciò a balbettare imbarazzato:
- Beh…io…sono a favore dell’avvocato Aoi. – disse cercando di partecipare al gioco.
- Chi dei due? – chiese Riku speranzoso.
- Zexion. – E, per quanto Zexion avrebbe voluto fare la linguaccia a Riku, si trattenne per mantenere intatta quel poco di dignità che gli era rimasta dopo aver fatto l’avvocato difensore di una papera di nome Demyx.
- Benissimo. – Aqua cacciò un campanello da chissà dove e lo suonò – Mi ritiro per deliberare. - e quando uscì, il salotto scoppiò a ridere.

Ven era strano quella sera. Era evidente che c’era qualcosa che lo preoccupava. Se ne stava lì, seduto sul divano, con un’espressione assorta e gli occhi chiusi, come se i pensieri fossero talmente profondi da non poter essere immaginati a occhi aperti.
Eppure quello, nessuno della sua famiglia lo aveva notato. Sora era già andato a letto, Aerith era in cucina a lavare i piatti e Squall stava guardando una partita. Anche a Terra sarebbe piaciuto vederla ma con Ven in quelle condizioni proprio non riusciva a concentrarsi sullo schermo, così decise che, anche se il ragazzo non avrebbe ricambiato il suo amore, magari sarebbe potuto essere un suo amico perché, pur non ricordando niente, Terra capiva che confessarsi alla propria famiglia era più difficile che confessarsi agli altri.
Si sedette accanto a Ven, ma quello non sembrò accorgersene e sussultò solo quando gli chiese “Ti va di fare una passeggiata?”.
Poi lo scrutò con quei grandi occhi azzurri che Terra amava tanto e annuì timidamente.
Non erano neanche le dieci e mezzo, ma le vie delle Destiny Island erano completamente deserte. L’aria fresca spandeva un leggero odore salmastro e i lampioni gialli brillavano come lucciole nella notte, allungando le loro ombre contro la ghiaia.
Quando Terra e Ven uscirono, rimasero sorpresi dal silenzio che regnava. Fu Terra a spezzarlo:
- Allora? – chiese incamminandosi con le mani dietro la schiena.
- Allora cosa?- rispose Ven leggermente imbarazzato. O almeno così sembrava. La verità era che teneva lo sguardo basso per non mostrare a Terra il suo viso in fiamme e il cuore che batteva forte gli impediva quasi di parlare. Quando l’uomo gli si era avvicinato per poco non gli era venuto un infarto.
- Ven la prima volta che ti ho visto dovevi fare la prima elementare. – informò serio – Riesco a capire quando qualcosa ti preoccupa. – sospirò – Questo perché conosco tanti ragazzi. – si corresse subito.
E a Ven parve di svenire: non solo il tizio di cui erroneamente innamorato si era accorto della sua esistenza, ma aveva anche capito che era preoccupato! Cosa che i suoi genitori non avevano fatto! Per un attimo l’idea di baciarlo gli attraversò l’anticamera del cervello ma la respinse fin da subito.
- Io…- sussurrò. Se non lo sentiva, tanto meglio. – Sono solo stanco. – a quella scusa abboccavano sempre tutti. Tutti tranne Terra, come poté notare.
- Non ti credo. Quando sei stanco sbadigli e ti stropicci gli occhi. – gli aveva appena detto che lo osservava ogni santissimo giorno! – O almeno penso sia così. – tentò di riparare al danno ma Ven era così distratto da non accorgersene.
Chissà se avrebbe potuto dirglielo, pensava. Se Terra avrebbe capito la storia di Roxas e il suo stato d’animo. Chissà se sarebbe andato a raccontare tutto a suo padre, in nome della loro amicizia. Chissà se Squall era a conoscenza dell’esistenza dell’altro figlio di sua moglie. Perché Roxas era solo l’altro, no?
Eppure c’era qualcosa in Terra che lo induceva a fidarsi di lui. Forse era il suo amore o forse la sua figura adulta e rassicurante.
In ogni caso sarebbe stato bello dirglielo, raccontare alla persona che amava quello che gli succedeva, per avvicinarsi un po’ a lui. Lo avrebbe fatto sentire molto più leggero.
Ven si morse il labbro e prese un lungo respiro: - Terra, sai mantenere un segreto? –

- Roxas, Roxas, Roxas. – la voce rimproverante di Marluxia arrivò alle sue orecchie ovattata a causa del dolore. Roxas era steso sul letto e di certo non si poteva dire stesse messo bene: aveva vari lividi in tutto il corpo, un occhio viola e il labbro spaccato. L’espressione compiaciuta che quello stronzo di Cloud aveva mentre Tifa gliele dava di santa ragione gli girava nella mente, facendogli venir voglia di rompere qualcosa…non che fosse nelle condizioni di farlo, comunque.
- Ma come ti è saltato in mente di fare quell’orrido scherzo quando tuo padre è fidanzato con l’incrocio tra un King Kong e un Pitbull??? – se sperava di farlo sentire meglio in quel modo, non ci riusciva per niente.
- Domani esibirò le mie ferite dicendo che me le ha fatte mio padre e gliela farò pagare. – rispose semplicemente. Quella bastarda doveva imparare che nessuno poteva toccare Roxas Strife. Marluxia ridacchiò: - Oh, non penso potrai farlo. – si rivolse alla cameriera – Cheryl passami le bende. – Roxas lo guardò confuso: - E per quale motivo? –
Il maggiordomo gli alzò il braccio, provocandogli una fitta alla spalla: - Quella donna, immaginando i tuoi loschi piani ti ha ferito in posti tutti coperti dai vestiti, quindi, a parte l’occhio nero, non potrai esibire un bel niente…sempre che tu non vada in giro nudo, ma in quel caso risulteresti talmente pazzo da far credere che ti sei ferito da solo. E poi qui non siamo a Rain Town. – e con quelle parole la fitta gliela provocò al petto. Gran bel modo di consolarlo, ricordargli che era a chilometri da casa. Non che Roxas se ne fosse dimenticato, certo, con quel caldo e in quella misera stanza era impossibile.
- Per cui nessuno ti si avvicinerà per chiedere cosa ti sei fatto. Quando ti sono venuto a prendere l’ho visto, Roxas. Sono tutti terrorizzati da te. – gli mise una benda bianca, di quelle che si usano negli ospedali, sull’occhio.
E Roxas rise. Una risata fredda, acida, senza alcuna gioia o divertimento.
Rise perché aveva lui non poteva perdere e avrebbe di certo trovato un modo per avere vendetta. Rise perché Ven, l’altro figlio di Cloud, non si sarebbe mai comportato in quel modo, certo, lui era bello, buono, bravo e gentile. E soprattutto rise perché sebbene a causa della benda vedesse il mondo a metà, sapeva che nella parte nascosta c’era la felicità.
Ma quella, non l’avrebbe vista neanche quando sarebbe guarito.

Le luci erano tutte spente quando Axel rientrò. Non era andato direttamente a casa, aveva preferito vagare un po’ per la città per riprendere confidenza con il suo paese e per schiarirsi le idee.
Erano tre notti che non dormiva. Di notte i ricordi lo tormentavano e si addormentava all’alba quando arrivavano i primi raggi di sole. Avrebbe voluto dimenticare tutto, ma non ci riusciva. Credeva che, riprendendo in mano le redini della sua vita, i ricordi se ne sarebbero andati e lui sarebbe andato avanti, lasciando il passato. Ma, evidentemente, non era così.
A tentoni inserì le chiavi nella serratura ed entrò, fermandosi ad assaporare per qualche secondo il silenzio e la calma che regnavano.
 In questo paese non c’è mai silenzio. E’ come se stesse sotto un ponte ferroviario.
Axel accese di scatto la luce, come se quella avrebbe potuto illuminare anche nella sua testa e quasi non si accorse della figura sul divano.
Indossava un pigiama azzurro, il pantalone con dei cuori bianchi e la maglia con le maniche a sbuffo. Era leggermente abbronzata e i capelli rossi ricadevano sulle braccia conserte nascondendo parzialmente anche gli occhi azzurri spalancati.
- Kairi? – domandò Axel meravigliato – Che diavolo ci fai qui? Dovresti essere a letto! –
Kairi si alzò in piedi e lo guardò severamente: - Dove sei stato Axel? Perché hai fatto così tardi? – E Axel si chiese perché si stesse comportando come una moglie gelosa.
- Beh, il lavoro…-
- Ho chiamato. – la sua voce tremò – Sei uscito più di un’ora fa. – E Axel la guardò passando dal confuso all’arrabbiato.
- Non ti riguarda. – disse freddo – Di certo non devo dire a te dove vado. – Kairi lo guardò e le lacrime le bagnarono le ciglia:
- Perché sei così Axel? Perché sei cambiato? – era leggermente isterica.
- Sai Kairi, sono maturato. A volte le persone lo fanno. – non c’era alcun tipo di calore nella sua voce. Kairi cominciò a piangere:
- Rispondete tutti così. Non è giusto Axel! Non è…-
- SMETTILA DI FARE LA BAMBINA! – urlò guardandola. Se gli altri si fossero svegliati, tanto meglio. Kairi lo fissò piangendo – Hai sedici anni, ma ti comporti come se ne avessi sei, sei solo una bambina Kairi. Cresci un po’, una buona volta. La vita non è fatta solo di giochi e vestiti non sarai sempre una principessa. Tienilo bene a mente. Devi crescere, smetterla di comportarti come ti pare e piace, perché il mondo non sta ai tuoi piedi. – e, pur sapendo di averle spezzato il cuore con quelle parole, Axel la lasciò in salotto e andò a letto.
Naminè, che aveva ascoltato tutto, arrivò poco dopo, una lunga vestaglia azzurro chiaro la copriva fino alle caviglie, e abbracciò l’amica in lacrime:
- Non preoccuparti. – la rassicurò – Axel era solo nervoso. Domani gli sarà passato tutto. –
- Non voglio crescere Naminè. – disse tirando su col naso – Non voglio crescere. – ripeté.
Già, pensò Naminè. Peter Pan aveva ragione. Sarebbe stato bello rimanere per sempre bambine, ignare di quanto il mondo fosse crudele.

Quando Aqua era rientrata urlando “Silenzio in aula” tutti si erano seduti sul divano, dopo aver smontato il palcoscenico della recita che era avvenuta prima.
Poi Aqua aveva riassunto tutto quello che avevano detto e da ben tre minuti continuava una frase iniziata con “Secondo il codice civile, articolo 3245, paragrafo bis 343…”.
- Sta sparando numeri e parole a caso. – sussurrò Riku a Zexion. Eppure tutto quel trambusto qualcosa di buono l’aveva fatto: aveva fatto riappacificare tutti.
- Me ne sono accorto. – ribatté il più grande vagamente divertito. Aqua scoccò loro un’occhiataccia.
- Ed è per questo…- alzò la voce – che non posso accogliere la domanda del signor Aoi e quindi l’oggetto, o meglio l’animale del litigio deve rimanere nella sede attuale. – Riku strinse i pugni mentre Zexion sorrise tranquillo.
- Tuttavia…- continuò Aqua – Tutte le spese per il suo mantenimento e per la sua educazione scolastica…-
- Certo, ci manca solo che la mandiamo a scuola! – sbottò Riku esasperato. Aqua lo ignorò: - …saranno a carico del signor Aoi. – Batté il martelletto – Così è deciso. L’udienza è tolta. – e sparì in cucina.
- Ehi Riku…- sussurrò Zexion – Non avremmo dovuto farle vedere tutti i giorni Forum. –
Riku sospirò: - Lo penso anche io. – Demyx s’intromise nell’argomento mentre Xion, che non avendo capito niente, ballava urlando “Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!”:
- Ma adesso dov’è? – chiese il biondino guardandosi attorni.
- Chi? Aqua? – Zexion si alzò in piedi.
- No, la papera. –
- Nella sua gabbietta che dorme. – Riku, vicino al mobile con la gabbia li guardò impaurito:
- No, Zexion. La gabbietta è aperta e la papera non c’è. –
E il rumore di un armadio che cadeva proveniente dal piano superiore, fece odiare a tutti, anche alla difesa, quella stupida sentenza.

Dopo un primo momento di balbettio Ven si era lasciato andare e aveva raccontato a Terra proprio tutto. Di Roxas, di quello che aveva provato quando l’aveva visto, di come si sentisse dopo aver scoperto che la sua vita era fondata su bugie.
E Terra, con suo grande stupore, l’aveva ascoltato, capito, consolato e poi gli aveva promesso che non avrebbe mai detto niente a nessuno.
E così Ven stava tornando a casa più leggero, senza quel peso sul cuore, e con un’espressione ebete sul volto, ripetendosi che aveva fatto proprio bene a dirgli tutto e che Terra era fantastico.
- Ehi, Terra…- sussurrò quando arrivarono davanti al garage – Grazie di tutto. Ora sto molto meglio. – Eppure non era ancora riuscito a guardarlo negli occhi.
- Figurati. – rispose l’uomo – Era il minimo per farmi vivere nel vostro garage. Se vuoi parlare sai dove trovarmi. – Gli carezzò delicatamente la testa, Ven ebbe un brivido e Terra ritrasse la mano come se avesse preso la scossa.
- Allora a domani. – salutò cercando di tenere la voce ferma. Quel contatto era troppo. Era contentissimo che Ven aveva scelto di confidarsi con lui, senza dirlo a nessun altro ma in quel momento si stava spingendo troppo oltre. Aqua aveva spiegato che non doveva avvicinarsi troppo, perché avrebbe potuto perdere l’autocontrollo e lui, di certo, non voleva fare del male a Ven.
- Già. Buona- buonanotte Terra. – balbettò allontanandosi. Anche lui era rimasto stupito da come il cuore gli era scoppiato quando l’altro lo aveva accarezzato.
-’Notte. – chiuse il garage.
Ven entrò in casa, infilò lentamente il pigiama cercando di non svegliare Sora e andò a letto.
“Va bene” pensò “Domani sarà un altro giorno”.






Note dell'autrice (Inutile dire chi è n.d.altra me):
Salve! Suvvia non fate quella faccia (Perchè, tu riesci a vedere che faccia stanno facendo? No, probabilmente sei solo matta n.d.altra me) non sono così in ritardo. (Ma certo che no... in fondo cosa sono tre settimane e quattro giorni? n.d.altra me) Ma si sa: la scuola, la scuola, la scuola (E Aggiungici pure: la sbadataggine, il pc bruciato, i vuoti di memoria e la pigrizia assoluta n.d.altra me).
Comunque ecco un altro capitolo. Di cui dovrete accontentarvi per molto tempo (Sai che novità. n.d.altra me).
E' inutile che vi faccia illusioni: In queste settimane mi sono avvicinata al pc solo per fare ricerche astruse e non ho avuto il tempo neppure per cominciare una fic per Halloween, o per scrivere una parola del prossimo capitolo. Per cui, mi dispiace per le persone (matte n.d.altra me) che mi seguono, ma dovrete aspettare un bel po' per vedere un'altro mio lavoro (Lavoro? Addirittura? n.d.altra me).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ora rispondo, abbastanza sinteticamente alle vostra recensioni.

_Ella_: Ma figurati! Penso sia una cosa equivalente: io non aggiorno, voi non recensite! (A dire il vero non funziona esattamente così n.d.altra me). Già...poveVo Voxy, ma mica è colpa sua! Anche se penso che in questo chap si sia dato un po' da fare per avere vendetta...oddeu, non immagino Cloud, sopportarlo 24/24!
I perchè di Aerith si spiegheranno nei prossimi capitoli.
Per quanto riguarda Aku e Roku...boh! (Non è per dire, non lo sa davvero n.d.altra me). Zexion è il clown della situazione. (Perchè, tu non basti? n.d.altra me). Grazie per tutto. La statua la preferirei di cioccolata...e a forma di scritta "yaoi" *o*! (ma che idiota n.d.altra me). O ancor meglio, a forma di Aku e Roku yaoi.
Grazie per aver recensito.

Shine Mizuki: E pensare che pensavo di postarlo tutto intero! Davvero l'hai letto tutto? Pensavo che nessuno l'avrebbe fatto (E allora perchè l'hai postato? n.d.altra me) Riku per Sora farebbe tutto: anche rinunciare alla sua vita sociale (Ma anche no)! E vabbè, speriamo che le cose si aggiustino (Ma guarda che devi deciderlo tu, Kim n.d.altra me). Beh, spero che tu sia piaciuto anche questo capitolo.

shiro chan: Ed ecco qua la seconda parte, come volevi tu! Spero ti sia piaciuta (Da quando hai iniziato le note l'hai già scritto tre volte n.d.altra me). Xion pare proprio per niente disposta a lasciare Riku...e Sora lo tratta come uno-scoth-ripara-guai-di-Ven, per cui mi sa che bisognerà aspettare un po' perchè le cose si sistemino...sempre che si sistemeranno. (Ma tu lo dovresti sapere! n.d.altra me).
Marluxia maggiardomo...chissà come mi è venuto (Veramente non sapevi chi metterci e hai pescato un nome dalla scatola n.d.altra me). Naaa, Axel mi serve per altro.
Nuooo, resuscita *fa massaggio cardiaco con ferro da stiro*, tanto Roxy rimane cattivo. Grazie per aver recensito.

Edo: Che bello che continui a seguirmi!Già, povero Roxy, nessuno lo capisce, chissà se troverà mai pace. (tanto per ricordartelo Kim, tu sei l'autrice. Dovresti poter decidere del destino dei personaggi n.d.altra me) Ma lui è cattivo di suo: guarda che ha combinato a Cloud qua! E adesso pure Ven è più triste così bilanciamo le cose (Il chè è strano per te che sei tutta "E vissero felici e contenti" n.d.altra me). Grazie per tutto.

WhiteDream: Grazie per tutti i complimenti, sono commossa *soffia il naso con fazzolettino bianco* (Questa potevi risparmiartela n.d.altra me). Dannato raffreddore! (-_-' n.d.altra me). Beh, se ha un po' di gentilezza sta molto molto molto molto molto (hai reso il concetto, basta n.d.altra me) molto in fondo...forse nei prossimi capitoli viene a galla, dipende da come si comportano i personaggi (Veramente dipende da te n.d.altra me). Roxy-depresso è terribilmente figo ù_ù (quasi quanto Hitler con la sciatica n.d.altra me). I tuoi viaggi avevano previsto qualcosa?
Comunque grazie di tutto e spero che continuerai a seguirmi.

Little white angel: Ciao matta! (Senti chi parla n.d.altra me). Non si può dire che siamo due maniache del "arrivare in perfetto orario" (Magari se ti fermavi solo a "maniache", potevi cancellare anche il "non" n.d.altra me). Dici che ti è piaciuto questa parte? E' come te l'aspettavi?
Io pensavo che la parte dell'incontro non avesse senso (E difatti è così n.d.altra me). Strano, quella frase volevo eliminarla, l'ho buttata lì a casaccio perchè non sapevo che scrivere (In pratica hai scritto tutta la fic così n.d.altra me). Contenta che ti è piaciuto! Pure che Ven piange!
Ho fatto abbracciare Sora e Riku (Maddai, non ce n'eravamo accorti! n.d.altra me), così ora potremo perseguitarli *ride malefica* (Ma che idiota n.d.altra me).
Perchè Roxy non è puccho quanto Sora (Più che altro direi, quanto in tizio che uccide la gente con una motosega n.d.altra me)? E poi Sora Riku è sempre pronto a consolarlo, mentre Roxy non ha nessuno *piange* (Kim, guarda che l'hai deciso tu. n.d.altra me).
Ti aspettavi che Xion se ne andasse??? E invece no! Se ne andrà solo quando si avvicinerà ad Aku o Roku e a quel punto cadrà giù da una scogliera (sei sempre la solita. Sospetto che tu abbia ambientato la fic alle Destiny Island proprio per questo n.d.altra me) .
Gli psicologi servirebbero a me (Menomale che lo sai da sola n.d.altra me), Aku è solo molto stressato con un gatto molto cattivo. Grassie per tutti i complimenti *regala statuetta di Riku e Sora fatta di Riso soffiato ricoperto da cioccolato* (copiare le pubblicità è una cosa che supera l'idiozia pura n.d.altra me).
Ma scusa...un po' di reputazione ci vuole, ogni tanto. (Basta guardare tu che fine hai fatto n.da.altra me). E poi puoi perseguitarlo quanto vuoi, anche photoshoppando fan art.
La scusa di Demyx è....un'esperienza personale. E la risposta di Xemnas è quella del mio professore.( Certo, sempre molto realistica quando arrivi a scuola n.d.altra me).
I creatori fanno tutto a loro immagine e somiglianza (Per questo tutti i personaggi sono matti n.d.altra me)...ma a me Roxas e Ven sembrano assolutamente normali (Certo, tutti si tagliano le vene e piangono in classe n.d.altra me).
Ma quale noioso e ripetitivo (Quello si può dire solo del capitolo n.d.altra me)? Ho davvero riso <---da notare la parola.
Se Ven ti sta antipatico allora ti starà simpatico Roku per quello che farà, se farà qualcosa (E questo cosa dovrebbe significare? n.d.altra me).
Grazie di tutto. Alla prossima.

E grazie anche a tutti quelli che hanno letto, commentato, aggiunto a seguiti/preferiti/da ricordare.
Ci vediamo (Chissà quando n.d.altra me),
Baci&Abbracci da Kim.
  
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