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Autore: NeverThink    10/10/2010    7 recensioni
(..)La ragazza continua a dondolarsi, avanti e indietro, mormorando parole confuse, prive di qualsiasi senso, mentre la ferita che le squarcia il petto pulsa di dolore, mentre un burrone al centro esatto di esso l’attira, la risucchia per non lasciarle via d’uscita.
Perché non riesce a respirare? Perché i polmoni le fanno così male?
Ogni respiro è una fitta, una pugnalata. Le lacrime scorrono più velocemente. Il suo dolore è così reale.(..)
(..)Poi lui s’inginocchiò lentamente, prendendole una mano. «Ma soprattutto, ti chiedo di passare con me ogni giorno della tua vita. Sposami, Eileen. Sposami.»
E lei sorrise.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One-shot venuta di getto ascoltando My Immortal.

 

In ogni giorno della mia vita

 






These wounds won't seem to heal,
this pain is just too real,
there's just too much that time cannot erase.

 

 


La pioggia cade lenta e leggera, carezzando e sfiorando le fronde dei verdi alberi. Non c’è vento e il cielo plumbeo tuona in lontananza. L’unico suono che Eileen avverte è quello della pioggia che sottile filtra fra le foglie, che si scaglia sui sassi, che si infrange sul terriccio umido.
Le scarpe col tacco sono poggiate sull’erba, infangate, sporche. I suoi piedi affondano nella terra che le sporca il vestito bianco con le spalline sottile, che le fascia in fisico snello ed asciutto. I capelli le si incollano alla pelle inumidita dalla pioggia ed è riparata sotto una grane quercia.
Ha le gambe rannicchiate al petto, le braccia a circondarle, la fronte poggiata sulle ginocchia. Si dondola avanti e indietro, gemendo.
«Mi chiamo Brian.» mormorò lui porgendole una mano.
Lei l’afferrò, sorridendo. «Eileen.»
«Sei nuova? Non ti ho mai vista frequentare questa scuola.» disse lui aiutandola a recuperare i libri caduti sul pavimento. Lui l’era finito contro.
«Sì, mi sono trasferita qui durante l’estate.»
«All’ultimo anno?» chiese sorpreso, guardandola negli occhi color del ghiaccio.
«Sì.» rispose lei portandosi una ciocca di capelli corvino dietro un orecchio.
«Che coraggio.»
Eileen sorrise. «Forse sì. O forse no.»
Brian le porse una mano e l’aiutò ad alzarsi.
«Grazie.» rispose lei avvampando di rossore.
«Di niente. Vai in mensa?» chiese d’un tratto, senza premeditazione.
Lei sorrise ed annuì piano col capo.
«Posso accompagnarti?»
Cosa sarebbe successo se quel giorno Brian non avesse intralciato il cammino di Eileen? Se non le avesse chiesto di pranzare insieme?
Cosa sarebbe successo se lei, quell’estate di dieci anni prima, non avesse accettato?
Non sarebbe lì e la sua vita sarebbe stata diversa. Non avrebbe avuto la dolcezza del miele, la tranquillità e la felicità del paradiso, non avrebbe avuto le fiamme ed il dolore dell’inferno.
Adesso, non sarebbe lì. Bagnata, svuotata della propria linfa vitale, segnata dalla sofferenza, dalla consapevolezza di aver cessato di vivere per davvero, di respirare solo per abitudine, di andare avanti solo per una promessa. In fondo, che senso ha vivere una vita a metà?
Le lacrime le rigano il viso rotondo, la pelle diafana incorniciata da onde color della pece, lunghe fino alla vita.
Trema per il freddo, per la vita avversa.
«Ehi.» mormorò una voce alla sue spalle. Eileen, poggiata alla ringhiera in legno della veranda, voltò il capo.
«Ehi.» mormorò sorridendo.
«Festa noiosa?» chiese  avvicinandosi a lei. La ragazza tornò a guardare l’oscurità che le si estendeva dinanzi. Sulla veranda dei ragazzi parlottavano con alcune ragazze, altri bevevano birra, ridendo e scherzando. Ma Eileen non riusciva a divertirsi come avrebbe voluto. Non conosceva nessuno, solo Brian, che l’aveva invitata.
«Non conosco nessuno.» rispose con lentezza.
«Mi dispiace di averti lasciata sola prima. Ma… un mio amico con regge gran che l’alcool.» sbuffò.
Lei sorrise. «Tranquillo. Sei un buon amico, e gli amici fanno questo.»
La luce argentea della luna di rifletteva sui capelli chiari di Brian, negli occhi ambrati. «Già.» mormorò poggiandosi con un fianco sulla ringhiera. «Ti ho invitata e ti ho lasciata da sola.» disse e sembrava parlasse più a se stesso che a Eileen.
«Ma ora sei qui.» soffiò lei.
Lui alzò lo sguardo su di lei ed i suoi occhi ardevano come fiamme blu. Accarezzarono con dolcezza l’ambra liquida degli occhi di Brian, facendolo fremere.
«Sei così…» ma le parole gli si bloccarono in gola.
«Così?» ripeté lei senza voce.
«Diversa.» soffiò premendole il palmo della mano sulla guancia.
«Non è sempre un bene essere diversi, Brian.» rispose lei scostando il capo e guardando il buio.
Lui le si avvicinò all’orecchio. «Per me sì.» le soffiò fra i capelli, aspirando il dolce profumo di vaniglia. Poi, poggiandole una mano sulla schiena e l’altra sulla vita la costrinse a voltarsi; quando le fu davanti premette con delicatezza le sue labbra su quelle di Eileen.
Fu un bacio dolce, tenero… il bacio di chi è destinato ad amare l’altro più della propria vita, il bacio di chi è disposto a dare la propria vita per l’altro. Solo che Brian ed Eileen ancora non lo sapevano.
La ragazza continua a dondolarsi, avanti e indietro, mormorando parole confuse, prive di qualsiasi senso, mentre la ferita che le squarcia il petto pulsa di dolore, mentre un burrone al centro esatto di esso l’attira, la risucchia per non lasciarle via d’uscita.
Perché non riesce a respirare? Perché i polmoni le fanno così male?
Ogni respiro è una fitta, una pugnalata. Le lacrime scorrono più velocemente. Il suo dolore è così reale.
«Ti piace?» le mormorò all’orecchio Brian, mentre entravano nel grande appartamento di New York City.
Eileen spalancò la bocca e sgranò gli occhi, esterrefatta. «Vuoi trasferirti qui?» chiese avanzando lentamente e guardandosi intorno. «E’ meraviglioso. Guarda quanta luce!» esclamò avvicinandosi alla grande vetrata. «E guarda che vista!» continuò pi voltandosi verso Brian.
Lui, poggiato al muro, con le braccia conserte, la guardava ammaliato. Guardava con occhi adoranti l’esile figura di Eileen, i capelli color della notte carezzarli la schiena, gli occhi chiari aprirgli le porte di un mondo fatto di perfezioni, il suo paradiso personale.
«Cosa c’è?» chiese lei inclinando il capo e corrugando la fronte. «Non ti piace?»
Lui sorrise teneramente. «Sei bellissima. E sei luminosa.»
«Oh, no, quello è il sole.»
Brian ridacchiò, scuotendo il capo; poi si avvicinò. «Sono passati sei anni, ma tu non sei cambiata per nulla.» mormorò posandole le mani sui fianchi ed attirandola a sé.
Eileen sorrise, innamorata, e gli passò una mano fra i capelli, indugiando sulla nuca.
«Ti amo, Brian.» soffiò baciandolo dolcemente sulle labbra.
«Ti amo anch’io, Eileen. Ma ho qualcosa da chiederti.» mormorò sulle sue labbra.
Lei inclinò il capo, in attesa.
«Vieni a vivere qui con me.»
Sgranò sorpresa gli occhi.
Poi lui s’inginocchiò lentamente, prendendole una mano. «Ma soprattutto, ti chiedo di passare con me ogni giorno della tua vita. Sposami, Eileen. Sposami.»
E lei sorrise.
Sotto il cielo grigio lei si guarda la fede all’anulare sinistro, la piccola fede oro che luccica nonostante tutto, l’oggetto che giorno dopo girono le ricorda chi è, e chi è stata, chi per sempre sarà. La mano d’un tratto le pesa, come se quell’oggetto le gravasse più di un macigno, un dolore che si diffonde nelle vene, si lega al sangue. Un urlo muto irrompe il silenzio quando alza lo sguardo e guarda quella piccola tavola di marmo: Brian Cook, marito adorato, in ogni giorno della mia vita.
Grandi mani sporche le carezzavano il ventre gonfio, il ventre brulicante di vita.
Eileen chiuse gli occhi, pregando Dio che quel supplizio cessasse. Aveva la spalle contro il muro, immobilizzata non riusciva a muoversi.
Brian…
«Faremo presto, piccola…» mormorò l’uomo al suo orecchio.
«Lasciami.» soffiò con voce incrinata lei.
Non poteva finire così…
Ciò che accadde dopo avvenne tanto velocemente che Eileen non riuscii a codificare le azioni. Nel buio una figura sovrastò l’uomo dal cappotto verde. Ci furono gemiti, rumori, poi un respiro pesante che le si faceva avanti.
Col cuore ricolmo di paura Eileen guardò gli occhi di Brian guardarli titubanti ed innamorati. Il naso e il labbro sporco di sangue.
«Oh, tesoro.» mormorò, ma Eileen non ebbe il tempo di rispondere. Brian, appena avvicinatosi, sgranò gli occhi e si lasciò scappare un singulto. L’uomo dal cappotto verde oltre le sue spalle sorrise, prima di ritrarre la lama affondata nella carne.
«Scappa.» gemette Brian prima di lasciarsi andare indietro e spendere le sue ultime energie per salvare la sua unica ragione di vita.
Può ancora vedere gli occhi di Brian pregarle di fuggire, di mettersi in salvo. Può ancora vedere i suo occhi spegnersi piano nell’oscurità, il suo corpo lottare invano. La sua voce affievolirsi…
Nessun dolore era paragonabile al vederlo spegnersi davanti ai propri occhi, al veder la vita abbandonarlo lentamente.
Niente è più sopportabile.
Lui non c’è. Non tornerà mai più indietro. E si strugge nella sua assenza, nella perdita, nella vita oramai priva di senso… ma deve tener duro, tenere duro per… lei.
Con il viso rigato dalla lacrime Eileen si alza. Non le importa se il vestito bianco e sporco di fango, se anche i piedi e le scarpe lo sono. Con estrema lentezza, mentre una folata di vento le scosta i capelli dal viso, si avvicina alla lapide.
Si china e ne sfiora la superficie, chiude gli occhi e poggia la fronte su di essa.
«Ti amo, Brian. In ogni giorno della mia vita.» mormora prima di baciare il marmo.
Con il peso della perdita a schiacciarle il gracile petto, Eileen afferra le scarpe e si allontana sotto la pioggia estiva.


Eileen è tornata a casa. Si è sfilata il lungo vestito bianco, gettandolo nel lavandino, poi ha la lasciato che l’acqua calda le scivolasse sul corpo diafano, sui capelli scuri, sulle labbra, sulle palpebre chiuse, arrossate e gonfie per il pianto. Ha lasciato che l’acqua calda le distendesse i muscoli tesi del collo, i muscoli tremanti del corpo indebolito. Con sguardo vacuo si è passata un asciugamano fra i capelli neri e setosi prima di asciugarli, ha indossato una tuta ed è andata da Amy, che occupa l’appartamento accanto al suo. Ed ora fissa la porta di legno scuro al quale dovrebbe bussare, ben sapendo che  lei non fa altro che aspettarla. Vorrebbe alzare il braccio, vorrebbe bussare, ma non ce la fa. Sente gli arti pesanti e sconnessi dal resto del corpo, gli impulsi che il cervello manda alle sue terminazioni nervose sembrano svanire prima ancora di partire.
Sospira. Avanti, Eileen, si dice. Poi bussa, lentamente, e le pare che nocche si frantumino contro il legno, come fossero fatte di cristallo.
«Eileen!» esclama in un sorriso Amy, tra le braccia un piccolo corpicino, un viso tondo e sorridente. «Guarda, c’è la mamma.» mormora la ragazza dondolando sul posto. Poi alza il capo e il suo sguardo incontra gli occhi ghiaccio di Eileen. «Dai, entra.» continua.
La ragazza scuote il capo, mentre un lampo di disperazione fende il cielo dei suoi occhi. Amy capisce e non può che sorridere mestamente, miscelando alla comprensione, il dolore, la sofferenza, la consapevolezza che il mondo di Eileen in questo momento è simile al deserto siberiano.
«Okay.» sussurra chinando il capo, incapace di sostenere quello di Eileen, poi le porge la piccola bambina che stringe fra braccia ed il vuoto piano diminuisce, i margini della ferita smettono di pulsare, e finalmente Eileen riprende a respirare.
«Grazie.» mormora solamente prima di voltarsi e rientrare in casa.
Per alcuni istanti osserva la grande vetrata, la vista notturna, l’arredamento caldo e tranquillo, poi si avvicina alla sedia a dondolo accanto al camino e comincia piano a dondolare, mentre la pioggia scroscia incessantemente, ticchettando contro il vetro.
Eileen guarda il viso della bambina che stringe dolcemente fra le braccia, i suoi occhi ambrati, i capelli scuri. Le bacia la fronte e sa che non c’è creatura più bella di quella, così simile al suo Brian...
«Oggi sono andata da tuo papà, tesoro…» mormora con voce rotta. Sente le lacrime premere per uscire mentre la bambina la guarda negli occhi e le poggia una mano sul viso.
E ti vedo entrare, Brian. Le chiavi girano nella serratura che immediatamente scatta. La tua testa fa capolino oltre lo spesso legno ed il tuo sorriso illumina l’intera stanza, mentre entri. Ti avvicini a noi, qui sedute sulla sedia a dondolo che mi hai regalato per Natale, e i tuoi occhi d’oro liquido mi riscaldano in cuore, che quasi pare scoppiarmi per la felicità. Mi dici “ciao, piccola” ed io ti sorrido dicendoti che mi sei mancato. Poi guardi lei e una strana luce ti illumina il viso, gli occhi, dipingendo un’espressione di dolcezze e tenerezza. Ti chini su di lei e le baci la fronte. Le mormori che le vuoi bene, che l’ami più della tua stessa vita. Poi alzi lo sguardo e incroci i miei occhi per sempre innamorati, e mormori che mi ami, anche me più della tua stessa vita. Io ti rispondo che senza di te non vivo, che sei colui che mi ha fatta nascere una seconda volta, che mi ha dato vita. Ma tu sei ostinato e mi ripeti, come tante altre volte, che sono io ad averti dato vita, che non posso spegnermi perché sono io la mia luce. Mormoro che ti amo, che ti amerò in ogni giorno della mi vita e tu, semplicemente, mi rispondi “darei cento, mille volte la mia vita per voi. Sempre, in ogni caso.”
E’ così è stato.
«Sai cosa mi ha detto?» geme con le lacrime che le scorrono sul viso. «Che ti ama più della sua stessa vita, Briany

   
 
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