Autore:
RainLullaby
Titolo: ‘Tango Lloron’
Fandom: Tutti pazzi per amore
Genere: Commedia, romantico
Pairing: MonicaxMichele, Laura, Stefania, Giulio, Maya, Rosa, Elio.
Avvertimenti: One shot,
what if?, missing moment
Rating: Giallo
Note d’autore: Questa one-shot nasce così, senza
motivi in particolare. Dopo
essere rimasta due mesi in cantiere, l’ho finalmente finita!!!
L’ambientazione non rispetta in alcun modo quella
riscontrabile nella
fiction, infatti è vista come un’interpretazione
di una dichiarazione
dell’attrice Carlotta Natoli (miseria!!! Quanto la adoro **
<3), in video chat, dove
abbozzò su due piedi quale
poteva essere un modo meno drastico per allontanare momentaneamente
Michele
dalla serie: una fuga.
In questo caso, la fic si apre su uno scenario in cui, Michele torna
dopo questo periodo d’allontanamento forzato per motivi
ignoti e probabilmente
gravi e per ottenere il perdono di Monica...
*Nel
testo appariranno
dei cuoricini in rosso e una parola ( sempre in rosso e sottolineata),
in quel caso sono link
rimandanti a youtube, per il collegamento alla colonna sonora adatta al
momento. *Finiti i chiarimenti: Yuppy!* XD
Tango<3 Lloron. ♥
Danzare
è come parlare in silenzio. È dire molte cose,
senza dire una parola.
È
per l'erotismo come per la danza: uno dei partner s'incarica sempre di
condurre
l'altro.
(Yuri
Buenaventura & Milan Kundera)
Una
leggera brezza, senz’altro piacevole, inebriava quel tiepido
pomeriggio di giugno.
Roma
sembrava essersi assopita sotto il sole vivace che faceva capolino
qua e là, nascondendosi dietro qualche nuvola rada.
Laura
era in macchina, attendeva in coda al semaforo, scorgendo sognante
il cielo dal finestrino semi aperto, mentre la radio dava voce al disco
di
Biagio Antonacci, accuratamente sottratto ai figli- in quel periodo,
afflitti dai
sentimentalismi adolescenziali.
Il
trafficò si districò più velocemente
di quanto pensasse,
permettendole di poter continuare il suo tragitto verso la meta.
Una
volta parcheggiata l’auto, vi scese con innata disinvoltura e
si
diresse verso l’entrata della scuola di ballo della sorella.
Entrò
tranquillamente, scostando la porta a spinta e avanzando a passo
lento, calpestando il parquet dell’ingresso, fino ad arrivare
dinnanzi
all’uscio della sala da ballo.
Scorse
i costumi sfavillanti della sorella e del cognato, stavano
entrambi in piedi appoggiati alla porta, mentre osservavano due
ballerini,
tramite la vetrata ed il riflesso dello specchio.
«Stefi!»
la salutò la sorella, andandole incontro per abbracciarla.
«Laura,
ciao!»- ricambiò Stefania, baciandola sulla
guancia- «Che
sorpresa! Solitamente non passi mai…»
«Sì,
lo so. Paolo aveva da fare al vivaio e non riusciva a venire a
prendere Nina…quindi, visto che passavo di qui, ho deciso di
fare un salto!»
spiegò Laura.
«Nina
arriva subito, si stava cambiando.» la rassicurò
Stefania,
cercando di mascherare la faccia appesa con un sorriso
che voleva essere rassicurante.
«C’è
qualcosa che non va, vero?» constatò la bionda,
rivolgendosi ai
due.
«Ma
no… Figurati, va tutto bene…» finse,
con un sorrisetto forzato, Stefania.
«Sarà, ma quelle facce appese non mi convincono!» continuò Laura, analitica. ♥
«Beh,
non troviamo la coppia che dovrebbe esibirsi alla gara di tango: la
coppia che avevamo scelto è K.O.»
«K.O.?»
«Lui
si è rotto un menisco ed è geloso di lei, quindi
non posso utilizzarla
con un altro partner: siamo disperati!»- disse Stefania che,
sentendo, poi, un
tonfo, si corresse- «No, anzi, siamo rovinati!»
«Sì,
l’unica alternativa che abbiamo al momento sono quei due
laggiù…» continuò Giulio,
indicando la coppia che stava provando nella sala.
Attraverso
il vetro, si scorgevano due ballerini: si muovevano
sgraziatamente, cercando di imitare qualcosa che
s’avvicinasse, anche vagamente,
a ciò che poteva definirsi un tango figurato. Si trattava di
due sagome
completamente scoordinate e fisicamente improbabili, almeno per quanto
concerne
con lo standard di riferimento usato per la scelta dei ballerini.
La
donna era innegabilmente abbondante, mentre l’uomo,
nonostante una
prorompente appendice nasale, si mostrava fisicamente asciutto e
prestante,
anche se le movenze azzardate di quell’astruso ballo lo
rendevano parecchio
ridicolo.
«Ah…
capisco.» disse, osservando la coppia tramite il vetro.
«Eh…»
esalò Giulio.
«Tu,
invece?» domandò Stefania, notando il volto
preoccupato della
sorella.
«Beh,
diciamo che in redazione abbiamo problemi con
Monica…» rispose
Laura.
«Monica?
Che le è successo?» chiese Stefania, curiosa.
«Michele…»
sbuffò Laura.
«Capito:
tu vorresti risolvere, ma non sai come fare, vero?» chiese
Stefania retoricamente.
«Esatto:
questa volta è difficile metterci una pezza!»
confermò la
sorella.
«A
chi lo dici! Ed io che m’illudevo di poter trovare una coppia
affiatata,
ma non troppo… Sognavo una di quelle alchimie travolgenti
dove traspaiono intesa e passione: per il tango sono componenti
fondamentali…»- si sbracciava
Stefania con tono entusiasta, trapelante del suo senso di megalomania-
«E,
invece, ci ritroviamo con questo prototipo di Moby Dick abbrancata alla
brutta
copia di Pinocchio.» -continuò, mentre il suo tono
di voce si smorzava,
perdendo d’enfasi.
«Beh,
non sono proprio due ballerini provetti, però…»
cercò di sminuire Laura con una smorfia.
«Però, cosa?»
chiesero in coro
i due ballerini, con tono scettico.
«Avete
ragione: sono disastrosi!» ammise Laura, inarcando un
sopracciglio.
«
E pensare che avevo un’idea così limpida,
delineata: una coppia
frizzante, passionale, non scontata, anche se mi rendo conto che,
forse, sono
un po’ troppo esigente. » continuò
Stefania, riflettendo.
«Beh…
I ballerini non crescono di certo sugli alberi, però una
coppia credibile
in giro dovrà pur esserci, o no?» cercò
di confortarli Laura.
«Al
quanto pare, si nascondono molto
bene.» rispose Giulio.
«Aspetta
un momento! Giulio, ho avuto una visione! Sai come con la
scuola di danza, Paolo, ‘Shava
Shava’…» trillò Stefania,
farneticando pensieri
senza alcun nesso logico.
«Oh
Madonna! Stefi, respira e concentrati!» la incitò
a pensare il
marito, appoggiandole una mano sulla spalla.
«Aspetta…
Senti, lei: rossa, sguardo sicuro, vestita di pizzo; lui:
scuro, alto, moro di capelli!» vaneggiò Stefania.
«Ma
questi sono… Io li conosco!» concluse sconcertato
Giulio.
«Ma
è lampante: sono Monica e Michele.»
constatò Laura realisticamente.
«Sì,
sì, sì!» emise dei gridolini
d’entusiasmo Stefania, facendo
sventolare le paillettes del vestitino.
«’Sì,
sì, sì!’ cosa, Stefania?»
chiese scettica l’altra.
«Magari
potrebbe essere un modo per farli riavvicinare: il
tango è magico, no?» suggerì
la
sorella.
«Sì,
ma… stento a credere che accetteranno.» porse in
risposta Laura con
pessimismo spiccato.
«Ma
non hai detto che lui le sta provando tutte per
riconquistarla?»
incalzò il cognato.
«Beh,
tu la fai venire qui con una scusa, ovviamente, e poi fai fare a
noi. Così, risolviamo i loro problemi, si ricongiungono:
bacini, bacetti e
tutto quanto e noi abbiamo i ballerini adatti per la gara: meglio di
così!»
trillò raggiante Stefania, gesticolando.
«Stefania,
questo è usare le persone!» notò la
sorella discorde.
«No,
questo è ottimizzare e,
in questi tempi di crisi economica e non, è una mano
santa!» -la corresse la
sorella- «Intanto, chiama lui; se vuole farsi perdonare,
accetterà di certo e
di corsa!»
«A
me pare tanto una follia, figurati se quei due
accettano…» si mostrò
dubbiosa Laura.
«Va
beh, Laura, tentare non costa nulla.» suggerì
Giulio.
«Lascia
fare…» - soggiunse Stefania, mentre osservava la
sorella
immobile a guardarla e scambiarle occhiate torve- «Che
aspetti?! Lo devo
chiamare io Michele o ce la fai da
sola?»
Laura,
sbuffando, estrasse il cellulare dalla borsa, scorse la rubrica
fino ad arrivare al numero del fidanzato della migliore amica e,
premendo il
tasto verde, attese in silenzio che l’uomo rispondesse.
«Michele!
Ciao, sono Laura. Tutto bene?»
«Sì,
sì, non ce male… Sì, lo so che senza
Monica ti senti perduto,
eccetera, eccetera… Sì, ma ascoltami, forse
c’è un modo per recuperare; sappi
che però non me ne prendo la
responsabilità!»
~
Michele
trascinava stancamente i piedi sul parquet, dirigendosi verso la
sala da ballo, dalla quale proveniva il ritmo di una travolgente samba.
Si
affacciò alla porta a vetri, allora socchiusa, e vi
sbucò pochi
istanti dopo, appena vide Stefania e Giulio seduti sullo stereo a
impartire
suggerimenti ad una coppia di aitanti ballerini.
«Michele,
eccoti!» esclamò Stefania, intravedendo Michele.
«Ma
siete sicuri che funzionerà?» chiese lui,
profondamente turbato,
avanzando verso di loro.
«Michele,
cosa dici?! Deve
funzionare!» lo corresse Stefania, inarcando il sopracciglio.
«Beh,
ma, Stefi, non è proprio così scontato
che…» si sentì in dovere di
soggiungere Giulio; subito dopo, venne zittito dalla compagna che di
angelico
sembrava avere soltanto l’aspetto.
«Giulio
scherza sempre, comunque dobbiamo perché:
Primo:
volere è potere!!
Secondo:
se tu non torni a casa, darai problemi psicoemotivi a tutti
coloro che hanno a che fare con la tua ‘dolce
metà’ e tuo figlio crescerà
orfano di padre.
Terzo,
ma non per questo meno importante, se fallisce il piano e non
partecipano alla gara di tango, saremo costretti a chiuder bottega e tu
non
vuoi avere la nostra imminente rovina sulla coscienza, vero?»
lo intimidì la
bionda.
«E’
sempre così, non ti preoccupare: è molto meglio
di ciò che sembra!»
bisbigliò di sottecchi Giulio a Michele.
«Allora,
iniziamo sì o no?» divenne sbrigativa Stefania,
fissando i due
uomini, intimiditi dinnanzi al suo cipiglio severo e, tremendamente,
determinato.
«Hai
capito, Maya?» domandarono in coro, a carattere inquisitorio,
Laura
e Rosa.
«Non
mi fido, ripeti!» continuò Rosa nel cogliere
un’evidente smorfia di
Maya.
«Va
bene, va bene, arriveremo insieme con il pacchettino alla scuola di
Stefania e obblighiamo Monica a gettarsi a capofitto nel ‘sacro fuoco
dell’arte’»
sbuffò Maya, rivolgendosi
alle due amiche.
«Magari,
un pizzico in più d’entusiasmo, tesoro!»
suggerì Laura,
cercando di invogliare la rossa.
«Pretendete
pure l’entusiasmo!
Capisco che la vecchia Maya si è estinta, ma il tango
è un cosuccia innocente:
un ballerino figo lo potevate rimediare anche a me, no?!»
polemizzò, tenendo il
broncio.
«Non
so perché, ma una ritorsione del genere me
l’aspettavo!» commentò
disinvolta Rosa.
«Comunque,
dovete aiutarmi: mia sorella, come suo solito, mi ha cacciato
nei guai ed il vestito lo dobbiamo trovare noi. »
-spiegò Laura che, notando le
facce perplesse delle altre, si sentì in obbligo di
continuare- «Sì, avete
capito bene: noi, perché
voi siete
miei amiche e non potete lasciarmi nei guai proprio
adesso…»
«Eh…
ti pareva!» si lamentarono le due in coro.
«Ragazze,
ricordate: en –tu – sia – smo! In ogni
caso, il problema è:
dove si trova un costume del genere?» domandò la
bionda, indubbiamente
preoccupata.
«Beh…
Se proprio devo essere sincera, io avrei in mente un certo
posticino...» civettò Maya.
«Davvero?»
si illuminò Laura.
«Beh
sì, vi accenno solo che il completino,
quello da infermiera- sì, proprio lui, l’artefice
del collasso del ‘lumacone’,
di Bui, insomma- l’ho
rimediato lì.» confessò Maya, facendo
l’occhiolino.
«Cos’è
sta storia del completino da infermiera?» se ne venne fuori
Elio.
«Che
palle, Elio! Quanto sei geloso; il passato è
passato!» esclamò Maya
infastidita.
«Sì,
va bene, ma con il direttore vecchio e stempiato: ‘Buonasera
Dottore’ vestita da
infermiera tutta sexy e con me, ‘l’amore della tua
vita’, niente di niente?!»
«Vedete!
Ve l’avevo detto, ve l’avevo detto: mai
con una delle tre categorie a rischio!» borbottò
la rossa.
~
«Ma
io non voglio, la smettete?!» strepitò Monica con
gli occhi bendati
da una benda nera.
«Uffa!
Certo che sei suscettibile…» sbuffò
Maya, continuando a tirarla
per un braccio.
«Una
sorpresa è una sorpresa!» soggiunse Rosa.
«Sì,
ma bendare l’amica che, tra l’altro, è
la vostra datrice di lavoro
potrebbe arrecare danni seri, ve ne rendete conto,
sì?» replicò Monica
indispettita.
«Entra,
su!» strillò Maya, aprendo la porta, mentre Rosa
slacciava la
benda.
«No,
aspettate! E questo camerino che starebbe a significare?!»
rispose
Monica, con la faccia di qualcuno che pensa di essere vittima di uno
scherzo di
cattivo gusto.
«Mettilo, subito!» la
intimorì
Maya, indicando un vestito di pizzo nero.
«Ma
voi siete pazze!» ribatté Monica, come al solita
discorde con le
imposizioni.
«Subito!»
~
«Su,
avanti, vieni avanti, Monichina!» la strattonava Rosa.
«No,
no, no! Voi non potete approfittarvi di me in questo modo!»
si
dimenò Monica, cercando di sfuggire alla presa pronta delle
due amiche.
«Monica,
come la fai lunga! Che sarà mai!»
sbuffò Maya.
«Un
giorno ci ringrazierai per quello che stiamo facendo, eccome se ci
ringrazierai, bella mia!» esclamò Rosa,
continuando a tirare Monica per un
braccio.
«Eh…
Voi due mi fate paura, poi, con Maya nei paraggi, non so
perché, ma
il fatto di avere una benda nera
sugli occhi non mi conforta affatto!» rinfacciò la
rossa, indicando un’ampia
benda che le copriva gli occhi.
«Uffa!
Ancora con questi pregiudizi! Non lo dicevate anche voi che sono
cambiata, che la vena da mangiatrice di uomini si è estinta?
Fidati per una
volta, no?» si infastidì Maya, continuando a
guidare Monica che, per quanto si
sforzasse, andava avanti a tentoni.
«Ah
ah! Piuttosto che fidarmi di te, Maya tesoro, mi farei rinchiudere
nella gabbia dei leoni con Massimo X Meridio!»
controbatté la povera vittima,
acida.
«Ma…
Aspettate un attimo: alla fine, sbaglio o il gladiatore
muore?» si
fermò Maya, dubbiosa.
«Appunto,
Maya! Appunto…!»
rispose con tono decisamente cinico.
L’amica
tacque, rivolgendole soltanto un’ inutile smorfia, in segno
di
disapprovazione.
«Io
lo sapevo che non dovevo fidarmi di due come voi, siete due
pazze!»
borbottò Monica, parecchio infastidita.
Rosa
e Maya assistevano al loro calvario in silenzio, senza commentare.
«Siamo
arrivate, siediti!» le suggerì Rosa, quando furono
arrivate nel
centro della sala da ballo.
Monica
si abbandonò alla sedia di vimini, sbuffando.
«Voi
lo sapete, sì, che la crisi economica in Italia
c’è sempre e che,
essendo io la vostra datrice di lavoro, potrei, insomma, come posso
dire,
allinearmi ai tagli di personale per comprarmi quella
borsa di Luis Vuitton nuova?» cercò di intimidirle
la
riccia, dimenandosi sulla sedia.
«Ah-
ah- ah!» sbuffò Rosa.
«Davvero
valiamo soltanto
quanto una borsa per te?» piagnucolò Maya,
arricciando le labbra verso il
basso.
«Beh,
tu vedila così,
«L’assenza
di Alien ti ha
influenzato negativamente!» notò Maya, con aria
allibita.
Nel
frattempo, Stefania e Giulio si erano appostati dietro la porta a
vetro della sala, incitando Michele ad entrare.
I
due abbozzarono un occhiolino alle ragazze facendo loro segno di
lasciare la sala.
Michele,
pur essendo molto dubbioso, entrò con disinvoltura,
opponendo
un’immagine di sé ferma, sicura.
Aprì
la porta, senza voltarsi indietro, con passo e cipiglio sfrontato
si lasciava indietro il parquet su cui aveva lasciato la propria ombra
scura.
Arrivò
alla sedia, vi si poggiò di schiena e sfiorò,
contemporaneamente,
le mani di Monica sullo schienale di ferro nero.
E
qui,
in quel medesimo istante, esplose la musica: un tango moderno,
parlato…
travolgente ad ogni modo.
Monica
si sentì percorso da un brivido, quel rischio che sentiva,
quella
paura intrigante s’impossessavano del suo corpo, vibrando
sotto la pelle calda,
bianca.
Michele
aspettò qualche attimo, quanto bastava per consentire a
Monica
di acquisire il suono ridondante concesso dalle corde d’una
chitarra dalle
melodie estranee e lontane, allora imprigionate in un disco. Incessanti
i raggi
di luce del cd penetravano lo specchio della porta vetro, innanzi a
loro, così
distante.
Basta,
non si poteva continuare nell’attesa.
Afferrò
la sua mano, attirandola a sé.
Sussultando,
Monica affrontò quella presa forte; pur non sapendo cosa
l’aspettasse.
In
un frangente d’istanti, sentì il suo corpo
sfiorare quello dell’uomo
che pur non riuscendo a vedere, sentiva.
Si
stupì, tra sé, sorridendo maliziosamente, di come
riuscì a far suo il
contatto con quel corpo sfuggente che le cingeva stretto i fianchi.
Si
lasciò guidare, mentre sfidava il movimento
dell’aria, in
controvento, sfidando con passi lenti, cadenzati il parquet lucido.
I
tacchi alti di Monica, tanto dolce quanto azzardata imposizione delle
sue amiche, scivolavano
lente a ogni
passo, che ad ogni accenno di musica si facevano più
disinibiti, più
incalzanti.
Michele
andava avanti, la teneva stretta sempre di più,
convincendola
con il suo tocco dolce a fidarsi completamente di lui e delle sue mani
che
ondeggiavano incontrastate sul pizzo nero, che disegnava la trama fitta
a fiori
lungo la schiena, riflettendo la sua pelle chiara.
Monica
era estraniata, non contava null’altro che il calore che il
corpo
su cui si cullava le infondeva. Sentiva passione in quel contatto,
questo
provocava in quel ballo il diffondersi d’un amaro retrogusto
di vergogna. Le
guance le erano improvvisamente avvampate al solo pensiero di quella trasgressione. Qualcosa dentro di
lei sembrava suggerirle che non v’era incoscienza in quel
pensiero, in quella
voglia.
Voleva
vederlo, quell’uomo.
Forse,
perché, infondo, trovava strano come quelle carezze fossero
disinibite, sicure, passionali. Lo sconosciuto, che la guidava
inseguendo
quella musica, conosceva il suo corpo da sempre
e
anche lei aveva incontrato il suo, di già e
sapeva d’esservi rimasta.
Assecondava
ogni cosa; non l’avrebbe fatto mai e poi mai, se avesse
attuato anche solo un po’ dell’autocontrollo che
sfoderava nell’affrontare la
vita.
Trasgredire.
Si
sentiva una bambola di pezza tra le sue braccia ferme che,
però, non
dimenticavano mai di farle conoscere quanto potessero rivelarsi dolci,
toccandola.
Nonostante
si rivelasse quasi degna di perversione, la fantasia di poter
scoprire chi fosse il possessore di
quelle carezze sfrontate non spingeva Monica a sfilarsi la benda ed
incrociare
i propri occhi ai suoi.
Michele
cercava di non guardarla in volto, almeno non direttamente;
questo fino a quando non sentì un tanto irruente quanto fremente desiderio di
sfidare il suo stupore,
guardandola direttamente negli occhi. Fermò il passo un
istante, con una mano
sfilò il lembo di tessuto nero che coprivano gli occhi
celesti di Monica.
Monica
trattenne un urlo, istigato metà per rabbia, metà
per stupore. I
suoi occhi vispi si accesero improvvisamente e una smorfia fece
comparsa sul
suo viso. Nonostante, avrebbe avuto voglia di sprigionare tutto il suo
astio
represso, decise di continuare il ballo fino
all’ultimo
accenno.
Incroci
veloci, gli ultimi, si succedevano lasciando spazio agli ultimi
appoggi prima dell’ultimo accordo del violino.
Finirono
vicini, uno all’altro, stretti. Michele la guardava malizioso
dall’alto, tenendo la fronte poggiata a quella di Monica.
Lei
faceva finta di nulla, finse un sorriso di compiacenza per poi...
[Sbang!]
Con
tutto il risentimento possibile nei confronti della fuga che aveva
dovuto subire, un prepotente pestone a opera di un signor tacco 12
poteva
considerarsi più che ragionevole, anzi, anche fin troppo
indulgente – secondo
il suo parere.
«Ma
che è?! Ti sei impazzita!?» esclamò
Michele, barcollando per il
dolore al piede.
«E
no, caro mio! Dovevi aspettartelo, volevi, forse, che ti stendessi il
tappeto rosso?» controbatté lei, acida.
«Lo
spirito ironico non ti manca mai, eh?» la provocò
ulteriormente.
«Certo
che no! Non mi lascerei sfuggire l’occasione di
‘farti la punta’
per nulla al mondo, a costo di farmi scuoiare viva!» gli fece
una smorfia lei,
continuando a rimanere immobile nella posa del tango.
«Ah
– ah – ah! Comunque dimmi che non ti ho
sorpreso!» continuò
lui, avvicinandosi al viso di lei.
«Non mi hai affatto sorpresa!»
ribatté Monica, voltando il capo verso l’alto,
muovendo i ricci biondi
all’indietro.
«Ma
come? Io mi metto in gioco e questo è il
risultato?» domandò
retorico Michele, ormai indisposto dai modi della partner.
«Non
me l’hai detto tu di
dirti che non mi avevi
sorpreso!» lo
provocò ulteriormente.
«Lasciamo
stare, con te è sempre così: una partita
persa!» concluse lui,
guardandola negli occhi, abbozzando una smorfia.
«Lo
puoi ben dire, infame da strapazzo che non sei
altro…» rispose secca
lei, intrigante.
«Ancora
non mi perdoni?»
«Ah…!
Tu te ne vai senza motivo, te ne torni fresco come una rosa e
pretendi che io faccia finta di niente!? E no, bello mio! Che
c’ho scritto in
faccia ‘ Gioconda’?!» buttò
lì lei con stizza, pur rimanendo immobile tra le
sue braccia e la presa forte che esercitavano su di lei.
Quel
modo di fare suscitò in Michele il desiderio che con lei
provava da
sempre, vedendola arrabbiata: provava come compiacimento nel vedere che
Monica,
proprio quella pantera rabbiosa che aveva innanzi, non poteva far a
meno di lui
e delle sue attenzioni. Con uno scatto improvviso, Michele si
avvicinò quel
tanto da annullare la distanza tra le sue labbra e quelle della sua
donna.
Monica
lasciò che il fidanzato sfiorasse la sua bocca, subito dopo
la
sua mano destra si era mossa velocemente, in maniera decisa, diventando
presto
uno schiaffo.
«Una
pizza mi dai? Ma sei scema?»domandò lui, sfiorando
la parte del
viso lesa dal sonoro colpo inflittogli da Monica.
«No,
dovevo fartela pagare in qualche modo! Giusto?» lo
sbeffeggiò lei,
guardandolo fisso, mentre faceva cenno di andarsene.
«Ehi!
Dove vai?» chiese lei, guardandolo camminare verso la porta,
intento a uscire.
«Me
ne vado…» rispose lui sconsolato, facendo cenno di
voltarsi
indietro.
«No,
la tua penitenza inizia da subito!» lo fermò lei.
«E
quindi?»
«Come
quindi?! Non volevi farti perdonare?» chiese sfrontatamente
Monica, ormai viso contro viso. Intrecciò le labbra alle
sue, Michele rimase
sorpreso, ma, superato il primo impatto, riconobbe le labbra della sua
donna;
vi restò un po’.
«Pace?»
propose Michele, con fare tranquillo.
«Ma
vedi che rovini tutto?» ribatté Monica,
mettendogli il broncio.
«Ma
che dovevo fare, allora?» domandò lui, con
espressione tipica di chi
è totalmente indifeso.
«Stare
zitto, Miché! Dovevi stare zit- to!» rispose lei,
irritata.
«Mi
fai stare zitto anche se…» cercò di
rimediare Michele, invano.
«Sì,
stai zitto che fai più danni di quello
che…» si dimenava Monica,
sovrastando la voce del fidanzato.
«Anche
se ti dico che ti amo…?» propose Michele con
semplicità
disarmante, e volto sognante.
«Te
l’avevo detto di stare zit… No, scusa; credo di
non aver capito
bene: cosa hai detto?» si soffermò Monica,
poggiando la fronte contro la sua.
«Bravi! Oddio sono
commossa!!!»
fece il suo ingresso una raggiante Stefania vestita di lustrini.
«Stefania…?
Ma che ci fai, qui?» esordì Monica, alla vista
della bionda.
«Ma
come che ci faccio qui?! Vi ho visti casualmente dal vetro e sarei
pronta a scommettere che…» - si fermò
improvvisamente Stefania, interrotta
dalle occhiate torve di Giulio, il quale sembrava rivendicare il
diritto
d’essere considerato - «Va bene, va bene! Vi
abbiamo visti casualmente dal vetro e saremmo
pronti a scommettere che siete proprio quello che stavamo
cercando!»
«No,
no, no, scusate: cosa centreremmo io e lui?» chiese lei,
confusa,
con una risata nervosa.
«Sì,
appunto che centreremmo io e lei?» finse ignoranza Michele.
«Non
potete più scappare!» annunciò
entusiasta Stefania, dinnanzi ai due
volti sconvolti.
In
quel momento, un toc-toc.
Laura,
arrivata casualmente nel momento cruciale, si godeva lo
spettacolo dal vetro, tentando di nascondere, invano, Maya e Rosa che,
non
sapendo mantenere l’istinto di curiosità e
civetteria, avevano assistito alla
scena, dietro il vetro.
«Considerando
che… insomma, grazie a me…, Noi –
certo, sì- grazie a Noi,
vi siete ritrovati, riconciliati, o, comunque qualcosa vi
sarà pure successo,
no?!! Beh…Allora, questa gara…»
arrivò al dunque Stefania, fingendo la
diplomazia che non aveva mai e poi mai posseduto.
«Stefania
non essere drastica come sempre, ti prego!»
suggerì Giulio,
con un finto sorriso.
«Ma
certo
amore!!... Lo sai che sono cambiata, no?» - rispose Stefania,
assumendo un sorrisino angelico, innegabilmente finto, nel tentativo di
mettere
a tacere il marito -«Allora, dicevamo: qui i casi sono due!
Accettate sì, o
sì!??»