Tokyo è una città apocalittica nell’accezione propria del
termine.
È una città che svela solo per nascondere di nuovo. Una città
la cui bellezza profonda non si mostra alla luce.
Una città in cui non vivi e in cui persino morire sembra
impossibile.
Con le sue luci troppo accese, i suoi tramonti che sono polle
di sangue rappreso, le notti di marmellata e lampi verdastri, Tokyo è la città
in cui ti aspetti ogni giorno la fine del mondo, perché è tra le sue verticalità
rabbiose e i suoi giardini nascosti che il passato e il futuro chiudono il
cerchio.
Il presente implode in una metafora contorta.
– Molto toccante. Non immaginavo che un alcolista arrivasse a
concepire immagini così belle.
Bobby Singer aveva liberato un sospiro agonico,
risparmiandosi una replica che l’altro non avrebbe comunque raccolto. I demoni
ti leggevano in testa e ti entravano dentro senza chiederti il permesso.
Malgrado tutto, era sempre meglio ritrovarsi psicanalizzati a tradimento che non
con un metro di lingua in gola.
– Non è molto cambiata, dopotutto. Ha una sua coerenza
arrogante, la vecchia Edo.
L’elegante berlina inviata dalla famiglia Hoshida stagnava
nel traffico infernale di Shibuya; a prelevarli, due laconici colossi in nero.
– Ti sei mai soffermato a riflettere sul perché il terremoto
del Kanto abbia lasciato in piedi proprio Shinjuku?
Bobby gli aveva rivolto un’occhiata annoiata. – No. Non me lo
sono mai chiesto e dubito che possa interessarmi.
Crowley aveva sollevato ironico un sopracciglio. – Dovresti.
I terremoti vengono da Sotto.
– E Kabukicho è sempre stato il quartiere delle puttane.
Scontato e banale.
L’altro aveva liberato una risatina colma di un irritante
sarcasmo. – Mi avevano detto che il buon vecchio Bobby era un misantropo
sveglio, ma a vederti, converrai, suona facile prendere certe voci per una
licenza poetica.
– Non m’interessa finire tra gli amici di Facebook di qualche
demone. Siete solo polvere che si accumula agli angoli.
– Polvere della storia. Già…
Crowley si era concesso un sospiro soddisfatto. – Pensi
davvero che questo Hoshida possa aiutarti a tirare via dal buco il piccolo
Sammy?
– Potrebbe. Sono una famiglia di sciamani potenti.
– Parliamo della Gabbia, Bobby. La Gabbia è un gingillo
voluto da Quello Lassù. Ti assicuro che ci sa fare con il meccano.
– Non ne dubito, ma Quello Lassù ha smesso da parecchio di
farsi sentire, perciò non credo che possa lamentarsi più di tanto se qualcun
altro chiede di usare i suoi giocattoli.
– Già. Il problema è soprattutto questo. Mi chiedo che
diavolo abbiano combinato in Cielo.
– Siamo in parecchi.
Un profondo silenzio era scivolato nell’abitacolo,
inghiottendone gli occupanti. Oltre i vetri scuri della berlina, la realtà era
una successione disarmonica di macchie di colore e lame di luce; te le sentivi
colare addosso, come una guaina soffocante.
L’aria umida e stagnante di Tokyo ne rendeva ammorbante
l’atmosfera e caliginosa l’aria: all’Inferno, però, chissà com’era.
Bobby Singer andava con la mente a Dean, all’ombra che
quell’esperienza gli aveva lasciato dentro, radendolo al suolo.
La Perdizione Eterna era un veleno che ti scorreva sotto la
pelle e s’incrostava al cuore; faceva male anche solo pensare che fosse toccato
altrettanto al piccolo Sammy.
La residenza degli Hoshida specchiava fin dall’accesso
l’anima bifronte di un Giappone sospeso tra mito e futuro: l’alta cancellata
dagli architravi bombati, del tutto simile a una porta sacra, era guardata a
vista da una corona di cellule fotoelettriche e videocamere.
– Siamo arrivati.
Crowley si era stirato come un gatto mammone. – M’introduci
tu o devo occuparmene io? Non vorrei imbarazzanti incidenti diplomatici.
Bobby gli aveva rifilato un’occhiataccia. – Se è il Takuma
Hoshida che ricordo, a quest’ora avrà già avvertito la tua puzza.
Il demone, per tutta risposta, si era annusato contrariato le
ascelle. – È una colonia di Armani, zotico!
– Era tanto per dire.
La villa della famiglia di sciamani e sensitivi più potenti
del Giappone si era infine annunciata come un incubo dell’Ikea: dopo un giardino
che rispecchiava alla perfezione i dettami dell’estetica zen, infatti, si
approdava a un cubo di legno acciaio metallo che sembrava concepito per friggere
gli occupanti a mezzogiorno in punto – o per offrire un’impudica panoramica dei
loro più intimi segreti.
– Me li immaginavo un po’ diversi, – aveva chiosato Crowley,
mentre si faceva loro incontro un quindicenne che pareva uscito da un manga o da
un terribile videoclip j-pop.
– Forse Dio dovrebbe mandare giù un altro diluvio, – aveva
mugugnato tra sé Bobby, sforzandosi di assumere un’aria contegnosa.
– Mister Crowley! Lei è l’agente di Amos Parker, vero? –
aveva esordito a sorpresa il ragazzino daltonico, snobbandolo quasi fosse una
delle carpe dell’immancabile laghetto ornamentale. – Io sono un grandissimo fan
di Dakota Jung. Il sesto libro della saga, quello in cui si scopre che il
vampiro Nevius è in realtà suo padre… Oh, mi sono davvero commosso!
Crowley si era rivolto all’ospite con la bonomia di un
pastore benedicente. – Amos sta lavorando al settimo. Se tutto va bene, avrò le
bozze per…
Bobby aveva portato lo sguardo al cielo, alla ricerca di
un’illuminazione che dubitava potesse giungerne; non, almeno, come la certezza
che l’Apocalisse fosse ben poca cosa rispetto a un fanboy dei vampiri.
– Sapevo che mio padre stava aspettando ospiti, ma se avessi
immaginato…
Il ragazzino continuava a mitragliare Crowley con un inglese
sussiegoso e impeccabile, senza mostrare mai, nemmeno per un istante, la
consapevolezza della sua autentica natura. C’erano pecore nere anche tra gli
sciamani?
– Sì, a volte la nonna mi apostrofa così, – era stata
l’imprevista, quanto brusca replica.
Bobby aveva aperto la bocca, senza riuscire ad articolare una
sola sillaba.
– So che mister Crowley è un demone, ma è anche l’agente di
Amos Parker e… È vero che dorme solo due ore a notte?
A disincagliarli dall’inquietante agguato di un sensitivo
adolescente, per fortuna, il tono gelido e seccato con cui, da un punto non
meglio precisato della casa, era esploso un – Reiki! – non negoziabile.
– È mio padre, – aveva commentato mesto il ragazzo. – Vi
aspetta in biblioteca.
Bobby aveva tratto un sospiro sollevato. – Andiamo?
Crowley si era accomiatato dal daltonico postulante con un
leggero inchino, quasi godesse – scorretto e diabolico fino in fondo – nel
minare il suo sistema nervoso. – La puzza del demone, eh?
– Le nuove generazioni non hanno decenza.
– Convengo. Dakota Jung è una troietta frigida che si eccita
solo con il sangue, ma se riesce a restarmi vergine per altri due o tre volumi,
potrò comprarmi un’isola ai Tropici.
Bobby aveva scosso il capo, arreso alle irragionevoli ragioni
di un marketing editoriale che non poteva non puzzare di zolfo: pubblicavano
Twilight, in fondo.
Takuma, se non altro, era ancora lo ieratico personaggio che
ricordava.
Il tempo gli era scivolato addosso quasi levigandolo: la sua
pelle era candida; gli occhi, sottili fessure di china. I capelli – sempre
nerissimi – ostentavano ora un taglio marziale, e il suo completo – design
d’alta sartoria e su misura – gli conferiva qualcosa di ministeriale. In aperta opposizione al querulo entusiasmo del figlio vampirofilo, soprattutto, si era irrigidito
come il suo sguardo aveva incrociato quello di Crowley.
– Suppongo che ci sia una valida ragione per un ospite tanto
poco gradito. E gradevole.
Più che un insieme di parole, quella era una pioggia d’aghi.
Bobby avrebbe preferito che gli si rivolgesse in giapponese,
perché la musicalità della lingua avrebbe stemperato in parte la gelida ostilità
di una tacita accusa.
Crowley si era fatto avanti, aveva congiunto le mani e si era
inchinato quasi fosse al cospetto di uno shogun. – So di non essere stato
invitato, ma non sono qui come nemico.
Takuma aveva mosso un paio di passi nella loro direzione.
Alle sue spalle, timido come un cervo, aveva di nuovo fatto capolino il giovane
Reiki.
– La parola di un demone ha la sostanza degli arcobaleni.
– Belli ed effimeri?
– Belli e letali. Non puoi sfiorare la corrente con le dita
senza bruciare.
– Ma senza corrente non avresti la luce.
– Il buio è fatto per riflettere.
Bobby aveva tratto un profondo sospiro, prima d’interrompere
un palleggio che minacciava di protrarsi all’infinito.
– Potremmo rimandare il torneo di haiku e metafore a quando
avremo risolto la questione per cui mi sono fatto non so quante miglia in aereo?
Takuma aveva allontanato lo sguardo da Crowley per portarlo
su di lui; anche il demone, d’altra parte, aveva scelto di tacere.
– Conosco le ragioni del tuo viaggio e, se pure non me le
avessi comunicate, sarei stato io a cercarti, poiché interessano anche la
famiglia Hoshida, ma prima voglio che mi giustifichi la presenza di questa bassa
creatura.
– Ehi! Non sarò Brad Pitt, ma ho una mia…
– Taci, tu! E sia… Benché non mi faccia piacere ammetterlo,
questo qui ci ha aiutato. O meglio: ci ha provato. Non voglio dire che sia un
tipo frequentabile, ma gioca la nostra stessa partita.
Takuma aveva socchiuso le palpebre.
– È così. Il vecchio Bobby ha detto bene. Convivo con gli
esseri umani da molto prima che Hiroki Hoshida vendesse l’anima del vostro clan.
Takuma si era irrigidito di colpo.
Un sorriso colmo in egual misura di sarcasmo e crudeltà aveva
sfigurato il viso del demone. – L’anima per un potere infinito, che scorre nel
vostro sangue come una linfa maledetta.
Hoshida aveva chinato il capo.
– Non sono qui per riscuotere, ma per capire.
Il tono di Crowley si era ammorbidito e fatto quasi
didattico. – C’è un ordine che l’impedimento dell’Apocalisse doveva
ripristinare, ma che non si è manifestato. Perché?
Takuma aveva annuito, prima di dare loro le spalle. –
Seguitemi. Yuki vi metterà a parte dei misteri del Cielo.
Bobby aveva volto al demone un’occhiata interrogativa, mentre
il giovane Reiki profittava del breve tragitto per carpire qualche spoiler.
– Jezabel ha cessato del tutto di parlarle. Sono settimane,
ormai, che la mia sposa tenta di contattarlo, senza ottenere risposta.
– Non mi sembra un dettaglio rassicurante.
– No, non credo che lo si possa chiamare così.
Yuki Myoken aveva la consistenza della neve e della polvere.
Il tempo sembrava averla sfiorata quasi per caso, lasciandone intoccata la
sovrannaturale bellezza. Gli occhi senza sguardo svanivano in un ovale paffuto,
da bambina. Sottili rughe agli angoli della bocca tradivano tuttavia la sua età,
come l’abitudine al sorriso.
L’erede dei Myoken si era sollevata dalla poltrona in cui era
accomodata con un movimento fluido ed elegante, e spedita aveva cominciato a
muoversi in direzione di Hoshida. A guidarla, un grosso Akita Inu dalla
mascherina fulva.
– Benvenuti.
La voce bassa, quasi rugginosa strideva in modo brutale con
l’aspetto delicato; così le sue dita forti, da guerriera. Una donna che non si
era arresa al proprio handicap, aveva dedotto Bobby. Una donna, soprattutto,
consapevole del proprio potere.
Takuma ne aveva raccolto protettivo la mano.
Non superava il metro e sessanta, Yuki: accanto al marito,
piuttosto alto per essere un giapponese, sembrava davvero una bambina.
– Spero di poter rispondere alle vostre domande, come mi
auguro che voi possiate sciogliere i miei dubbi.
Bobby si era inchinato al suo cospetto, benché fosse un gesto
superfluo, visto che l’altra non avrebbe potuto vederlo. – Un ragazzo a me molto
caro, – aveva esordito con qualche esitazione.
– Sam Winchester, – aveva osservato subito la moglie di
Hoshida. – Conosco la storia del loro sangue maledetto. Coraggiosi e sfortunati.
Bobby si era grattato la barba. – Sì… Suppongo che uno
potrebbe anche metterla così.
Yuki Myoken aveva affondato le dita nel folto pelo della
fedele guida. – Sam era il Wunderkind di Lucifer. Il predestinato ad
accoglierlo.
– E l’ha fatto.
Yuki aveva annuito. – Lo so. Jezabel me l’ha comunicato.
– L’ha fatto per imprigionare Lucifer. Perché…
Crowley aveva sorriso. – Perché un demone può anche conoscere
qualche trucchetto che torna utile ai buoni.
Bobby gli aveva rivolto un’occhiataccia, prima di riprendere
la parola. – Quel che vorrei sapere è se esiste un modo per riportare sulla
Terra Sam Winchester. Quel ragazzo non merita di sicuro di stare all’Inferno.
Yuki aveva annuito. Una lunga ciocca dei capelli candidi le
era scivolata sul viso, velandolo come un funebre drappo.
– Jezabel ha smesso di parlarmi. Il suo Cielo è in guerra e
tremo per la sua sorte.
Aveva fatto una piccola pausa.
– Ma so che Sam Winchester è vivo. Sta bene e conduce ancora
la sua esistenza tra gli uomini.
Bobby aveva sgranato gli occhi, imitato da Crowley. – Cosa?
– Jezabel mi ha confidato che un angelo superiore l’ha
salvato dall’Abisso e dalla Perdizione Eterna. Non posso dirvi di più, però,
poiché la voce della mia guida si è spenta.
Bobby aveva esalato un sospiro agonico. – Perché diavolo non
si è ancora fatto vivo, allora? Perché non ha provato a…
– Perché la sua memoria è andata perduta, – aveva mormorato
una voce nota, mentre due nuovi visitatori si offrivano al loro sguardo.
Yuki Myoken si era irrigidita; Takuma Hoshida, protettivo,
l’aveva accolta nel proprio abbraccio.
– Cass, – aveva mormorato incredulo.
– Castiel e Gabriel, prego. Anzi: Gabriel e Castiel, – aveva
puntualizzato ironico l’arcangelo. – Cominciamo con il rispettare le gerarchie.
Crowley aveva sogghignato tra sé. – Guarda chi si rivede… Il
buon vecchio Loki!
– E il buon vecchio Crowley. Come vanno gli affari?
– Non posso lamentarmi, ma qualcuno dei tuoi tiri aumentava
la tiratura di Fantasy Magazine. La vita della mia casa editrice non è
più la stessa, da quando hanno cominciato a perdersi quelle belle, succose
leggende metropolitane.
Gabriel aveva scosso il capo, ridacchiando.
– Toccante, sul serio. Perché non vi scambiate l’amicizia su
Facebook e limitate le smancerie a un altro momento? – aveva tuonato Bobby. –
Non ho fatto migliaia di chilometri per…
Castiel l’aveva fissato in un modo che nessuno avrebbe detto
rassicurante; poiché poi Castiel non era dotato né di senso
dell’umorismo, né, soprattutto, del senso della misura, non era proprio il caso
di sfidarlo.
– Siamo qui per questo. – Il tono dell’angelo era basso e
monocorde. – Sam Winchester è stato salvato per volere del Metatron. Presto
tornerà a ricongiungersi al fratello, perché possano ottemperare alla missione
per cui sono stati scelti.
Bobby aveva aperto la bocca, ma non era stato in grado di
dire alcunché. Crowley, invece, aveva lanciato un lungo, eloquente fischio. –
Metatron, eh? Se scende in campo anche il Generalissimo, Lassù state con la
merda fino al collo, vero?
Castiel l’aveva ignorato.
– Una… Missione?
Era stato Gabriel a regalare a quello sparuto, incredulo
uditorio, la verità. – I fratelli Winchester sanno cosa voglia dire cercare un
padre. Ora, però, dovranno recuperare quello che appartiene a tutti noi.
– Vuoi dire che…
– Dio ha smesso di parlare. Ha smesso di governare e di
rispondere. Nel Paradiso imperversa l’anarchia degli Apocalittici contro il
conservatorismo dei Troni. Se non volete che la merda dei Cieli vi cada addosso,
fidatevi dei cespugli ardenti: Dio va svegliato.
Bobby si era grattato la barba. – Trovare… Dio?
– Proprio così. Non basta che Lucifer se ne stia buono in
gabbia, perché la Creazione ritrovi il proprio equilibrio. La guerra dei Cieli
sta precipitando in Terra e gli angeli non si fanno scrupoli nel reclutare
pedine e martiri, – aveva aggiunto Castiel.
– Già visto, – aveva sospirato. – Dunque Sam sta tornando?
– Non c’è altra via. Il Metatron l’ha scelto e alla voce di
Dio puoi solo obbedire.
Crowley aveva riso. – Ah… La meravigliosa democrazia celeste…
Poi, con ineffabile eleganza, aveva domandato a Reiki se non
fosse possibile avere del sake dolce.
Da che quell’avventura a due si era inaugurata, Bobby si era
sorpreso per la prima volta a pensarla come il demone: aveva bisogno di berci
su.
E basta.