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Autore: _Mary    10/10/2010    14 recensioni
Ma c’erano anche stati giorni in cui aveva ceduto alla dolcezza del ricordo e della nostalgia. E quella mattina, quando aveva visto il cielo di un azzurro incerto, sbiadito, ed aveva visto che le rose erano di nuovo fiorite, Andromeda aveva inspirato il loro profumo ed aveva deciso che quello sarebbe stato uno di quei giorni.
Quarta classificata a pari merito al contest 'I miss you' indetto da malandrina4ever sul forum di EFP.
Vincitrice dei premi 'Miglior One-shot', 'Miglior fanfiction più contesti', 'Miglior personaggio femminile', 'Miglior protagonista' e 'Miglior scena in assoluto' all'Harry Potter Final Contest.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Teddy Lupin | Coppie: Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Gocce di pioggia'
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Disclaimer: i personaggi appartengono a JK Rowling, anche se li ha allegramente snobbati o ammazzati. La fan fiction non è a scopo di lucro.




La première floraison



C’erano stati giorni in cui Andromeda avrebbe desiderato soltanto sprofondare. Sarebbe stato facile lasciarsi scivolare in un oblio oscuro, in cui i dolci ricordi del passato si fondevano con sogni mai realizzati, che ancora pendevano sulla sua testa come festoni colorati in una stanza ormai fredda e vuota.

C’erano stati giorni in cui Andromeda avrebbe desiderato soltanto dimenticare. Fingere di non sentire niente, fingere che ogni angolo di quella casa non ricordasse davvero un sorriso, una carezza, un battibecco. Fingere di non conoscere le crepe delle mura tra le quali aveva passato tutta la vita, fingere che le macchie dietro il divano non fossero state fatte da una bambina i cui passi risuonavano ancora sulle scale.

C’erano stati giorni in cui Andromeda aveva pianto. Quando non c’era nessuno che avrebbe potuto vederla, si era concessa il lusso di cercare di colmare il vuoto che sentiva con le sue lacrime, senza sentire nessun sollievo da quello sfogo segreto. Si era fatta forza, come aveva fatto per tutta la vita, ed aveva provato a sorridere davanti ad una foto in bianco e nero, o ad un vecchio giocattolo, o a quelle scatole piene di cose di cui non aveva il coraggio di disfarsi.

Ma c’erano anche stati giorni in cui aveva ceduto alla dolcezza del ricordo e della nostalgia. E quella mattina, quando aveva visto il cielo di un azzurro incerto, sbiadito, ed aveva visto che le rose erano di nuovo fiorite, Andromeda aveva inspirato il loro profumo ed aveva deciso che quello sarebbe stato uno di quei giorni.


Soltanto perché non vedi più una persona, non vuol dire che ti abbia lasciata”.


Aveva preparato la colazione canticchiando tra sé, aggirandosi tra i fornelli di una cucina di cui conosceva ogni dettaglio: le venature del legno del tavolo, che avrebbe potuto percorrere con le dita ad occhi chiusi; la disposizione delle pentole, in precario equilibrio sopra il lavandino; il rumore di quando il pentolino del latte veniva posato sui fornelli; l’odore del tè nel vecchio bollitore. Non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma le parole di una canzone che pensava di aver dimenticato le riaffiorarono alle labbra con naturalezza, mentre apparecchiava per due. Un po’ di succo di zucca per Teddy, che ne andava matto. Il pacco di biscotti per sé. Il tè caldo nella tazza sbeccata. Un paio di ciambelle sul piattino bianco.

E l’odore delle rose.

Andromeda uscì in giardino, inspirando profondamente. Quando si avvicinò ai cespugli, scelse con cura un bocciolo, e lo colse. In cucina, riempì d’acqua un bicchiere, poggiandolo al centro della tavola e immergendoci lo stelo del bocciolo. A vederla così, ad Andromeda parve che quella colazione non fosse poi tanto diversa da quella che preparava quando c’era anche loro. Quel giorno si sarebbe lasciata andare ai ricordi, poco importava se Teddy l’avesse vista un po’ strana.

Ogni volta che erano fiorite le rose, Ted aveva colto il bocciolo più bello per portarlo in casa, a tavola. Ed aveva scherzato con Andromeda su come la bellezza di quel fiore non fosse paragonabile in nessun modo a quella delle ‘sue donne’.


Come posso sapere che non mi ha lasciata?”


Stava ancora canticchiando quando lanciò distrattamente un incantesimo alla scopa perché andasse a pulire la soffitta. Era un rito che si ripeteva da anni, ormai: il giorno della fioritura, Andromeda puliva anche la soffitta, in cui bauli pesanti di ricordi ed oggetti che aveva quasi dimenticato rimanevano chiusi tutto l’anno. L’aveva sempre trovata molto simile al suo cuore, quella soffitta: era una parte della casa in cui viveva, quindi non avrebbe potuto disfarsene, anche se avrebbe voluto; c’erano cose che una parte di lei avrebbe preferito bruciare, o lasciare marcire per sempre. Eppure, sapeva che una cosa del genere sarebbe stata inutile e dannosa, e che avrebbe dovuto convivere per sempre con un passato molto ingombrante.

Così, si limitava a lasciarla chiusa e a rispondere evasivamente alle domande di Teddy in proposito. Ma una volta all’anno, quel giorno dell’anno, quando la scopa aveva fatto sparire abbastanza polvere, Andromeda si affacciava a quella porta in legno scuro, per accarezzare con lo sguardo il piccolo cimitero di sogni che celava.


La bambina tirò rumorosamente su con il naso, affondando la testa nel petto del papà. Quello le carezzò i capelli, di uno spento color grigio.


Un letto coperto da un lenzuolo bianco, molti bauli, un armadio che Dora era riuscita a sigillare in maniera permanente quando aveva quattro anni. E poi tanti, tanti scatoloni.

Era quello il tesoro nascosto. Un tesoro ben misero, che ormai era cibo per le tarme e per altri di quegli insetti che le soffitte di tutto il mondo ospitavano. Forse, quella in particolare ne ospitava un po’ di più.

Andromeda rimase ad osservare la scopa fare il suo lavoro insieme agli altri oggetti che aveva stregato. Le faceva male. Sentiva risalirle in gola lo stesso groppo di alcuni anni prima, quando aveva dovuto spostare quel letto senza l’aiuto di nessuno, per sostituirlo con la culla di un bambino orfano. Il letto di sua madre, troppo grande per lui, era ancora lì, il fossile di una vita prima.

Chiuse la porta, che, come al solito, proruppe in un rumoroso lamento di cardini male oliati, e cominciò a scendere le scale, mentre le lacrime di una ferita mai rimarginata le bagnavano gli occhi.


La piccola folla che si era riunita intorno alla tomba cominciava a disperdersi. Gli amici della compianta signora Tonks erano preoccupati dal maltempo, e sarebbero presto tornati nelle rispettive case.

Come faccio a saperlo?” ripeté Ninfadora.


Teddy era sceso in cucina, e dovette notare il suo umore. Lo vide sorriderle, mostrando la fessura tra gli incisivi superiori. Forse aveva notato che, una volta all’anno, la nonna coglieva un bocciolo di rosa e lo portava in tavola, sempre lo stesso giorno. A volte lei aveva gli occhi arrossati, altre volte era pensierosa, dopo quel gesto. Quel giorno doveva sembrargli solo un po’ più malinconica del solito.

Andromeda si sedette a tavola, guardandolo mentre mangiava. Era incredibile come fosse identico negli atteggiamenti a sua madre, pur non avendola mai conosciuta. Le venne quasi da sorridere quando sentì l’eco dell’ ‘Ops’ che pronunciò quando versò sul tavolo un po’ di tè, che era la stessa di quella di Dora.

“Nonna?”

Sentendosi chiamare, alzò lo sguardo. Teddy si stava mordicchiando un labbro, i capelli di un’intensa sfumatura viola. Era pensieroso.

“Quel bocciolo di rosa è per la mamma?” chiese tutto d’un fiato.

Andromeda inarcò le sopracciglia. Teddy abbassò lo sguardo, colpevole.

“Sei sempre triste, quando c’è quella rosa”.

Andromeda sorrise amaramente. Rimase qualche istante in silenzio, rigirandosi tra le mani la sua tazza ancora mezza piena di tè.

“Sì, è per lei. Tuo nonno le ha piantate quando è nata. Ogni anno coglieva per noi la prima che sbocciava”.

Teddy parve capire. Andromeda intuì subito che c’era qualcos’altro che voleva chiederle.

“Pensavo” continuò infatti, esitante, facendola sorridere. “Come faccio a sapere che lei e papà non mi hanno lasciato?”


Andromeda non sapeva cosa rispondere. Non era in grado di offrire risposte accettabili ad un interrogativo che aveva perseguitato anche lei e al quale non aveva ancora trovato risposta. Non avrebbe saputo come rispondere alla sua bambina in lacrime, forse spaventata da tutta quella folla vestita di nero.

Ted, però, sembrava padrone della situazione, mentre, alzandole il viso, le rispondeva.

È come il vento”.

Ninfadora non si mosse. Ted continuò: “ Puoi vedere il vento?”

L’altra, senza alzare la testa, fece un cenno di diniego.

Eppure, è innegabile che ci sia. E che ti sfiori”.

Così dicendo, Ted asciugò delicatamente una lacrima della bambina.

È così anche con le persone che se ne vanno. Ci lasciano, ma questo non significa che non siano più con noi”.

Andromeda spostò lo sguardo da sua figlia a Ted, mentre una morsa le stringeva il cuore. Il suo sguardo, il tono della sua voce, tutto indicava una fede reale in quello che aveva appena detto.

Come il vento, si ripeté. Come il vento.


“Nonna?”

Andromeda si riscosse bruscamente dai suoi ricordi, tentando di riordinare i pensieri. Poi, badando a non far tremare la voce, gli rispose.

“È come il vento”.

Teddy parve confuso. Andromeda continuò.

“Non lo vedi, eppure è innegabile che ci sia”.

Deglutì, concludendo:

“È così anche con le persone che se ne vanno. Ci sono”. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tornando a guardare la sua tazza.

“Solo che non puoi vederle”.

Teddy annuì lentamente. Per qualche istante, Andromeda riuscì a sentire solamente il ticchettio metallico dell’orologio bianco appeso sopra il forno, seguito da un rumore di passi frettolosi sulla strada. La tazza tra le sue mani era quasi fredda, mentre se la portava alle labbra e la vuotava, cercando di non tremare.

Prima di poterla appoggiare di nuovo sul tavolo, si sentì abbracciare. Ricambiò, stringendo Teddy a sé ed inspirando il suo profumo di bambino, facendosi forza con quell’abbraccio che, ormai, era l’unica cosa capace di mandarla avanti. Non sapeva se Teddy potesse capirlo; in cuor suo, sperava di no.

Cercò di sorridergli, mandandolo sbrigativamente a giocare in giardino, e preparandosi a continuare la routine di quel giorno particolare.

Quella sera, come ogni anno, prese il bocciolo - dai petali un po’ gualciti - e lo portò vicino ad una foto in bianco e nero, l’unica che si trovasse nella piccola sala racchiusa in pareti quasi completamente coperte di libri.

Una foto scattata in primavera, che ritraeva tre persone in riva al mare mentre ridevano, i capelli e i vestiti agitati da un forte vento.





Non dovrei essere qui – e questo non tanto per l'acqua del té che a quest'ora starà bollendo, quanto per la marea di recensioni arretrate che devo scrivere, per i compiti da finire e per una serie di impegni vari ed eventuali di cui non vi interessa giustamente nulla.

Ma sono qui u.u

Questa è la prima e l'unica fanfiction che riguardi la morte di Ted che potrete aspettarvi dalla sottoscritta – perché, voi non lo sapete, ma la Rowling mi ha dichiarato in via strettamente confidenziale che la sua morte, e anche quelle di Remus e Dora, erano astute coperture, nient'altro. Quindi non è morto nessuno dei tre, ecco.

Questa fanfiction ha partecipato al contest 'I miss you' indetto da malandrina4ever sul forum di EFP, classificandosi quarta a pari merito. Inutile dire che sono felicissima per questo *-*

Riporto qui il giudizio, specificando di aver corretto l'errore di battitura di cui si parla:


QUARTA CLASSIFICATA A PARI MERITO: La Premièr Floraison - _Mary

Grammatica: 9.5/10
Stile: 9/10
Caratterizzazione: 15/15
Originalità: 9.5/10
Trama: 10/10
Attinenza al tema (ovvero la nostalgia): 15/15
Gradimento Personale: 5/5
Totale: 73/75

Non ti ho potuto dare il massimo alla voce grammatica per un errore sicuramente di distrazione: ‘...tra le quali cui aveva passato...’. Detto questo, la tua storia mi ha fatto commuovere. Anzi, penso che la parola esatta sia piangere, dato che quando ho finito di leggerla mi sono scese due lacrime; e per questo ti dico grazie, perché era da molto che non mi capitava di farlo per una storia, iniziavo a temere di essere diventata insensibile xD E a questo punto il massimo alla voce gradimento personale è d’obbligo. Così come è d’obbligo anche per la caratterizzazione, la trama e l’attinenza al tema. La trama è perfetta e l’intreccio tra passato e presente ben gestito e davvero ad effetto^^ Le caratterizzazioni sono totalmente IC e credibili (considerando che non conosciamo esattamente il carattere di alcuni personaggi), tutte, a partire da quella ovviamente più approfondita di Andromeda per finire con quelle anche solo appena accennate di Ted, Dora e Teddy, anche se in effetti per lui avevi campo libero xD Riguardo all’attinenza non ho molto da dire: se non è nostalgia questa...Il tema trattato di per sé non è molto originale, ma tu lo sei stata decisamente invece. Davvero bravissima, la tua è forse la storia che mi ha fatto emozionare di più tra tutte –e l’unica che mi ha fatto piangere, sentiti in colpa xD- ^^


Questa fanfiction è, ancora una volta, tutta per whateverhappened, le cui storie consiglio caldamente u.u Mia adorata Black sister, mi rendo conto che questa fic è piuttosto deprimente, ma al momento non ho di meglio XD

Detto ciò, mi complimento ancora una volta con tutte le partecipanti *-* Leggerò tutto ciò che avete scritto non appena potrò <3
Risponderò alle recensioni in serata, come anticipo vi do un fantastico biscottino all'arancia - dovrei davvero smettere di mangiarne a pacchi >.<

Un abbraccio,

Ilaria

   
 
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