Glasdale scorse
la
guarnigione di Saint-Jean-le-Blanc quando già si preparava
al peggio. La vista
degli uomini che gli venivano in soccorso riaccese in lui la speranza
di poter
respingere l’assalto francese. Rinvigorito da quel pensiero,
si affrettò a
dare nuovi ordini, prima che la cavalleria pesante nemica fosse pronta
per un
nuovo assalto.
Non
tutto è perduto, si ripeteva
continuamente. Nonostante le gravi perdite
subite durante la prima carica, le forze di Saint-Jean-le-Blanc
riequilibravano
in parte il peso dei due schieramenti. Guardò la fortezza in
fiamme dove non
avrebbe più potuto ripararsi. Tra lo stridio dei rinforzi di
legno, che
cedevano e crepitavano in mezzo alle fiamme, ci fu
un’esplosione di fiamme,
subito seguita da una lunga chioma di scintille strappate dal vento.
Improvvisamente
un pensiero
maligno, una intuizione chiara e limpida, attraversò i suoi
sensi già eccitati
dalla battaglia: i suoi soldati avrebbero presto avuto
un’arma formidabile
contro la cavalleria francese. Forse non
tutto è ancora perduto.
***
Al
passo.
Come una danza
di
morte, che partiva lenta e proseguiva in un irrefrenabile crescendo,
fino a raggiungere
un ritmo folle al suo parossismo, così l’andatura
placida e indolente dei
cavalli faceva già presagire la furia incontenibile che
avrebbero presto scatenato.
La linea
orizzontale
composta dai destrieri avanzò adagio, mentre i cavalli con
brevi movimenti
aggraziati toccavano pigramente il terreno con ogni zoccolo,
allineandosi uno
di fianco all’altro. Gradualmente, la loro andatura
aumentò, inarrestabile.
Al
trotto.
Al
piccolo galoppo.
Al
galoppo.
Il frastuono
degli zoccoli
che scuotevano il suolo pianeggiante echeggiò sempre
più assordante, come una
terrificante valanga, man mano che le cavalcature acquistavano
velocità.
“Carica!”
fu il grido
ininterrotto dei cavalieri di Chatel-Argent, proprio nel momento in
cui, nella
luce crepuscolare, centinaia di minuscole stelle infuocate si accesero
di
fronte a loro.
***
“Armatevi
di torce,
qualsiasi cosa cui potete appiccare il fuoco, maledizione!”
urlava senza sosta Glasdale
correndo come un pazzo tra le fila dei suoi uomini, spronandoli,
minacciandoli,
lottando contro il tempo.
“Incendiate
le frecce e
i quadrelli! Arcieri, balestrieri, prepararsi immediatamente a tirare!
Presto,
al mio segnale! Prepariamo una calda
accoglienza a questi dannati mangiarane…”
Gli
arcieri inglesi, sollevando ognuno il
pesante long bow, non avevano
né il
tempo né l’ordine di mirare alla sottile striscia
di cavalieri che avanzava velocemente
al galoppo, mirarono semplicemente al terreno davanti a loro. “Adesso,
puntare!” ruggì Lord Glasdale e dopo
aver atteso solo pochi istanti, gridò:
“Scoccare!”
Le frecce
incendiate tracciarono un breve arco nel crepuscolo, come tante comete
dalla
coda infuocata, per ricadere subito dopo ad una distanza molto
più corta della
loro abituale gittata.
Ian
sollevò lo sguardo
su quello spettacolo, allo stesso tempo terribile e meraviglioso.
L’istinto gli
fece portare le mani sulle redini per trattenere la falcata del suo
destriero,
ma osservando la traiettoria che tracciavano le frecce, seppe che non
li
avrebbero colpiti, miravano troppo in basso.
Hanno
intenzione di incendiare il terreno di fronte a noi e
di spaventare i cavalli!
Qualche
istante dopo i dardi sfavillanti
piovvero dal cielo, non colpirono nessun cavaliere ma gettarono
comunque nel
panico i cavalli. Molte cavalcature, imbizzarrite dai piccoli focolai
che
bruciavano sulle rade sterpaglie davanti a loro, disarcionarono i loro
cavalieri, aprendo degli squarci all’interno del fronte
compatto che avanzava,
senza rallentare, verso gli inglesi.
***
L’impatto
tra la
cavalleria pesante e il muro di soldati inglesi fu tremendo, questa
volta le
truppe di Lord Glasdale non si fecero trovare impreparate e incapaci di
organizzare
una qualsiasi strategia di difesa.
I soldati
nemici,
aizzati dalle urla del loro comandante, piombarono laddove i cavalieri
disarcionati avevano lasciato un crepa dentro il fronte compatto della
cavalleria.
Accerchiarono e ingaggiarono in mischie furibonde, i cavalieri di
Chatel-Argent
che adesso non erano più in grado tenere a distanza i
nemici, sfruttando le
lunghe lance che avevano spezzato al primo assalto.
Molti compagni
di Ian alla
fine vennero sbalzati di sella dagli inglesi o dai loro stessi cavalli,
feriti
o resi folli dalle torce infuocate brandite dagli avversari.
Ian comprese che
questa volta non
avrebbero vinto da soli, senza l’aiuto della fanteria di
Jeanne. Dopo aver
rallentato la corsa del suo destriero, si apprestò a tirare
le redini da un lato
per girare il suo cavallo e dirigersi nella retroguardia a impartire
nuovi
ordini, quando nell’attimo stesso in cui frenò la
cavalcatura, si vide accerchiato
da quattro inglesi che brandivano spade e torce infuocate.
Davanti
alle lingue di fuoco agitate dagli
uomini davanti a lui, il destriero si impennò sulle zampe
posteriori, gli
zoccoli del possente animale colpirono il soldato più vicino
che cadde a terra privo
di sensi. Ian, ormai sbilanciato, fece appena in tempo a lanciarsi sul
secondo
inglese, abbattendolo col peso della sua armatura, mentre il suo
cavallo si
allontanava rapidamente dal pericolo che l’aveva terrorizzato.
Il corpo
dell’uomo su cui era
crollato gli aveva fatto da scudo durante l’impatto. Si
rialzò velocemente,
appena impedito nei movimenti dall’armatura di maglia
rinforzata da piastre
leggere, realizzata su misura per lui dal fabbro di Chatel-Argent e che
consentiva molta più libertà di movimento
rispetto a una corazza a piastre convenzionale.
Ian maledisse la
sorte
che in pochi istanti l’aveva scalzato da una posizione di
vantaggio,
obbligandolo adesso ad uno scontro impari. Si guardò attorno
rapidamente, con i
sensi acuiti dal pericolo mortale in cui era precipitato: altri
cavalieri
ingaggiavano duelli tutt’intorno a lui con i resti delle
armate inglesi, l’esercito
di Jeanne era ormai su di loro ma il loro aiuto sarebbe arrivato
maledettamente
tardi per lui.
Devo
cavarmela da solo.
I due soldati
avversari rimasti in
piedi si gettarono su di lui proprio in quel momento. Ian
parò facilmente il
primo colpo, prevedibile e troppo lento, impegnando la lama del nemico.
Allo
stesso tempo si preparò a sferrare un calcio al ginocchio
dell’uomo, che stramazzò
rovinosamente a terra.
Continuando a
muoversi, senza
apparente soluzione di continuità, girò su se
stesso, impugnando l’elsa con entrambe
la mani come una falce che scindeva l’aria in due.
L’uomo che gli veniva
incontro di spalle alla sua sinistra fu sorpreso dal movimento
imprevedibile di
Ian e non riuscì a parare il colpo di taglio, a mezza
altezza, che penetrò nel
fianco della sua armatura leggera di cuoio indurito.
Intanto il
soldato che aveva
abbattuto per primo, gettandosi dal cavallo, si era rialzato e
spalleggiato
dall’inglese che aveva scaraventato a terra, lo circondavano.
Con la furia cieca
che nasceva dalla disperazione si avventarono insieme ai due lati
opposti della
guardia di Ian. Parare il primo colpo con il forte del ferro e
inginocchiarsi a
terra per sottrarsi al fendente del secondo, fu una cosa sola.
Si avvide che
uno dei due
avversari aveva un braccio molle accostato al petto, spezzato dove Ian
l’aveva
colpito quando gli si era lanciato contro con tutto il peso della sua
armatura,
ma era ancora in grado di offendere con l’altro braccio.
Anche l’inglese che
aveva ferito di taglio intanto si era alzato faticosamente, con la mano
insanguinata premuta ostinatamente sul fianco squarciato.
Ancora una
volta, tre
uomini lo accerchiarono, girandogli intorno, ridendo a sprazzi,
terrorizzati e
folli. Voltandosi ora da un lato ora dall’altro, Ian
tentò di seguire i loro movimenti,
finché non decise di concentrarsi sull’unico uomo
ancora incolume.
Azzardò
che sarebbe
stato lui a portare il primo affondo e per attirarlo a sé
aprì leggermente la guardia
su quel fianco, modificando la presa sull’elsa e sollevando
con entrambi le
mani la spada per simulare la preparazione di un colpo
dall’alto.
Il fendente
dell’inglese arrivò senza preavviso, echeggiato
dalle urla degli altri due
uomini che qualche istante dopo lo seguirono all’attacco. Ian
parò il primo
assalto con un colpo dall’alto, portato grazie alla maggiore
statura da una
posizione di vantaggio e con tale potenza, che deviò verso
il basso la lama del
rivale senza impegnarla.
Poi, con un
movimento
fulmineo, girò su se stesso sul fianco opposto, roteando la
spada con tutta la
propria forza, tracciando un fendente decrescente che
impattò in alto la gamba
destra dell’inglese dal braccio spezzato. La lama
penetrò a fondo nella fibra
muscolare dell’uomo e il sangue fuoriuscì a fiotti
dall’arteria femorale
recisa: sarebbe morto dissanguato nel giro di pochi minuti. Di fronte,
spostato
a sinistra, si trascinava l’uomo con fianco ferito, che
assunse una posizione
difensiva e indietreggiò di un passo.
Ian non si
curò di lui,
sapeva che l’inglese alle sue spalle stava già
sollevando la spada per colpirlo.
Immise nei polmoni tutta l’aria che fu in grado di
immagazzinare, cambiò presa
sull’elsa e con un unico movimento fluido, sollevò
la lama sopra la testa. Facendo
perno su un piede per acquistare maggior slancio possibile,
roteò nuovamente su
se stesso.
L’uomo
ne intuì il
proposito, ma la mossa di Ian non gli dava la possibilità di
prevedere da quale
direzione sarebbe arrivata la lama del rivale. Istintivamente,
incrociò il
ferro per intercettare un assalto diretto alla gola, ma Ian, avvedutosi
con la
coda dell’occhio del suo tentativo di difesa, lo
colpì dall’alto proprio dove
si era scoperto, all’attaccatura della spalla destra.
L’inglese
urlò di
dolore mentre la mano si apriva in uno spasmo, lasciando cadere a terra
l’arma.
Con uno strattone Ian liberò la sua spada dalle carni
dell’uomo, dov’era
penetrata recidendogli il braccio quasi per intero.
L’uomo
si guardò
incredulo l’arto mozzato e sopraffatto, afferrò
con l’altra mano il filo
insanguinato della lama di Ian e con un gesto estremo si diede la
morte,
accasciando il mento sulla sua spada. Poco dopo, Ian si voltava
nuovamente
verso l’unico avversario rimasto in piedi, che sanguinava
copiosamente dal
fianco. L’inglese, dopo averlo fissato con occhi sbarrati
come se guardasse un
demonio, lasciò anche lui cadere la spada e fuggì.
Ian
piantò la sua spada
sul terreno, ansimante, appoggiandosi sul pomolo nel tentativo di
riprendere
fiato e calmarsi. Si guardò attorno: quasi ovunque vedeva
nemici che fuggivano impazziti,
che venivano inseguiti da un francese a cavallo o dalle truppe di
Jeanne nel
frattempo sopraggiunte. Scorse alcuni inglesi arrendersi in ginocchio,
invocando pietà, altri invece scappavano senza una meta e
inevitabilmente una
lama metteva fine alla loro fuga.
Avevano
vinto, Les Tourelles era caduta.
Si tolse
l’elmo, l’eco
del suo respiro ansimante gli era divenuto insopportabile, ma i lamenti
di orrore
e di sofferenza che adesso poteva ascoltare, gli erano ancora
più intollerabili.
Ian si strinse
la testa
tra le mani, nel vano tentativo di far tacere quelle voci,
cercò di respirare
profondamente, mentre lo avvolgeva un senso sempre più
opprimente di vuoto e di
incompiutezza, quando le urla ruvide e rauche di Glasdale sovrastarono
ogni
altro suono e lo scossero all’improvviso.